CAPITOLO V
Su alcuni versi di Virgilio
[B] Quanto più pieni e solidi sono i pensieri utili, tanto più sono impaccianti e onerosi. Il vizio, la morte, la povertà, le malattie, sono soggetti gravi e che gravano. Bisogna aver l’anima istruita nei mezzi di sostenere e combattere i mali, e istruita nelle regole del ben vivere e del ben pensare, e spesso risvegliarla ed esercitarla in questo bello studio. Ma a un’anima di stampo comune è necessario che questo avvenga con calma e moderazione: essa si altera se è troppo continuamente tesa. In gioventù avevo bisogno di ammonirmi e sollecitarmi per mantenermi in carreggiata: la vivacità e la salute non vanno tanto d’accordo, si dice, con questi discorsi seri e saggi. Ora mi trovo in un altro stato. Le condizioni della vecchiaia mi ammoniscono fin troppo, mi rendono saggio e mi rampognano. Dall’eccesso della gaiezza sono caduto in quello della severità, più fastidioso. Per cui ora mi lascio andare un po’ alla sregolatezza, a bello studio; e volgo talvolta l’anima a pensieri frivoli e giovanili, nei quali si ricrea. Sono ormai fin troppo calmo, troppo posato e troppo maturo. Gli anni mi danno ogni giorno lezione di freddezza e di temperanza. Questo corpo fugge la sregolatezza e la teme. Tocca ora a lui guidare lo spirito al ravvedimento. A sua volta governa, e più duramente e imperiosamente. Non mi lascia riposare neppure un’ora, né dormendo né vegliando, dalla meditazione della morte, della pazienza e della penitenza. Mi difendo dalla temperanza come un tempo mi sono difeso dalla voluttà. Essa mi tira troppo indietro, e fino all’ebetudine. Ora, voglio essere padrone di me, in ogni senso. La saggezza ha i suoi eccessi e non ha minor bisogno di moderazione della follia. Così, per paura di inaridirmi, appassirmi e appesantirmi di saggezza, negli intervalli che i mali mi concedono,
Mens intenta suis ne siet usque malis,I 1
mi scanso pian piano e distolgo lo sguardo da quel cielo tempestoso e nuvoloso che ho davanti a me: e che, grazie a Dio, considero certo senza timore, non però senza sforzo e senza studio. E vado dilettandomi nel ricordo dei passati errori giovanili,
animus quod perdidit optat,
Atque in præterita se totus imagine versat.II 2
La fanciullezza guardi davanti a sé, la vecchiaia indietro: non era questo che significava il doppio volto di Giano? Gli anni mi trascinino se vogliono, ma a ritroso. Finché i miei occhi possono riconoscere quella bella stagione svanita, ve li rivolgo a tratti. Se essa fugge dal mio sangue e dalle mie vene, almeno non voglio sradicarne l’immagine dalla memoria,
Vivere bis, vita posse priore frui.I 3
[C] Platone ordina4 ai vecchi di assistere agli esercizi, alle danze e ai giochi della gioventù, per rallegrarsi in altri dell’agilità e della bellezza del corpo che non hanno più, e richiamare al ricordo la grazia e il favore di quell’età fiorente. E vuole che in quegli svaghi attribuiscano l’onore della vittoria al giovane che più avrà divertito e rallegrato la maggior parte di loro. [B] Io notavo un tempo i giorni cupi e oscuri come straordinari: questi sono ora i miei abituali. Gli straordinari sono quelli belli e sereni. Sono al punto di fremere come per un piacere nuovo quando nulla mi affligge. Se mi solletico, non posso più ormai strappare nemmeno un povero riso da questo misero corpo. Non mi rallegro che in immaginazione e in sogno, per stornar con l’astuzia l’amarezza della vecchiaia. Ma certo occorrerebbe altro rimedio che il sogno: debole lotta dell’arte contro la natura. È una gran sciocchezza allungare e anticipare, come ognuno fa, i fastidi umani. Io preferisco essere vecchio meno a lungo che essere vecchio prima di esserlo. Perfino le minime occasioni di piacere che possono capitarmi, le afferro. Conosco, sì, per sentito dire, parecchie specie di piaceri saggi, forti e gloriosi; ma l’opinione non può abbastanza su di me per farmene venire il desiderio. [C] Non li voglio tanto magnanimi, magnifici e fastosi quanto li voglio dolci, facili e pronti. A natura discedimus; populo nos damus, nullius rei bono auctori.II 5 [B] La mia filosofia consiste nell’azione, nella pratica naturale e presente: poco nell’immaginazione. Potessi prender piacere a giocare a nocino e alla trottola!
Non ponebat enim rumores ante salutem.III 6
La voluttà è qualità poco ambiziosa: si stima abbastanza ricca per se stessa senza mescolarvi il pregio della reputazione, e preferisce restarsene nell’ombra. Bisognerebbe fustigare un giovane che si dilettasse a distinguere il sapore del vino e delle salse. Non c’è nulla che io abbia meno saputo e meno apprezzato. Adesso l’imparo. Ne ho gran vergogna, ma che posso farci? Ho ancor più vergogna e dispetto delle circostanze che mi ci spingono. Tocca a noi sognare e baloccarci, e alla gioventù badare alla reputazione e a far figura: essa va verso il mondo, verso la fama, noi ne ritorniamo. [C] Sibi arma, sibi equos, sibi hastas, sibi clavam, sibi pilam, sibi natationes et cursus habeant; nobis senibus, ex lusionibus multis talos relinquant et tesseras.I 7 [B] Le leggi stesse ci rimandano a casa. Io non posso astenermi, in grazia di questa meschina condizione a cui la mia età mi spinge, dal fornirle trastulli e gingilli, come all’infanzia: così noi vi ricadiamo. E la saggezza e la follia avranno molto da fare a sostenermi e soccorrermi con uffici alterni, in questa età calamitosa:
Misce stultitiam consiliis brevem.II 8
Allo stesso modo fuggo le più leggere punture. E quelle che un tempo non mi avrebbero neppure graffiato, ora mi trafiggono. La mia natura comincia a far molta attenzione al male, [C] in fragili corpore odiosa omnis offensio est,III 9
[B]Mensque pati durum sustinet ægra nihil.IV 10
Sono sempre stato delicato e sensibile al dolore. Adesso sono più fragile, ed esposto da ogni lato,
Et minimæ vires frangere quassa valent.V 11
Il mio giudizio mi impedisce, sì, di recalcitrare e brontolare contro gli inconvenienti che la natura mi ordina di sopportare, ma non di sentirli. Io correrei da un capo all’altro del mondo a cercare un anno intero di tranquillità piacevole e gioiosa, io che non ho altro fine che vivere e rallegrarmi. Di tranquillità cupa e torpida ne ho a sufficienza, ma mi assopisce e m’intontisce: non me ne accontento. Se c’è qualche persona, qualche buona compagnia, in campagna, in città, in Francia o altrove, sedentaria o viaggiatrice, a cui siano graditi i miei umori, di cui gli umori mi siano graditi, non c’è che da fare un fischio, andrò a fornir loro dei saggi in carne ed ossa.
Poiché è privilegio dello spirito riscattarsi dalla vecchiaia, gli consiglio, per quanto posso, di farlo: che verdeggi, che fiorisca tuttavia, se può, come il vischio su un albero morto. Temo che sia un traditore. Si è così strettamente affratellato al corpo che mi abbandona ogni momento per seguirlo nel bisogno. Io lo lusingo a parte: lo sollecito invano. Ho un bel tentare di distoglierlo da questa colleganza, e presentargli e Seneca e Catullo, e le dame e le danze di corte: se il suo compagno ha la colica, sembra che l’abbia anche lui. Allora anche le facoltà che gli sono particolari e proprie non possono sollevarsi, sanno innegabilmente di cimurro. Non c’è allegrezza nelle sue produzioni, se non ce n’è contemporaneamente nel corpo. [C] I nostri maestri12 hanno torto in quanto, cercando le cause degli slanci straordinari del nostro spirito, oltre alla parte che ne attribuiscono al rapimento divino, all’amore, all’ardore guerriero, alla poesia, al vino, non hanno concesso la sua parte alla salute. Una salute bollente, vigorosa, piena, disponibile, quale un tempo la verdezza degli anni e la sicurezza me la fornivano di tanto in tanto. Questo fuoco di gaiezza suscita nello spirito dei lampi vivi e chiari, al di là della nostra portata naturale, e fra gli entusiasmi i più gagliardi, se non i più sviscerati. Orbene, non c’è da meravigliarsi se una condizione opposta piega il mio spirito, lo inchioda e produce un effetto contrario.
[B]Ad nullum consurgit opus, cum corpore languet.I 13
E vuole ancora che io gli sia obbligato perché, dice, concede molto meno a questo accordo di quanto comporti l’uso abituale degli uomini. Almeno, in tempo di tregua, scacciamo i mali e le difficoltà dai nostri rapporti,
Dum licet, obducta solvatur fronte senectus:II 14
tetrica sunt amœnanda iocularibus.III 15 Mi piace una saggezza gaia e urbana, e fuggo la durezza dei costumi e l’austerità, avendo in sospetto ogni cipiglio arcigno,
[C]Tristemque vultus tetrici arrogantiam:IV 16
[B]Et habet tristis quoque turba cynædos.V 17
[C] Credo volentieri a Platone, il quale dice che gli umori facili o difficili hanno grande importanza per la bontà o la malvagità dell’anima.18 Socrate ebbe un volto composto, ma sereno e ridente, non composto come il vecchio Crasso che non fu mai visto ridere.19 [B] La virtù è qualità piacevole e gaia. [C] So bene che pochissimi torceranno il naso alla licenza dei miei scritti, che non debbano torcerlo ancora di più alla licenza del loro pensiero: mi conformo, sì, al loro gusto, ma offendo i loro occhi. È davvero una bella fantasia criticare gli scritti di Platone e sorvolare sulle sue pretese relazioni con Fedone, Dione, Stella, Archeanassa.20 Non pudeat dicere quod non pudeat sentire.I 21 [B] Io aborro uno spirito ringhioso e triste, che scivola sopra ai piaceri della vita e si abbranca alle sventure e se ne pasce. Come le mosche, che non possono reggersi a un corpo ben levigato e liscio, e si attaccano e si riposano su luoghi scabri e ineguali. E come le sanguisughe, che succhiano e appetiscono solo il sangue cattivo.
Del resto, io mi sono prescritto di osar dire tutto quello che oso fare: e mi dispiaccio perfino dei pensieri impubblicabili. La peggiore delle mie azioni e qualità non mi sembra tanto brutta quanto trovo brutto e vile il non osar confessarla. Ognuno è discreto nella confessione, lo si doveva essere nell’azione: l’arditezza di sbagliare è in qualche modo compensata e frenata dall’arditezza di confessarlo. [C] Chi si costringesse a dir tutto, si costringerebbe a non far nulla di ciò che si è costretti a tacere. Dio voglia che questo eccesso della mia licenza porti i nostri uomini fino alla libertà, al di là di quelle virtù codarde e affettate nate dalle nostre imperfezioni; che a spese della mia immoderatezza io li tragga fino al punto della ragione. Bisogna vedere il proprio vizio e studiarlo per ridirlo. Quelli che lo nascondono ad altri, lo nascondono generalmente a se stessi. E non lo ritengono abbastanza nascosto se lo vedono. Lo sottraggono e lo mascherano alla loro stessa coscienza. Quare vitia sua nemo confitetur? Quia etiam nunc in illis est; somnium narrare vigilantis est.II 22 I mali del corpo si manifestano via via che aumentano. Scopriamo che è gotta quello che chiamavamo reuma o contusione. I mali dell’anima rafforzandosi si occultano: quanto più uno è malato, tanto meno li sente. Ecco perché bisogna spesso riportarli alla luce, con mano impietosa, aprirli e strapparli dal profondo del nostro petto. Come in materia di benefici, così in materia di malefici talvolta il solo riconoscerli è riparazione. C’è qualche bruttura nel peccato, tale che ci dispensi dal dovercene confessare? [B] Io faccio fatica a fingere. Sicché evito di prendere in custodia i segreti altrui, non avendo il coraggio di negare di conoscerli. Posso tacere, ma negare non posso senza sforzo e dispiacere. Per essere davvero segreto bisogna esserlo per natura, non per obbligo. È poco, al servizio dei principi, essere segreti, se non si è anche mentitori. Colui che s’informava da Talete di Mileto se dovesse solennemente negare di esser stato dissoluto, se si fosse rivolto a me, gli avrei risposto che non doveva farlo, poiché il mentire mi sembra ancor peggio della dissolutezza. Talete consigliò in modo tutto diverso, e che giurasse, per ovviare a un male maggiore con uno minore.23 Tuttavia questo consiglio non era tanto scelta d’un vizio quanto moltiplicazione. A questo proposito diciamo incidentalmente che si offre un buon affare a un uomo di coscienza quando gli si propone qualche difficoltà da contrapporre al vizio; ma quando lo si stringe fra due vizi, lo si pone davanti a una dura scelta. Come si fece con Origene:24 o che idolatrasse, o che sopportasse di servir di godimento carnale a un grande lurido Etiope che gli fu presentato. Egli subì la prima condizione. E con peccato, si dice. Quindi non sarebbero senza discernimento, secondo il loro errore, quelle che ci dichiarano oggi di preferir gravare la loro coscienza di dieci uomini piuttosto che d’una messa.
Se è intemperanza dichiarare così pubblicamente i propri errori, non c’è gran pericolo che serva d’esempio ed entri nell’uso: di fatto Aristone diceva25 che i venti che gli uomini temono di più sono quelli che li scoprono. Bisogna tirar via questo sciocco cencio che copre i nostri costumi. Essi mandano la loro coscienza al bordello e tengono la loro condotta nella regola. Perfino i traditori e gli assassini sposano le leggi della convenienza, e su di esse basano il loro dovere. Non spetta tuttavia all’ingiustizia lamentarsi dell’inciviltà, [C] né alla malvagità dell’intemperanza. È peccato che un uomo malvagio non sia anche uno sciocco, e che la decenza mascheri il suo vizio. Queste incrostazioni si convengono solo ad una buona e sana parete, che merita di essere conservata o imbiancata. [B] In favore degli ugonotti, che biasimano la nostra confessione privata e auricolare, io mi confesso in pubblico, scrupolosamente e completamente. Sant’Agostino, Origene e Ippocrate hanno reso pubblici gli errori delle loro opinioni,26 io anche quelli dei miei costumi. Ho fame di farmi conoscere: e non m’importa a quanti, purché sia veridicamente. O per dir meglio: non ho fame di nulla, ma temo mortalmente di esser scambiato per qualcun altro da coloro a cui avvenga di conoscere il mio nome. Colui che fa tutto per l’onore e per la gloria, che cosa pensa di guadagnare presentandosi al mondo con la maschera, sottraendo il suo vero essere alla conoscenza del popolo? Lodate un gobbo per la sua bella corporatura, dovrà prenderlo come un’offesa. Se siete codardo e vi si onora come valoroso, si parla forse di voi? Vi si prende per un altro. Proprio come se uno si rallegrasse delle scappellate che gli si fanno, pensando di esser signore della compagnia, lui che è degli ultimi del seguito. Mentre Archelao, re di Macedonia, passava per strada, qualcuno gli versò dell’acqua addosso; i presenti dicevano che doveva punirlo: «Sì, ma» disse lui «non ha versato l’acqua su di me, ma su quello che pensava che fossi».27 [C] Socrate, a colui che lo avvertiva che si diceva male di lui: «Macché», fece «in me non c’è nulla di quello che dicono».28 [B] Quanto a me, chi mi lodasse di essere una buona guida, di essere molto modesto o di essere molto casto, non gliene dovrei alcuna gratitudine. E allo stesso modo, se qualcuno mi chiamasse traditore, ladro o ubriacone, mi riterrei altrettanto poco offeso. Quelli che non si conoscono possono pascersi di false lodi. Non io, che mi vedo e m’indago fin nelle viscere, che so bene ciò che mi appartiene. Mi piace essere meno lodato, purché sia meglio conosciuto. [C] Mi si potrebbe ritenere saggio secondo un grado di saggezza che io ritengo stoltezza.
[B] Mi dà fastidio che i miei Saggi servano alle signore solo come mobile comune, e mobile da salotto. Questo capitolo mi renderà mobile da gabinetto privato. Mi piace di aver con loro un rapporto un po’ intimo. Quello pubblico è senza favore e sapore. Nei commiati, riscaldiamo oltre il normale l’affetto per le cose che lasciamo. Io prendo l’ultimo congedo dai giochi del mondo: ecco qui i nostri ultimi abbracci. Ma veniamo al mio tema.
Che cosa ha fatto agli uomini l’atto genitale, così naturale, così necessario e così giusto, perché non si osi parlarne senza vergogna e lo si escluda dai discorsi seri e moderati? Noi pronunciamo arditamente: uccidere, rubare, tradire; e questo, non oseremmo dirlo che fra i denti. Vuol dire che meno ne esprimiamo in parola, più abbiamo diritto d’ingrandirne il pensiero? [C] Infatti è certo che le parole che sono meno usate, meno scritte e più taciute sono le meglio sapute e le più generalmente conosciute. Nessuna età, nessun costume le ignora, non più del pane. Si imprimono in ciascuno senza essere espresse, e senza suono e senza forma. È anche certo che è un atto che abbiamo messo sotto la salvaguardia del silenzio: da dove è delitto strapparlo, sia pure per accusarlo e giudicarlo. E non osiamo frustarlo se non in perifrasi e in immagine. Gran vantaggio per un criminale l’essere tanto esecrabile che la giustizia stimi ingiusto toccarlo e vederlo: libero e salvo grazie alla durezza della sua condanna. Non accade come per i libri, che diventano tanto più vendibili e diffusi in quanto sono proibiti? Per me, prendo alla lettera l’opinione di Aristotele, il quale dice che l’esser vergognoso serve d’ornamento alla gioventù, ma di biasimo alla vecchiaia.29 [B] Questi versi si declamano nella scuola antica, scuola alla quale mi attengo molto più che alla moderna; [C] le sue virtù mi sembrano più grandi, i suoi vizi minori:
[B]Ceux qui par trop fuyant Vénus estrivent
Faillent autant que ceux qui trop la suivent.I 30
Tu, Dea, tu rerum naturam sola gubernas,
Nec sine te quicquam dias in luminis oras
Exoritur, neque fit lætum nec amabile quicquam.II 31
Non so chi ha potuto mal disporre Pallade e le Muse verso Venere, e raffreddarle verso l’amore. Ma non vedo divinità che vadano meglio d’accordo né che più si debbano reciprocamente. Chi toglierà alle Muse le fantasie amorose, sottrarrà loro il più bel diletto che abbiano e la più nobile materia dell’opera loro. E chi farà perdere all’amore la comunicazione e i servigi della poesia, l’indebolirà delle sue armi migliori. Così si addossa al dio familiarità e benevolenza, e alle dee protettrici dell’umanità e della giustizia, il vizio dell’ingratitudine e della misconoscenza. Io non sono stato licenziato dalla compagnia e dal seguito di questo dio da così lungo tempo da non aver viva memoria delle sue forze e del suo valore,
agnosco veteris vestigia flammæ.III 32
C’è ancora qualche residuo di eccitazione e di calore dopo la febbre,
Nec mihi deficiat calor hic, hiemantibus annis.IV 33
Per quanto inaridito e appesantito io sia, sento ancora qualche tiepido resto di quell’ardore passato:
Qual l’alto Egeo, perché Aquilone o Noto
Cessi, che tutto prima il vuolse e scosse,
Non s’accheta ei però: ma ’l sono e ’l moto,
Ritien de l’onde anco agitate e grosse.34
Ma, per quanto ne capisco, le forze e il valore di quel dio si trovano più vive e più animate nella descrizione della poesia che nella loro propria essenza,
Essa presenta non so quale accento più amoroso dell’amore stesso. Venere non è così bella, tutta nuda e viva e ansimante, come lo è qui in Virgilio:
Dixerat, et niveis hinc atque hinc diva lacertis
Cunctantem amplexu molli fovet. Ille repente
Accepit solitam flammam, notusque medullas
Intravit calor, et labefacta per ossa cucurrit.
Non secus atque olim tonitru cum rupta corusco
Ignea rima micans percurrit lumine nimbos…
… Ea verba loquutus,
Optatos dedit amplexus, placidumque petivit
Coniugis infusus gremio per membra soporem.II 36
Quello che vi trovo da dire è che la dipinge un po’ troppo eccitata per una Venere maritale.37 In questo saggio negozio gli appetiti non sono così festosi: sono contenuti e più smussati. L’amore detesta che ci si tenga uniti per altro che per lui, e prende fiacca parte alle relazioni che sono fondate e mantenute sotto altro titolo, come il matrimonio: la parentela, i beni vi pesano per forza di ragione, altrettanto o più delle grazie e della bellezza. Non ci si sposa per se stessi, checché se ne dica: ci si sposa altrettanto o più per la propria posterità, per la propria famiglia. L’utilità e l’interesse del matrimonio riguardano la nostra progenie, ben lungi al di là di noi. Perciò mi piace questa consuetudine, di combinarlo piuttosto attraverso terzi che di persona, e piuttosto col senno altrui che col proprio. Come tutto questo è all’opposto delle convenzioni amorose! Così è una specie d’incesto andare ad applicare a quest’unione venerabile e sacra gli impulsi e le stravaganze della licenza amorosa, come mi sembra di aver detto altrove.38 Bisogna, dice Aristotele, toccar la propria moglie con saggezza e castigatezza, per paura che, solleticandola troppo lascivamente, il piacere la faccia uscire fuor dei cardini della ragione.39 Quello che egli dice per la coscienza, i medici lo dicono per la salute: che un piacere eccessivamente caldo, voluttuoso e assiduo altera il seme e impedisce il concepimento. Dicono d’altra parte che in un rapporto languente, come quello è per sua natura, per riempirlo d’un calore giusto e fertile bisogna accostarvisi di rado e a intervalli notevoli,
Quo rapiat sitiens Venerem interiusque recondat.I 40
Non vedo matrimoni che falliscano e si guastino più presto di quelli che si basano sulla bellezza e sui desideri amorosi. Ci vogliono fondamenta più solide e più ferme, e procedervi con precauzione: quella bollente allegrezza non serve a nulla.
Quelli che pensano di fare onore al matrimonio unendovi l’amore, fanno, mi sembra, come quelli che per favorire la virtù ritengono che la nobiltà non sia altra cosa che la virtù. Sono cose che hanno qualche parentela; ma c’è molta differenza. Non serve a nulla mescolare i loro nomi e i loro titoli: si fa torto all’una o all’altra confondendole. La nobiltà è una bella qualità, e gode credito a ragione; ma poiché è una qualità che dipende da altri e che può toccare a un uomo vizioso e da nulla, è stimata molto al di sotto della virtù. È una virtù, se lo è, artificiale e visibile; dipendente dal tempo e dalla fortuna; di forma diversa secondo i paesi; vivente e mortale; senza nascita, come il fiume Nilo; genealogica e comune; di discendenza e di similitudine; derivata per conseguenza, e per una conseguenza molto debole. La scienza, la forza, la bontà, la bellezza, la ricchezza, tutte le altre qualità si comunicano e si smerciano; questa si consuma in se stessa, di nessun utile per gli altri. Si proponeva a uno dei nostri re la scelta fra due competitori per una stessa carica, dei quali uno era gentiluomo, l’altro non lo era. Egli ordinò che, senza rispetto per questa qualità, si scegliesse quello che avesse maggior merito; ma nel caso che il valore fosse assolutamente pari, in questo caso si avesse riguardo alla nobiltà: era darle proprio il suo grado. Antigono, a un giovane sconosciuto41 che gli domandava la carica di suo padre, uomo di valore, che era morto appunto allora: «Amico mio», fece «in siffatte azioni non guardo tanto alla nobiltà dei miei soldati quanto alla loro prodezza». [C] Invero non deve accadere come per gli ufficiali dei re di Sparta, trombettieri, suonatori, cucinieri, ai quali succedevano nella carica i figli, per ignoranti che fossero, prima dei più esperti nel mestiere.42 Gli abitanti di Calicut ritengono i nobili una specie al di sopra dell’umana. È loro vietato il matrimonio ed ogni altra occupazione tranne quella delle armi. Di concubine possono averne quante ne vogliono, e le donne altrettanti amanti, senza gelosia reciproca, ma è un delitto capitale e irremissibile accoppiarsi con persona di condizione diversa dalla loro. E si ritengono insozzati se appena ne vengono toccati passando, e poiché la loro nobiltà ne è straordinariamente offesa e danneggiata, uccidono quelli che si sono soltanto avvicinati un po’ troppo a loro. Sicché i plebei sono tenuti a gridare camminando, come i gondolieri di Venezia alle voltate delle strade per non scontrarsi; e i nobili ordinano loro di gettarsi dalla parte che essi vogliono. Questi evitano così quell’ignominia che ritengono perpetua; quelli, una morte sicura. Nessuna durata di tempo, nessun favore del principe, nessun servigio o virtù o ricchezza può far sì che un plebeo divenga nobile. Al che contribuisce l’uso che sono proibiti i matrimoni fra un mestiere e l’altro. Una di razza di calzolai non può sposare un falegname, e i genitori sono obbligati a istruire i figli nella professione dei padri, proprio in quella, e non in un’altra professione, per cui si mantiene la distinzione e la perpetuità della loro condizione.43
[B] Un buon matrimonio, se è tale, rifiuta la compagnia e le condizioni dell’amore. Cerca di riprodurre quelle dell’amicizia. È una dolce comunione di vita, piena di costanza, di confidenza, e d’un numero infinito di utili e solidi servigi e obblighi scambievoli. Nessuna donna che ne assaggi il sapore,
optato quam iunxit lumine tæda,I 44
vorrebbe tener luogo di amante e di amica a suo marito. Se è posta nel suo affetto come moglie, vi è posta ben più onoratamente e sicuramente. Quando egli farà altrove l’eccitato e l’appassionato, gli si domandi anche allora a chi preferirebbe che toccasse una vergogna, se a sua moglie o alla sua amante; la sventura di quale delle due l’affliggerebbe di più; per chi egli desideri maggior grandezza: tali domande non consentono dubbio alcuno in un sano matrimonio. Che se ne vedano così pochi di buoni, è segno del suo pregio e del suo valore. A ben costruirlo e ben intenderlo, non c’è cosa più bella nella nostra società. Non possiamo farne a meno, e lo andiamo svilendo. Succede quel che si vede nelle gabbie: gli uccelli che ne sono fuori disperano di entrarvi, e con uguale intensità disperano di uscirne quelli che sono dentro. [C] Socrate, richiesto se fosse più comodo prendere o non prendere moglie: «Qualsiasi cosa si faccia delle due», disse «ci se ne pentirà».45 [B] È una convenzione alla quale si adatta a puntino quel che si dice, homo homini o Deus, o lupus.I 46 Ci vuole la congiunzione di molte qualità per edificarlo. In questo tempo si rivela più vantaggioso per gli animi semplici e comuni, nei quali i piaceri, la curiosità e l’ozio non lo turbano tanto. Le nature sregolate come la mia, che detesto ogni sorta di legame e obbligo, non vi sono tanto adatte,
Et mihi dulce magis resoluto vivere collo.II 47
Di mio proposito, avrei evitato di sposare la saggezza medesima, se mi avesse voluto. Ma abbiamo un bel dire: il costume e la pratica della vita comune ci trascinano. La maggior parte delle mie azioni si regola sull’esempio, non per scelta. Tuttavia, per essere esatti, io non m’indussi al matrimonio. Mi ci condussero, e vi fui portato da occasioni esterne. Di fatto, non soltanto le cose fastidiose, ma non ce n’è alcuna tanto brutta e viziosa ed evitanda che non possa divenire accettabile per qualche condizione e circostanza. Tanto l’umana posizione è labile. E vi fui portato certamente più mal preparato allora e più contrario di quanto sia ora dopo averlo provato. E per quanto io sia ritenuto licenzioso, in verità ho osservato le leggi del matrimonio più severamente di quanto avessi promesso o sperato. Non è più tempo di recalcitrare quando ci si è lasciati imbrigliare. Bisogna saggiamente amministrare la propria libertà; ma quando ci si è sottomessi all’obbligo, bisogna attenervisi sotto le leggi del dovere comune, o almeno sforzarvisi. Quelli che intraprendono tale negozio per comportarvisi con odio e disprezzo, agiscono ingiustamente e svantaggiosamente. E quella bella regola che vedo passare di mano in mano fra esse, come un oracolo sacro,
Sers ton mari comme ton maître,
Et t’en garde comme d’un traître,III 48
che vuol dire: «Comportati verso di lui con un rispetto forzato, ostile e diffidente», grido di guerra e di sfida, è tanto ingiuriosa quanto difficile. Io sono troppo delicato per propositi così spinosi. A dire il vero, non sono ancora arrivato a quella perfezione di abilità e galanteria di spirito che confonde la ragione con l’ingiustizia, e mette in burla ogni ordine e regola che non s’accordi col mio desiderio. Se odio la superstizione, non per questo mi butto subito all’irreligione. Se non si fa sempre il proprio dovere, per lo meno bisogna sempre amarlo e riconoscerlo. [C] È un tradimento ammogliarsi senza sposarsi.
[B] Passiamo oltre. Il nostro poeta49 descrive un matrimonio pieno d’accordo e di buona armonia, nel quale tuttavia non c’è molta lealtà. Ha forse voluto dire che non è impossibile arrendersi agli impulsi dell’amore e nondimeno riservare qualche dovere verso il matrimonio, e che si può ferirlo senza romperlo del tutto? [C] Un servo fa la cresta sulla spesa al padrone senza tuttavia odiarlo. [B] La bellezza, l’opportunità, il destino (poiché anche il destino vi mette la mano),
fatum est in partibus illis
Quas sinus abscondit: nam, si tibi sidera cessent,
Nil faciet longi mensura incognita nervi,I 50
l’hanno legata a un estraneo: non così interamente forse che non le possa restar qualche vincolo per cui sia ancora attaccata al marito. Sono due intenti che hanno strade distinte e non confuse. Una donna può darsi a un tale che non vorrebbe assolutamente aver sposato; non dico per le condizioni della fortuna, ma per quelle medesime della persona. Pochi hanno sposato le amanti senza essersene pentiti. [C] E fin nell’altro mondo: che cattiva unione ha fatto Giove con sua moglie, che aveva già prima frequentato e goduto per divertimento! È quello che si dice: cacar nel paniere per poi metterselo in testa. [B] Ho visto al tempo mio in qualche buona famiglia guarire vergognosamente e disonestamente l’amore col matrimonio. I punti di vista sono troppo diversi. Noi amiamo, senza imbarazzo, due cose differenti e che si oppongono. Isocrate diceva51 che la città di Atene piaceva come piacciono le dame che si servono per amore: ognuno amava venirvi a passeggiare e a passarvi il tempo, nessuno l’amava per sposarla, cioè per stabilirvisi e prendervi domicilio. Ho visto con dispetto alcuni mariti odiare le loro mogli per il solo fatto che essi fanno loro torto. Almeno non bisogna amarle meno per la nostra colpa: per pentimento e compassione, almeno, dovrebbero esserci più care. Sono scopi differenti e tuttavia, dice,52 in qualche modo compatibili. Il matrimonio ha per parte sua l’utilità, la giustizia, l’onore e la costanza: un piacere piatto, ma più universale. L’amore si fonda sul solo piacere. E lo ha invero più stuzzicante, più vivo e più acuto: un piacere attizzato dalla difficoltà. Vi abbisognano puntura e bruciore. Non è più amore se è senza frecce e senza fuoco. La liberalità delle dame è troppo profusa nel matrimonio, e smussa la punta della passione e del desiderio. [C] Per sfuggire a quest’inconveniente guardate che pena si danno nelle loro leggi Licurgo e Platone.53
[B] Le donne non hanno affatto torto quando rifiutano le norme di vita che sono adottate nel mondo, tanto più che sono gli uomini che le hanno fatte senza di loro. C’è naturalmente briga e baruffa fra loro e noi: il più stretto accordo che abbiamo con loro è anch’esso tumultuoso e tempestoso. Secondo il parere del nostro autore, le trattiamo sconsideratamente in questo: dopo che abbiamo riconosciuto che sono, senza confronto, più capaci e ardenti di noi nelle cose d’amore, e che così ha testimoniato quell’antico sacerdote che era stato ora uomo, ora donna,
Venus huic erat utraque nota,I 54
e inoltre, dopo che abbiamo appreso dalla loro stessa bocca la prova che ne fecero un tempo, in secoli diversi, un imperatore e un’imperatrice55 di Roma, maestri esperti e famosi in questa bisogna (lui sverginò, sì, in una notte dieci vergini sarmate, sue prigioniere; ma lei si prestò pure in una notte a venticinque rapporti, cambiando compagnia secondo il suo bisogno e il suo gusto,
adhuc ardens rigidæ tentigine vulvæ,
Et lassata viris, nondum satiata, recessit);II 56
e che, nella disputa avvenuta in Catalogna – fra una donna che si lamentava degli assalti troppo assidui del marito, non tanto, secondo me, perché ne fosse infastidita (poiché credo ai miracoli solo in fatto di fede), quanto per limitare con questo pretesto e frenare, in quello stesso che è l’atto fondamentale del matrimonio, l’autorità dei mariti verso le mogli, e per mostrare che i loro malumori e le loro cattiverie passano oltre il letto nuziale e calpestano le grazie e le dolcezze stesse di Venere; alle cui lagnanze il marito, uomo davvero brutale e snaturato, rispondeva che anche nei giorni di digiuno non avrebbe potuto fare a meno di dieci – intervenne quel famoso decreto della regina d’Aragona, col quale, dopo matura delibera, quella buona regina, per dar regola ed esempio al tempo stesso della moderazione e della modestia richiesta in un giusto matrimonio, ordinò come limiti legittimi e necessari il numero di sei al giorno, tralasciando e trascurando molto del bisogno e del desiderio del suo sesso, per stabilire, diceva, una norma agevole e quindi permanente e immutabile;57 al che esclamano i dottori: quale dev’essere il desiderio e la concupiscenza femminile, se la loro ragione, la loro austerità e la loro virtù si misurano a questa stregua? [C] Considerando poi i giudizi contraddittori sui nostri desideri, e che Solone, capo della scuola giuridica, fissa a solo tre volte al mese,58 per non fallire, questa frequenza coniugale [B] – dopo aver creduto e predicato questo, abbiamo dato loro la continenza come dote particolare, e sotto pene capitali ed estreme.
Non c’è passione più urgente di questa, alla quale vogliamo che esse sole resistano. Non semplicemente come a un vizio considerato come tale, ma come all’abominazione e all’esecrazione, più che all’irreligione e al parricidio. E tuttavia noi ci arrendiamo ad essa senza colpa e biasimo. Quelli stessi fra noi che hanno tentato di venirne a capo, hanno riconosciuto a sufficienza quale difficoltà o piuttosto impossibilità vi sia, servendosi di rimedi materiali, a domare, indebolire e raffreddare il corpo. Noi, al contrario, le vogliamo sane, vigorose, floride, ben nutrite, e caste al tempo stesso, cioè e calde e fredde. Poiché il matrimonio, che diciamo che ha il compito di impedir loro di bruciare, arreca loro poco refrigerio, secondo le nostre usanze. Se ne prendono uno a cui bolle ancora il vigore dell’età, si farà vanto di spanderlo altrove:
Sit tandem pudor, aut eamus in ius:
Multis mentula millibus redempta,
Non est hæc tua, Basse; vendidisti.I 59
[C] Il filosofo Polemone fu giustamente chiamato in giudizio da sua moglie perché andava seminando in un campo sterile il frutto dovuto al campo genitale.60 [B] Se ne prendono uno di quegli altri smidollati, eccole in pieno matrimonio in condizione peggiore che vergini e vedove. Le consideriamo ben provviste perché hanno un uomo vicino: come i Romani ritennero violata Clodia Leta, vestale, che Caligola aveva avvicinato, benché fosse provato che l’aveva soltanto avvicinata.61 Ma, al contrario, si aumenta in tal modo il loro bisogno, poiché il contatto e la compagnia di un maschio qualsiasi risveglia il loro calore, che rimarrebbe più sopito nella solitudine. E appunto allo scopo, come è verosimile, di rendere con questa circostanza e considerazione la loro castità più meritoria, Boleslao e Kinga, sua moglie, sovrani di Polonia,62 ne fecero voto di comune accordo, coricati insieme, il giorno stesso delle loro nozze, e la mantennero a dispetto degli agi coniugali.
Noi le educhiamo fin dall’infanzia alle mezzanerie dell’amore. La loro grazia, la loro acconciatura, le loro nozioni, il loro modo di parlare, tutta la loro istruzione non mira che a questo scopo. Le loro governanti non imprimono in esse altro che il volto dell’amore, non fosse che presentandolo loro continuamente per disgustarle. Mia figlia63 (è tutta la prole che ho) è nell’età in cui le leggi permettono alle più calde di maritarsi. È di complessione tardiva, sottile e delicata, ed è stata pure educata da sua madre in maniera solitaria e riservata: tanto che comincia appena a svegliarsi dall’ingenuità dell’infanzia. Essa leggeva un libro francese in mia presenza: venne fuori la parola fouteau,64 nome di un albero conosciuto; la donna che ha per istitutrice la fermò subito un po’ rudemente e le fece saltare quel brutto passo. Io la lasciai fare per non turbare le loro regole, poiché non mi occupo affatto di questa educazione: la disciplina femminile ha un andamento misterioso, bisogna lasciarlo a loro. Ma se non sbaglio, la compagnia di venti lacchè non avrebbe potuto imprimere nella sua fantasia, in sei mesi, la comprensione e l’uso e tutte le conseguenze del suono di quelle sillabe scellerate, come fece quella buona vecchia con la sua reprimenda e proibizione.
Motus doceri gaudet Ionicos
Matura virgo, et frangitur artubus
Iam nunc, et incestos amores
De tenero meditatur ungui.I 65
Che si sciolgano un po’ dalle convenienze, si diano a discorrere liberamente, noi in questa scienza siamo bambini al loro confronto. Ascoltatele raccontare le nostre assiduità e i nostri incontri, vi fanno ben capire che non apportiamo loro nulla che non abbiano saputo e digerito senza di noi. [C] Sarà quel che dice Platone, che esse siano state un tempo giovani dissoluti?66 [B] Il mio orecchio si trovò un giorno in un luogo in cui poteva afferrare qualche discorso fatto fra loro senza sospetto: perché non posso dirlo? «Madonna! (feci) e poi andiamo a studiare le frasi dell’Amadigi e delle raccolte di Boccaccio e dell’Aretino per fare gli esperti; impieghiamo proprio bene il nostro tempo!» Non c’è parola né esempio né gesto che non sappiano meglio dei nostri libri. È una dottrina che nasce nelle loro vene,
Et mentem Venus ipsa dedit,I 67
che quei buoni maestri di scuola, natura, giovinezza e salute, insufflano loro continuamente nell’anima. Non hanno bisogno d’impararla, la generano.
Nec tantum niveo gavisa est ulla columbo
Compar, vel si quid dicitur improbius,
Oscula mordenti semper decerpere rostro,
Quantum præcipue multivola est mulier.II 68
Se non si fosse tenuta un po’ a freno questa naturale violenza del loro desiderio col timore e l’onore di cui sono state fornite, saremmo screditati. Tutto il movimento del mondo si risolve e si conclude in quest’accoppiamento: è una materia infusa ovunque, è un centro a cui tutte le cose mirano. Si vedono ancora delle leggi della vecchia e saggia Roma fatte per il servizio dell’amore, e i precetti di Socrate per istruire le cortigiane,
Nec non libelli Stoici inter sericos
Zenone, fra le sue leggi,70 dava norme anche per divaricare e incalzare nello sverginamento. [C] Che senso aveva il libro del filosofo Stratone sulla congiunzione carnale?71 E di che cosa trattava Teofrasto in quelli che intitolò, l’uno L’Amoroso, l’altro Dell’amore? Di che cosa Aristippo nel suo Sulle antiche delizie? A che cosa mirano le descrizioni, così diffuse e vive in Platone, degli amori più arditi del suo tempo? E il libro Dell’amoroso di Demetrio Falereo; e Clinia o L’amoroso violentato di Eraclide Pontico? E di Antistene quello Del fare i figli o Delle nozze, e l’altro Del Signore o Dell’Amante? E di Aristone quello Degli esercizi amorosi? Di Cleante, uno Dell’amore, l’altro Dell’arte d’amare? I Dialoghi amorosi di Sfero? E la favola di Giove e Giunone di Crisippo, svergognata oltre ogni limite, e le sue cinquanta Epistole tanto lascive? Poiché bisogna tralasciare gli scritti dei filosofi che hanno seguito la setta epicurea. [B] Cinquanta divinità erano, in passato, adibite a quest’ufficio. E ci sono stati paesi in cui, per placare la concupiscenza di coloro che venivano alla devozione, si tenevano nelle chiese ragazze e ragazzi da godere, ed era un atto di rito servirsene prima di venire all’uffizio. [C] Nimirum propter continentiam incontinentia necessaria est; incendium ignibus extinguitur.I 72 [B] Nella maggior parte del mondo questa parte del nostro corpo era divinizzata. In una stessa provincia, gli uni se la scorticavano per offrirne e consacrarne un brandello, gli altri offrivano e consacravano il loro seme. In un’altra, i giovani se la trafiggevano in pubblico e l’aprivano in diversi punti fra carne e pelle, e passavano in queste aperture dei fuscelli, i più lunghi e grossi che potevano sopportare; e di questi fuscelli facevano poi un fuoco per offerta ai loro dèi, ed erano ritenuti poco vigorosi e poco casti se svenivano per la violenza di quel crudele dolore. Altrove il magistrato più sacro era riverito e riconosciuto per quegli organi. E in parecchie cerimonie l’immagine ne era portata in processione in onore di diverse divinità. Le dame egizie,73 nella festa dei baccanali, ne portavano al collo uno di legno, squisitamente foggiato, grande e pesante, ognuna secondo la propria forza: oltre a quello che era raffigurato nella statua del loro dio, che oltrepassava in misura tutto il resto del corpo. Le donne maritate, qui vicino, ne modellano col loro copricapo un’immagine sulla loro fronte, per vantarsi del godimento che ne traggono. E quando rimangono vedove lo mandano indietro e lo seppelliscono sotto la loro acconciatura. Le più sagge matrone, a Roma,74 erano onorate se offrivano fiori e corone al dio Priapo. E sulle sue parti meno oneste si facevano sedere le vergini al tempo delle loro nozze. E non so neppure se non ho veduto, ai nostri giorni, qualche forma di devozione simile. Che cosa voleva dire quella ridicola parte dei calzoni dei nostri padri che si vede ancora nei nostri Svizzeri? A che serve la mostra che ora facciamo delle nostre parti modellate, sotto le brache? E spesso, quel che è peggio, oltre la loro grandezza naturale, per finzione e impostura. [C] Mi vien voglia di credere che questo tipo di vestito sia stato inventato nei secoli migliori e più coscienziosi per non ingannare la gente, affinché ciascuno rendesse conto, in pubblico e alla pari, delle cose sue. I popoli più semplici lo hanno ancora in qualche modo proporzionato al vero. Allora si davano le dimensioni all’operaio, come si fa per la misura del braccio o del piede. [B] Quel buon uomo75 che nella mia giovinezza castrò tante belle e antiche statue nella sua grande città perché non corrompessero gli occhi, [C] secondo il parere di quell’altro buon uomo antico:
Flagitii principium est nudare inter cives corpora,I 76
[B] doveva pensare che, come nei misteri della buona dea era esclusa qualsiasi forma maschile, questo non serviva a nulla, se non faceva castrare anche cavalli e asini, e infine la natura.
Omne adeo genus in terris hominumque ferarumque,
Et genus æquoreum, pecudes, pictæque volucres,
In furias ignemque ruunt.II 77
[C] Gli dèi, dice Platone,78 ci hanno forniti di un membro disobbediente e tirannico che, come un animale furioso, pretende con la violenza del suo desiderio di sottomettere tutto a sé. Allo stesso modo hanno fornito alle donne un animale ghiotto e avido il quale, se gli si rifiuta l’alimento al tempo dovuto, va fuor di sé, impaziente di aspettare, e soffiando la sua rabbia nel loro corpo, ostruisce i condotti, arresta la respirazione, causando mille sorte di mali, finché, sorbito il frutto della sete comune, ne abbia largamente irrorato e inseminato il fondo della loro matrice.
[B] Ora il mio legislatore doveva pensare anche che forse è un uso più casto e fruttuoso far loro conoscere di buon’ora la cosa al vivo, che lasciargliela indovinare secondo la libertà e il calore della loro immaginazione. Al posto delle parti reali, esse ne sostituiscono, col desiderio e con la speranza, altre grosse tre volte tanto. [C] E un tale di mia conoscenza si è rovinato per aver scoperto le sue laddove non era ancora in condizione di adoperarle al loro uso più serio. [B] Quale danno non causano quelle enormi figure che i ragazzi vanno disseminando nei corridoi e nelle scale dei grandi palazzi! Di qui deriva loro un crudele disprezzo della nostra misura naturale. [C] Chi sa se Platone, stabilendo in base ad altre repubbliche ben costituite che uomini e donne, vecchi, giovani si offrissero nudi allo sguardo gli uni degli altri nelle palestre, non ha pensato a questo?79 [B] Le indiane, che vedono gli uomini al naturale, hanno almeno calmato il senso della vista. [C] E checché dicano le donne di quel gran regno del Pegù,80 le quali, al di sotto della cintura, non hanno per coprirsi che un drappo aperto davanti e così stretto che, per quanta riguardosa decenza vi pongano, ad ogni passo si vedono tutte: cioè che è un’invenzione trovata allo scopo di attirare gli uomini verso di loro e allontanarli dai maschi a cui quel popolo è completamente dedito; si potrebbe dire che vi perdono più di quanto vi guadagnino e che una fame intera è più acuta di quella che è stata saziata almeno attraverso gli occhi. [B] Così Livia diceva che per una donna dabbene un uomo nudo non è niente più che una statua.81 [C] Le spartane, più vergini da donne di quanto siano le nostre fanciulle, vedevano ogni giorno i giovani della loro città spogliati nei loro esercizi, poco scrupolose esse stesse a coprirsi le cosce camminando, ritenendosi, come dice Platone,82 sufficientemente coperte dalla loro virtù senza guardinfante. Ma quelli dei quali racconta sant’Agostino hanno attribuito una straordinaria forza di tentazione alla nudità, mettendo in dubbio se le donne nel giudizio universale risusciteranno nel loro sesso e non piuttosto nel nostro, per non tentarci ancora in quella santa condizione.83
[B] Insomma, le lusinghiamo e le eccitiamo in tutti i modi. Accendiamo e stimoliamo la loro immaginazione senza posa, e poi ce la prendiamo col ventre. Confessiamo la verità: non c’è nessuno fra noi che non tema di più la vergogna che gli viene dai vizi di sua moglie che dai suoi. Che non abbia più cura (carità mirabile) della coscienza della sua buona sposa che della sua propria. Che non preferirebbe esser ladro e sacrilego, e che sua moglie fosse assassina ed eretica, piuttosto che non fosse più casta di suo marito. Ed esse si offriranno volentieri di andare in tribunale a cercar guadagno84 ed in guerra a cercar fama, piuttosto che dover fare, in mezzo all’ozio e alle delizie, una guardia così difficile. Non vedono esse forse che non c’è mercante, né procuratore, né soldato che non abbandoni la sua bisogna per correre a quest’altra? E il facchino, e il ciabattino, tutti spossati e sfibrati come sono per il lavoro e per la fame.
Nam tu, quæ tenuit dives Achæmenes,
Aut pinguis Phrygiæ Mygdonias opes,
Permutare velis crine Licinniæ,
Plenas aut Arabum domos,
Dum fragrantia detorquet ad oscula
Cervicem, aut facili sævitia negat,
Quæ poscente magis gaudeat eripi,
[C] Iniqua valutazione dei vizi: e noi e loro siamo capaci di mille corruzioni più esecrabili e snaturate che non sia la lascivia. Ma facciamo e valutiamo i peccati non secondo natura, ma secondo il nostro interesse. Per cui essi assumono tante forme diverse. Il rigore dei nostri decreti rende la dedizione delle donne a tale vizio più accanita e viziosa di quanto comporti la sua natura, e l’impegna a conseguenze peggiori della loro causa. [B] Non so se le imprese di Cesare e di Alessandro superino in durezza la risoluzione d’una bella giovine, educata secondo i nostri usi, alla luce e alla società del mondo, agitata da tanti esempi contrari, che si mantenga integra in mezzo a mille continue e forti sollecitazioni. Non c’è fare più spinoso di questo non fare, né più attivo. Trovo più facile portare per tutta la vita una corazza che una verginità. E il voto di verginità è il più nobile di tutti i voti, essendo il più duro. [C] Diaboli virtus in lumbis est,II 86 dice san Girolamo.
[B] Certo il più arduo e il più pertinace dei doveri umani lo abbiamo ceduto alle donne, e ne lasciamo loro la gloria. Questo deve servir loro come stimolo singolare per ostinarvisi. È un bel campo per sfidarci e mettersi sotto i piedi quella vana supremazia di valore e di virtù che pretendiamo su di loro. Esse costateranno, se vi fanno attenzione, che saranno per questo non solo molto stimate, ma anche più amate. Un uomo galante non abbandona il corteggiamento perché è respinto, purché sia un rifiuto di castità, non di scelta. Abbiamo un bel giurare e minacciare e lamentarci: mentiamo, le amiamo di più per questo. Non c’è attrattiva pari alla saggezza non aspra e arcigna. È stupidità e vigliaccheria ostinarsi contro l’odio e il disprezzo. Ma contro una risolutezza virtuosa e ferma, unita a una volontà riconoscente, è esercizio d’un’anima nobile e generosa. Esse possono esserci grate dei nostri servigi fino a un certo punto, e farci sentire onestamente che non ci disdegnano. [C] Infatti quella legge che impone loro di aborrirci perché le adoriamo, e di odiarci perché le amiamo, è certo crudele, non fosse che per la sua difficoltà. Perché non dovrebbero accogliere le nostre offerte e le nostre richieste fin tanto che rimangono entro il dovere della modestia? Come si può indovinare se nascondono nell’intimo qualche intenzione più libera? Una regina del nostro tempo diceva acutamente che respingere quegli approcci era segno di debolezza e denuncia della propria facilità, e che una dama non tentata non poteva vantarsi della propria castità. [B] I limiti dell’onore non sono così strettamente definiti: esso può lasciarsi andare, può esonerarsi in qualche modo senza lasciarsi corrompere. Al margine della sua frontiera c’è una certa distesa libera, indifferente e neutra. Chi ha potuto cacciarlo e stringerlo a forza fin nel suo cantuccio e nella sua fortezza è un uomo malaccorto se non è soddisfatto della sua fortuna. Il valore della vittoria si considera dalla difficoltà. Volete sapere che impressione ha fatto nel suo cuore la vostra dedizione e il vostro merito? Misuratelo dai suoi costumi. Un’altra può dare di più senza dare altrettanto. La riconoscenza del beneficio si misura assolutamente sulla volontà di colui che dà. Le altre circostanze che sopravvengono nel ben fare sono mute, morte e casuali. Costa più a lei dare questo poco che alla sua compagna l’intero. Se in qualcosa la rarità serve da valutazione, dev’essere in questo: non guardate quanto poco è, ma quanti pochi l’hanno. Il valore della moneta cambia secondo il conio e il contrassegno del luogo. Qualsiasi cosa il dispetto e l’indiscrezione possa far dire ad alcuni nell’eccesso della loro insoddisfazione, sempre la virtù e la verità riprendono il sopravvento. Ne ho viste alcune, la cui reputazione è stata a lungo ingiustamente attaccata, aver riacquistato la stima generale degli uomini con la loro sola fermezza, senza fatica e senza artificio. Ognuno si pente e si ricrede su ciò che ha pensato: da fanciulle un po’ sospette, esse occupano il primo posto fra le dame dabbene e onorate. Qualcuno diceva a Platone: «Tutti dicono male di voi». «Lasciateli dire», fece lui «vivrò in modo da far loro mutare linguaggio».87 Oltre al timore di Dio e al pregio di una gloria così rara, che deve incitarle a conservarsi, la corruzione di questo secolo ve le costringe: e se fossi al posto loro, non c’è nulla che non farei piuttosto che affidare la mia reputazione a mani tanto pericolose. Al tempo mio il piacere di parlarne (piacere che non cede affatto in dolcezza a quello stesso dell’atto) era permesso solo a coloro che avevano qualche amico fedele ed unico. Adesso il passatempo abituale delle riunioni e delle tavolate sono le vanterie dei favori ricevuti e dell’intima liberalità delle dame. Davvero è troppa abiezione e bassezza d’animo lasciar così ferocemente perseguitare, calpestare e saccheggiare quelle tenere grazie da persone ingrate, indiscrete e tanto volubili.
Questa nostra esasperazione immoderata e illegittima contro questo vizio nasce dalla più vana e tempestosa malattia che affligga le anime umane, che è la gelosia:
Quis vetat apposito lumen de lumine sumi?
Dent licet assidue, nil tamen inde perit.I 88
Quella e l’invidia sua sorella mi sembrano fra le più inette della schiera. Di quest’ultima non posso parlarne molto: tale passione, che viene dipinta così forte e così potente, non ha per grazia sua alcun accesso in me. Quanto all’altra, la conosco, almeno di vista. Le bestie la provano: essendosi il pastore Crati innamorato di una capra, il becco, mentre quello dormiva, venne per gelosia a cozzar di testa contro la sua e gliela schiacciò.89 Noi abbiamo esagerato l’eccesso di questa febbre sull’esempio di alcuni popoli barbari. I più civili ne sono stati toccati, è vero, ma non trascinati:
Ense maritali nemo confossus adulter
Purpureo stygias sanguine tinxit aquas.II 90
Lucullo, Cesare, Pompeo, Antonio, Catone e altri galantuomini furono cornuti, e lo seppero senza farne scalpore.91 Non ci fu a quel tempo che uno sciocco di Lepido che ne morì d’angoscia.92
Ah! tum te miserum malique fati,
Quem attractis pedibus, patente porta,
Percurrent mugilesque raphanique.III 93
E il dio del nostro poeta, quando sorprese con sua moglie uno dei suoi compagni, si accontentò di svergognarli,
atque aliquis de Diis non tristibus optat
E non manca tuttavia di riscaldarsi alle dolci carezze che essa gli offre, lagnandosi che per questo lei abbia cominciato a dubitare del suo affetto:
Quid causas petis ex alto, fiducia cessit
Anzi essa gli chiede qualcosa per un suo bastardo,
Arma rogo genitrix nato,III 96
e le è liberalmente accordata. E Vulcano parla di Enea con onore,
con un’umanità in verità più che umana. E questo eccesso di bontà, consento che lo si lasci agli dèi:
nec divis homines componier æquum est.V 98
Quanto alla confusione dei figli, [C] oltre al fatto che i più severi legislatori99 la ordinano e la istituiscono nelle loro repubbliche, [B] essa non riguarda le donne, nelle quali questa passione si trova, non so come, ancor più al suo luogo:
Sæpe etiam Iuno, maxima cælicolum,
Coniugis in culpa flagravit quotidiana.VI 100
Quando la gelosia afferra queste povere anime deboli e senza resistenza, è uno strazio come le strapazza e tiranneggia crudelmente: vi si insinua sotto pretesto di amicizia, ma una volta che le possiede, le stesse cause che servivano di fondamento all’affetto, servono di fondamento a un odio mortale. [C] Fra le malattie dello spirito, è quella a cui più cose servono d’alimento e meno cose di rimedio. [B] La virtù, la salute, il merito, la reputazione del marito non fanno che attizzare il loro rancore e la loro rabbia.
Nullæ sunt inimicitiæ, nisi amoris, acerbæ.I 101
Questa febbre imbruttisce e corrompe tutto quello che esse hanno di bello e di buono nel resto. E se una donna è gelosa, per quanto sia casta e casalinga, non c’è nessuna delle sue azioni che non sappia di acido e d’importuno. È un’agitazione rabbiosa che le spinge a un estremo assolutamente opposto alla sua causa. Fu un bel caso quello d’un Ottavio a Roma: avendo giaciuto con Ponzia Postumia, accrebbe il suo amore col godimento, e tentò con insistenza di sposarla; non potendola persuadere, quest’amore estremo lo spinse alle azioni della più crudele e mortale inimicizia: la uccise.102 Allo stesso modo i sintomi abituali di quest’altra malattia amorosa sono odii intestini, complotti, congiure,
notumque furens quid fæmina possit.II 103
E una rabbia che si rode quanto più è costretta a giustificarsi col pretesto dell’affetto.
Ora, il dovere di castità ha una grande estensione. È la volontà che noi vogliamo che esse frenino? È questa una parte molto duttile e attiva; è troppo vivace perché si possa fissarla. Come no, se le fantasie a volte le prendono al punto che non possono recedere? Non è in loro potere, né forse in potere della castità medesima, poiché è femmina, difendersi dalle concupiscenze e dal desiderio. Se la loro volontà soltanto ci interessa, a che cosa siamo ridotti? Immaginatevi che gran folla, se avessimo questo privilegio d’esser portati tutti impiumati, senza occhi e senza lingua, al momento propizio a qualsiasi donna che acconsentisse. [C] Le donne scite cavavano gli occhi a tutti i loro schiavi e prigionieri di guerra per servirsene più liberamente e nascostamente.104 [B] Ah, che straordinario vantaggio l’opportunità! A chi mi domandasse qual è la parte essenziale nell’amore, risponderei che è saper cogliere il momento; la seconda ugualmente, ed anche la terza. È un punto che può tutto. Spesso mi è mancata la fortuna, ma a volte anche l’iniziativa. Dio preservi dal male chi può ancora burlarsene. È necessaria in questo secolo una maggior temerità: i nostri giovani la giustificano col pretesto del calore, ma se la considerassero attentamente, troverebbero che deriva piuttosto dal disprezzo. Io avevo uno scrupoloso timore d’offendere, e generalmente rispetto quello che amo. Oltre al fatto che in questo commercio, chi ne toglie il rispetto ne cancella il lustro. Mi piace che vi si faccia un po’ il ragazzo, il timido e il servitore. Se non proprio in questo, io ho in altre circostanze qualche aspetto di quella sciocca vergogna di cui parla Plutarco,105 e il corso della mia vita ne è stato ferito e macchiato in vario modo. Qualità assai discordante dal mio carattere in generale. Che altro siamo noi se non sedizione e discordanza? Ho gli occhi deboli per sopportare un rifiuto, come per rifiutare. E mi pesa tanto pesare ad altri che, nelle occasioni in cui il dovere mi costringe a mettere alla prova la volontà di qualcuno in una cosa dubbia e che gli costa, lo faccio a stento e mio malgrado. [C] Ma se è per me in particolare, benché Omero dica veridicamente che per un povero la vergogna è una sciocca virtù,106 ne incarico generalmente un terzo che arrossisca al posto mio. [B] E resisto con altrettanta difficoltà a quelli che si servono di me, sicché mi è successo a volte di aver voglia di negare e di non averne la forza.
È dunque follia cercar di frenare nelle donne un desiderio che è in loro così cocente e così naturale. E quando le sento vantarsi di aver la volontà tanto vergine e fredda, mi burlo di loro: si tirano troppo indietro. Se si tratta di una vecchia sdentata e decrepita, o di una giovane secca e malata di petto, se anche non è del tutto credibile, per lo meno è plausibile che lo dicano. Ma quelle che si muovono e che respirano ancora, aggravano il loro caso. Perché le scuse sconsiderate servono d’accusa. Come un gentiluomo mio vicino che era sospettato d’impotenza,
Languidior tenera cui pendens sicula beta
Nunquam se mediam sustulit ad tunicam,I 107
tre o quattro giorni dopo le sue nozze andò a spergiurare sfacciatamente, per giustificarsi, che aveva fatto venti assalti la notte precedente: del che ci si è serviti poi per dimostrare la sua assoluta inettitudine e annullare il matrimonio. Oltre che non si dice nulla di sensato, poiché non c’è né continenza né virtù se non c’è sforzo in senso contrario. «È vero», bisogna dire «ma non sono disposta ad arrendermi». Perfino i santi parlano così. Intendo quelle che si vantano in buona fede della loro freddezza e insensibilità e che vogliono esser credute con volto serio. Poiché quando lo fanno con volto studiato, dove gli occhi smentiscono le parole, e col gergo della loro professione che fa capire il contrario di quello che dicono, mi piace. Sono molto devoto alla sincerità e alla franchezza. Ma non c’è rimedio: se non è assolutamente ingenua o infantile, è inadatta alle dame e disdicevole in questo commercio; cade immediatamente nell’impudenza. I loro mascheramenti e le loro simulazioni ingannano solo gli sciocchi. Il mentire vi è al posto d’onore: è un sotterfugio che ci conduce alla verità per una porta falsa.
Se non possiamo frenare la loro immaginazione, che cosa vogliamo da loro? Gli atti? Ce ne sono parecchi, che sfuggono ad ogni conoscenza esterna, dai quali la castità può essere corrotta,
Illud sæpe facit quod sine teste facit.I 108
E quelli che meno temiamo sono forse i più temibili. I loro peccati muti sono i peggiori:
Offendor mœcha simpliciore minus.II 109
[C] Ci sono degli atti che possono rovinare senza impudicizia la loro pudicizia e, quel che è più, a loro insaputa. Obstetrix, virginis cuiusdam integritatem manu velut explorans, sive malevolentia, sive inscitia, sive casu, dum inspicit, perdidit.III 110 Una ha distrutto la propria verginità per averla cercata, un’altra, divertendocisi, l’ha uccisa. [B] Non sapremmo circoscrivere precisamente le azioni che proibiamo loro. Bisogna formulare la nostra legge con parole generiche e incerte. Il modello stesso che prospettiamo alla loro castità è ridicolo. Di fatto, fra i più estremi esempi che ne ho, c’è Fatua, moglie di Fauno, che dopo le nozze non si lasciò mai più vedere da nessun maschio;111 e la moglie di Gerone, che non sentiva che suo marito puzzava, ritenendo che fosse una caratteristica comune a tutti gli uomini.112 Bisogna che diventino insensibili e invisibili per soddisfarci. Ora, confessiamo che la sostanza del giudizio su questo dovere risiede principalmente nella volontà. Ci sono stati dei mariti che hanno sopportato questo inconveniente non solo senza rimprovero e offesa verso le loro mogli, ma con singolare riconoscenza e stima della loro virtù. Una che amava il proprio onore più della vita, l’ha prostituito al desiderio sfrenato d’un mortale nemico per salvar la vita al marito: e ha fatto per lui quello che non avrebbe in alcun modo fatto per se stessa. Non è qui luogo di moltiplicare questi esempi: sono troppo elevati e troppo illustri per esser riprodotti in questa cornice. Serbiamoli per una sede più nobile. [C] Ma, per esempi di qualità più comune, non ci sono ogni giorno donne che si concedono per il solo vantaggio dei loro mariti, e per loro espresso ordine e mediazione? E in antico Faulio l’Argivo offrì la sua al re Filippo per ambizione.113 Allo stesso modo che, per cortesia, quel Galba che aveva invitato a cena Mecenate, vedendo che sua moglie e lui cominciavano a intendersi con occhiate e segni, si lasciò scivolare sul cuscino, come un uomo appesantito dal sonno, per favorire la loro intesa. E lo confessò con molta buona grazia. Infatti, poiché in quel momento un servo ebbe l’ardire di metter la mano sui vasi che erano sulla tavola, gli gridò: «Non vedi, furfante, che dormo solo per Mecenate?» [B] Una ha costumi dissoluti, ma ha la volontà più retta di quest’altra che si comporta regolatamente in apparenza. Come ne vediamo che si lamentano di esser state votate alla castità prima dell’età della ragione, ne ho viste lamentarsi sinceramente di esser state votate alla dissolutezza prima dell’età della ragione: può esserne causa il vizio dei genitori, o la spinta del bisogno, che è un duro consigliere. Nelle Indie orientali, dove la castità era particolarmente apprezzata, l’uso tollerava tuttavia che una donna maritata potesse darsi a chi le offriva un elefante: e questo con una certa gloria per esser stata stimata un prezzo così alto.114 [C] Il filosofo Fedone, uomo di buona casata, dopo la conquista del suo paese di Elide, fece professione di prostituire, finché durò, la bellezza della sua gioventù a chi ne volle per denaro, per vivere.115 E Solone fu il primo in Grecia, si dice,116 che con le sue leggi dette libertà alle donne di provvedere alle necessità della loro vita a spese del proprio pudore: uso che Erodoto dice117 esser stato accolto prima di lui in parecchi Stati.
[B] E poi che frutto si trae da questa penosa preoccupazione? Di fatto, per quanto giusta sia questa passione, bisognerebbe anche vedere se ci trasporta con profitto. C’è forse qualcuno che pensa di chiuderle a chiave con la sua abilità?
Pone seram, cohibe; sed quis custodiet ipsos
Custodes? Cauta est, et ab illis incipit uxor.I 118
Quale occasione non è loro sufficiente in un’epoca così esperta? La curiosità è viziosa in ogni caso, ma qui è perniciosa. È follia voler accertarsi di un male per il quale non c’è medicina che non lo peggiori e lo aggravi; la cui vergogna aumenta e si manifesta pubblicamente soprattutto grazie alla gelosia; e la cui vendetta colpisce i nostri figli più di quanto ci guarisca. Vi inaridite e morite alla ricerca di una prova tanto ambigua. In che modo miserabile ci sono arrivati quelli del mio tempo che ne sono venuti a capo! Se l’informatore non fornisce al tempo stesso il rimedio e il suo soccorso, è un’informazione ingiuriosa e che merita un colpo di pugnale più di una mentita. Non ci si fa meno beffe di colui che si affanna a porvi riparo che di colui che lo ignora. La caratteristica delle corna è indelebile: a chi si è attaccata una volta, rimane per sempre. La punizione la rivela più della colpa. È bello davvero veder strappare dall’ombra e dal dubbio le nostre infelicità private per strombettarle su palcoscenici tragici! E infelicità che pungono solo perché se ne discorre. Infatti buona moglie e buon matrimonio si dice non di quelli che lo sono, ma di quelli di cui non si parla. Bisogna ingegnarsi a evitare questa penosa e inutile conoscenza. E i Romani avevano in uso, tornando da un viaggio, di farsi precedere da qualcuno che portasse a casa la notizia del loro arrivo alle mogli, per non sorprenderle.119 E pertanto un certo popolo ha introdotto l’uso che il prete apra il passo alla sposa, il giorno delle nozze, per togliere al marito il dubbio e la curiosità di cercare in quel primo assaggio se essa venga a lui vergine o segnata da un amore estraneo.120
«Ma la gente ne parla». Io conosco cento onest’uomini cornuti, onestamente e senza indecenza. Un galantuomo ne viene compianto, non disistimato. Fate sì che la vostra virtù soffochi la vostra disgrazia, che le persone dabbene ne maledicano la causa, che colui che vi offende tremi al solo pensarlo. E poi, di chi non si parla in tal senso, dal piccolo fino al più grande?
tot qui legionibus imperitavit,
Et melior quam tu multis fuit, improbe, rebus.I 121
Non vedi che si comprendono in quel biasimo tanti onest’uomini in tua presenza? Pensa che neppure tu sei risparmiato altrove. «Ma tutti, perfino le dame, se ne burleranno!» E di che cosa, in quest’epoca, si burlano più facilmente che di un matrimonio pacifico e ben assortito? [C] Ognuno di voi ha fatto cornuto qualcuno: ora, la natura procede sempre per pariglia, per compensazione e avvicendamento. [B] La frequenza di questo inconveniente deve ormai averne moderato l’asprezza. Eccolo ben presto entrato negli usi. Miserabile passione, che ha inoltre questo, di essere incomunicabile,
Fors etiam nostris invidit questibus aures.I 122
Di fatto a quale amico osate confidare le vostre lagnanze, che, se non ne ride, non se ne serva di spinta e d’informazione per prender parte anche lui al banchetto? [C] Le amarezze come le dolcezze del matrimonio sono tenute segrete dai saggi. E fra le altre fastidiose condizioni che vi si trovano, questa, per un uomo chiacchierone quale io sono, è fra le principali: che l’uso rende indecente e dannoso che si dica a qualcuno tutto ciò che se ne sa e che se ne sente.
[B] Dare a loro donne lo stesso consiglio per distoglierle dalla gelosia, sarebbe tempo perso: il loro essere è così impregnato di sospetto, di vanità e di curiosità, che guarirle per via legittima non si può sperarlo. Esse si correggono spesso di questo inconveniente con una forma di salute molto più da temere di quanto lo sia la malattia stessa. Di fatto, come vi sono degli incantesimi che non sanno togliere il male se non scaricandolo su un altro, così esse rigettano volentieri questa febbre sui loro mariti quando se ne liberano. Tuttavia, a dire il vero, non so se si possa sopportar da loro cosa peggiore della gelosia: è la più pericolosa fra le loro caratteristiche, come, fra le loro membra, la testa. Pittaco diceva che ognuno aveva il suo difetto: che il suo era la cattiva testa di sua moglie; all’infuori di questo, si sarebbe stimato felice in tutto e per tutto.123 È un inconveniente molto grave, dal quale un uomo tanto giusto, tanto saggio, tanto valente sentiva alterato tutto il suo stato di vita: che dobbiamo fare, noialtri omiciattoli? [C] Il senato di Marsiglia ebbe ragione di accondiscendere alla richiesta di colui che domandava il permesso di uccidersi per liberarsi da quella tempesta di sua moglie:124 poiché è un male che non si elimina se non eliminando l’oggetto, e che non ha altro rimedio valido se non la fuga o la sopportazione, benché ambedue molto difficili. [B] Se ne intendeva, mi pare, colui che disse che un buon matrimonio si componeva di una moglie cieca e di un marito sordo.125
Guardiamo anche che quella grande ed estrema durezza di obblighi che imponiamo loro non produca due effetti contrari al nostro scopo: cioè che inciti i corteggiatori e renda le donne più facili a cedere. Di fatto, quanto al primo punto, alzando il prezzo della piazza, alziamo il prezzo e il desiderio della conquista. Non sarebbe Venere stessa ad aver così astutamente rialzato il corso della sua merce con la ruffianeria delle leggi,126 sapendo quanto sia sciocco tale piacere se non lo si mette in valore con l’immaginazione e il costo? Infine è sempre carne di porco che la salsa rende diversa, come diceva l’ospite di Flaminio.127 Cupido è un dio fellone: fa il suo gioco tenendo in scacco religione e giustizia. È il suo vanto, che il suo potere batta ogni altro potere e che ogni altra regola ceda alla sua,
Materiam culpæ prosequiturque suæ.I 128
E quanto al secondo punto: non saremmo meno cornuti se temessimo meno di esserlo, secondando la complessione delle donne, poiché il divieto le eccita e le stimola?
Ubi velis, nolunt; ubi nolis, volunt ultro: 129
Quale migliore interpretazione troveremmo per il caso di Messalina? Dapprima fece cornuto suo marito di nascosto, come si usa. Ma conducendo il suo gioco troppo facilmente, per la stupidità di lui, disdegnò immediatamente questa pratica. Eccola a fare all’amore apertamente, dichiarare i propri amanti, mantenerli e favorirli agli occhi di tutti. Voleva che egli se ne risentisse. Poiché quell’animale, con tutto questo, non riusciva a risvegliarsi, e le rendeva i piaceri fiacchi e insipidi a causa di quella facilità troppo rilassata con cui sembrava che li autorizzasse e li legittimasse, che fece lei? Moglie di un imperatore vivo e vegeto, e a Roma, nel teatro del mondo, in pieno giorno, in una festa e cerimonia pubblica, e con Silio, con cui se la godeva da molto tempo, si marita un giorno che suo marito era fuori città. Non sembra che si avviasse a divenir casta per l’indifferenza di suo marito? O che cercasse un altro marito che le aguzzasse l’appetito con la sua gelosia e che, resistendole, la eccitasse? Ma la prima difficoltà che incontrò fu anche l’ultima. Quella bestia si svegliò di soprassalto. Ci si trova spesso a peggior partito con questi sordi addormentati. Ho visto per esperienza che questa estrema tolleranza, quando arriva a sciogliersi, produce vendette più aspre. Di fatto, prendendo fuoco tutt’a un tratto, la collera e il furore sommandosi in uno, esplode con tutte le forze alla prima carica,
irarumque omnes effundit habenas.I 131
Egli la fece morire, e con lei gran numero dei suoi complici, fino a un tale che non aveva colpa e che lei si era tirato nel letto a colpi di frusta.
Quello che Virgilio dice di Venere e di Vulcano, Lucrezio l’aveva detto più propriamente di un godimento segreto di lei e di Marte:
belli fera mœnera Mavors
Armipotens regit, in gremium qui sæpe tuum se
Reiicit, æterno devinctus vulnere amoris:
Pascit amore avidos inhians in te, Dea, visus,
Eque tuo pendet resupini spiritus ore:
Hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto
Circunfusa super, suaveis ex ore loquelas
Quando rimastico133 quel reiicit, pascit, inhians, molli, fovet medullas, labefacta, pendet, percurrit, e quella nobile circunfusa, madre del gentile infusus, disdegno quelle sottili punte e allusioni verbali che nacquero poi. A quella buona gente non bisognavano acute e sottili trovate: il loro linguaggio è tutto pieno e pregno di un vigore naturale e costante. Sono tutto epigramma: non la coda soltanto, ma la testa, lo stomaco e i piedi. Non c’è nulla di sforzato, nulla di fiacco, tutto vi procede con ritmo uguale. [C] Contextus totus virilis est; non sunt circa flosculos occupati.III 134 [B] Non è un’eloquenza molle e semplicemente inoffensiva. È nervosa e solida, che non tanto piace quanto riempie e rapisce. E rapisce di più gli spiriti più forti. Quando vedo queste vigorose forme di esprimersi, così vive, così profonde, non dico che è parlar bene, dico che è pensar bene. È la gagliardia dell’immaginazione che innalza e gonfia le parole. [C] Pectus est quod disertum facit.IV 135 [B] I nostri contemporanei chiamano il giudizio, linguaggio, e belle parole la ricchezza dei concetti. Non è tanto che questa descrizione sia condotta con mano abile, quanto che l’oggetto è più vivamente impresso nell’animo. Gallo parla semplicemente, perché pensa semplicemente.136 Orazio non si accontenta di un’espressione superficiale, essa lo tradirebbe. Vede più chiaro e più addentro nella cosa: la sua mente forza e fruga tutto il magazzino delle parole e delle immagini per esprimersi. E gliene abbisognano di straordinarie, perché il suo concetto è straordinario. Plutarco dice137 che ha visto la lingua latina attraverso le cose. Qui è lo stesso: il senso chiarisce e produce le parole. Non più di vento, ma di carne e d’ossa. [C] Esse significano più di quanto dicono.
[B] Anche i deboli di mente hanno qualche idea di questo. Infatti in Italia dicevo quel che mi pareva in discorsi comuni, ma nei ragionamenti seri non avrei osato affidarmi a un idioma che non potevo piegare né modellare oltre la sua pratica usuale. Voglio poterci mettere qualcosa del mio. L’esser maneggiata e adoperata dagli spiriti elevati dà pregio alla lingua, non tanto innovandola quanto empiendola di più vigorosi e diversi uffici, dilatandola e piegandola. Essi non vi apportano alcuna parola, ma arricchiscono le loro, ne rendono più grave e profondo il significato e l’uso. Le insegnano movimenti inusitati, ma giudiziosamente e ingegnosamente. E quanto poco ciò sia dato a tutti si vede da tanti scrittori francesi di questo secolo. Sono abbastanza arditi e sdegnosi da non seguire la strada comune, ma la mancanza d’invenzione e di discernimento li rovina. Non vi si scorge che una misera affettazione di originalità, dei mascheramenti freddi e assurdi che, invece di elevarla, abbassano la materia. Pur d’impinzarsi di novità, non si curano dell’efficacia: per afferrare una parola nuova, abbandonano l’usata, spesso più forte e più succosa. Nella nostra lingua trovo abbastanza stoffa, ma una certa mancanza di forma. Infatti non c’è nulla che non si sia tratto dal gergo delle cacce e della guerra, che è un terreno generoso da cui prendere a prestito. E le forme del parlare, come le erbe, migliorano e si fortificano trapiantandole. Io la trovo sufficientemente abbondante, ma non sufficientemente maneggevole e vigorosa. Di solito soccombe a un pensiero potente. Se il vostro discorso è teso, sentite spesso che essa languisce sotto di voi e vien meno. E che in suo difetto si presenta in soccorso il latino. E il greco ad altri. Di alcune di quelle parole che ho trascelto poco fa, ne scorgiamo più difficilmente la forza in quanto l’uso e la frequenza ce ne hanno in qualche modo avvilita e resa banale la grazia. Come nel nostro volgare, vi si trovano frasi eccellenti e metafore la cui bellezza appassisce per vecchiaia e il colore è sbiadito per l’impiego troppo abituale. Ma questo non toglie niente al gusto per coloro che hanno buon naso, né fa torto alla gloria di quegli antichi autori che, com’è verosimile, per primi dettero a queste parole tale splendore.
Le scienze trattano le cose troppo finemente, in modo troppo artificiale e differente da quello comune e naturale. Il mio paggio fa l’amore e lo capisce. Leggetegli Leone Ebreo e Ficino:138 si parla di lui, dei suoi pensieri e delle sue azioni, eppure non ci capisce nulla. Io non riconosco in Aristotele la maggior parte dei miei moti abituali: sono stati coperti e rivestiti di altri panni ad uso della scuola. Dio faccia loro ragione! Se fossi del mestiere, renderei naturale l’arte quanto essi rendono artificiale la natura. Lasciamo da parte Bembo ed Equicola.139 Quando scrivo, faccio a meno della compagnia e del ricordo dei libri, per paura che ostacolino la mia forma. Anche perché, in verità, i buoni autori mi abbattono del tutto e mi spezzano il coraggio. Mi servo volentieri dell’astuzia di quel pittore che avendo miserabilmente dipinto dei galli, proibiva ai suoi garzoni di lasciar entrare in bottega un gallo vero.140 [C] E avrei piuttosto bisogno, per darmi un po’ di lustro, della trovata del musico Antigonide141 che, quando doveva far musica, dava ordine che prima o dopo di lui il suo uditorio fosse stordito da qualche altro cattivo cantore. [B] Ma posso liberarmi più difficilmente di Plutarco. È così universale e così ricco che in qualsiasi occasione, e per quanto stravagante sia il soggetto che avete scelto, s’ingerisce nel vostro lavoro e vi tende una mano liberale e inesauribile in ricchezze e in abbellimenti. M’indispettisce che sia così esposto al saccheggio da parte di coloro che lo praticano [C]: non posso riavvicinarlo, per quanto poco, senza prendergli una coscia o un’ala. [B] Per questo mio progetto mi torna anche a proposito scrivere a casa mia, in un paese selvaggio, dove nessuno mi aiuta né mi critica; dove non frequento abitualmente nessuno che capisca il latino del suo padrenostro, e il francese un po’ meno. L’avrei fatta meglio altrove, ma l’opera sarebbe stata meno mia. E il suo fine principale e la sua perfezione è di essere precisamente mia. Correggerei certo qualche errore accidentale, di cui sono pieno, poiché procedo di corsa senza fare attenzione; ma le imperfezioni che sono in me ordinarie e costanti, sarebbe tradimento toglierle. Quando mi hanno detto,142 o io stesso mi sono detto: «Sei troppo fitto d’immagini. Ecco una parola del dialetto della Guascogna. Ecco una frase arrischiata (non ne evito nessuna di quelle che si usano per le strade di Francia: quelli che vogliono combattere l’uso con la grammatica, scherzano). Ecco un ragionamento sciocco. Ecco un ragionamento paradossale, eccone uno troppo pazzo: [C] tu scherzi spesso, si penserà che tu dica sul serio quello che dici per finta». [B] «Sì» faccio io, ma correggo gli errori di disattenzione, non quelli di abitudine. Non è così che parlo dappertutto? Non mi rappresento con vivezza? Basta. Ho fatto quello che ho voluto. Tutti mi riconoscono nel mio libro, e il mio libro in me.
Ora, ho una natura scimmiesca e imitatrice: quando m’impicciavo di far versi (e non ne feci mai che di latini), risentivano evidentemente del poeta che avevo letto di recente. E fra i miei primi saggi, alcuni puzzano un po’ di forestiero. [C] A Parigi parlo un linguaggio in certo modo diverso che a Montaigne. [B] Chiunque io guardi con attenzione mi imprime facilmente qualcosa del suo. Quello che osservo, me lo approprio: un contegno sciocco, una smorfia spiacevole, un modo di parlare ridicolo. I vizi di più: quanto più mi urtano, mi si attaccano, e non se ne vanno se non me li scuoto di dosso. Mi si è visto bestemmiare più spesso per imitazione che per inclinazione. [C] Imitazione suicida come quella delle scimmie orribili per grandezza e forza che il re Alessandro incontrò in una certa contrada delle Indie.143 Delle quali sarebbe stato altrimenti difficile venire a capo. Ma esse gliene offrirono il mezzo con quella loro inclinazione a contraffare tutto quello che vedevano fare. Poiché da questo i cacciatori ebbero l’idea di calzarsi di scarpe sotto i loro occhi, con molti nodi di lacci; di coprirsi la testa di acconciature con legacci scorrevoli e ungersi per finta gli occhi di vischio. Così la loro natura scimmiesca causava inavvertitamente la rovina di quelle povere bestie. Esse s’invischiavano, s’incapestravano e s’impigliavano da sole. Quanto all’altra facoltà, di riprodurre ingegnosamente e di proposito i gesti e le parole di un altro, che spesso arreca piacere e ammirazione, io ne ho quanto una rapa. Quando bestemmio per conto mio è soltanto «per Dio», che è la più diretta di tutte le imprecazioni. Dicono che144 Socrate imprecasse per il cane, Zenone con quella stessa interiezione che serve ora agli Italiani, capperi,145 Pitagora per l’acqua e per l’aria. [B] Io sono così incline a ricevere senza accorgermene queste impressioni superficiali, che avuto in bocca per tre giorni di seguito Sire o Altezza, otto giorni dopo mi scappano invece di Eccellenza o di Signoria. E quello che avrò cominciato a dire scherzando e celiando, l’indomani lo dirò seriamente. Per questo nello scrivere prendo meno volentieri gli argomenti battuti, per paura di trattarli a spese altrui.
Ogni argomento mi è ugualmente fecondo. Li scelgo come mi salta la mosca, e Dio voglia che quello che ho qui fra le mani non sia stato scelto per ordine di una volontà tanto volubile. Posso cominciare da quello che mi pare, perché i soggetti sono tutti legati gli uni agli altri. Ma il mio animo mi spiace in quanto produce di solito le sue fantasticherie più profonde, più folli, e che più mi piacciono, all’improvviso e quando meno le cerco. Ed esse svaniscono subito, perché non ho sul momento dove fissarle: a cavallo, a tavola, a letto, ma piuttosto a cavallo, dove più a lungo m’intrattengo con me stesso. Ho il parlare piuttosto difficoltoso e desideroso di attenzione e di silenzio, se parlo in stato di tensione: chi m’interrompe mi ferma. In viaggio, la stessa difficoltà delle strade tronca i discorsi. Oltre che viaggio più spesso senza compagnia adatta a queste conversazioni continuate, per cui posso con tutta comodità intrattenermi con me stesso. Mi accade come per i sogni. Sognando li raccomando alla mia memoria (poiché facilmente sogno di sognare), ma l’indomani mi ricordo, sì, com’era il loro colore, o gaio o triste o strano; ma come fossero per il resto, più mi affanno a ritrovarlo, più l’affondo nell’oblio. Così di quei ragionamenti casuali che mi vengono in mente, non me ne resta nella memoria che una vana immagine. Quel tanto che mi basta per farmi rodere e indispettire a ricercarli, inutilmente.
Or dunque, lasciando da parte i libri, parlando più materialmente e semplicemente: trovo dopo tutto che l’amore non è altro che la sete di questo godimento [C] in un oggetto desiderato. E Venere non è altro che il piacere di scaricare i propri vasi, che diventa vizioso o per sregolatezza o per sconsideratezza. Per Socrate l’amore è desiderio di generazione per mediazione della bellezza.146 [B] E considerando più volte il ridicolo titillamento di questo piacere, gli assurdi moti scervellati e scriteriati con cui agita Zenone e Cratippo; quella furia smodata, quel volto acceso di furore e di crudeltà nel più dolce atto dell’amore; e poi quello sguardo grave, severo ed estatico in un’azione così folle; [C] e che siano state messe insieme alla rinfusa le nostre delizie e le nostre sozzure; [B] e che la somma voluttà abbia in sé qualcosa di accorato e di gemebondo, come il dolore, credo [C] che sia vero ciò che dice Platone,147 che l’uomo è il trastullo degli dèi,
[B]quænam ista iocandi
E che sia per scherno che la natura ci ha concesso la più torbida delle nostre azioni, la più comune: per eguagliarci in tal modo e accomunarci, e folli e saggi, e noi e le bestie. L’uomo più contemplativo e più saggio, se lo immagino in questa posizione, lo ritengo un truffatore quando fa il saggio e il contemplativo. Sono le zampe del pavone che rintuzzano il suo orgoglio:149
ridentem dicere verum
[C] Quelli che, fra i giochi, respingono i pensieri seri, fanno, dice qualcuno, come colui che esita ad adorare la statua di un santo se è senza gonnello. [B] Noi mangiamo e beviamo, certo, come le bestie, ma questi non sono atti che impediscano le operazioni della nostra anima. In essi manteniamo la nostra superiorità su di loro. Questo mette ogni altro pensiero sotto il giogo. Abbrutisce e inebetisce con la sua imperiosa autorità tutta la teologia e la filosofia che c’è in Platone. Eppure egli non se ne lagna. In qualsiasi altra cosa potete conservare una certa decenza. Ogni altra azione sopporta certe regole di decoro. Questa non si può neppure immaginare se non viziosa o ridicola. Trovateci un modo di procedere saggio e discreto, se vi riesce. Alessandro diceva che si riconosceva mortale soprattutto in quest’atto e nel dormire.151 Il sonno soffoca e sopprime le facoltà della nostra anima. Questa bisogna le assorbe e le dissipa allo stesso modo. Certo è un segno non solo della nostra corruzione originale, ma anche della nostra inanità e imperfezione.
Da un lato la natura ci spinge a ciò, avendo legato a questo desiderio la più nobile, utile e piacevole di tutte le sue operazioni. E dall’altro ci lascia accusarla e fuggirla come impudente e disonesta, arrossirne e raccomandarne l’astinenza. [C] Non siamo forse veramente bruti, a chiamare brutale l’atto che ci produce? [B] I popoli, nelle religioni, si sono trovati d’accordo su parecchi punti di contatto, come sacrifici, luminarie, incensamenti, digiuni, offerte e, fra l’altro, nella condanna di quest’atto. Tutte le opinioni vi convengono, oltre all’usanza così diffusa del taglio del prepuzio, che ne è una punizione. Abbiamo forse ragione di biasimarci di produrre una cosa così sciocca come l’uomo, di chiamare vergognoso l’atto, e vergognose le parti che servono ad esso [C] (ora le mie sono davvero vergognose e miserabili). Gli Esseni di cui parla Plinio152 si preservarono per parecchi secoli senza nutrice, senza fasce, grazie all’apporto dei forestieri che, seguendo quella bella inclinazione, affluivano continuamente presso di loro. Avendo tutto un popolo rischiato di estinguersi piuttosto che darsi a un amplesso femminile. E di perdere la discendenza degli uomini piuttosto che fabbricarne uno. Si dice che Zenone153 ebbe a che fare con una donna una sola volta nella vita; e che fu per urbanità, per non sembrar disdegnare troppo ostinatamente il sesso. [B] Ognuno rifugge dal vederlo nascere, ognuno corre a vederlo morire.154 [C] Per distruggerlo si cerca un campo spazioso in piena luce; per fabbricarlo ci si ficca in un buco tenebroso e ristretto. [B] È doveroso nascondersi e arrossire per farlo; ed è vanto, e ne nascono parecchie virtù, saper disfarlo. L’una cosa è onta, l’altra è merito: infatti Aristotele dice155 che render migliore qualcuno significa ucciderlo, secondo una certa espressione del suo paese. [C] Gli Ateniesi, per eguagliare il discredito di questi due atti, dovendo purificare l’isola di Delo e giustificarsi verso Apollo, proibirono entro i confini di essa sia ogni seppellimento sia ogni parto.156 [B] Nostri nosmet pænitet.I 157 Noi stimiamo vizio il nostro essere. Ci sono popoli che si nascondono mangiando. Conosco una dama, e delle più grandi, che ha questa stessa opinione: che masticare sia un atto sgradevole, che avvilisce molto la loro grazia e la loro bellezza; e non si presenta volentieri in pubblico con appetito. E conosco un uomo che non può sopportare di veder mangiare, né che lo si veda, e fugge ogni presenza, più quando si riempie che quando si vuota. [C] Nell’impero del Turco si vede un gran numero d’uomini che, per eccellere sugli altri, non si lasciano mai vedere quando prendono i pasti, che ne fanno solo uno alla settimana, che si tagliuzzano e si feriscono la faccia e le membra, che non parlano mai a nessuno.158 Gente stolta che pensa di onorare la propria natura snaturandosi, che si pregia del dispregio di sé e si fa merito del proprio demerito. [B] Che mostruoso animale, che fa orrore a se stesso, a cui pesano i propri piaceri, che considera se stesso una disgrazia! Ce ne sono che nascondono la loro vita,
Exilioque domos et dulcia limina mutant,II 159
e la sottraggono allo sguardo degli altri uomini; che evitano la salute e l’allegria come qualità nocive e dannose. Non solo molte sette, ma molti popoli maledicono la loro nascita e benedicono la loro morte. [C] Ce ne sono di quelli fra i quali il sole è aborrito, le tenebre adorate.160 [B] Abbiamo ingegno solo per malmenarci: è la vera specialità della forza del nostro spirito, pericoloso congegno sregolato!
O miseri quorum gaudia crimen habent.I 161
Eh, povero uomo, hai abbastanza fastidi inevitabili, senza accrescerli con la tua inventiva. E sei abbastanza miserabile per tua condizione senza esserlo per arte. Hai brutture reali ed essenziali a sufficienza, senza fabbricartene di immaginarie. [C] Ti pare di star troppo bene, se il tuo benessere non ti diventa fastidioso? [B] Ti pare di aver adempito tutti i doveri necessari che la natura t’impone, e che essa sia in te manchevole e oziosa se non ti obblighi a nuovi doveri? Non temi di offendere le sue leggi universali e indubitabili, e ti ostini nelle tue, parziali e fantastiche: e quanto più esse sono particolari, incerte e contrastate, tanto più ti sforzi in quel senso. [C] Le regole positive di tua invenzione162 ti occupano e ti tengono legato, e così le regole della tua parrocchia: quelle di Dio e del mondo non ti toccano. [B] Scorri un po’ gli esempi di questo ragionamento, la tua vita vi è tutta.
I versi di questi due poeti,163 trattando con tanto riserbo e discrezione della lascivia, come fanno, mi sembra la scoprano e la illuminino più da vicino. Le dame coprono con un velo il seno, i preti parecchie cose sacre, i pittori ombreggiano la loro opera per darle più risalto. E si dice che il colpo del sole e del vento è più forte riflesso che diretto. L’Egizio rispose saggiamente a colui che gli domandava: «Che cosa porti lì, nascosto sotto il mantello?» «È nascosto sotto il mantello perché tu non sappia che cos’è».164 Ma ci sono certe altre cose che si nascondono per mostrarle. Ascoltate quest’altro, più chiaro,
Et nudam pressi corpus adusque meum:II 165
mi sembra che mi castri. Che Marziale scopra Venere a suo piacere, non arriva a farla apparire così interamente. Colui che dice tutto ci sazia e ci disgusta. Colui che teme di esprimersi ci induce a pensare più di quanto vi sia. C’è un’insidia in questa specie di ritrosia, e specialmente nello schiuderci, come fanno questi, una così bella strada all’immaginazione. E l’atto e la descrizione devono sapere di furto.
L’amore degli Spagnoli e degli Italiani, più rispettoso e timoroso, più manieroso e dissimulato, mi piace. Non so chi, in antico, desiderava il gozzo allungato come il collo di una gru per gustare più a lungo quello che inghiottiva.166 Tale desiderio è più a proposito in questo piacere rapido e precipitoso. Soprattutto in nature come la mia, che pecco in rapidità. Per trattenere la sua fuga ed estenderlo in preamboli, tutto, fra loro, serve di favore e di ricompensa: un’occhiata, un’inclinazione, una parola, un segno. Chi potesse pranzare col fumo dell’arrosto, non farebbe un bel risparmio? È una passione che mescola a ben poca sostanza solida molta più vanità e vaneggiamento febbrile: bisogna pagarla e servirla allo stesso modo. Insegniamo alle dame a farsi valere, a stimarsi, a lusingarci e a ingannarci. Noi facciamo il nostro più forte assalto per primo: c’è sempre un po’ dell’impetuosità francese. Tirando in lungo i loro favori e suddividendoli, ciascuno, fino alla vecchiaia miserabile, ci trova qualche margine secondo il proprio valore e il proprio merito. Chi non ha godimento se non nel godimento, chi non vince che se ottiene il massimo, chi non ama la caccia che nella presa, non gli si addice unirsi alla nostra scuola. Più passi e gradini vi sono, più altezza e onore si trova nell’ultimo seggio. Dovremmo compiacerci di esservi condotti, come si fa nei palazzi magnifici, per diversi portici e corridoi, per lunghe ed eleganti gallerie, e dopo parecchi rigiri. Questa ripartizione tornerebbe a nostro vantaggio: ci soffermeremmo e ameremmo più a lungo. Senza speranza e senza desiderio, non ci mettiamo più tutto l’impegno. Il nostro dominio e completo possesso è per loro infinitamente temibile: dacché sono totalmente alla mercé della nostra fedeltà e costanza, rischiano davvero un po’ troppo. Sono virtù rare e difficili. Appena esse sono nostre, noi non siamo più loro:
postquam cupidæ mentis satiata libido est,
Verba nihil metuere, nihil periuria curant.I 167
[C] E Trasonide, giovane greco, fu tanto innamorato del suo amore che, dopo aver conquistato il cuore della sua bella, si rifiutò di goderne per non smorzare, saziare e illanguidire col godimento quell’ardore inquieto del quale si gloriava e si pasceva.168 [B] La rarità dà sapore al cibo. Guardate come la forma dei saluti propria al nostro popolo imbastardisce con la sua facilità la grazia dei baci, che Socrate dice169 essere così potenti e pericolosi nel rubare i nostri cuori. È un’usanza spiacevole, e offensiva per le dame, dover offrire le proprie labbra a chiunque abbia tre valletti al suo seguito, per sgradevole che egli sia,
Cuius livida naribus caninis
Dependet glacies rigetque barba:
Centum occurrere malo culilingis.I 170
E noi stessi non ci guadagniamo molto: di fatto, essendo il mondo distribuito come si vede, per tre belle donne ci bisogna baciarne cinquanta brutte. E per uno stomaco delicato, come sono quelli della mia età, un cattivo bacio ne strapaga uno buono.
In Italia fanno i corteggiatori e i cascamorti anche con quelle che si vendono; e si giustificano così: ci sono dei gradi nel godimento, e con i servigi vogliono ottenere per sé il più completo. Esse non vendono che il corpo, la volontà non può esser messa in vendita, è troppo libera e troppo personale. Così costoro dicono che è alla volontà che mirano: e hanno ragione. È la volontà che bisogna servire e sedurre. Ho orrore di immaginare mio un corpo privo di sentimento. E mi sembra che tale forsennatezza sia prossima a quella di quel giovane che andò a sporcare per amore la bella immagine di Venere che Prassitele aveva fatto;171 o di quel folle egizio infiammatosi per la carogna di una morta che imbalsamava e fasciava:172 il quale dette occasione alla legge, che fu fatta in seguito in Egitto, che i corpi delle donne belle e giovani, e di quelle di alta casata, fossero custoditi per tre giorni prima di metterli fra le mani di coloro che avevano l’incarico di provvedere al loro seppellimento. Periandro fece una cosa ancor più straordinaria, poiché spinse l’affetto coniugale (più regolato e legittimo) fino a godere di Melissa, sua moglie morta.173 [C] Non sembra forse un umore lunatico quello della Luna che, non potendo godere altrimenti di Endimione, suo favorito, lo addormentò per parecchi mesi, pascendosi del godimento di un giovane che non si muoveva che in sogno?174 [B] Allo stesso modo dico che si ama un corpo senz’anima o senza sentimento quando si ama un corpo senza il suo consenso, e senza il suo desiderio. Non tutti i godimenti sono uguali. Ci sono godimenti magri e languenti. Mille altre cause oltre la benevolenza possono procurarci questa concessione delle dame. Non è una prova sufficiente di affetto. Può entrarci il tradimento, come altrove. Talvolta ci si mettono con una sola chiappa,
tanquam thura merumque parent:
Absentem marmoreamve putes.I 175
Ne conosco alcune che preferiscono prestare quello piuttosto che la loro carrozza. E che comunicano solo per tal via. Bisogna guardare se la vostra compagnia piace loro anche per qualche altro fine, o soltanto per quello, come se si trattasse di un grosso garzone di stalla. In che rango e a qual prezzo ci siete collocato,
tibi si datur uni,
Quo lapide illa diem candidiore notet.II 176
E se poi essa mangia il vostro pane con la salsa di un’immaginazione più gradevole?
Te tenet, absentes alios suspirat amores.III 177
Come? Non abbiamo forse visto ai giorni nostri che qualcuno si è servito di quell’atto per una orribile vendetta, uccidendo così e avvelenando, come fece, una donna onesta?
Quelli che conoscono l’Italia non troveranno mai strano se, su quest’argomento, non cerco esempi altrove. Poiché questo popolo può dirsi in ciò sovrano del resto del mondo. Essi hanno più generalmente delle belle donne, e meno donne brutte di noi; ma quanto a rare ed eccellenti beltà, penso che siamo pari. E giudico altrettanto degli ingegni: di quelli di stampo comune, ne hanno molti di più, e evidentemente la bestialità vi è senza confronto più rara; in fatto di animi singolari e della più grande levatura, non siamo loro da meno. Se dovessi estendere questo paragone, mi sembrerebbe di poter dire del valore che al contrario, in confronto a loro, esso è fra noi comune e naturale; ma lo si vede talvolta, nelle loro mani, così pieno e vigoroso, da superare tutti i più arditi esempi che ne abbiamo. I matrimoni di quel paese zoppicano in questo: la loro usanza dà comunemente alle donne una legge così dura e così oppressiva che la più superficiale dimestichezza con l’estraneo è per loro altrettanto grave quanto la più intima. Questa legge fa sì che tutti gli approcci si rendano necessariamente sostanziali; e poiché tutto per loro è lo stesso, hanno la scelta molto facile. [C] E una volta spezzate queste barriere, credete, esse prendono fuoco: Luxuria ipsis vinculis, sicut fera bestia, irritata, deinde emissa.I 178 [B] Bisogna allentar loro un poco la briglia,
Vidi ego nuper equum, contra sua frena tenacem,
Ore reluctanti fulminis ire modo.II 179
Si affievolisce il desiderio della compagnia dandogli una certa libertà. Noi corriamo pressappoco lo stesso rischio. Essi sono troppo eccessivi in costrizione, noi in licenza. È una bella usanza del nostro paese che, nelle buone case, i nostri figli siano accolti per esservi allevati ed educati da paggi, come in una scuola di nobiltà. Ed è scortesia, si dice, e offesa, il rifiutarlo a un gentiluomo. Mi sono accorto (poiché quante sono le case, altrettanti sono gli stili e le forme) che le dame che hanno voluto dare alle fanciulle del loro seguito le regole più austere, non hanno avuto miglior fortuna. Vi occorre moderazione. Bisogna lasciare buona parte della loro condotta alla loro propria discrezione: infatti, in ogni modo, non c’è disciplina che sappia frenarle da ogni parte. Ma è ben vero che quella che è uscita indenne da una libera scuola ispira molta più fiducia di quella che esce sana da una scuola severa e di reclusione.
I nostri padri educavano le loro figlie a un contegno vergognoso e timoroso (il cuore e il desiderio erano uguali), noi, alla disinvoltura: non ci capiamo nulla. [C] Questo si conviene alle Sauromati, che non possono giacere con un uomo se con le loro mani non ne abbiano ucciso un altro in guerra.180 [B] A me, che ho diritto solo all’ascolto, basta ora che esse seguano il mio consiglio, secondo il privilegio della mia età. Io dunque consiglio a loro, come a noi, l’astinenza, ma se quest’epoca vi è troppo contraria, almeno la discrezione e la modestia. [C] Di fatto, come dice quell’aneddoto di Aristippo rivolto ad alcuni giovani che arrossivano al vederlo entrare da una cortigiana: «Il vizio sta nel non uscirne, non nell’entrarvi».181 [B] Se uno non vuole preservare la propria coscienza, che essa preservi la sua reputazione: se il fondo non cambia, che l’apparenza si salvi.
Approvo che ci sia gradazione e durata nella concessione dei loro favori. [C] Platone dimostra che in ogni sorta d’amore la facilità e la prontezza è vietata agli assediati.182 [B] L’arrendersi con tanta leggerezza, interamente e d’impeto, è un segno d’ingordigia che esse devono nascondere con tutta la loro arte. Comportandosi con regola e con misura nelle loro concessioni, esse ingannano molto meglio il nostro desiderio, e nascondono il loro. Che esse fuggano sempre davanti a noi. Dico anche quelle che devono lasciarsi prendere. Ci vincono meglio fuggendo, come gli Sciti. Invero, secondo la legge che la natura dà loro, non spetta propriamente ad esse il volere e il desiderare: il loro ruolo è subire, obbedire, consentire. È per questo che la natura ha dato loro una disponibilità continua; a noi rara e incerta. Loro si trovano sempre nel momento favorevole, per esser sempre pronte al nostro, Pati natæ.I 183 E mentre essa ha voluto che i nostri desideri avessero dimostrazione e manifestazione prominente, ha fatto sì che i loro fossero occulti e interni. E le ha fornite di parti inadatte all’ostentazione e fatte semplicemente per la difesa. [C] Bisogna lasciare alla licenza delle Amazzoni atti simili a questo. Mentre Alessandro passava per l’Ircania, Talestri, regina delle Amazzoni, venne a visitarlo con trecento guardie del suo sesso, ben montate e ben armate, avendo lasciato il resto di un grosso esercito che la seguiva al di là delle montagne vicine. E gli disse, ad alta voce e in pubblico, che la fama delle sue vittorie e del suo valore l’aveva condotta là per vederlo, offrirgli i propri mezzi e la propria potenza per aiutarlo nelle sue imprese. E che trovandolo così bello, giovane e vigoroso, lei che era perfetta in tutte le sue qualità gli proponeva che giacessero insieme: affinché nascesse dalla più valorosa donna del mondo e dal più valoroso uomo che fosse allora vivente qualche cosa di grande e di raro per l’avvenire. Alessandro la ringraziò per tutto il resto; ma per dar tempo opportuno alla soddisfazione della sua ultima richiesta, si fermò in quel luogo tredici giorni, che festeggiò il più allegramente che poté in favore di una così coraggiosa principessa.184
[B] Noi siamo, quasi in tutto, iniqui giudici delle loro azioni, come esse lo sono delle nostre. Io confesso la verità quando mi nuoce, come quando mi giova. È una turpe sregolatezza che le spinge così spesso a cambiare e impedisce loro di consolidare il proprio affetto su un oggetto qualsiasi: come si vede in quella dea185 alla quale si attribuiscono tanti cambiamenti e amici. Pur tuttavia è vero che è contro la natura dell’amore non essere violento, e contro la natura della violenza l’essere costante. E quelli che se ne stupiscono, se ne lamentano e cercano in esse la causa di questa malattia, ritenendola innaturale e incredibile, come non vedono quanto spesso l’albergano in se stessi senza stupirsene e meravigliarsene? Sarebbe forse più strano vedervi della stabilità. Non è una passione semplicemente corporea: se non si trova un limite alla cupidigia e all’ambizione, non c’è nemmeno alla lussuria. Essa sopravvive anche dopo la sazietà; e non le si può prescrivere né soddisfazione costante né fine; va sempre oltre il suo dominio. Eppure l’incostanza è forse in qualche modo più perdonabile in loro che in noi. Esse possono allegare come noi l’inclinazione alla varietà e alla novità, che ci è comune. E allegare in seconda istanza che, diversamente da noi, comprano il gatto nel sacco [C]: Giovanna, regina di Napoli, fece impiccare Andreozzo, suo primo marito, alle inferriate della finestra, con un laccio d’oro e di seta tessuto con le sue stesse mani, perché nei doveri coniugali non gli trovava né le membra né le forze abbastanza rispondenti alla speranza che ne aveva concepita vedendo la sua corporatura, la sua bellezza, la sua giovinezza e agilità, da cui era stata colpita e ingannata.186 [B] Che l’azione richiede maggior sforzo della passività: infatti, per parte loro, almeno, sono sempre all’altezza della situazione, mentre per parte nostra può accadere altrimenti. [C] Per questa ragione Platone stabilisce saggiamente nelle sue leggi che per decidere dell’opportunità dei matrimoni, i giudici vedano i giovani che vi aspirano tutti nudi, e le fanciulle nude fino alla cintura soltanto.187 [B] Mettendoci alla prova, esse forse non ci trovano degni della loro scelta,
experta latus, madidoque simillima loro
Inguina, nec lassa stare coacta manu,
Deserit imbelles thalamos.I 188
Non basta che la volontà righi dritto. La debolezza e l’incapacità rompono legittimamente un matrimonio:
Et quærendum aliunde foret nervosius illud,
Quod posset zonam solvere virgineam,II 189
perché no, e secondo la sua misura, un’intesa amorosa più licenziosa e più attiva?190
si blando nequeat superesse labori.I 191
Ma non è forse una grande impudenza portare le nostre imperfezioni e debolezze là dove desideriamo piacere e lasciare buona stima e buon nome di noi? Per quel poco che me ne abbisogna adesso,
ad unum
non vorrei rendermi importuno a una persona che devo riverire e rispettare:
fuge suspicari,
Cuius heu denum trepidavit ætas,
La natura doveva accontentarsi di aver reso quest’età miserabile, senza renderla anche ridicola. Detesto vederlo, per un pollice di meschino vigore che lo riscalda tre volte alla settimana, agitarsi e stizzirsi con la stessa furia come se avesse qualche grande e legittima giornata nel ventre: un vero fuoco di paglia! [C] E mi meraviglia che il suo ardore, così vivo e scoppiettante, sia tutt’a un tratto così pesantemente raggelato e spento. Questo desiderio non dovrebbe toccare che il fiore di una bella gioventù. [B] Fidatevi, per vedere, e secondate quest’ardore infaticabile, pieno, costante e generoso che è in voi, vi abbandonerà proprio sul più bello. Rivolgetelo decisamente piuttosto verso qualche fanciullezza tenera, attonita e ignara, che tremi ancora sotto la verga, e ne arrossisca,
Indum sanguineo veluti violaverit ostro
Si quis ebur, vel mista rubent ubi lilia multa
Chi può attendere, il giorno dopo, senza morire di vergogna, il disprezzo di quei begli occhi consci della sua fiacchezza e inettitudine,
Et taciti fecere tamen convitia vultus,V 195
non ha mai provato la soddisfazione e la fierezza di averli resi pesti e appannati col vigoroso esercizio di una notte operosa e attiva. Quando ne ho visto qualcuna annoiarsi di me, non ho accusato immediatamente la sua leggerezza: mi sono chiesto se non avessi ragione di prendermela piuttosto con la natura. Certo essa mi ha trattato in modo illegittimo e incivile,
Si non longa satis, si non bene mentula crassa:
Nimirum sapiunt, videntque parvam
Matronæ quoque mentulam illibenter…I 196
[C] e mi ha causato un danno enormissimo.
Ogni mia parte mi fa ugualmente me stesso come ogni altra. E nessun’altra mi fa più propriamente uomo di questa. Io devo al pubblico il mio ritratto completo. La saggezza della mia lezione sta tutta nella verità, nella libertà, nella sostanza. Disdegnando di annoverare fra i suoi veri doveri queste piccole regole fittizie, usuali, provinciali. Saggezza tutta naturale, costante, universale. Di cui sono figlie, ma bastarde, l’urbanità, le convenienze. Ci libereremo dei difetti dell’apparenza quando ci saremo liberati di quelli della sostanza. Quando l’avremo vinta su questi, corriamo addosso agli altri, se riteniamo che sia necessario. Poiché c’è il rischio che fantasiamo dei doveri nuovi per giustificare la nostra negligenza verso i doveri naturali, e per confonderli. Che sia così, lo si vede dal fatto che nei luoghi in cui gli errori sono misfatti, i misfatti non sono che errori; e che nei paesi in cui le leggi della convenienza sono più rare e fiacche, le leggi primitive e generali sono meglio osservate. L’innumerevole moltitudine di tanti doveri soffoca la nostra sollecitudine, la illanguidisce e la disperde. L’applicazione alle cose minute ci distoglie da quelle importanti. Oh, quegli uomini superficiali prendono una strada davvero facile e encomiabile in confronto alla nostra! Sono apparenze con cui ci imbellettiamo e ci paghiamo a vicenda. Ma non paghiamo, anzi aggraviamo così il nostro debito verso quel gran giudice che discosta le nostre vesti e i nostri cenci dalle nostre parti vergognose e non si perita di guardarci dappertutto, fin nelle nostre sozzure più intime e segrete. Sarebbe utile la decenza del nostro verginale pudore, se potesse proibirgli questa denudazione! Insomma, chi sbarazzasse l’uomo da una così scrupolosa superstizione verbale, non porterebbe gran danno al mondo. La nostra vita è parte nella follia, parte nella saggezza. Chi ne scrive solo rispettosamente e regolatamente, ne lascia indietro più della metà. Non mi scuso davanti a me stesso; e se lo facessi, mi scuserei delle mie scuse piuttosto che di qualsiasi altra cosa. Mi scuso presso certi temperamenti, che ritengo più numerosi di quelli che sono dalla mia parte. In considerazione di essi, dirò ancora questo, poiché desidero accontentare tutti (cosa tuttavia molto difficile), esse unum hominem accomodatum ad tantam morum ac sermonum, et volontatum varietatem:I 197 che non devono prendersela particolarmente con me per quello che faccio dire alle autorità riconosciute e approvate da parecchi secoli. E che non è giusto che, mancando la rima, mi rifiutino la dispensa di cui perfino uomini di chiesa dei nostri e fra i più crestati godono in quest’epoca. Eccone due:
Rimula, dispeream, ni monogramma tua est.II 198
Un vit d’ami la contente et bien traite.III 199
E che dire di tanti altri? A me piace la modestia: e non è per ragionamento che ho scelto questo modo di parlare scandaloso, è la natura che l’ha scelto per me. Io non lo approvo, non più di qualsiasi forma contraria all’uso corrente; ma lo giustifico e ne mitigo la condanna per considerazioni particolari e generali. Proseguiamo.
Allo stesso modo, [B] da dove può venire quell’abuso di autorità sovrana che prendete su quelle che vi favoriscono a loro spese?
Si furtiva dedit nigra munuscula nocte,IV 200
sicché immediatamente ne assumete il diritto, la freddezza e un’autorità maritale? È un libero accordo: perché non vi ci attenete, come volete che esse vi si attengano? [C] Non c’è prescrizione per le cose volontarie. [B] È contro l’uso;201 ma è vero tuttavia che, al tempo mio, ho fatto questo contratto, per quanto può comportarlo la sua natura, altrettanto coscienziosamente di un altro e con qualche sembianza di giustizia. E che non ho testimoniato loro il mio attaccamento se non per quanto lo sentivo, e ne ho manifestato loro sinceramente la diminuzione, il vigore e la nascita, gli accessi e le pause. Non si ha sempre lo stesso slancio. Sono stato così parsimonioso nel promettere che penso di aver mantenuto più di quanto abbia promesso o dovuto. Esse vi hanno trovato fedeltà, fino a favore della loro incostanza: dico incostanza confessata e talvolta moltiplicata. Non ho mai rotto con loro finché ci ero attaccato, non fosse che per un filo; e per quante occasioni me ne abbiano dato, non ho mai rotto fino al disprezzo e all’odio. Poiché tali intimità, anche quando le si acquistano con i più vergognosi mercati, pure mi obbligano a una certa benevolenza. Collera e impazienza un po’ eccessiva, al momento delle loro astuzie e sotterfugi, e delle nostre dispute, ne ho loro mostrata qualche volta: poiché sono per natura soggetto a bruschi accessi che nuocciono spesso alle mie faccende, per quanto siano leggeri e brevi. Se hanno voluto mettere alla prova la libertà del mio giudizio, non ho esitato a dar loro consigli paterni e mordaci, e a pungerle dove loro doleva. Se ho dato loro motivo di lamentarsi di me, è piuttosto perché hanno trovato in me un amore scioccamente coscienzioso, in confronto all’uso moderno. Ho mantenuto la mia parola in cose da cui mi si sarebbe facilmente dispensato: esse si arrendevano allora qualche volta, per ripensamento, e con capitolazioni che sopportavano facilmente che fossero violate dal vincitore. In considerazione del loro onore, più d’una volta ho frenato il piacere al suo punto culminante. E quando la ragione mi spingeva, le ho armate contro di me, tanto che si comportavano con maggior sicurezza e severità secondo le mie regole, quando vi si erano liberamente sottomesse, di quanto avrebbero fatto secondo le loro proprie. [C] Ho addossato a me solo, per quanto ho potuto, il rischio dei nostri appuntamenti, per liberarne loro. E ho organizzato i nostri incontri sempre nel modo più difficile e inopinato, perché è meno sospetto e inoltre, a parer mio, più agevole. Si è indifesi soprattutto dai lati che si ritengono di per sé difesi. Le cose meno temute sono meno vietate e osservate: si può osare più facilmente quello che nessuno pensa che oserete, che diventa facile per la sua stessa difficoltà.
[B] Mai uomo ebbe rapporti più inopportunamente procreativi.202 Questo modo di amare è più conforme alla buona regola. Ma quanto sia ridicolo per i nostri contemporanei e poco efficace, chi lo sa meglio di me? Tuttavia non mi accadrà di pentirmene. Non ho più nulla da perderci,
me tabula sacer
Votiva paries indicat uvida
Suspendisse potenti
Ora è tempo di parlarne apertamente. Ma proprio come direi forse a un altro: «Amico mio, tu sogni, al tempo tuo l’amore ha poco a che fare con la fede e la probità»,
hæc si tu postules
Ratione certa facere, nihilo plus agas,
Quam si des operam, ut cum ratione insaniasI 204
così, al contrario, se stesse in me ricominciare, sarebbe certo allo stesso modo e con lo stesso comportamento, per quanto possa essermi infruttuoso. [C] L’incapacità e la stoltezza sono lodevoli in un’azione biasimevole. [B] Quanto più mi allontano in questo dal loro temperamento, tanto più mi avvicino al mio.
Del resto, in questo mercato, non mi lasciavo andare del tutto. Mi ci compiacevo, ma non mi ci perdevo. Conservavo intero quel po’ di buon senso e di discernimento che natura mi ha dato, a beneficio loro e mio: un po’ d’emozione, ma nessuna follia. La mia coscienza pure vi si impegnava, fino alla lussuria e alla dissolutezza. Ma fino all’ingratitudine, tradimento, malvagità e crudeltà, no. Non comperavo il piacere di questo vizio a qualunque prezzo; e mi accontentavo del suo costo puro e semplice. Nullum intra se vitium est.II 205 Odio quasi nella stessa misura tanto un’oziosità stagnante e addormentata, quanto un affaccendarsi spinoso e penoso. L’uno mi irrita, l’altra mi assopisce: mi piacciono tanto le ferite quanto le ammaccature, e i colpi taglienti quanto i colpi contundenti. Ho trovato in questo mercato, quando vi ero più adatto, una giusta misura fra questi due estremi. L’amore è un’eccitazione gagliarda, viva e gaia. Non ne ero né turbato né afflitto, ma ne ero riscaldato e anche esaltato. Bisogna fermarsi lì: essa è nociva solo agli sciocchi.
Un giovane domandava al filosofo Panezio se si addicesse al saggio essere innamorato. «Lasciamo stare il saggio», rispose quello «ma tu ed io, che non lo siamo, non impegniamoci in una cosa tanto tumultuosa e violenta, che ci rende schiavi di altri e spregevoli a noi stessi».206 Diceva il vero: che non bisogna affidare una cosa di per sé tanto irruente a un animo che non abbia di che sostenerne gli assalti, e di che controbattere con i fatti le parole di Agesilao, che la saggezza e l’amore non possono stare insieme.207 È un’occupazione vana, è vero, sconveniente, vergognosa e illegittima. Ma se la si conduce in questo modo, la ritengo salutare: adatta a sveltire uno spirito e un corpo torpidi. E come medico la prescriverei a un uomo della mia tempra e condizione, tanto volentieri quanto un altro rimedio, per svegliarlo e tenerlo in forze molto avanti negli anni, e ritardare in lui i progressi della vecchiaia. Finché ne siamo solo alle soglie, e il polso batte ancora,
Dum nova canities, dum prima et recta senectus,
Dum superest Lachesi quod torqueat, et pedibus me
Porto meis, nullo dextram subeunte bacillo,I 208
abbiamo bisogno di essere sollecitati e stimolati da qualche eccitazione mordicante come questa. Guardate quanta giovinezza, vigore e allegria ha restituito al saggio Anacreonte. E Socrate, più vecchio di quanto sia io, parlando di un oggetto amoroso: «Essendomi appoggiato» dice209 «con la spalla alla sua, e avvicinata la mia testa alla sua, mentre guardavamo insieme un libro, sentii all’improvviso, in verità, una puntura alla spalla come per una morsicatura di bestia, e dopo seguitò a formicolarmi per più di cinque giorni, e me ne scese nel cuore una smania continua». Un contatto, e fortuito, e con una spalla, arriva a riscaldare e turbare un animo raffreddato e snervato dall’età, e il primo fra tutti i mortali per severità di costumi! [C] Perché no, di grazia? Socrate era uomo: e non voleva né essere né sembrare altro. [B] La filosofia non combatte i piaceri naturali, purché vi sia unita la misura, [C] e ne raccomanda la moderazione, non la fuga. [B] La forza della sua resistenza si adopera contro quelli strani e bastardi. Essa dice che gli appetiti del corpo non devono essere accresciuti dallo spirito. E ci ammonisce astutamente [C] di non voler svegliare la nostra fame saziandola. Di voler soltanto farcire il ventre invece di riempirlo. Di evitare ogni godimento che ci riduca in miseria. E [B] ogni cibo e bevanda che ci rendano assetati e affamati. Come, negli offici dell’amore, ci ordina di prendere un oggetto che soddisfi semplicemente al bisogno del corpo; che non turbi l’anima: la quale non deve trarne qualcosa per sé, ma semplicemente secondare e assistere il corpo. Ma non ho forse ragione di ritenere che questi precetti,210 i quali tuttavia sono, secondo me, un po’ rigorosi, riguardino un corpo che fa il suo dovere? E che per un corpo indebolito, come per uno stomaco rovinato, è scusabile riscaldarlo e sostenerlo artificiosamente. E con l’aiuto della fantasia, fargli tornare l’appetito e l’allegria, giacché di per se stesso l’ha perduta. Non possiamo forse dire che non c’è niente in noi, durante questa prigione terrena, di puramente corporale né spirituale? E che ingiustamente smembriamo un uomo vivo; e che sembra ragionevole che ci comportiamo nell’uso del piacere almeno così favorevolmente come facciamo nel dolore. Questo era (per esempio) violento fino alla perfezione nell’anima dei santi, grazie alla penitenza. Il corpo vi aveva naturalmente parte in virtù della loro alleanza, eppure poteva aver scarsa parte alla causa. Tuttavia non si sono accontentati che seguisse semplicemente e assistesse l’anima afflitta. Hanno afflitto anch’esso con pene atroci e appropriate, affinché anima e corpo, l’uno e l’altra a gara, sprofondassero l’uomo nel dolore, tanto più salutare quanto più acerbo. [C] Similmente, nei piaceri corporali, non è un’ingiustizia raffreddare l’anima e dire che occorre trascinarvela come a qualche obbligo e necessità forzata e servile? Spetta ad essa piuttosto alimentarli e fomentarli, presentarvisi e invitarvisi, poiché le spetta l’incarico di governare. Come anche le spetta, secondo me, nei piaceri che le sono propri, ispirarne e infonderne al corpo tutta la partecipazione che la loro qualità comporta, e industriarsi perché gli siano dolci e salutari. Poiché certo è giusto, come dicono, che il corpo non segua i suoi appetiti a danno dello spirito; ma perché non è altrettanto giusto che lo spirito non segua i suoi a danno del corpo?
[B] Non ho nessun’altra passione che mi infonda lena. Quello che la cupidigia, l’ambizione, le liti, i processi operano negli altri che, come me, non hanno un’occupazione determinata, l’amore lo farebbe più agevolmente. Mi renderebbe la sollecitudine, la sobrietà, la grazia, la cura della mia persona. Renderebbe più fermo il mio sembiante, affinché le smorfie della vecchiaia, queste smorfie deformi e miserevoli, non venissero a corromperlo [C]. Mi riporterebbe agli studi sani e saggi, per i quali potrei rendermi più stimato e più amato, togliendo al mio spirito la disperazione di sé e della propria utilità, e riconciliandolo con se stesso. [B] Mi distoglierebbe da mille pensieri noiosi, da mille umori malinconici che l’ozio e il cattivo stato della nostra salute ci addossa in tale età. Riscalderebbe almeno in sogno questo sangue che la natura abbandona. Sosterrebbe il mento, e distenderebbe un po’ i nervi e prolungherebbe il vigore e l’allegrezza dell’anima a questo pover’uomo che se ne va a gran passi verso la rovina. Ma capisco bene che è un vantaggio assai difficile a riconquistare: per debolezza e per lunga esperienza, il nostro gusto è diventato più delicato e più squisito. Domandiamo di più quando apportiamo di meno. Vogliamo scegliere di più quando meno meritiamo di essere accettati. Riconoscendoci tali, siamo meno arditi e più diffidenti: niente può assicurarci di essere amati, conoscendo la nostra condizione e la loro. Mi vergogno di trovarmi in mezzo a quella verde e bollente gioventù,
Cuius in indomito constantior inguine nervus,
Quam nova collibus arbor inhæret.I 211
Andremmo forse a mostrare la nostra miseria in mezzo a quell’allegrezza?
Possint ut iuvenes visere fervidi,
Multo non sine risu,
Dilapsam in cineres facem.II 212
Essi hanno la forza e la ragione dalla loro parte; facciamo loro posto, noi non abbiamo più possibilità di reggere.
[C] E quel germe di bellezza nascente non si lascia maneggiare da mani così rattrappite e sedurre da mezzi puramente materiali. Di fatto, come rispose quel filosofo antico213 a quello che si faceva beffe di lui perché non aveva saputo conquistare i favori di una giovinetta tenerella a cui faceva la corte: «Amico mio, l’amo non prende in un formaggio così fresco». [B] Ora, questo è un commercio che ha bisogno di relazione e di corrispondenza. Gli altri piaceri che riceviamo si possono ricambiare con ricompense di natura diversa; ma questo non si paga che con lo stesso genere di moneta. [C] In verità, in questo diletto, il piacere che faccio lusinga più dolcemente la mia immaginazione di quello che sento. [B] Certo non ha niente di generoso colui che può ricevere piacere senza darne affatto: è un animo vile, che vuol essere debitore di tutto, e che si compiace di intrattenere un rapporto con persone alle quali è di peso. Non c’è bellezza, né grazia, né intimità tanto squisita che un galantuomo debba desiderare a questo prezzo. Se esse non possono farci del bene che per pietà, preferisco di gran lunga non vivere affatto che vivere di elemosina. Vorrei avere il diritto di domandarlo nella forma in cui ho visto chieder l’elemosina in Italia: Fate ben per voi;214 [C] o al modo in cui Ciro esortava i suoi soldati: «Chi vuol bene a se stesso mi segua».215
[B] Ripiegate, mi si dirà, su quelle della vostra condizione che la comunanza della sorte vi renderà più accessibili. Oh, che sciocco e insipido accomodamento!
nolo
Barbam vellere mortuo leoni.I 216
[C] Senofonte allega a riprensione e biasimo contro Menone che nei suoi amori si giovò di oggetti sfioriti.217 Io trovo maggior voluttà nel veder soltanto la giusta e dolce unione di due giovani bellezze, o nel raffigurarmela soltanto con la fantasia, che nel fare io stesso il secondo in un’unione triste e informe. [B] Lascio questo desiderio stravagante all’imperatore Galba, che non si dedicava che alle carni dure e vecchie.218 E a quel povero miserabile,
O ego di’ faciant talem te cernere possim,
Charaque mutatis oscula ferre comis,
Amplectique meis corpus non pingue lacertis.II 219
[C] E fra le principali brutture metto le bellezze artificiali e sforzate. Emone, giovane di Chio, pensando di acquistare con begli ornamenti la bellezza che natura gli rifiutava, si presentò al filosofo Arcesilao e gli domandò se si potesse vedere un saggio innamorato: «Sì certo», rispose l’altro «purché non sia di una bellezza agghindata e sofisticata come la tua».220 Una bruttezza e una vecchiaia confessata è meno vecchia e meno brutta, secondo me, di un’altra dipinta e lisciata. [B] Lo dirò, a rischio che mi si salti alla gola? L’amore mi sembra propriamente e naturalmente nella sua stagione solo nell’età prossima alla fanciullezza:
Quem si puellarum insereres choro,
Mille sagaces falleret hospites
Discrimen obscurum, solutis
Crinibus ambiguoque vultu.III 221
[C] E la bellezza lo stesso. E se Omero la fa arrivare fino al momento in cui il mento comincia a ombreggiarsi, Platone stesso l’ha notato come raro.222 Ed è nota la causa per cui tanto argutamente il sofista Dione chiamava i peli matti dell’adolescenza Aristogitoni e Armodi.223 [B] Nella virilità lo trovo già fuor di posto. Per non parlare della vecchiaia,
Importunus enim transvolat aridas
[C] E Margherita, regina di Navarra, prolunga di molto, in quanto donna, il vantaggio delle donne, stabilendo che è tempo, a trent’anni, che cambino il titolo di belle in buone.225 [B] Più breve dominio gli diamo sulla nostra vita, meglio stiamo. Guardate il suo aspetto. È un mento di fanciullo. Chi non sa come, nella sua scuola, si proceda contrariamente a ogni regola? Lo studio, l’esercizio, la pratica, conducono all’incapacità: i novizi vi governano, Amor ordinem nescit.II 226 Certo il suo procedere ha più garbo quando vi entrano inavvedutezza e turbamento: gli errori, gli insuccessi gli danno sapore e grazia. Purché sia aspro e affamato, poco importa che sia saggio. Guardate come avanza barcollando, inciampando e pazzeggiando. Lo si mette in ceppi quando lo si guida con arte e saggezza. E si costringe la sua divina libertà quando lo si sottomette a queste mani villose e callose.227
Del resto, io le228 sento spesso descrivere quest’intesa tutta spirituale, e sdegnare di tener conto della parte che vi hanno i sensi. Tutto vi concorre. Ma posso dire di aver visto spesso che abbiamo giustificato la debolezza del loro spirito in grazia della bellezza del loro corpo; ma che non ho ancora mai visto che in grazia della bellezza dello spirito, per saggio e maturo che sia, esse vogliano tender la mano a un corpo per poco che vada in decadenza. Perché a qualcuna non prende voglia di questo nobile scambio socratico fra il corpo e lo spirito,229 [C] e non compra un’intesa e una rigenerazione filosofica e spirituale a prezzo delle sue cosce, il più alto prezzo a cui possa farle salire? Platone stabilisce nelle sue leggi230 che a colui che avrà compiuto qualche segnalata e utile impresa in guerra non si possa rifiutare, durante quella spedizione, senza tener conto della sua bruttezza o della sua età, un bacio o un altro favore amoroso, da qualunque donna egli lo richieda. Quello che egli trova così giusto in considerazione del valore militare, non può esserlo anche in considerazione di qualche altro valore? E perché non viene voglia a qualcuna [B] di acquistare sulle sue compagne la gloria di questo amore casto? Casto, dico bene,
nam si quando ad prœlia ventum est,
Ut quondam in stipulis magnus sine viribus ignis
I vizi che si soffocano nel pensiero non sono dei peggiori.
Per terminare questo notevole commentario, che mi è scappato con un fiume di chiacchiere, fiume impetuoso talvolta e nocivo,
Ut missum sponsi furtivo munere malum
Procurrit casto virginis e gremio,
Quod miseræ oblitæ molli sub veste locatum,
Dum adventu matris prosilit, excutitur,
Atque illud prono præceps agitur decursu;
Huic manat tristi conscius ore rubor,II 232
dico che maschi e femmine sono modellati nello stesso stampo: a parte l’educazione e le usanze, la differenza non è grande. [C] Platone invita indifferentemente gli uni e le altre alla comunanza di ogni studio, esercizio, incarico, occupazione guerriera e pacifica, nella sua repubblica.233 E il filosofo Antistene sopprimeva ogni distinzione fra la loro virtù e la nostra.234 [B] È molto più facile accusare un sesso che scusare l’altro. Come si dice: la padella dice nero al paiolo.
I Perché il mio animo non sia sempre intento ai propri mali
II l’animo desidera ciò che ha perduto e s’immerge interamente nell’immagine del passato
I è vivere due volte poter gioire della vita passata
II Ci allontaniamo dalla natura; seguiamo il popolo, dal quale non può venire nulla di buono
III Non anteponeva la voce del popolo alla salute dello Stato
I A loro le armi, i cavalli, le lance, la clava, la palma, il nuoto e la corsa; a noi vecchi, fra tanti giochi, lascino gli astragali e i dadi
II Mescola alla tua saggezza un po’ di follia
III per un corpo fragile, la minima ferita è insopportabile
IV E un animo malato non può sopportare nulla di penoso
V E il minimo sforzo basta a infrangere ciò che è già incrinato
I Non si raddrizza per alcuna bisogna e languisce col corpo
II Finché è possibile, la vecchiaia spiani la sua fronte corrugata
III bisogna rallegrare la tristezza con gli scherzi
IV E la triste arroganza di un volto cupo
V Questa folla di gente triste ha anch’essa i suoi cinedi
I Non ci si vergogni di dire quel che non ci si vergogna di pensare
II Perché nessuno confessa i propri vizi? Perché ne è ancora in preda. Bisogna esser svegli per raccontare i propri sogni
I Coloro che troppo fuggendo combattono Venere, errano quanto coloro che troppo la seguono
II Tu, Dea, governi sola la natura, e senza di te nulla approda alle divine rive della luce, nulla è lieto né amabile
III riconosco i segni dell’antica fiamma
IV E questo calore non mi abbandoni nell’inverno degli anni
I E i versi hanno dita
II Così la dea aveva parlato, e poiché egli esitava, circondandolo con le nivee braccia lo riscalda in un tenero amplesso. La ben nota fiamma d’un tratto lo pervade, l’ardore consueto gli penetra le midolla e corre per le ossa frementi. Così, scaturita dal tuono corrusco, una striscia di fuoco guizzante brillando attraversa le nubi. Ciò detto, la stringe nell’atteso amplesso e in grembo alla sposa abbandona le membra a un placido sonno
I Perché avida accolga il seme di Venere e lo celi nel profondo
I lei che le torce nuziali unirono nel giorno desiderato
I l’uomo è per l’uomo o un dio o un lupo
II Ed è più dolce per me vivere senza catena al collo
III Servi tuo marito come tuo signore e guardatene come da un traditore
I c’è una fatalità in quelle parti che le vesti nascondono: infatti, se gli astri ti abbandonano, non ti servirà a nulla la lunghezza inusitata del tuo membro
I L’una e l’altra Venere gli erano note
II la vulva tesa, ancora bruciante di voluttà, ella si ritirò stanca, ma non sazia di uomini
I Infine, abbi pudore, oppure andiamo davanti al giudice: ho pagato caro il tuo membro virile, non è più tuo, Basso; l’hai venduto
I La vergine in età da marito si compiace d’imparare danze ioniche, ci si fiacca le membra e fin dalla tenera infanzia sogna amori impudichi
I E Venere stessa le ha ispirate
II La compagna del niveo colombo o di qualsiasi uccello più lascivo, mordicchiandolo senza posa col becco e strappandogli baci, non gode mai tanto quanto la donna che si abbandona alla passione
III E spesso i libretti degli stoici si trovano fra serici cuscini
I Evidentemente l’incontinenza è necessaria per la continenza; l’incendio si estingue con le fiamme
I È causa di scandalo esporre le nudità agli occhi dei cittadini
II Tutti gli esseri che vivono sulla terra, uomini, bestie, animali del mare, greggi e uccelli variopinti si lanciano in questo ardente fuoco
I E tu, daresti forse per tutta la fortuna di Achemene, o per le ricchezze di Migdone, re della fertile Frigia, o per i tesori d’Arabia, un capello di Licinnia, quando piega il collo ai tuoi baci ardenti o, con crudeltà presto vinta, li rifiuta, lei che gode di lasciarseli rapire più di te che li cerchi, e talvolta è la prima a prenderteli?
II La forza del diavolo è nei lombi
I È forse proibito accendere una fiaccola alla fiamma di un’altra fiaccola? Diano pure senza posa, non si perde nulla
II Nessun adultero trafitto dalla spada d’un marito ha mai tinto di sangue purpureo le acque stigie
III Ah misero, che triste sorte, ti legheranno i piedi, e per l’uscio aperto passeranno rafani e muggini
I e uno degli dèi, non dei più austeri, si augura un disonore simile
II Perché cercar delle ragioni tanto lontano? Dov’è finita, o dea, la tua fiducia in me?
III Come madre chiedo armi per mio figlio
IV Si tratta di fabbricare armi per un uomo valoroso
V e non è giusto paragonare gli uomini agli dèi
VI Spesso Giunone medesima, la più grande fra le abitanti del cielo, ardeva di gelosia per i tradimenti quotidiani del suo sposo
I Non vi sono odii implacabili, se non quelli dell’amore
II e si sa di che cosa è capace il furore di una donna
I Il cui membro puerile, che pende più floscio d’una tenera bietola, non si è mai rizzato in mezzo alla tunica
I Fa spesso quello che fa senza testimoni
II Una puttana più ingenua mi scandalizza meno
III Un’ostetrica, verificando con la mano la verginità d’una fanciulla, sia per malizia, sia per incompetenza, sia per caso, esaminandola gliel’ha fatta perdere
I Metti il catenaccio, rinchiudila; ma chi guarderà i guardiani? Tua moglie è astuta, ed è da loro che comincia
I fino a colui che comandava a tante legioni e che, per tanti aspetti, era migliore di te, miserabile
I La sorte ci nega perfino degli orecchi aperti ai nostri lamenti
I Cerca senza posa le occasioni di peccare
II Quando vuoi, non vogliono; quando non vuoi, vogliono: si vergognano di seguire la via lecita
I e allenta del tutto le briglie al suo furore
II spesso Marte, potente per le armi, signore della guerra, viene a rifugiarsi nel tuo grembo, vinto a sua volta dall’eterna ferita d’amore: in te, Dea, fisso il volto, pasce gli sguardi avidi d’amore e, riverso il corpo, il suo respiro è sospeso alle tue labbra: e mentre riposa così, tu, Dea, coprendolo col tuo corpo sacro, effondi dalla bocca soavi parole
III Tutto il loro discorso è contesto di virilità; non si occupano di fioriture
IV È il pensiero che rende eloquenti
I che crudeltà è questo trastullarsi?
I che cosa impedisce di dire la verità ridendo?
I Abbiamo vergogna di noi stessi
II E per l’esilio abbandonano le dimore e le dolci case
I Miserabili, essi ritengono un crimine i loro piaceri
II E nuda l’ho stretta contro il mio corpo
I saziata la libidine dell’avido desiderio, non rispettano più la loro parola, non temono lo spergiuro
I A chi ha un naso da cane, da cui pende un muco nerastro, e la barba irta: preferirei cento volte leccargli il culo
I come se preparassero il vino e l’incenso per il sacrificio: diresti che è assente o di marmo
II se si concede a te solo, se segna quel giorno con una pietra più bianca
III Ti stringe fra le braccia, ma sospira altri amori lontani
I La lussuria è una belva che, irritata dalle sue catene, sia lasciata andare
II Ho visto una volta un cavallo ribelle al freno, lottando col morso andar come il fulmine
I Nate per subire
I tentato invano il fianco e gli inguini molli come cuoio bagnato, che la sua mano inutilmente cerca di eccitare, abbandona il talamo imbelle
II Bisognava cercare altrove uno dotato di maggior forza e capace di sciogliere la sua cintura di vergine
I se non può venire a capo della sua dolce bisogna
II capace appena di un solo assalto
III non temete nulla da un uomo di cui, ahimè, l’età si è affrettata a compiere il decimo lustro
IV Come avorio dell’India tinto di porpora sanguigna, o come bianchi gigli che, misti a rose, ne riflettono il vivo colore
V E, senza una parola, i suoi sguardi erano carichi di scherno
I Se il mio membro non è abbastanza lungo né grosso: certo le matrone se ne intendono e guardano di mal occhio un membro esiguo
I che un solo uomo si adatti a una così grande varietà di costumi, di discorsi e di volontà
II Che io possa morire se la tua fessura non è appena un segno
III Una verga di amico la contenta e la soddisfa
IV Se di nascosto, nell’oscurità della notte, vi ha accordato qualche favore
I la parete del tempio con la tavola votiva indica che ho consacrato al potente dio del mare le mie vesti ancora bagnate
I voler assoggettarlo a regole è come pretendere di sragionare ragionevolmente
II Non c’è vizio che sia chiuso in se stesso
I Quando la canizie è recente, la vecchiaia appena iniziata è ancor vigorosa, Lachesi ha ancora da filare, e le gambe mi reggono senza che la mano si appoggi al bastone
I Il cui membro nell’inguine indomito è più saldo dell’albero giovane che si leva dritto sulla collina
II Perché la gioventù ardente non risparmi le risa vedendo la nostra fiaccola ridotta in cenere
I non voglio strappare la barba a un leone morto
II Gli dèi facciano sì ch’io possa vederti così, ch’io possa baciare teneramente i tuoi capelli incanutiti e stringer fra le braccia il tuo corpo smagrito
III Se introdotto in un coro di fanciulle, con i capelli fluenti e i lineamenti indecisi, potesse ingannare sul suo sesso mille ospiti sagaci
I Poiché sdegnoso vola lontano dalle querce spoglie
II L’amore non conosce regola
I poiché se talvolta si viene alla lotta, è come un gran fuoco di paglia, senza forza, che brucia invano
II Così come un pomo, dono furtivo mandato dall’amato, sfugge dal grembo d’una casta vergine quando, dimentica d’averlo nascosto sotto la morbida veste, ella si leva all’arrivo della madre; il frutto cade e rapido rotola lontano, e il rossore della vergogna si diffonde sul volto rattristato