CAPITOLO XIII
1 Virgilio, Eneide, III, 72.
2 Lucrezio, II, 1164, 1166-1167, 1170, sulla decadenza del mondo dopo l’età dell’oro.
3 Seneca il retore, Suasoriæ, I, 4.
4 Lucano, V, 579-581 e 583-584: viene omessa un’espressione di fiducia negli dèi.
5 Ibid., 654-657.
6 Virgilio, Georgiche, I, 466-467.
7 Plinio, II, 8, contro l’idea che a ogni uomo sia collegata una stella.
8 Lucano, II, 178-180, a proposito delle vittime di Silla; ma le espressioni di crudeltà che precedono sono quelle di Caligola e Tiberio, secondo Svetonio, IV, 30 e III, 61.
9 Lucano, IV, 798, che reca impiger ad letum, et… (pronto a morire e…).
10 Nel testo francese en la Prusse (in Prussia) è un errore uditivo del segretario. Cfr. Plutarco, Vita di Cesare, XLV.
11 Tacito, Annali, IV, 22; VI, 48.
12 Non l’oratore, cfr. Plutarco, Vita di Nicia, XLVIII.
13 Appiano, Des guerres des Romains, XII, La Guerre de Mithridate, 60.
14 Tacito, Annali, XVI, 15.
15 Svetonio, I, 87.
16 Plinio, VII, 53.
17 Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 8, che traduce un verso di Epicarmo e condivide la sua accettazione di esser morto senza mettere l’accento sul suo timore del trapasso. Cfr. III, IX, pp. 1803-1804.
18 Cornelio Nepote, Vita di Attico, 21-22.
19 Diogene Laerzio, VII, 176.
20 Seneca, Epistole, 77, e cfr. ibid. 24.
21 Orazio, Ars poetica, 467: considerazioni umoristiche sui suicidi di uomini ispirati.
Postilla. Questo capitolo sembra collegarsi alle meditazioni che variamente tratteggiavano fin dall’inizio degli Essais una sorta di saper-morire (in particolare I, XIV, XIX e XX; II, III e VI); ne presenta soprattutto un’illustrazione attraverso alcuni esempi storici scelti e ordinati in modo da privilegiare le morti più lucide (studiate e digerite) e le più volontarie, con un sogno d’eroismo testimoniato dall’evocazione finale del suicidio di Catone.
CAPITOLO XIV
1 Cfr. Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, XXIII, 1065ab, dove le due ipotesi, dell’impulso fortuito e delle determinazioni incoscienti, sono attribuite allo stoico Cleante, perciò tacciato di contraddizione.
2 Gli asintoti sono già stati presentati nel cap. XII, p. 1051, come un’aberrazione della ragione, malgrado le spiegazioni di Peletier du Mans. I paradossi matematici presentati qui e ad essi associati potrebbero essere stati ispirati dai trattati de La dotta ignoranza (II, 3 e 4) e del Profano (IX e X) di Niccolò Cusano.
3 Plinio, II, 7.
Postilla. Combinazione umoristica (curiosa) delle aporie comunemente citate nella diatriba scettica con l’ipotesi della contingenza delle scelte determinate impercettibilmente.
CAPITOLO XV
1 Quella dei pirroniani (cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 6, 12 e 27, 202).
2 Seneca, Epistole, 4.
3 Ibid., 98.
4 Ovidio, Amores, II, 19, 27-28.
5 Seneca, De beneficiis, VII, 9, che precisa che la regola vale apud imperitos (per gli sconsiderati).
6 Marziale, IV, 38, 1, che aggiunge: sed noli nimium, Galla, negare diu (ma non troppo a lungo, Galla).
7 Plutarco, Vita di Licurgo, XXVIII.
8 Orazio, Epodi, XI, 9, dove si tratta dei segni rivelatori dell’amore.
9 Plutarco, Vita di Pompeo, III.
10 Lucrezio, IV, 1079-1080 e 1082-1083.
11 Il santuario di San Giacomo di Compostella, in Galizia. Nel Journal, alla data 10 settembre 1581, Montaigne ha modo di fare la stessa osservazione, a proposito dei bagni di Pisa poco frequentati dalla gente del luogo, come il santuario di Loreto, che è raramente meta di pellegrinaggio per quelli che vi abitano vicino.
12 Cfr. Plutarco, Vita di Catone Uticense, XXXVI e LXVIII.
13 Orazio, Satire, I, 2, 108: si tratta del paragone con un cacciatore.
14 Ovidio, Amores, II, 19, 47-48.
15 Cfr. Terenzio, Phormio, 162: citazione abbreviata.
16 Ovidio, Amores, II, 19, 33.
17 Properzio, II, 14, 19-20.
18 Tacito, Annali, XIII, 45, che esita tra civetteria e simulazione di pudore.
19 Virgilio, Egloghe, III, 65.
20 Properzio, II, 15, 6.
21 Cfr. Valerio Massimo, II, 1, 4, o Aulo Gellio, IV, 3.
22 Ovidio, Amores, II, 19, 3.
23 Seneca, De clementia, I, 20-21.
24 Rutilio Namaziano, De reditu suo, I, 397, dove si tratta della religione giudaica.
25 Erodoto, IV, 23.
26 Seneca, Epistole, 68, per sconsigliare di attirare l’attenzione con un eccesso di isolamento.
27 Dall’inizio delle guerre civili.
Postilla. I rapporti tra desiderio e divieti sono presi come tema di riflessioni ancora più disparate di quanto annunci l’iniziale formula pirroniana. Dopo una concessione ai precetti di austerità viene adottata la prospettiva di un’erotica cortese dell’insoddisfazione (cfr. III, V, da cui potrebbe derivare l’allusione alle astuzie del linguaggio pudico, nell’aggiunta manoscritta a p. 1135); poi, a proposito delle guerre di religione, un provvidenzialismo della prova purificatrice; e infine, nell’ordine politico, un apparente utilitarismo destinato a confutare le massime di coercizione e repressione. Una lunga aggiunta manoscritta alla fine del capitolo aumenta l’importanza di quest’ultimo intento, ma come massima personale di salvaguardia mediante la fiducia (cfr. I, XXIV, pp. 231-235 e la fine di III, XII).
CAPITOLO XVI
1 Luca, 2, 14, vangelo della Natività.
2 Tutto questo preambolo in realtà si ispira alla Teologia naturale di Sebond, cap. CXCI.
3 Versi tradotti dall’Odissea, XII, 184.
4 Crisippo e Diogene, citati da Cicerone, De finibus, III, 17. Non viene mantenuta la riserva detracta utilitate (salvo nella misura in cui è utile), che permette di porre la buona reputazione tra le cose preferibili senza attribuirle un valore intrinseco, che ne avrebbe fatto un bene.
5 Giovenale, VII, 81, dove il poeta auspica inoltre dei vantaggi materiali.
6 Citato e criticato da Plutarco, De latenter vivendo, I, 1128b, che comincia con tacciare d’incoerenza il filosofo che proclama ai quattro venti la sua massima di discrezione.
7 Testo riportato da Cicerone, De finibus, II, 30.
8 Aristotele, Etica a Nicomaco, II, 7, (1107b) tra altri precetti sul giusto mezzo.
9 Orazio, Odi, IV, 9, 29, per mostrare che gli eroi hanno bisogno dei poeti che li celebrino.
10 Secondo Cicerone, De finibus, II, 18.
11 Ibid., 17 e 18.
12 Id., De officiis, III, 18, dove Cicerone esprime il proprio biasimo.
13 Ibid., 10.
14 Sallustio, Catilina, VIII, che deplora la sorte che ha negato a Roma cantori degni di lei.
15 Cicerone, De officiis, I, 4.
16 Ibid., 19.
17 San Paolo, Seconda lettera ai Corinzi, 1, 12.
18 In italiano nel testo. Ariosto, Orlando furioso, XI, 81.
19 Orazio, Odi, III, 2, 17-20.
20 Cicerone, De finibus, I, 10.
21 Id., Tusculanæ disputationes, V, 36.
22 Tito Livio, XXXI, 34, che aggiungeva tam incertum (così instabile).
23 Seneca, Epistole, 91.
24 Cfr. Cicerone, De finibus, II, 15, che reca <multitudinis rumore laudari,> si quando turpe non sit, tum esse non turpe, cum […] laudetur quod sit ipsum per se rectum (non è esente da biasimo, quando ottiene gli elogi della folla, che nella misura in cui è giusta in se stessa). Montaigne ha modificato il testo per renderlo più severo.
25 Quintiliano, Institutio oratoria, I, 12, 18, a proposito degli studi e della cultura.
26 Seneca, Epistole, 85.
27 Cfr. Ovidio, Heroides, I, 18, testo modificato e distorto nel significato. Penelope evoca le proprie preoccupazioni per Ulisse: Flebam successu… (piangevo pensando che le sue astuzie potevano non riuscire).
28 Tito Livio, XLIV, 22.
29 Persio, I, 47, sulla gloria letteraria.
30 L’anello di Gige, apologo di Platone, Repubblica, II, 359d-360b (forse secondo Cicerone, De officiis, III, 9).
31 Orazio, Epistole, I, 16, 39-40.
32 Persio, I, 5, di cui si rammenta il consiglio finale, di non decidersi seguendo l’opinione.
33 Autore dell’incendio del tempio di Diana a Efeso. Esempio tratto da Bodin, prologo del Methodus.
34 Aspirante alla tirannide. Come il precedente, esempio tratto da Bodin.
35 Persio, I, 37-40, che presenta questi benefici che il poeta ricava dalla fama postuma con un’ironia sottolineata nel contesto dalla reazione del destinatario (Rides, ait… [Scherzi, dice…]).
36 Cfr. I, XLVI.
37 Giovenale, XIII, 9-10.
38 Virgilio, Eneide, VII, 646, dove si tratta di antiche città italiche.
39 Plutarco, Apophthegmata Laconica, 238b.
40 Virgilio, Eneide, V, 302, a proposito dei compagni anonimi di Enea.
41 Seneca, Epistole, 81.
42 Cicerone, De finibus, II, 22.
43 Platone, Leggi, XII, 950bc.
44 Cicerone, De natura deorum, I, 20.
45 Diogene Laerzio, III, 26.
46 Joinville, Histoire de Saint Louis, LI, p. 262.
47 Lucano, I, 461, a proposito dei Galli.
48 Cicerone, De finibus, II, 15.
49 Ovidio, Amores, III, 4, 4.
Postilla. Questa critica della gloria, soprattutto di quella che si acquista in guerra (con fatti d’armi paradossalmente tacciati di ipocrisia, pp. 1157), è collegata con un’allusione (p. 1161) al capitolo Dei nomi (I, XLVI), il che potrebbe indicare come bersaglio principale il codice della nobiltà di spada, esplicitamente menzionata a p. 1151; e le considerazioni finali, che giustificano l’inganno per la sua utilità politica, lo confermerebbero. Tuttavia, citando in primo luogo la preoccupazione della reputazione postuma percepibile nell’ultimo scritto di Epicuro, nonostante il suo precetto di anonimato (p. 1147), Montaigne attacca la notorietà dei filosofi, prolungando le critiche riflessive sottese in I, XXXIX, XL e XLI, a costo di presentare questa contraddizione intima come un enigma (noi siamo, non so come, doppi in noi stessi, ibid.). Di conseguenza, il capitolo può leggersi come un preambolo alla meditazione che lo segue – di enunciazione del tutto personale – Della presunzione (II, XVII): come se, svalutando la gloria in generale, lo scrittore avesse fatto un saggio poco convincente della sua modestia, e dovesse metterla in chiaro.
CAPITOLO XVII
1 Orazio, Satire, II, 1, 30, che prende Lucilio come garante dei suoi scritti.
2 Tacito, Agricola, I.
3 Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, IX, 55d; Vita di Alcibiade, II; Vita di Cesare, IV.
4 Ammiano Marcellino, XXI, 16.
5 Figura geometrica per calcolare i movimenti apparenti del pianeta.
6 Delle piene estive del Nilo, ancora inspiegate nel XVI secolo.
7 Tale sentenza è iscritta in latino su una delle travi della biblioteca di Montaigne. Il testo biblico (Ecclesiaste, 1, 13) è però alquanto diverso.
8 Orazio, Ars poetica, 372-373.
9 Marziale, XII, 63, 13, che costata con disappunto che colui che l’aveva plagiato, essendo un cattivo poeta, non rischiava di essere plagiato a sua volta. Montaigne altera il senso del testo.
10 Diodoro Siculo, XV, 6 e 7, poi (l’oracolo) 74.
11 L’errore di aver preso le Lenee, feste di Bacco durante le quali fu premiata la tragedia, per il titolo della tragedia medesima, deriva da Amyot, al quale Montaigne si ispira.
12 Ovidio, Epistulæ ex Ponto, I, 5, 15-16.
13 Plutarco, Conjugalia præcepta, XXVIII, 141f, che cita Platone, consigliando a Senocrate di far sì che il suo stile e il suo approccio siano meno ostici.
14 Pindaro, Odi olimpiche, XIV, trad. latina di Nicolas Lesueur (Sudorius), Paris, Morel, 1575.
15 Cicerone, Academica, I, 2: tipi di filosofi dilettanti che dissertano senza metodo né precisione.
16 All’inizio della sua traduzione del Timeo.
17 Orazio, Ars poetica, 25-26.
18 Cfr. Politico, XXIV, 283c, e Leggi, X, 887b.
19 Dialogus de oratoribus, 39.
20 Cfr. Cicerone, De finibus, IV, 7 e 14, e sulla questione della mescolanza del corpo e dell’anima e delle sue implicazioni etiche, cfr. le ultime pagine dei Saggi, III, 13.
21 Lucrezio, V, 1110, sugli uomini primitivi.
22 Baldassarre Castiglione, nel Cortegiano, I, 20, pur raccomandando una statura media, ritiene che una statura bassa, propizia all’agilità, sia più auspicabile di una alta.
23 Etica a Nicomaco, IV, 7 (1123b).
24 Aristotele, Politica, IV, 3, 4, 1290b, soltanto sugli Etiopi.
25 Virgilio, Eneide, VII, 783-784.
26 Salmi, 44, 3.
27 Repubblica, VII, 535a.
28 Plutarco, Vita di Filopemene, III.
29 Marziale, II, 36, 5, con tibi anziché mihi. Dopo avere riconosciuto al suo interlocutore questi segni di virilità, il poeta aggiunge: sed mens est vulsa tibi (ma hai lo spirito depilato).
30 Lucrezio, II, 1131-1132.
31 Orazio, Epistole, II, 2, 55.
32 Id., Satire, II, 2, 12, a proposito del gioco della pallacorda.
33 Giovenale, III, 54 (Tanti tibi: è un consiglio alla seconda persona).
34 Orazio, Epistole, II, 2, 201-204.
35 Ibid., I, 6, 45-46.
36 Seneca, Agamemnon, 420.
37 Terenzio, Adelphœ, 219: parole di un prosseneta che teme di essere ingannato, come effettivamente sarà.
38 Properzio, III, 3, 23: consiglio di Apollo al poeta troppo ambizioso.
39 Seneca, Agamemnon, 154: Clitennestra che progetta di uccidere il marito.
40 Orazio, Epistole, I, 1, 51.
41 Properzio, III, 9, 5-6.
42 Giovenale, XIII, 60-63.
43 Cicerone, Pro Ligario, XII: perorazione affinché Ligario ottenga la grazia di Cesare.
44 Etica a Nicomaco, IV, 8 (1124b).
45 Apollonio di Tiana, Epistola 83, citata da Filostrato, in appendice alla Vita di Apollonio di Tiana.
46 Carlo VIII, secondo Gilles Corrozet, Les divers propos mémorables des nobles et illustres homme de la chrestienté (diverse edizioni dell’opera fra il 1550 e il 1580).
47 Cicerone, De officiis, II, 9.
48 Cfr. Tacito, Annali, I, 11.
49 Dall’uso delle frodi politiche si deduce qui la slealtà ai trattati basati su queste frodi, oltraggio ancora più grave al diritto naturale. L’allusione è a quei precetti di astuzia che sedicenti seguaci di Machiavelli (Quelli che, al tempo nostro) avevano tratto dal Principe.
50 Secondo Paolo Giovio, Historiæ sui temporis, XXXVI.
51 Diogene Laerzio, II, 68.
52 Plinio, VII, 24, riportato da Messie (Diverses leçons, III, 8, Que la mémoire se peut maculer), che cita anche come esempio Giorgio di Trebisonda.
53 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 7.
54 Terenzio, Eunuchus, 105, dove il personaggio si dichiara incapace di mantenere un segreto.
55 De senectute, VII, che invoca l’avarizia dei vecchi per contestare la loro pretesa amnesia: non è vero che dimentichino dove hanno messo la borsa dei soldi.
56 Forse Montaigne allude qui a una lettera di Plinio il giovane (III, 5) in cui questi racconta che suo zio, Plinio il vecchio, si serviva di un lettore e di un segretario che prendeva appunti sotto la sua dettatura, e rimproverava quest’ultimo perché perdeva tempo.
57 Cfr. Diogene Laerzio, IX, 53, a proposito di Protagora di Abdera.
58 Marziale, XIII, 2, 1.
59 Nel settembre del 1559, quando Francesco II accompagnava in Lorena sua sorella Claudia di Francia, sposa al duca di Lorena Carlo III.
60 Petrarca, Rime, 168: incertezza sulle promesse di Amore.
61 Diogene Laerzio, VII, 179.
62 Terenzio, Andria, 266.
63 Atti degli Apostoli, 1, 26, abitualmente citato per giustificare il ricorso al sorteggio.
64 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 21: massima scettica opposta agli stoici e anche a Carneade.
65 Panegirico di Messalla, attribuito a Tibullo e inserito nelle sue opere, III, VII (ed. Ponchont, Paris, Belles-Lettres, 1950; o IV, I, secondo altri editori), 41, dove si tratta delle capacità di Messalla, pari in guerra e nel foro.
66 Orazio, Epistole, II, 2, 97, che descrive uno scambio di elogi tra colleghi, paragonato a un combattimento di gladiatori.
67 Giovenale, VIII, 183-184.
68 Montaigne stesso ha commesso questo errore in III, XIII, p. 2071.
69 Lucrezio, V, 961 (che reca sibi quisque [ognuno per sé]), a proposito degli uomini primitivi e della loro indifferenza all’interesse comune.
70 Persio, IV, 23.
71 Cicerone, De officiis, I, 31.
72 Cfr. I, XXVI.
73 Diogene Laerzio, IV, 16 e, con maggiori dettagli, Valerio Massimo, VI, 9, ext. 1.
74 Orazio, Satire, II, 3, 253-257.
75 Lattanzio, Institutiones divinæ, III, 5 (tratto dalle Politiche di Giusto Lipsio).
76 Francesco di Guisa, assassinato nel 1563 da Poltrot de Méré. Cfr. l’inizio del cap. XXIV del libro I.
77 Piero Strozzi, uomo di guerra fiorentino passato al servizio dei re di Francia, morto nel 1558 nell’assedio di Thionville.
78 François Olivier, cancelliere di Francia sotto Francesco I ed Enrico II. Michel de l’Hospital, consigliere al Parlement (tribunale) di Parigi, presidente della Camera dei conti, poi cancelliere di Francia sotto Carlo IX. Montaigne, che gli dedicò la sua raccolta degli opuscoli di La Boétie, lo citerà ancora poche righe più avanti come poeta neolatino. Entrambi si sforzarono (soprattutto il secondo, organizzando il Colloquio di Poissy, 1561, indetto da Caterina de’ Medici nel tentativo di conciliare cattolici e protestanti) di prevenire, poi di pacificare, i conflitti di religione in Francia.
79 Jean Dorat (in latino Auratus), professore al collegio di Coqueret, maestro di Ronsard e di du Bellay, umanista e poeta neolatino, come il sodale di Calvino, Théodore de Bèze, autore di Juvenilia e Poemata.
80 George Buchanan, autore di epigrammi e di tragedie in latino. Montaigne lo ha già citato in I, XXVI, come suo precettore al collegio di Guyenne. L’aver citato dei poeti eretici (appunto Buchanan e Bèze) fu una delle accuse rivolte a Montaigne dal Maestro del Sacro Palazzo a Roma; cfr., I, LVI, nota 4. Si veda anche la protesta di Montaigne in merito: III, X, p. 1883.
81 Pierre Montdoré, bibliotecario del re, amico di Michel de l’Hospital, fu matematico e poeta. Si firmava Montaureus in latino.
82 Turnèbe (1512-1565), umanista erudito, editore e commentatore di numerosi testi greci, che Montaigne ha già citato (cfr. I, XXV, nota 26, e supra XII, nota 7).
83 Capi militari, entrambi attivamente impegnati a restaurare l’autorità dei loro re rispettivi (quella di Filippo II con la repressione dei Paesi Bassi insorti e quella di Carlo IX con la lotta contro i protestanti).
84 Detto “braccio di ferro”, capitano protestante e letterato, autore di Discours politiques et militaires, pregevoli per la loro moderazione.
85 Questo elogio di Marie de Gournay non compare nell’Esemplare di Bordeaux, ma un segno di inserzione indica il luogo che doveva occupare. Alcuni commentatori (Armaingaud tra gli altri) l’hanno considerato apocrifo: la “figlia spirituale” lo avrebbe redatto di suo pugno per inserirlo nell’edizione postuma dei Saggi. Nonostante le riserve che è necessario mantenere sulla fedeltà di questa edizione (cfr. l’introduzione a questa edizione, Per leggere gli Essais), sembra inconcepibile che una frode così grossolana abbia potuto passare inosservata o ottenere la complicità di Pierre de Brach, L’Angelier e Madame de Montaigne, corresponsabili della pubblicazione del 1595. Non si trattava infatti di quei ritocchi formali o attenuazioni di senso che gli editori del XVI secolo stampavano senza troppi scrupoli, non avendo ancora una nozione abbastanza precisa della proprietà letteraria. Formulando un giudizio su una persona determinata, il testo assume valore di testimonianza e garanzia; su questo punto il codice dell’epoca era altrettanto rigido del nostro, e forse molto di più. Si noti inoltre che, se più tardi (e precisamente nel 1635) Marie de Gournay si permise d’intervenire su questo testo, fu piuttosto per sopprimere le espressioni più calorose: segno di un certo pudore di fronte all’omaggio, che rende difficile immaginare che lo avesse lei stessa redatto all’origine. Sembra dunque legittimo mantenere questo passo nel corpo del testo, anche se manca ancora una prova decisiva della sua autenticità.
86 Marie de Gournay aveva poco più di diciott’anni quando lesse nella sua dimora di Piccardia (nella sua provincia) la prima versione dei Saggi, nel 1584, quattro anni prima di conoscerne l’autore. Il suo entusiasmo, a quanto dice, l’avrebbe fatta tacciare di stravaganza da parte dei familiari. Comunque sia, questo primo incontro per interposto libro ricorda Montaigne che scopre La Boétie attraverso il Discours de la Servitude volontaire.
Postilla. Le prime parole (C’è un’altra specie di gloria) saldano questo capitolo al precedente, aprendo, grazie al suo oggetto, una prospettiva in controcampo: simmetrico al prestigio che si richiede alla notorietà, quello che ci attribuiamo da soli per orgoglio o per disprezzo degli altri. Come indica il titolo, il testo non ha lo scopo di esibire un’immagine, ma di riflettere lo sguardo che la coglie nello specchio. L’autoritratto è qui il tema di un saggio del giudizio che lo valuta (p. 1211), scongiurando le tentazioni antitetiche del deprezzamento e del compiacimento. Non per questo risulta meno dettagliato, e l’analisi pragmatica rivelerebbe facilmente, soprattutto nelle ultime versioni, il lavorio di un narcisismo appena mascherato dal pretesto documentario, e forse raddoppiato per la coincidenza con il solo merito rivendicato da Montaigne, quello della lucidità riflessiva e dell’attenzione a sé (pp. 1217-1221). Ma l’intento va oltre: descrizioni, valutazioni e sdoppiamento critico producono, come incidentalmente, scelte morali espresse con vigore, soprattutto a proposito della finzione e dissimulazione auspicata dai furbi (pp. 1199-1203); ne consegue che il saggio dello sguardo su di sé finisce per tracciare i lineamenti di un’etica personale dell’autenticità, come conferma l’assiologia operante nella seconda parte del capitolo (pp. 1121-1129) per distinguere i meriti di alcuni personaggi eccezionali.
CAPITOLO XVIII
1 Orazio, Satire, I, 4, 73-75.
2 Persio, V, 19: la fine del secondo verso dare pondus idonea fumo (capace di dar peso al fumo), qui cancellata, è citata a p. 1909 (III, XI).
3 Sant’Agostino, Civitas Dei, I, 13.
4 Cioè la stampa.
5 Marziale, XIII, 1, 1.
6 Catullo, XCV, 8, in un contesto analogo.
7 Cfr. I, VIII.
8 Clément Marot, Epître de Frippelippe, con al secondo verso Zon sur le ventre du Sagoin, cioè di Sagon, nemico del poeta.
9 Secondo Plutarco, Vita di Mario, LI.
10 Platone, Repubblica, III, 389b.
11 Salviano, De gubernatione Dei, IV, 68: questo vescovo di Marsiglia, nella Gallia romana cristianizzata, accusava i Franchi di perfidia, ma li perdonava poiché ignoranti della legge divina e incriminava con maggior virulenza di quel peccato i suoi correligionari.
12 Plutarco, Vita di Lisandro, XIII, per questa espressione di condanna e per le parole di quel bontempone di Grecia, ancora Lisandro, citato infra.
13 López de Gómara, Histoire générale des Indes occidentales, II, 28.
Postilla. Trattando per preterizione (rimando a un’altra volta, p. 1237) il tema indicato dal titolo, Montaigne mette l’accento sul suo presupposto, il sospetto di menzogna suscitato in particolare dall’autodescrizione (Ma come potremo prestar fede, p. 1235). Formula così una sorta di domanda pregiudiziale sul progetto enunciato nel capitolo precedente (p. 1211), privilegiato dalla frase di raccordo (su questo proposito di servirsi di sé come soggetto nello scrivere, p. 1229) ed esteso all’insieme del libro. Nelle prime versioni, astenendosi da qualunque dichiarazione di sincerità (che sarebbe a sua volta sospetta), Montaigne ingiunge implicitamente al lettore di accordargli la sua fiducia, senza garanzie. Nell’ultima, una lunga aggiunta tratta della legittimità e della portata dell’impresa dei Saggi, pur non ritornando sulla questione della loro veridicità.
CAPITOLO XIX
1 Questa riabilitazione dell’imperatore Giuliano fu biasimata dal Maestro del Sacro Palazzo, cfr. I, LVI, nota 4.
2 Nell’opera del suo storico Ammiano Marcellino (XXIV, 4, per questo primo aspetto, poi XXII, 10 e XXV, 5, per la giustizia, XXV, 4, per le misure fiscali); è la fonte di quasi tutta la documentazione del capitolo.
3 Ibid., XXII, 10 e XXV, 4.
4 Gli storici cristiani Zonara (Chronikon, III, f. 11r, C-D), di cui Montaigne adotta la versione, e Sozomeno di Costantinopoli (Storia ecclesiastica, VI, 4), secondo cui Giuliano avrebbe risposto: “Il tuo dio di Galilea non ti guarirà.”
5 Breviarium ab urbe condita, X, 8.
6 Ammiano Marcellino, XXV, 4, poi XVI, 5 (vigilanza), XXV, 3 (circostanze della sua morte), XXV, 5 (convinzioni filosofiche), XXV, 4 (superstizioni), XXV, 3 (avvertimenti divini).
7 Teodoreto di Cirro, Historia ecclesiastica, III, 20, e Zonara, Chronikon, III, f. 12r, B.
8 Ammiano Marcellino, XXII, 2, poi (Infine…) XXII, 5 (traduzione letterale).
9 Con l’editto di Beaulieu (1576) o forse con quello di Poitiers (1577), che riconoscevano ai protestanti il diritto di celebrare il loro culto, pur con varie restrizioni. Il plurale i nostri re potrebbe rimandare a Enrico III, Enrico re di Navarra e François d’Alençon, allora erede presunto della corona di Francia, che avevano negoziato l’editto di Beaulieu (o Pace di Monsieur, ossia di François d’Alençon). Su questo tema, cfr. I, XXIII, p. 219: e sarebbe meglio far volere alle leggi…, e Innocent Gentillet, Discours sur les moyens de bien gouverner, III, 20, pp. 432-436.
Postilla. Designato dal titolo e dalla tardiva frase introduttiva (E per venire all’argomento del mio tema…, p. 1243), il tema del capitolo è proprio la libertà di coscienza, questione che l’editto del 1576, relativamente tollerante nei confronti dei riformati, e la creazione della Lega per impedirne l’applicazione rendevano di immediata attualità alla data probabile di redazione. Ma l’argomento è trattato indirettamente, mediante un montaggio logico intorno al personaggio e al ruolo di Giuliano l’Apostata. Un insieme di caratteristiche attinte principalmente da Ammiano Marcellino senza indicazione di provenienza fa riconoscere in lui un principe esemplare, ingiustamente denigrato dagli storici favorevoli al cristianesimo. Poi, staccata a mo’ di citazione, viene riportata l’opinione di Ammiano Marcellino sulla tolleranza reciproca raccomandata alle sette cristiane: in realtà, secondo il cronista, manovra per alimentare i loro dissensi. Come conclusione viene formulata una domanda applicabile alle misure liberali prese da Enrico III e François d’Alençon: la libertà di coscienza accordata ai protestanti pacificherà o fomenterà gli antagonismi? Il lettore che avrà riconosciuto nell’astuzia imputata a Giuliano un tipico comportamento da “tiranno” (dividere i sudditi per meglio dominarli), incompatibile con le virtù politiche precedentemente rilevate (giustizia, clemenza, moderazione, coraggio ecc.), che invece fanno di lui un principe ideale, concluderà logicamente che le congetture di Ammiano Marcellino (come le accuse dei sostenitori della Lega contro Enrico III) sono calunniose, e che la libertà di coscienza è veramente una misura di pacificazione, se i destinatari non la snaturano. Inoltre, giustificando così un “apostata”, avrà fatto il saggio della sua personale disposizione a rispettare la libertà di coscienza. Questo capitolo è caratteristico dell’argomentazione maieutica di Montaigne: sollecitare il giudizio del lettore disponendo dati e modi di enunciazione in modo da fargli trovare e assumere la giusta prospettiva, l’unica in grado di dare coerenza all’insieme del testo.
CAPITOLO XX
1 Lucrezio, IV, 1133-1134.
2 In italiano nel testo.
3 Seneca, Epistole, 74.
4 Di Epicarmo, citato da Senofonte, Memorabili, II, 1, 20, in un elogio dello sforzo.
5 Platone, Fedone, 60c.
6 Seneca, Epistole, 99, che cita la raccomandazione aggiunta da Metrodoro di appropriarsi di questa parte di piacere e la disapprova, sospettandovi una sorta di compiacimento nella malinconia.
7 Ovidio, Tristia, IV, 3, 37.
8 Epistole, 63, a proposito di un lutto.
9 Catullo, XXVII, 1-2.
10 Seneca, Epistole, 69, dove sono esaminate le contropartite del vizio (malum), che favoriscono la tentazione: il piacere del libertino, il denaro dell’avaro ecc.
11 Repubblica, IV, 426e.
12 Annali, XIV, 44, a proposito di un’esecuzione collettiva di schiavi.
13 Tito Livio, XXXII, 20.
14 Cfr. Cicerone, De natura deorum, I, 22, che spiega così il lasso di tempo richiesto da Simonide per rispondere alla domanda di Gerone sulla natura di Dio.
15 Scil. delle imprese umane.
Postilla. Le considerazioni iniziali sulla natura composita e contraddittoria di tutti i dati della condizione umana conducono nella versione del 1580 a riconoscere l’inevitabile imperfezione delle leggi. La versione del 1588 applica questa conclusione alle pratiche, considerate tanto più sicure in quanto meno esattamente calcolate, ma sviluppa le prime osservazioni in un’interrogazione sulla complessità dei sentimenti. Le aggiunte manoscritte confermano la preponderanza di questo aspetto enigmatico del discorso, collegandolo quindi a II, I e XV e, al di fuori del secondo libro, a I, XXXVIII e a III, IX – forse a proseguimento delle pagine di II, XII sull’incapacità dell’uomo di definire il proprio essere e il proprio bene.
CAPITOLO XXI
1 Svetonio, X, 24.
2 Elio Sparziano (Historia Augusta), Vita Veri, VI, che parla di morire in buona salute (sanum).
3 Montaigne allude forse a Enrico III che, dopo Moncontour, non aveva più preso parte ad alcuna battaglia.
4 Probabilmente Enrico IV.
5 Cfr. Froissart, I, 311, pp. 432-433.
6 Zonara, Chronikon, III, f. 12r, C.
7 Ciropedia, I, 2, 16.
8 Epistole, 88.
9 Racconto tratto da Girolamo Franchi di Conestaggio, Dell’unione del regno di Portogallo alla corona di Castiglia. La morte di Sebastiano del Portogallo nella battaglia di Alcázarquivir del 4 agosto 1578 (dove morirono anche l’alleato di Sebastiano, il re del Marocco Moulay Mohammed, e il loro avversario Abd al-Malik) offrì il pretesto a Filippo II di Spagna per impossessarsi del Portogallo (1580).
10 Tito Livio, XXIV, 39.
Postilla. Le prime versioni, molto brevi, si limitano a raccomandare ai principi un’attività permanente nell’esercizio delle loro funzioni, come a completare il ritratto del principe ideale tratteggiato sotto le sembianze di Giuliano (cap. XIX). Delle due aggiunte manoscritte che ne quadruplicano la lunghezza, la prima si iscrive nella stessa prospettiva. La seconda reinterpreta la formula di Vespasiano citata in esordio privilegiando l’ingiunzione di continuare ad agire fino all’istante della morte, inflessione da collegare alla meditazione di III, XII sul modo naturale di affrontare questo passaggio (ma cfr. già I, XX, p. 153: [A] Io voglio che si agisca […] che la morte mi trovi mentre pianto i miei cavoli).
CAPITOLO XXII
1 Cioè correr le poste, a cavallo.
2 Senofonte, Ciropedia, VIII, 6, 17.
3 De bello civili, III, 11, che recava, sulla copia di Montaigne, la nota a margine poste.
4 Svetonio, I, 57.
5 Plinio, VII, 20.
6 Tito Livio, XXXVII, 7.
7 Plinio, X, 24 e 38, ma trasmesso da Giusto Lipsio, Saturnales, II, 26, così come l’esempio che segue.
8 López de Gómara, Histoire générale des Indes occidentales, V, 7.
9 Calcondila, III, 14.
Postilla. Note documentarie, da mettere forse in rapporto con il gusto di Montaigne per la mobilità (cfr. III, IX, p. 1834, l’auspicio di passare la vita col culo sulla sella).
CAPITOLO XXIII
1 Giovenale, VI, 292-293, che reca Nunc patimur (Ora noi soffriamo).
2 Cfr. Gentillet, Discours sur les moyens de bien gouverner, III, 3, p. 297.
3 Secondo Froissart, I, 213, p. 251. Questo trattato fu concluso nel 1360 fra Edoardo III d’Inghilterra e Giovanni il Buono; con esso Edoardo rinunciava alla corona di Francia, imponendo però condizioni molto gravose.
4 Non si sa a quale re Filippo Montaigne voglia alludere; Filippo VI è, infatti, il solo re che abbia avuto un figlio di nome Giovanni, il quale però non andò mai in guerra oltremare. Potrebbe trattarsi di Filippo Augusto, il cui figlio (che si chiamava Luigi) condusse effettivamente una spedizione in Inghilterra.
5 Catullo, LXVIII, 77, a proposito di Laodamia, punita dagli dèi (i padroni) per aver omesso un sacrificio nelle cerimonie del suo matrimonio.
6 Plutarco, Vita di Licurgo, LVIII.
7 Prudenzio, Contra Symmachum, I, 382 (tratto dai Saturnales di Giusto Lipsio, I, 14, così come le due citazioni che seguono, in I, 12 e II, 22).
8 Ibid., II, 1122-1123, 1126, 1128-1129.
9 Ibid., 1096: si tratta di una vestale.
10 Manilio, Astronomica, IV, 225-226.
11 Stazio, Sylvæ, I, 6, 51-53.
Postilla. Vicine a II, XX per la tematica dei contrasti, queste riflessioni potrebbero riferirsi all’attualità politica, espressamente menzionata (Ce ne sono molti in questo tempo, p. 1263; in effetti, questa idea esposta nel Discours sur les moyens de bien gouverner di Gentillet e nella Repubblica di Bodin ha potuto avallare nella cerchia di François d’Alençon il progetto di sostenere i Paesi Bassi contro la Spagna). I discorsi sui gladiatori, alla fine, le traspongono in evocazione di spettacoli sanguinosi, con un brusco ritorno alla realtà nelle ultime righe.
CAPITOLO XXIV
1 Svetonio, I, 56.
2 Epistulæ ad familiares, VII, 5.
3 Cicerone, De divinatione, II, 37.
4 Svetonio, I, 54, come esempio dell’avidità di Cesare.
5 Claudiano, In Eutropium, I, 203.
6 Plutarco, Vita di Antonio, XLIV. Si tratta del pretesto che Antonio avanzava per giustificare le sue concessioni di territori a Cleopatra.
7 Tito Livio, XLV, 12-13.
8 Tacito, Agricola, XIV.
Postilla. Note documentarie, orientate dall’aggiunta del 1588 verso un confronto implicito tra le ambizioni territoriali dei principi del XVI secolo, considerate meschine, e il potere allo stato puro che avrebbe esercitato un’antica Roma idealizzata.
CAPITOLO XXV
1 Marziale, VII, 39, 8-9.
2 Des guerres des Romains, XVI, Guerres civiles, IV, 6.
3 Froissart, I, 29, p. 37.
4 Plinio, VII, 50.
5 Cfr. I, XXI.
6 Epistole, 50: l’aneddoto è tradotto, il commento viene riassunto.
Postilla. Capitolo composito fin dalla prima redazione, fatto di variazioni sul tema delle infermità simulate e reali: i primi esempi, presentati inizialmente come brutti scherzi della sorte, ispirano congetture sui meccanismi fisiologici atti a spiegarli; poi, sulla nozione di cecità e la sua accezione metaforica, il testo si trasforma in una lezione attinta da Seneca. Montaigne nota per ben tre volte le inflessioni arbitrarie dei suoi discorsi.
CAPITOLO XXVI
1 Tacito, Annali, XII, 47.
2 Marziale, XII, 98, 8, a proposito di un marito sfinito.
3 Orazio, Epistole, I, 18, 66. Fautor: il padrino del giovane Lollio, cui è dedicata l’epistola, applaude i suoi giochi pseudoteatrali.
4 Giovenale, III, 36, che reca: et verso pollice vulgus / Quem iubet occidunt.
5 Svetonio, II, 24.
6 Valerio Massimo, VI, 3, 3, che parla di dita, senza specificare.
7 Consiglio, prima della battaglia, di un capitano ateniese, secondo Plutarco, Vita di Lisandro, XVI.
8 Fatto evocato e tacciato di crudeltà da Cicerone, De officiis, III, 11.
9 Plutarco, Vita di Licurgo, XXXVII.
Postilla. Collezione di note forse ordinate secondo un’alternanza analoga alla varietà del capitolo precedente: il pollice è presentato ora come oggetto simbolico o gestuale, ora come organo prensile.
CAPITOLO XXVII
1 Plutarco, Vita di Pelopida, LIII.
2 Claudiano, Deprecatio ad Hadrianum, 30.
3 Ovidio, Tristia, III, 5, 35-36.
4 Plutarco, De sera numinis vindicta, II, 548f.
5 Osorio, De rebus Emmanuelis regis gestis, IV, t. 1, pp. 207-208.
6 Plinio, proemio della Naturalis Historia, 31.
7 Diogene Laerzio, V, 18.
8 Tito Livio, XXXIV, 28.
9 Il principio di associazione impedisce di considerare separatamente i membri di un gruppo.
10 Sotto il regno di Carlo VI, nel 1402 (Enguerrand de Monstrelet, Chroniques, Paris, Chaudière, 1572, I, 9, ff. 8v-9v).
11 Erodoto, I, 82.
12 Questo fratello seguì Montaigne in Italia e vi rimase anche dopo la sua partenza per perfezionarsi nella scherma. Nel Journal non è tuttavia fatta menzione di questo duello.
13 Virgilio, Eneide, XI, 156-157.
14 Tito Livio, XXVIII, 21.
15 In italiano nel testo. Tasso, Gerusalemme liberata, XII, 55.
16 Valerio Massimo, II, 3, 2.
17 Plutarco, Vita di Cesare, LIX.
18 Id., Vita di Filopemene, IV.
19 Lachete, 183c.
20 Leggi, VII, 796a.
21 Zonara, Chronikon, III, f. 828.
22 Claudiano, In Eutropium, I, 182.
23 Tito Livio, XL, 3 e 4. Cfr. Gentillet, Discours sur les moyens de bien gouverner, III, 3, p. 299.
24 Questa frase compare anche nel cap. II, XI, Della crudeltà (p. 767 e nota 29). Censurata a Roma dal Maestro del Sacro Palazzo, è mantenuta, con altre espressioni incriminate, nelle sue due occorrenze, conformemente alla dichiarazione resa fin dall’inizio da Montaigne: que c’était mon opinion, et que c’étaient choses que j’avais mises n’estimant que ce fussent erreurs (Journal de voyage, il lunedì santo 20 marzo 1581).
25 Flavio Giuseppe, Autobiografia, 75, dove non vengono menzionati i tre giorni.
26 Calcondila, X, 2.
27 Maometto II.
28 Lavardin, Histoire de Scanderbeg, f. 446.
29 Cfr. Erodoto, I, 92, o Plutarco, De Herodoti malignitate, XVIII, 858f.
30 Paolo Giovio, Historiæ sui temporis, XIII.
Postilla. Dall’argomentazione molto chiara e incisiva, questo capitolo sembra destinato principalmente a screditare l’usanza dei duelli, negando senza ambagi la prerogativa che la giustificherebbe – il coraggio, che esige un combattimento all’ultimo sangue per stabilire il vincitore. Le ultime pagine, riferite all’antichità, ripetono la condanna della crudeltà già espressa in II, XI (simmetrico a II, XXVII per collocazione numerica e per titolo), presentandola però sotto l’aspetto politico, come legata alla degenerazione del potere in tirannia.
CAPITOLO XXVIII
1 Tito Livio, XXXVIII, 50-54: il censore lo fece accusare di malversazione. Cfr. Plutarco, Vita di Catone il Censore, XI.
2 Plutarco, Vita di Catone il Censore, V.
3 Cfr. Id., Filopemene e Tito Quinzio Flaminio, VI, dove sono citati dei lazzi, non un’accusa.
4 Giovenale, VI, 444.
5 Ovvero Eudamida, cfr. Plutarco, Apophthegmata Laconica, 220d, dove l’espressione è: καὶ πότε χρήσεται (quando passerà all’applicazione…?).
6 Id., Vita di Filopemene, XXI.
7 Seneca, Epistole, 36.
8 Orazio, Odi, II, 18, 17-19.
9 Seneca, Epistole, 77.
10 Virgilio, Eneide, IV, 653: parole di Didone prima del suicidio.
11 Massimiano, Elegie, I, 103.
12 Seneca, Epistole, 68 (et plus à mon aise è un’aggiunta di Montaigne).
13 Ibid., 71.
Postilla. Nella prima versione, l’esortazione a scegliere per gli anni della vecchiaia occupazioni appropriate si chiude con l’esempio di Catone Uticense, su un’esitazione, forse simulata, tra le lezioni sul saper morire (mira dello spiritualismo platonico) e la continuazione delle attività e delle letture quotidiane. Senza risolvere l’indecisione, le aggiunte del 1588 e dell’Esemplare di Bordeaux volgono il discorso parenetico in serena costatazione del declino.
CAPITOLO XXIX
1 Seneca, Epistole, 53.
2 Diogene Laerzio, IX, 62-63.
3 Attribuito a Tibullo (Priapea, LXXXII, 4).
4 Properzio, III, 13, 17-22.
5 Cfr. i racconti di viaggio di Gasparo Balbi (Venezia 1590, ff. 18 e 23), senza che esista un’esatta corrispondenza.
6 Plutarco, Vita di Alessandro, CXIII.
7 Allusione sarcastica ai sostenitori della religione riformata, secondo cui solo la fede, ovvero la fiducia nella promessa di Dio, garantisce la salvezza, che nessuna opera (pratica di pietà) potrebbe meritare.
8 Histoire de Saint Louis, LI, p. 262.
9 Si tratta della fallita prova del fuoco (a Firenze, nel 1498) di cui furono protagonisti fra Domenico Buonvicini, presentatosi al posto di Savonarola, e fra Giuliano Rondinelli. Poiché il Buonvicini si presentò portando il Sacramento e non volle deporlo nonostante le insistenze dei francescani, la prova non fu effettuata e ciascuno ritornò al proprio convento. Cfr. Guicciardini, Storia d’Italia, III, 21, e Gentillet, Discours sur les moyens de bien gouverner, II, 9, p. 244 o Commynes, VIII, 53.
10 Calcondila, VII, 8.
11 Si tratta forse di Enrico IV.
12 Il primo è Jehan de Jeaureguy, che ferì Guglielmo d’Orange con un colpo di pistola ad Anversa, nel 1582; il secondo è Balthasar Gérard, che lo uccise a Delft, nel 1584.
13 L’assassinio di Francesco di Guisa per mano di Poltrot de Méré, nel 1563.
14 Balthasar Gérard, paragonato qui a Poltrot de Méré.
15 Du Haillan, Histoire de France, Paris, P. L’Huillier, M. Sonnius, 1576, p. 482 (anno 1173, per l’assassinio di Raimondo IV, conte di Tripoli). Gli Assassini sono un popolo della Siria.
Postilla. Il preambolo sembra riprendere il problema su cui si chiudeva il capitolo Dell’ubriachezza (II, II) per condurre a una serie di esempi di sacrifici premeditati e compiuti senza cedimenti, con motivi disparati (dalla ripicca coniugale al fanatismo). Le aggiunte ne accentuano l’aspetto insolito, aumentando la proporzione dei comportamenti tipici delle civiltà extraeuropee (immolazione delle donne in India, fatalismo dei Turchi e dei Siriani). Il discorso morale che il titolo lasciava presupporre si trasforma così in uno studio antropologico.
CAPITOLO XXX
1 A partire dal 1574 (Assemblea di Millau), le provincie protestanti del Sud avevano praticamente operato una secessione e dal 1576 le azioni della Lega facevano vacillare anche quanto restava della coesione nazionale. La redazione del capitolo (o almeno di questa osservazione ironica sul pronostico, forse aggiunta più tardi), si colloca probabilmente in questi anni.
2 Cicerone, De divinatione, II, 31.
3 Aristotele, Retorica, III, 17, (1418a).
4 Cicerone, De divinatione, II, 22.
Postilla. Il resoconto minuzioso, ma in teoria privo di commenti (liscio liscio), di un caso di teratologia gemellare si chiudeva su una parodia delle interpretazioni simboliche, in auge presso il pubblico dell’epoca, che fanno di qualunque fenomeno insolito un presagio. L’aggiunta manoscritta finale riesamina seriamente il problema secondo prospettive naturalistiche e scettiche tratte da Cicerone ma vicine alle considerazioni di sant’Agostino sui prodigi (Civitas Dei, XV, 8 e XXI, 8).
CAPITOLO XXXI
1 Licurgo e Numa, IX.
2 Etica a Nicomaco, X, 10 (1180a).
3 Giovenale, VI, 647-649: si tratta dei furori e dei crimini delle donne.
4 Da Plutarco, De cohibenda ira, VI, 455e.
5 Giovenale, XIV, 70-72.
6 Ovidio, Ars amandi, III, 503: tratti femminili imbruttiti dall’ira.
7 Svetonio, I, 12, dove il personaggio è Caio Rabirio. Il tribuno L. Saturnino, che Montaigne per distrazione gli sostituisce qui, era stato vittima 37 anni prima di questo C. Rabirio con cui Cesare se la prende.
8 Plutarco, Apophthegmata Laconica, 220e.
9 Ibid., 223e.
10 Ibid., 233f, o Préceptes de gouvernement, 801bc.
11 Aulo Gellio, Noctes Atticæ, I, 26, 5-9.
12 Plutarco, De liberis educandis, XIV, 10d.
13 Id., Regum et imperatorum apophthegmata, 189f.
14 Seneca, De ira, I, 18.
15 Ibid., III, 8.
16 Plutarco, Præcepta gerendæ reipublicæ, XIV, 810d.
17 Virgilio, Eneide, VII, 462, a proposito del furore di Turno.
18 Diogene Laerzio, VI, 34.
19 Seneca, Epistole, 56.
20 Claudiano, In Eutropium, I, 237.
21 Virgilio, Eneide, XII, 103: Turno si prepara a combattere.
22 Non hanno come origine uno solo dei partner, o non scoppiano nello stesso momento.
23 Aristotele (con qualche riserva), Etica a Nicomaco, III, 11 (1116b-1117a), e, in risposta, Seneca, De ira, I, 17.
Postilla. Trattando degli effetti negativi della collera a partire dagli scritti di Plutarco sull’educazione dei fanciulli, Montaigne riporta un aneddoto in cui Plutarco stesso resta calmo mentre punisce uno schiavo, e si interroga, a questo proposito, sull’auspicabile armonia tra il dire e il fare (p. 1318); la configurazione dei discorsi ha come punto di convergenza lo sdoppiamento che permette il controllo di sé tanto quanto l’insincerità. Seguono osservazioni pratiche, a titolo di ricette personali, che raccomandano di dare libero corso all’irritazione per non esacerbarla reprimendola artificialmente: è qui riconoscibile un altro tipo di sdoppiamento che, giocando d’astuzia con le pulsioni, assicura la padronanza di sé, tema centrale del testo, a giudicare dall’epilogo ironico su una formula di Aristotele (p. 1328).
CAPITOLO XXXII
1 All’epoca in cui scrive questo, Montaigne non ha ancora quarantasei anni.
2 Si ignora a quale libello Montaigne alluda.
3 Carlo di Guisa, cardinale di Lorena, fratello del duca Francesco di Guisa, morto nel 1574.
4 Dione Cassio, Storia romana, LXI, 9, 10, 12 e 20. Rilevando in quest’ultimo, più avanti, un giudizio alterato Montaigne respinge gli apprezzamenti elogiativi di Bodin (Methodus, IV, p. 52), da cui sembra avere attinto informazioni sui preconcetti di Dione.
5 Quella di Seneca.
6 Nel libro IV, pp. 49-50, dedicato al giudizio degli storici, da cui sono tratte tutte le critiche confutate qui da Montaigne.
7 Plutarco, Vita di Flaminio, XLIII, e Vita di Pirro, XVI.
8 Id., Vita di Licurgo, XXXVII.
9 Id., Vita di Pirro, LIV.
10 Id., Vita di Licurgo, XXXVII, usanza citata espressamente per avallare la storia del bambino dilaniato dalla volpe, e Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 14, sulla resistenza dovuta all’abitudine.
11 Secondo Valerio Massimo, III, 3, ext. 1.
12 Ammiano Marcellino, XXII, 16.
13 Tacito, Annali, IV, 45.
14 Ibid., XV, 57, con l’elogio del coraggio eccezionale di questa donna.
15 Poggio Bracciolini, Facezie, 59.
16 Cfr. I, XXVII.
17 Cfr. I, XXXVII.
18 Plutarco, Vita di Agesilao, VI.
19 Nelle Vite parallele, dove Plutarco mette a confronto coppie di personaggi dopo averne raccontato la vita.
Postilla. Più che la difesa di Seneca, semplice rigetto delle imputazioni calunniose, quella di Plutarco, o piuttosto della sua testimonianza di storico, è anzitutto l’occasione di reiterare e precisare una convinzione già espressa nel primo libro (I, XXVII e soprattutto I, XXXVII): di fronte alle azioni e ai personaggi eroici dell’antichità, il partito preso del dubbio o della denigrazione mostra soprattutto la mediocrità dei moderni, e la loro tracotanza. La risposta a una seconda obiezione, sui “paralleli” tra Romani e Greci, tende a ridurre la componente del prestigio storico nella valutazione del vero valore (cfr. la fine di II, XXXVI). Dietro questo capitolo apparentemente occasionale si profilano così i principi assiologici operanti nei quattro capitoli successivi e, più in generale, negli elogi sparsi per tutti i Saggi.
CAPITOLO XXXIII
1 Cfr. Diogene Laerzio, IV, 7, dove le cauterizzazioni sono citate come esempio di resistenza, senza un legame diretto con l’esercizio della continenza; Montaigne associa i due aspetti, suggerendo l’automutilazione, forse seguendo una traduzione latina (Lyon, 1556: illumque adeo fuisse continentem, ut cum se ad libidinem incitari præsensisset, et secare et urere verenda sæpe pateretur).
2 Svetonio, I, 45 e, sulle varie relazioni amorose di Cesare, ibid., I, 49-52.
3 Maometto II; cfr. Calcondila, II, 12 (anno 1462).
4 Ladislao d’Angiò-Durazzo, successo al padre Carlo III; cfr. Calcondila, V, 11.
5 Svetonio, I, 53, citando Oppio, poi Catone, e 48, per l’aneddoto del fornaio punito.
6 Secondo Plutarco, Vita di Catone Uticense, XXXV.
7 Svetonio, I, 75, così come, poco oltre, l’ordine dato da Cesare a Farsalo.
8 Ibid., 73. Anche gli esempi che seguono provengono da Svetonio, ibid., 75 (congiure sventate), 72 (C. Oppio), 48 (servo punito).
9 Ibid., 72, presentato da Svetonio come segno della sua gratitudine.
10 Ibid., 77-79.
11 Valerio Massimo, IV, 5, ext. 1, ripreso da Boccaccio, De casibus virorum illustrium, IV, 19. Entrambi celebrano con entusiasmo il carattere austero del giovane toscano (sanctitas secondo Valerio Massimo; Boccaccio vi aggiunge un discorso sulle insidie della sensualità).
12 Virgilio, Eneide, X, 132-134, a proposito di Ascanio, la cui bellezza evoca la sua origine divina, in mezzo ai guerrieri troiani.
Postilla. L’aneddoto indicato dal titolo fa parte del repertorio di esempi di pudore estremo celebrati dai moralisti antichi e moderni. Ma è preceduto qui da un confronto tra i poteri alienanti (criterio di nocività) delle diverse passioni, fondato sull’esempio di Cesare, che dimostra come l’influenza dell’ambizione sia infinitamente più violenta e perniciosa di quella della voluttà. Di conseguenza, la storia di Spurina cambia di significato: diventa sintomo di uno scrupolo delirante (furioso dispetto, p. 1353) in una materia senza gravità. Vengono così tacitamente screditate le valutazioni tradizionali, che rispettano l’ambizione dell’uno come nobile passione, e venerano la pudibonderia dell’altro come testimonianza di virtù, mentre si tratta in entrambi i casi di forme di aberrazione.
CAPITOLO XXXIV
1 Cfr. II, XVII, p. 1227 e nota 77.
2 Svetonio, I, 66 e 65, per l’usanza che segue.
3 Cfr. Ciropedia, VI, 2, 14-20, dove Ciro, in realtà, rassicura il suo esercito inquieto facendogli valutare le sue forze dal punto di vista dei nemici.
4 Cesare, De bello gallico, I, 7, a margine della sua copia, Montaigne scrive il commento: César se sert d’un parlement pour gagner son avantage (Cesare si serve di una trattativa per prendere vantaggio).
5 Svetonio, I, 67.
6 Lucano, V, 289: discorsi di soldati insorti contro Cesare.
7 Svetonio, I, 69.
8 Cesare, De bello gallico, IV, 17, a margine: estime indigne de sa réputation de passer son armée par navires / description du pont que César dressa sur le Rhin (considera indegno della sua reputazione far passare il suo esercito con le barche / descrizione del ponte che Cesare fece costruire sul Reno).
9 Ibid., II, 21, a margine: fait grand état de l’exhortation aux légions (dà grande importanza all’esortazione alle legioni).
10 Plutarco, Vita di Cesare, XXI.
11 Lucano, V, 405.
12 Virgilio, Eneide, XII, 684-689.
13 Cesare, De bello gallico, VII, 24, a margine: vigilance de C. (vigilanza di C.).
14 Svetonio, I, 58, dove si dice soltanto che Cesare ispezionò i punti di sbarco.
15 Cesare, De bello civili, I, 72, a margine: César refuse un avantage pour prendre une voie plus longue mais plus sûre (Cesare rifiuta un vantaggio per prendere una via più lunga ma più sicura).
16 Lucano, IV, 151-154.
17 Orazio, Odi, IV, 14, 25, per descrivere la campagna di Tiberio contro i Reti.
18 Cesare, De bello gallico, II, 25, a margine: exploit de la personne de César (prodezza della persona di C.).
19 Svetonio, I, 58, così come l’impresa che segue.
20 Cesare, nel De bello gallico, dice ottomila. Si tratta probabilmente di un errore del copista o del tipografo che ha confuso i numeri romani, leggendo CIX per IIX.
21 Cesare, De bello gallico, VII, 76, a margine: de vrai d’aborder une telle nécessité il semble que ce fut une résolution d’une plus qu’humaine confiance (invero affrontare una simile necessità sembra sia stata una decisione di una fiducia sovrumana).
22 Ibid., 75, a margine: craignent en leur armée le trop de monde (temono nel loro esercito il numero eccessivo).
23 Ciropedia, II, 2, 26.
24 Calcondila, III, 81ab.
25 Cfr. I, I, nota 3.
26 Cesare, De bello gallico, VII, 71, a margine: Vercingetorix s’enferme dans Alesia contre ce que nous disons que le chef du pays ne se doit jamais enfermer (Vercinget. si rinchiude dentro Alesia nonostante ciò che si dice, cioè che il capo del paese non deve mai rinchiudersi).
27 In realtà secondo Svetonio, I, 60.
28 In italiano nel testo.
29 Cesare, De bello gallico, I, 46; a margine: bonne foi de César (buona fede di C.).
30 Svetonio, I, 64.
31 Ibid., 68; cfr. Cesare, De bello civili, I, 39, a margine: César emprunte des capitaines de quoi soudoyer les soldats (Cesare prende a prestito dai suoi capitani di che pagare i soldati).
32 Gaspard de Coligny, signore di Châtillon, uno dei capi del partito protestante, fra le prime vittime della strage della notte di San Bartolomeo.
33 Cioè nel partito cattolico.
34 Tito Livio, XXIV, 18.
35 Svetonio, I, 68; cfr. Cesare, De bello civili, III, 74.
36 Ibid., III, 53, a margine: louange de Scæva (lode di Sceva).
37 Errore di Montaigne. Svetonio dice centoventi.
38 Plutarco, Vita di Cesare, XX.
39 Cesare, De bello civili, III, 9, a margine: n’emploient les serfs qu’à la dernière extrémité / Les cheveux des femmes employés à faire engins / furieuse sortie par laquelle ceux de Salone assiégés et en petit nombre défont et mettent en route ceux qui les assiègent. C’est un rare exemple (usano i servi solo in estrema necessità / I capelli delle donne usati per fare strumenti / tremenda uscita con cui gli assediati di Salona in numero esiguo battono e mettono in fuga gli assedianti. È un raro esempio).
Postilla. Già espressa nel capitolo precedente come in quello Dei libri (II, X, p. 741), l’ammirazione che Montaigne prova per Cesare è collocata qui, senza esserne diminuita, all’interno del sistema di valori specifico di questo personaggio – quello delle virtù e capacità militari, definite dal titolo come modi nel fare la guerra, facendo astrazione dagli scopi attribuiti a questa attività. Nonostante lo stile documentario (confermato dai numerosi passi derivanti dalle note iscritte da Montaigne a margine della sua copia delle opere di Cesare), il testo si inserisce così nell’insieme di riflessioni sui casi di prestigio consacrati dalla Storia, iniziate nelle ultime pagine del capitolo XXXII sugli eroi di Plutarco e completate dal capitolo XXXVI, Degli uomini più eccellenti.
CAPITOLO XXXV
1 Tacito, Annali, II, 77, che reca qui…: si tratta di quanti simulano il lutto alla morte di Germanico.
2 È possibile anche interpretare: così impressionanti che si può senza esitazione trarne un giudizio favorevole su tutto il resto della vita.
3 Plinio il giovane, Lettere, VI, 24. Il racconto occupa sei righe, e si conclude con un’allusione ad Arria; Montaigne aggiunge il discorso della moglie, poi insiste sulla decisione della donna di assicurare l’ultimo abbraccio legandosi al marito.
4 Virgilio, Georgiche, II, 473-474.
5 Plinio il giovane (Lettere, III, 16) nota anche, oltre al racconto ripreso da Montaigne, che Arria era giunta a dissimulare al marito malato la morte del giovane figlio, nascondendo il suo dolore, e insiste su questa abnegazione, riconoscendo in lei la generosità del suo amore coniugale, segreta ma ancora più eroica delle ultime parole che la illustrano.
6 Marziale, I, 13.
7 Tacito, Annali, XV, 62-64. Montaigne aggiunge le parole di Paolina, evocate dallo storico solo in modo indiretto, e afferma che la donna aveva perso conoscenza quando l’emorragia fu bloccata, mentre Tacito, che riporta voci contrarie, non lo attesta.
8 Seneca, Epistole, 104.
Postilla. I tre esempi di suicidi condivisi per amore coniugale sono trattati come “storie tragiche” (cfr. alla fine il riferimento ai racconti, p. 1385), colorite dalle parole che i narratori antichi non citavano espressamente; il che tenderebbe a convalidare la propensione al fervore nell’elogio, che Montaigne ammette e giustifica nel capitolo Catone il giovane (I, XXXVII), e nelle pagine su Plutarco (cfr. supra, pp. 1337-1339). Nel 1588 un preambolo satirico, reso più pungente dalle aggiunte manoscritte, suggerisce una possibilità di reinterpretazione (l’amore coniugale si manifesta soprattutto alla morte del marito) che rimane virtuale.
CAPITOLO XXXVI
1 Properzio, II, XXXIV, 79, che reca Tale facis…: l’elogio è rivolto al poeta Linceo, emulo di Virgilio ed Esiodo.
2 Orazio, Epistole, I, II, 3. I termini introduttivi delle tre citazioni che seguono (E come dice l’altro […] e l’altro […] e l’altro…) sono allineati ai capoversi delle citazioni nell’Esemplare di Bordeaux.
3 Ovidio, Amores, III, 9, 25-26.
4 Lucrezio, III, 1037-1038.
5 Manilio, Astronomica, II, 8-11.
6 Velleio Patercolo, I, 5.
7 Secondo Plutarco, De Pythiæ oraculis, VIII, 398a, che attribuisce ad Aristotele l’idea che solo Omero sa animare le parole grazie all’intensità che dà loro (cfr. Retorica, III, 11 [1411b]).
8 Id., Vita di Alessandro, XLVIII.
9 Id., Apophthegmata Laconica, 223a.
10 Id., De garrulitate, V, 504d.
11 Id., Vita di Alcibiade, X.
12 Id., Regum et imperatorum apophthegmata, 175c.
13 Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 32.
14 Secondo Gentillet, Discours sur les moyens de bien gouverner, III, 1, pp. 261-262, a proposito delle guerre di aggressione ingiustificate.
15 Traduzione latina di un verso greco citato da Aulo Gellio, III, 9.
16 Lucano, I, 149, dove si tratta di Cesare. Il seguito si ispira a Plutarco, soprattutto ai discorsi De Alexandri magni fortuna aut virtute; nelle aggiunte del 1588 alcuni ritocchi derivati da Quinto Curzio Rufo, VIII e X.
17 Avendo ucciso Clito, uno dei suoi generali, in un accesso d’ira, Alessandro se ne pentì poi al punto di voler darsi la morte, e ne portò gran lutto.
18 Virgilio, Eneide, VIII, 589: paragone riferito al guerriero Pallante.
19 Ibid., XII, 521, sul combattimento tra Enea e Turno.
20 Diodoro Siculo, XV, 88, 2-3.
21 Plutarco, De genio Socratis, XXIII, 592f.
22 Diodoro Siculo, XV, 39.
23 Ibid.
24 Plutarco, De genio Socratis, XV, 584b-585d.
25 Id., Vita di Coriolano, V.
26 Id., De genio Socratis, III, 576f.
27 Diodoro Siculo, XV, 87, 6.
28 Ibid., 88, 4.
Postilla. Ancora elogi, ma con saggio di scritture e logiche diverse. Omero è consacrato come figura mitica del Poeta da un florilegio di formule di venerazione, firmate esse stesse da personaggi illustri (solo i poeti rimangono anonimi); Alessandro è evocato nel ruolo di trionfatore attribuitogli dall’opinione comune degli storici attraverso una serie di allusioni ai suoi titoli di gloria, con indulgenza per i suoi scatti difficilmente scusabili nella prima versione; infine Epaminonda, privilegiato dal giudizio personale (il più eccellente, a mio parere, p. 1397), è oggetto di un ritratto e di una valutazione motivata che ne fa un modello di virtù civica e filosofica. Ne consegue che l’insieme del capitolo mostra congiuntamente il prestigio forse illusorio dei “grandi uomini” celebrati dalla memoria collettiva e, su un piano superiore, l’omaggio ponderato all’eroe autentico e all’ideale che incarna. Per preterizione sono suggeriti paragoni virtuali (tra Omero e Virgilio, Alessandro e Cesare, Epaminonda e Scipione) che pongono il capitolo sotto il patrocinio del Plutarco delle Vite parallele. Le numerose aggiunte ritoccano la prima versione (soprattutto a proposito di Alessandro) senza modificarla; un inserto manoscritto tratteggia, come a margine di quei modelli di civismo rappresentati da Epaminonda e Scipione, l’immagine inattesa di Alcibiade: concessione al sogno individualista, fuori dalle norme?
CAPITOLO XXXVII
1 Montaigne aveva già accennato a tale furto in un passo, poi soppresso, del cap. IX di questo libro. Cfr. I, XLVIII, nota 15.
2 Del mal della pietra Montaigne cominciò a soffrire verso il 1578.
3 Versi di Mecenate citati, con disapprovazione, da Seneca, Epistole, 101.
4 Calcondila, III, 10.
5 Diogene Laerzio, VI, 18, aggiunge che Antistene sopportava pazientemente il suo male.
6 Marziale, X, 47, 13.
7 Diogene Laerzio, X, 118 (senza il rincaro ma glielo consiglia).
8 Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 23, a titolo di concessione, in un discorso che tende piuttosto a biasimare l’espressione della sofferenza, in quanto segno di debolezza.
9 Versi del Filottete di Attio citati da Cicerone (Tusculanæ disputationes, II, 14 e De finibus, II, 29) come esempi di lamenti eccessivi.
10 Citato da Cicerone (De divinatione, II, 69) come esempio di sogni in rapporto con affezioni corporee, da distinguersi dalle premonizioni di origine divina.
11 Virgilio, Eneide, VI, 103: risposta di Enea alle profezie minacciose della Sibilla.
12 Plinio, VII, 12.
13 Plutarco, De sera numinis vindicta, XXI, 363ab.
14 In realtà Erodoto, IV, 180.
15 Epistola a Meneceo, trasmessa da Diogene Laerzio, X, 129.
16 Cfr. Plutarco, Septem sapientium convivium, XIV, 157ef.
17 Cfr. Plutarco, Vita di Catone il Censore, XLIX, dove la lepre figura nella dieta raccomandata da Catone, ma non come rimedio. Montaigne cita a memoria, con qualche riserva (mi sembra).
18 Plinio, XXV, 53, che attribuisce le virtù terapeutiche del latte alle piante medicinali di cui contiene il succo.
19 Erodoto, IV, 187, con qualche dubbio sul rapporto tra la salute dei Libici e la cauterizzazione in questione.
20 Timeo, 89ab, con alcune considerazioni sull’armonia psicosomatica e la dietetica (88b-90a) cui Montaigne si ispira qui.
21 Detto tratto da Cornelio Agrippa, De incertitudine et vanitate scientiarum, LXXXIII, così come il successivo, che potrebbe anche provenire da Lycosthenes, Apophthegmata, De medicina contempta, p. 682.
22 Riferito da Diogene Laerzio, VI, 62.
23 Lycosthenes, Apophthegmata, De medicina contempta, p. 678. Un gesto anonimo di presunzione da parte di un medico, citato nella stessa pagina, potrebbe avere ispirato le riflessioni che seguono.
24 Giovenale, III, 236-237.
25 Repubblica, III, 389b.
26 Esopo, IFavoleI, 249, Il malato e il medico, la cui morale è che ci si rassicura facilmente sulla situazione degli altri.
27 Non è Elena, ma Ippolito, che Esculapio riconduce dagli Inferi.
28 Virgilio, Eneide, VII, 770-773.
29 Lycosthenes, Apophthegmata, De medicina contempta, p. 680.
30 Cicerone, De divinatione, II, 64, il cui verso, parodiando gli epiteti omerici, designa una chiocciola.
31 Plinio, XXIX, 5, senza allusione, tuttavia, alla grinta arcigna.
32 Quanto segue è tratto da Cornelio Agrippa, De incertitudine et vanitate scientiarum, LXXXII, De medicina in genere, che cita anche il detto di Plinio, XXIX, 1 (uno dei loro amici).
33 Il successivo riassunto polemico della storia della medicina deriva da Plinio, XXIX, 2-5.
34 Sia Paracelso (1493-1541) che Leonardo Fioravanti di Bologna (1518-1588) e il piemontese Giovanni Argenterio (1513-1572) si opposero alla medicina galenica.
35 Esopo, Favole, 11, L’Etiope.
36 Tratto da Cornelio Agrippa, De incertitudine et vanitate scientiarum, LXXXIV, De pharmacopoiea.
37 Erodoto, II, 84.
38 La Boétie, morto appunto di dissenteria.
39 Montaigne si ricorda qui delle opinioni contraddittorie dei medici Franciotti e Donati, autori di trattati sui Bagni della Villa. Per tutto quanto dice qui sui bagni, cfr. il Journal, prima stagione a Bagni di Lucca, maggio 1581.
40 In italiano nel testo.
41 Ausonio, Epigrammi, LXXIV.
42 Marziale, VI, 53.
43 Villaggio vicino a Salies de Béarn, isolato come quelli dell’alta valle d’Angrogne (nelle Alpi piemontesi, celebri per la loro resistenza al duca di Savoia durante le guerre di religione). Montaigne e il barone de Caupène erano in lite fin dal 1570 appunto per i diritti su questo villaggio nei Bassi Pirenei.
44 Dell’Ecclesiaste, 38, 1, che reca propter necessitatem (perché ne hai bisogno).
45 Paralipomeni, 2, 16, 12.
46 Erodoto, I, 197.
47 Secondo Diogene Laerzio, III, 7; cfr. Odissea, IV, 231.
48 Marguerite d’Aure de Gramont, vedova di Jean de Durfort, signore de Duras, vicina e amica di Montaigne.
49 Cfr. Tacito, Annali, VI, 46.
50 Plinio, XXVI, 8-9 e XXIX, 2-8.
51 Cfr. supra, nota 48.
52 Plutarco, Vita di Pericle, LXXII, dove la risposta non è direttamente citata.
Postilla. Il titolo del capitolo, confermato dalla conclusione (p. 1452), ne indica l’oggetto: si tratta di riconoscere in se stessi le propensioni inconsapevoli, forse ereditate dagli avi, e di ratificarle col ragionamento per assumerle come proprie. La lunga requisitoria contro le pretese e le promesse della medicina che occupa la maggior parte del testo è pertanto ad un tempo il tema di un saggio dell’inclinazione che si presume atavica (p. 1411) e l’argomentazione che la rende un po’ meglio formulata (p. 1453), così da farne una scelta deliberata. D’altra parte, il sapere messo in discussione è considerato empirico (p. 1447), al punto che la critica che lo colpisce viene ad aggiungersi alla confutazione delle scienze teoretiche intrapresa nell’Apologia di Raymond Sebond. Il secondo libro si chiude quindi su una nuova, esplicita formulazione del pirronismo di Montaigne, chiaramente finalizzato all’intento etico assegnatogli dalla pratica riflessiva del saggio. Infine, la dedica apparentemente occasionale a Madama de Duras (pp. 1449-1453) ricorda le prospettive definite all’inizio dell’opera dall’avvertenza Al lettore, aprendole retrospettivamente sul campo intimo della sofferenza e del declino fisico, già evocato nelle pagine liminari (pp. 1401-1409). Il capitolo appare dunque non tanto una conclusione quanto un punto di convergenza degli obiettivi personali dei Saggi del 1580: dissipare le illusioni del sapere e trovare, nella sola lucidità riflessa dalla scrittura, il modo di rimanere liberi e sereni di fronte alle minacce dell’avvenire.
CAPITOLO I
1 Terenzio, Heautontimorumenos, 621. L’originale, Ne ista hercle magno iam conatu, si riferisce a una donna importuna.
2 Tacito, Annali, II, 88, approva questo rifiuto senza sospettarlo di doppiezza.
3 Lucrezio, II, 1: immagine proverbiale che evoca i pericoli del mare solo per insistere sulla serenità di chi vi si è sottratto. L’idea di piacere maligno è aggiunta da Montaigne.
4 Probabile allusione all’assassinio del duca di Guisa e del cardinale di Lorena (dicembre 1588). Montaigne, fedele al re legittimo, poteva considerare che il bene pubblico esigesse la morte di questi faziosi, pur rifiutando di approvare la loro esecuzione illegale (cfr. Epaminonda secondo Plutarco, nel trattato De genio Socratis, II, 576f e XXV, 594bc).
5 Platone non tratta della deontologia del giudice d’istruzione, ma più in generale autorizza il magistrato a mentire e a dissimulare per il bene dello Stato (Repubblica, II, 382cd; III, 389b, 414b; V, 459d). Montaigne nota altrove questo aspetto e sommariamente lo taccia di cinismo (Egli dice con impudenza…, II, XII, p. 929).
6 Probabile allusione al ruolo d’intermediario sostenuto da Montaigne intorno al 1584-1585 (alla ripresa delle ostilità fra cattolici e protestanti, dopo la rottura della pace di Fleix) fra il maresciallo de Matignon, luogotenente generale di Enrico III in Guyenne, e il re di Navarra.
7 Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, XXVI, 67b.
8 Allusione a un racconto popolare, nel quale una vecchia accendeva una candela a san Michele e un’altra al drago, nel caso che questo un giorno si prendesse la rivincita (cfr. Estienne, Apologie pour Hérodote, XXXVIII, t. II, p. 325).
9 Cornelio Nepote, Vita di Attico, VII e VIII. Attico aiutò i partigiani di Pompeo, poi quelli di Bruto, senza incorrere, come il suo amico Cicerone, nell’odio dei loro avversari.
10 Tito Livio, XXXII, 21, discorso di Aristene per sconsigliare ai Greci di rimanere neutrali tra Filippo e i Romani. La condanna della neutralità nelle guerre civili infra (Sarebbe una specie di tradimento) appare così come un’evidenza a fortiori. L’equanimità di Montaigne, a torto interpretata come neutralità, deriva dal suo lealismo (la causa delle leggi), che tra il 1584 e il 1589 lo lega al sovrano legittimo e lo oppone alle due fazioni in lotta, cattolica e protestante, entrambe ribelli.
11 Erodoto, VII, 163: l’ambasciatore a Delfi è incaricato di offrire i doni ai Persiani, se sono vittoriosi, per mettere il re in buoni rapporti (accordarsi) con loro.
12 Jean de Morvilliers, vescovo di Orléans, aveva partecipato alle trattative di Cateau-Cambrésis e al Concilio di Trento. Di carattere assai prudente, dimostrò una grande moderazione verso i protestanti.
13 Plutarco, De curiositate, IV, 517b.
14 Enrico III ed Enrico di Navarra. Cfr. supra, nota 6.
15 Esopo, Favole, 275 (L’asino e il cagnolino o Il cane e il padrone).
16 Cicerone, De officiis, I, 31.
17 Questa frase sembra collegarsi alla critica delle frodi giudiziarie che si suppone Platone autorizzi (cfr. p. 1461), incorniciando le riflessioni di Montaigne sul suo personale comportamento in politica (pp. 1461-1469).
18 Cicerone, De officiis, III, 17.
19 Plutarco, Vita di Alessandro, CVIII, cita questo filosofo indiano. Montaigne aggiunge la spiegazione per sostenere e secondare le quali.
20 Seneca, Epistole, 95.
21 Tacito, Annali, II, 64-67. L’imperatore in questione è Tiberio (cfr. p. 1459).
22 Non si sa esattamente a che cosa Montaigne faccia allusione.
23 Il corpo politico, la collettività. L’assioma accolto qui a priori (presupposto) è oggetto della riserva che segue: Ma […] se si volesse servirsi di me per mentire…
24 Questi soldati erano particolarmente esposti, senza tuttavia godere del prestigio dei combattenti né della loro paga; cfr. II, XVI, p. 1159.
25 Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur, XXIII, 64d.
26 Id., Regum et imperatorum apophthegmata, 174c.
27 Ibid., 195b. Fabrizio avvertì Pirro che il suo medico aveva proposto ai Romani di avvelenarlo.
28 Aneddoto trovato nella Histoire des Rois de Pologne di Herburt de Fulstin, f. 43r.
29 Plutarco, Vita di Eumene, XXXV e XXXVIII. Si tratta qui di Antigone Monoftalmo, generale di Alessandro Magno, proclamato re di Macedonia nel 307 a.C.
30 Valerio Massimo, VI, 5, 7.
31 Secondo Jacques de Lavardin, Histoire de Scanderbeg, f. 253v.
32 Du Haillan, Histoire de France, Paris, P. L’Huillier, M. Sonnius, 1576, p. 42.
33 Tacito, Annali, V, 9.
34 Calcondila, I, 10.
35 Martin Cromer, De origine et rebus gestis polonorum, XVI, Basilea, Oporino, 1568, p. 263, oppure un intermediario.
36 Cicerone, De officiis, III, 29, in risposta all’idea, espressa da Atreo in una tragedia, secondo cui si può mancare a un impegno preso nei confronti di un compagno anch’egli sleale.
37 Diodoro Siculo, XVI, 65, o Plutarco, Vita di Timoleone, IX-XI sgg.
38 Cicerone, De officiis, III, 22, esprime la stessa disapprovazione.
39 È quello dato da Cicerone, ibid., 29 (non si è tenuti a pagare il riscatto promesso a dei fuorilegge), che vi aggiunge la dottrina stoica della riserva mentale, in rifiuto della synkatasthesis, l’assenso del soggetto alla parola data.
40 Ibid., 30, a sostegno della massima citata supra (Ciò che la paura mi ha fatto volere…).
41 Cfr. il cap. Degli uomini più eccellenti, II, XXXVI, p. 1397 e i riferimenti in nota.
42 Cfr. Plutarco, Vita di Pompeo, XV.
43 Id., Vita di Cesare, XLVII.
44 Id., Vita di Mario, XLVIII.
45 Id., Apophthegmata Laconica, 238b.
46 Tito Livio, XXV, 18, dove un romano rispetta i suoi vincoli di ospitalità verso un abitante di Capua, città alleata ai Cartaginesi.
47 Ovidio, Epistulæ ex Ponto, I, VII, 37-38.
48 Versione in forma affermativa di una domanda dello stoico Ecatone citata da Cicerone, De officiis, III, 23.
49 Parole di Cesare ai suoi soldati, prima della battaglia di Farsalo, secondo Lucano, VII, 320. La frase precedente li invitava tuttavia a risparmiare i pompeiani in fuga, riconoscendoli come concittadini (concatenazione: Sed dum tela… [Ma quando le armi…]).
50 Tacito, Storie, III, 51, con lo stesso commento.
51 Properzio, III, 9, 7.
52 I Padri della Chiesa, che istituirono il celibato ecclesiastico.
Postilla. Al principio del libro III è posto il problema dei conflitti tra gli imperativi dell’onore (l’onesto) e le necessità politiche, problema ritenuto cruciale fin dall’antichità (si veda in particolare Cicerone, De officiis, III, spesso utilizzato in questo capitolo) e riaccesosi nel Rinascimento, quando l’ideologia feudale della fedeltà reciproca, che doveva unire principi e vassalli, è soppiantata dal pragmatismo della ragion di Stato. Presentando quest’ultima sotto l’aspetto della perfidia che può esigere, Montaigne spinge l’opposizione al parossismo: la aggrava costatando, sul piano collettivo, l’utilità delle manovre criminali, e rifiutando categoricamente, a titolo personale, di parteciparvi o farsene garante. Questa concezione dell’utile viene illustrata da esempi di tradimenti compiuti da esecutori traditi a loro volta dai principi che li hanno prezzolati (pp. 1471-1475); la serie è punteggiata da alcune note di disprezzo. Alla fine viene analizzato il caso del sovrano che deve garantire la salvezza del regno e non può ritirarsi (pp. 1477-1479): è l’unico a essere giustificato per le misure contrarie all’onore che potrebbe dover prendere in caso di urgenza; la giustificazione è limitata da riserve, ulteriormente insistite nelle aggiunte, tanto da renderle predominanti. E a questa casistica viene alla fine opposto l’esempio di Epaminonda, capace di far trionfare la politica e le armi di Tebe senza rinunciare alla sua etica personale di assoluta lealtà e generosità (pp. 1481-1485, con un rimando a II, XXXVI). Precedentemente (pp. 1461-1469, forse interpolate sul manoscritto), come a margine dei confronti tra realismo politico ed esigenze morali, Montaigne ha definito i principi della propria condotta nei conflitti e nelle trattative delle guerre civili: impegno risoluto (pp. 1467-1471) al servizio delle leggi e del potere legittimo, ma senza farsi accecare né totalmente assoggettare alla volontà del principe, e senza frode – il che contribuisce peraltro all’efficacia del suo ruolo di negoziatore (p. 1469). La struttura di saggio consiste qui nella concorrenza tra la logica della ragion di Stato, metodicamente esposta, e l’atteggiamento che gli fa da contrappunto, sotto forma di quella dichiarazione di etica personale ripresa lungo tutto il testo attraverso proteste sporadiche e rifiuti. L’introduzione (p. 1459), insistendo sul carattere erratico, quasi aleatorio di tali interventi, invita a riconoscere nella loro spontaneità il segno di convinzioni autentiche, come conferma la veemenza delle ultime pagine, fino all’annotazione umoristica finale (sul celibato ecclesiastico e l’allevamento).
CAPITOLO II
1 Come si legge nella Vita di Demostene di Plutarco, Demade diceva che si era spesso contraddetto, ma mai contro il bene dello Stato.
2 Allusione ai filosofi platonici, ma le espressioni che seguono sul pentimento sono attinte da Plutarco, De tranquillitate animi, XIX, 476f; e allo stoico Attalo, citato da Seneca, Epistole, 81, per l’aggiunta sulla malvagità.
3 Seneca, Epistole, 39, dove si tratta di vizi diventati costume, e quindi incorreggibili, nel comportamento individuale.
4 Montaigne si astiene da quello che gli vietano gli altri (i suoi pari o la collettività), ma sottopone quello che viene concesso al vaglio della propria coscienza. Cfr. il capitolo precedente.
5 Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 26.
6 Cicerone, De natura deorum, III, 35, che suppone che il rimorso abbia fatto espiare a Dionigi di Siracusa le empietà lasciate impunite dagli dèi.
7 Orazio, Odi, IV, 10, 7, il poeta si rivolge a un adolescente scontroso: “Quando sarai più grande, dirai…”
8 Plutarco, Septem sapientium convivium, XII, 155c. Montaigne aggiunge e di quel che dice la gente.
9 Id., Præcepta gerendæ reipublicæ, IV, 800e. Detto di Livio (e non Giulio) Druso; ma la confusione proviene da Plutarco.
10 Id., Vita di Agesilao, XXII.
11 Cfr. le parole di Gesù a Nazareth, Luca, 4, 24.
12 Millanges, a Bordeaux, aveva pubblicato i Saggi, nel 1580 e 1582, a spese dell’autore; L’Angelier, a Parigi, aveva dovuto pagare per ottenere il privilegio della versione del 1588.
13 Aristotele, Etica a Nicomaco, X, 7-8 (1177a-1178b), dichiara la felicità (contemplativa) del sapiente superiore alla felicità (attiva) dell’uomo politico, ma non confronta le loro rispettive difficoltà.
14 Lucano, IV, 237-242; il paragone si riferisce ai soldati di Pompeo che, dopo aver fraternizzato con quelli di Cesare, si apprestano a massacrarli su ordine del loro capitano.
15 I riformatori con le loro innovazioni dottrinali (nuove opinioni) in teologia.
16 Si potrebbero tuttavia immaginare casi in cui il piacere procurato dal peccato sarebbe così sproporzionato a quest’ultimo che finirebbe per giustificarlo, come l’utilità pubblica può giustificare un misfatto (cfr. III, I). Questo non solo se tale piacere fosse estrinseco (come il piacere del guadagno rispetto al furto), ma anche se ne fosse indissociabile (come il piacere carnale illecito).
17 Questa credenza pitagorica è riportata da Seneca, Epistole, 94. Cfr. I, LVI, p. 579.
18 Cfr. per esempio Cicerone, Tusculanæ disputationes, III, 34.
19 Plutarco, Regum et imperatorum apophthegmata, 188e (Focione), o Vita di Timoleone, VIII.
20 Il determinismo universale secondo la fisica stoica.
21 Parole attribuite a Sofocle da Cicerone (De senectute, XIV) e Plutarco (De cupiditate divitiarum, V, 525a), che le approvano entrambi.
22 Quintiliano, Institutio oratoria, V, 12, 19, contro l’usanza di presentare i castrati come schiavi di lusso.
23 Diogene Laerzio, VI, 5.
24 Ipotesi formulata da Senofonte, Apologia di Socrate, 6 e 8; per prevaricazione, barando con il destino, che comporta la decrepitezza.
Postilla. L’introduzione (pp. 1487-1489) colloca il problema al di fuori delle prospettive religiose entro le quali è abitualmente presentato il pentimento, soprattutto nella pastorale penitenziale della Controriforma. Il tema è l’identità: presa nelle fluttuazioni universali, non può essere assimilata ad un’essenza individuale determinata una volta per tutte; è sempre in tirocinio e in prova (p. 1487), nel quadro di una condizione definita altrove (III, XIII, p. 1999) come l’insieme virtuale delle contingenze che possono influenzare il corso di una vita. Di conseguenza il pentimento, inteso come sconfessione del passato e di sé, sarebbe o capriccio e aberrazione (p. 1493), o impostura (p. 1499). Montaigne gli oppone la sua etica della regolatezza, sforzo di ordinare la molteplicità del vissuto (a costo di compensarne i falli, come il ladrone della p. 1501, senza rinnegarli) e costituirne, per via di saggio, un’identità riconoscibile. Meno eterodosso, il rifiuto del rimpianto in campo pratico procede dalla stessa volontà di assumere pienamente il passato, nonostante gli insuccessi. Il capitolo ha il suo compimento logico nel rifiuto dei pentimenti ispirati dalla decrepitezza (modello caricaturale: il vecchio che si pente delle sue scappatelle di gioventù e si reputa felice di averne perso la capacità fisica). Alle minacce di quest’ultimo fattore di alienazione, tanto più nocivo in quanto procede dalla legge universale del cambiamento, risponde l’impegno etico della ripresa del controllo di sé, registrata e compiuta nei Saggi.
CAPITOLO III
1 Tito Livio, XXXIX, 45, testimonianza dello storico su Catone il vecchio.
2 Seneca, Epistole, 56, ma i vizi dell’ozio di cui parla Seneca sono diversi dalle meditazioni da cui Montaigne teme di lasciarsi troppo assorbire. Cfr. I, VIII.
3 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 38, che parla del letterato docto homine et erudito, cui vivere…
4 Aristotele, Etica a Nicomaco, X, 8 (1178b).
5 Motto di Socrate secondo Senofonte, Memorabili, I, 3, 3, dove si tratta solo di offerte. Montaigne scrisse questo motto, in un italiano approssimativo (Mentre si puo [sic]) sulla prima pagina di molti libri della sua biblioteca.
6 Quella con La Boétie.
7 Plutarco, De amicorum multitudine, II, 93f.
8 Platone, Leggi, VI, 777e.
9 Orazio, Odi, III, 19, 3-8.
10 Plutarco, De cohibenda ira, X, 458e.
11 In italiano nel testo.
12 Giovenale, VI, 189, sulle donne di Roma infatuate della cultura e della lingua greca.
13 Seneca, Epistole, 115, sui bellimbusti agghindati come manichini.
14 Parola usata qui nel senso giuridico.
15 Plutarco, Vita di Dione, I.
16 Cicerone, Paradoxa Stoicorum, V, 2: risposta di un filosofo a un amatore d’arte, di cui condivide il gusto (Nam…), senza tuttavia farne una passione.
17 Ovidio, Tristia, I, 1, 83, motivo dell’invito ad essere discreto che l’esiliato rivolge al suo libro.
18 Tacito, Annali, XIII, 45, dove si tratta di Poppea, legata solo al suo interesse.
19 Fedro, 230e-234c.
20 Il desiderio senza amore.
21 Tacito, Annali, VI, 1, che lo considerava un segno di perversità.
22 Guevara, Epístolas familiares, lettera del 16 maggio 1531.
23 Giacomo II il Giusto, re di Aragona e di Sicilia, secondo Olivier de la Marche, Mémoires, Lyon, G. Rouillé, 1562, I, 3, p. 78.
24 Cfr. sopra: li cerco solo in mancanza di quegli altri piaceri più reali, cioè in mancanza degli altri due commerci.
25 In effetti, condivisa con altri.
26 L’ambizione procura molta soddisfazione (ironico).
27 Seneca, nella sua Ad Polybium de consolatione, XXVI, dissuade questo personaggio di alto rango dal lasciar trasparire il suo dispiacere perché è sempre osservato.
Postilla. Il soggetto è l’instabilità, ma in senso inverso rispetto al capitolo precedente, poiché è presa qui come disponibilità mentale e apertura alle sollecitazioni esterne dei commerci con gli altri. Sotto questa voce, Montaigne esamina tre tipi di relazioni: di scambio amichevole, con gli uomini colti (uomini onorati e capaci, p. 1523); di seduzione, con le donne belle e oneste (p. 1525); di distrazione intellettuale con i libri, privilegiati come un passatempo (p. 1583) comodo perché sempre disponibile, e non, secondo lo stereotipo umanistico, come ricettacolo del sapere. Tutte queste occupazioni favorite (p. 1535), la cui descrizione anticipa i capitoli V e VII dello stesso libro III, rientrano così nell’ambito del divertimento, e a questo titolo il filosofo le adotta fino a distogliersi di proposito dal suo lavoro di investigazione e riflessione, che ritiene l’assorba eccessivamente (p. 1513): comportamento paradossale il cui senso si profila nell’elogio della vanità in III, IX.
CAPITOLO IV
1 Giovenale, VI, 272, a proposito della moglie che finge di essere gelosa fino a piangerne.
2 Queste citazioni e le seguenti, di Aristotele, Crisippo ed Epicuro, sono tratte dalle Tusculanæ disputationes di Cicerone, III, 31, così come l’idea di combinarle in una Consolatio sistematica.
3 Cfr. II, XXIII.
4 Azione diversiva sulle coste del Peloponneso per indurre gli Spartani a ritirarsi dall’Attica che avevano invaso (Tucidide, II, 23 e 55-56).
5 Il primo assedio di Carlo il Temerario a Liegi, nel 1466. Commynes, II, 3.
6 Ovidio, Metamorfosi, X, 560-681.
7 Ibid., 666-667.
8 Cicerone, Tusculanæ disputationes, IV, 35. Montaigne aggiunge il termine animus, così da dare al testo un senso generale: nell’originale si trattava dell’uomo rapito d’amore.
9 Ibid., I, 34.
10 Tacito, Annali, XV, 67.
11 Ibid., XVI, 9.
12 Virgilio, Eneide, IV, 382-384 e 387.
13 Diogene Laerzio, II, 54.
14 Ibid., X, 22, o Cicerone, De finibus, II, 30 (cfr. anche II, XVI, p. 1147).
15 Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 26.
16 Senofonte, Ciropedia, I, 6, 25, ripreso da Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 26.
17 Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 24, a commento della soddisfazione di Epaminonda di morire vittorioso.
18 Secondo Seneca, Epistole, 82 e 83, che nota la debolezza di questi argomenti.
19 Forse Enrico di Navarra, che dopo la vittoria di Coutras (20 ottobre 1587) si era recato a Montaigne.
20 Persio, VI, 72.
21 Lucrezio, IV, 1065.
22 Ibid., 1070-1071.
23 Quello causatogli dalla morte di La Boétie.
24 Enunciato indissociabile, nella prima versione, dal seguito, introdotto dall’avversativa: Ma tanti altri pensieri… L’aggiunta manoscritta insiste sulla permanenza del lutto, nonostante il contesto.
25 Cicerone, Tusculanæ disputationes, III, 15.
26 Plutarco, Vita di Alcibiade, XIV.
27 Lucrezio, V, 803-804.
28 Consolation à sa femme, II-III, 608d.
29 Plutarco, Vita di Antonio, XVIII.
30 Lucano, II, 42, sui lamenti delle donne romane alla vigilia della guerra civile.
31 Tiberio, secondo Svetonio, III, 62.
32 Diogene Laerzio, IV, 17.
33 Quintiliano, citato di seguito.
34 Il marito della belle Corisande d’Andouins, cui è dedicato I, XXIX (cfr. ivi nota 1).
35 Institutio oratoria, VI, 2, 35-36.
36 Erodoto, II, 30.
37 Plutarco, De superstitione, VIII, 168f, così come l’esempio di Mida.
38 Properzio, III, 5, 7-10.
Postilla. Ricetta naturale per evitare il dolore e la disperazione, la diversione è colta, per reinterpretazione, come segno della precarietà delle passioni così facili da ingannare, e di tutti i pensieri. Questo saggio del potere liberatorio dell’ironia conduce a prendere in considerazione l’inconsistenza della nostra anima (p. 1553) e prepara l’invenzione, in III, IX, di una saggezza a propria misura.