CAPITOLO XVIII

Della paura

[A]Obstupui, steteruntque comæ, et vox faucibus hæsit.I 1

Non sono un buon naturalista (come si dice) e non so per quali impulsi la paura agisca in noi, ma fatto sta che è una strana passione; e dicono i medici che non ve n’è un’altra che trasporti più rapidamente il nostro intelletto fuori del suo assetto naturale. In verità, ho visto molte persone diventate folli per la paura, e anche alle persone più equilibrate è certo, finché dura il suo accesso, che procura terribili offuscamenti. Lascio da parte il volgo al quale fa vedere ora i bisavoli usciti dalla tomba, avviluppati nel sudario, ora lupi mannari, folletti e chimere. Ma perfino tra i soldati, dove meno dovrebbe trovar posto, quante volte ha cambiato una mandria di pecore in uno squadrone di corazzieri? giunchi e canne in uomini d’arme e lancieri? gli amici in nemici? e la croce bianca in croce rossa?2 Quando il signor de Bourbon prese Roma, un portabandiera che era di guardia al borgo San Pietro fu preso da tale terrore al primo allarme, che attraverso l’apertura di una breccia si gettò con la bandiera in pugno fuori della città, dritto sui nemici, pensando di correre verso l’interno della città; vedendo poi finalmente le truppe del signor de Bourbon schierarsi per opporglisi, perché ritenevano si trattasse di una sortita fatta da quelli della città, si riebbe e voltatosi rientrò per la medesima apertura dalla quale era uscito fuori in aperta campagna per più di trecento passi.3 Le cose non andarono così felicemente per l’alfiere del capitano Juille, allorché Saint-Pol ci fu preso dal conte de Bures e dal signor du Reu: perché, sconvolto dal terrore al punto di gettarsi con il vessillo fuori della città attraverso una cannoniera, fu fatto a pezzi dagli assalitori. E nel medesimo assedio fu memorabile la paura che prese, afferrò e agghiacciò a tal punto il cuore di un gentiluomo che quello cadde stecchito a terra sulla breccia, senza alcuna ferita.4 [B] Una paura simile afferra a volte un’intera moltitudine. In uno degli scontri fra Germanico e gli Alemanni, due grandi truppe presero per lo spavento due strade opposte, l’una fuggiva dal luogo da cui partiva l’altra.5 [A] Talvolta essa ci mette le ali ai piedi, come nei due primi casi citati; talvolta ci blocca le gambe e le impaccia, come si legge dell’imperatore Teofilo, il quale in una battaglia che perdette contro gli Agareni6 rimase tanto sbigottito e agghiacciato che non poteva decidersi a fuggire, adeo pavor etiam auxilia formidat;I 7 finché Manuele, uno dei principali capi del suo esercito, avendolo scrollato e scosso come per svegliarlo da un profondo sonno, gli disse: «Se non mi seguite, vi ucciderò, poiché è meglio che perdiate la vita piuttosto che, fatto prigioniero, perdiate l’impero».8 [C] Essa esplica il suo estremo potere allorché per il suo utile particolare ci risospinge a quel valore che ha sottratto al nostro dovere e al nostro onore. Nella prima battaglia regolare che i Romani perdettero contro Annibale sotto il console Sempronio, un esercito di ben diecimila fanti, preso da spavento, non vedendo dove altrimenti aprire un varco alla propria viltà, andò a gettarsi nel grosso dei nemici, che sfondò con impeto straordinario, con grande strage di Cartaginesi, comprando una fuga vergognosa al medesimo prezzo che avrebbe pagato per una gloriosa vittoria.9

La paura è la cosa di cui ho più paura. Invero essa supera in intensità ogni altro accidente. Quale emozione può essere più violenta e più giusta di quella degli amici di Pompeo che si trovavano sulla sua nave, spettatori di quell’orribile massacro? Eppure la paura delle vele egiziane, che cominciavano ad avvicinarsi, la soffocò tanto che, come è stato notato, non fecero che incitare i marinai ad affrettarsi e a salvarsi a forza di remi; finché arrivati a Tiro, liberi dal timore, ebbero modo di volgere il pensiero alla sconfitta subita, e di dare la stura ai lamenti e alle lacrime, che quell’altra più forte passione aveva sospeso.10

Tum pavor sapientiam omnem mihi ex animo expectorat.II 11

Quelli che in qualche scontro bellico siano stati ben malmenati, il giorno dopo, ancora tutti feriti e insanguinati, si potrà ricondurli alla carica. Ma quelli che si son presi una bella paura dei nemici, non riuscireste nemmeno a farglieli guardare in faccia. Quelli che si sentono incalzati dal timore di perdere i propri beni, di essere esiliati, di essere assoggettati, vivono in continua angoscia e perdono la voglia di bere, di mangiare e di riposare; mentre i poveri, i messi al bando, i servi, vivono spesso allegramente come gli altri. E tutti quelli che, per non saper sopportare l’assillo della paura, si sono impiccati, annegati e precipitati giù, ci hanno ben insegnato che è ancora più fastidiosa e insopportabile della morte.

I Greci ne riconoscono un’altra specie che non dipende dall’errore della nostra ragione, venendo, dicono, senza causa apparente e per impulso celeste. Popoli interi se ne vedono spesso afferrati, e interi eserciti. Così fu quella che portò a Cartagine una straordinaria desolazione. Non si udivano che grida e voci di terrore. Si vedevano gli abitanti uscire dalle case come per un allarme, e scontrarsi, ferirsi e ammazzarsi come se si trattasse di nemici che venissero a occupare la città. Tutto era in disordine e in tumulto; finché con orazioni e sacrifici non ebbero placato l’ira degli dèi. Questo lo chiamano terror panico.12

 

I Rimasi sbigottito, i capelli mi si rizzarono e la voce mi si fermò in gola

I a tal punto la paura si spaventa perfino dei soccorsi

II Allora la paura mi strappa dall’animo il senno

Saggi
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