CAPITOLO XII

Della fisionomia

[B] Quasi tutte le opinioni che abbiamo sono prese per autorità e sul credito. Non c’è nulla di male. Non potremmo sceglier peggio che da soli, in un secolo tanto debole. Quell’immagine dei ragionamenti di Socrate che i suoi amici ci hanno lasciato, l’approviamo solo per rispetto verso l’approvazione pubblica: non è per nostra conoscenza. Non sono conformi alle nostre usanze. Se si producesse in questo momento qualcosa di simile, pochi uomini l’apprezzerebbero. Non distinguiamo i pregi se non sono irti, tronfi e gonfi d’artificio. Quelli che si celano sotto la naturalezza e la semplicità sfuggono facilmente a uno sguardo grossolano come il nostro. Hanno una bellezza delicata e nascosta: occorre una vista nitida e ben chiara per scoprire questa luce segreta. La naturalezza non è forse, secondo noi, sorella della stoltezza, e qualità biasimevole? Socrate fa muovere la propria anima d’un movimento naturale e comune. Così parla un contadino, così parla una donna. [C] Non ha mai in bocca altro che cocchieri, falegnami, ciabattini e muratori. [B] Sono induzioni e similitudini tratte dalle più volgari e conosciute azioni degli uomini. Ognuno lo capisce. Sotto una forma così vile non avremmo mai scorto la nobiltà e lo splendore delle sue ammirevoli concezioni, noi [C] che riteniamo piatte e basse tutte quelle che la dottrina non nobilita, [B] che non vediamo la ricchezza se non è in mostra e in pompa. Il nostro mondo è fatto solo per l’ostentazione: gli uomini non si gonfiano che di vento, e si muovono a balzi, come i palloni. Costui non si propone vane fantasie: il suo scopo fu di fornirci cose e precetti che realmente e più direttamente servano alla vita,

servare modum, finemque tenere,

Naturamque sequi.I 1

Egli fu anche sempre uno ed eguale e s’innalzò, non per slanci capricciosi, ma per indole, al sommo culmine della fortezza. O per meglio dire: non innalzò nulla, ma piuttosto abbassò e ricondusse al loro limite originale e naturale e a questo sottopose la fortezza, i tormenti e le difficoltà. Di fatto in Catone si vede molto chiaramente che è un’andatura tesa ben al di sopra di quelle comuni: nelle ardite imprese della sua vita e nella sua morte, lo sentiamo sempre trasportato dal furore. Questo qui procede coi piedi in terra, e con passo calmo e consueto tratta gli argomenti più utili, e si comporta e nella morte e nelle più spinose traversie che si possano presentare nel corso della vita umana. È stata una fortuna che l’uomo più degno d’esser conosciuto e d’esser presentato al mondo come esempio sia colui del quale abbiamo più sicura conoscenza. È stato illustrato dagli uomini più intelligenti che mai siano stati. Le testimonianze che abbiamo di lui sono mirabili per fedeltà e dottrina.2

È gran cosa aver potuto dare alle semplici idee di un ragazzo un ordine tale che, senza alterarle o stiracchiarle, egli ne abbia tratto i più bei prodotti della nostra anima. Non la rappresenta né nobile né ricca: la rappresenta soltanto sana, ma certo di una salute molto gagliarda e piena. Con questi impulsi volgari e naturali, con queste idee ordinarie e comuni, senza agitarsi e senza piccarsi, egli stabilì non solo le più ordinate, ma le più alte e vigorose opinioni, azioni e usanze che mai vi furono. [C] È lui che ricondusse giù dal cielo, dove perdeva tempo, la saggezza umana, per restituirla all’uomo: dove è il suo più giusto e laborioso compito, e il più utile. [B] Guardatelo perorare davanti ai suoi giudici, guardate con quali ragionamenti risveglia il proprio coraggio nei rischi della guerra, quali argomenti fortifichino la sua pazienza contro la calunnia, la tirannia, la morte e contro la testardaggine di sua moglie: non c’è nulla che sia preso a prestito dall’arte e dalle scienze; i più semplici vi riconoscono i loro mezzi e la loro forza. Non è possibile andar più indietro né più in basso. Ha fatto un gran favore alla natura umana mostrando quanto essa può per se stessa.

Ognuno di noi è più ricco di quanto pensi. Ma ci abituano a prendere a prestito e a mendicare: ci avvezzano a servirci più dell’altrui che del nostro. In nessuna cosa l’uomo sa fermarsi al limite del proprio bisogno. Di voluttà, di ricchezza, di potenza ne abbraccia più di quanto ne possa stringere: la sua avidità è incapace di moderarsi. Trovo che nella curiosità di sapere è la stessa cosa. Si propone compiti molto al di là di ciò che può fare e molto al di là di ciò che ha da farne: [C] estendendo l’utilità del sapere a tutto ciò che ne è oggetto. Ut omnium rerum, sic literarum quoque intemperantia laboramus.I 3 E Tacito ha ragione di lodare la madre di Agricola per aver frenato in suo figlio un desiderio troppo ardente di scienza.4 È un bene, a guardarlo con sguardo fermo, che ha, come gli altri beni degli uomini, molta vanità e debolezza propria e naturale: e che costa caro. L’acquisto ne è ben più rischioso di quello di ogni altro cibo o bevanda. Infatti, per il resto, quel che abbiamo comprato lo portiamo a casa in qualche recipiente, e là abbiamo modo di esaminarne il valore, e quanto e in quale momento ne prenderemo. Ma le scienze, non possiamo sul momento metterle in altro recipiente che nella nostra anima: le inghiottiamo comprandole, e usciamo dal mercato o già infetti o migliorati. Ce ne sono che ci imbarazzano e ci gravano invece di nutrirci, e tali ancora che sotto specie di guarirci ci avvelenano.

[B] Mi ha fatto piacere vedere in qualche luogo alcuni uomini fare, per devozione, voto d’ignoranza, come di castità, di povertà, di penitenza. È anche questo un castrare i nostri desideri sregolati, rintuzzare questa cupidigia che ci pungola allo studio dei libri: e privar l’anima di quel compiacimento voluttuoso che ci lusinga per la presunzione di sapere. [C] Ed è un soddisfare largamente il voto di povertà, l’aggiungervi anche quella dello spirito. [B] Non abbiamo bisogno di molta dottrina per vivere a nostro agio. E Socrate ci insegna che essa è in noi, e la maniera di trovarla e di valersene. Tutta quella nostra sapienza che è al di là di quella naturale, è pressappoco vana e superflua. È molto se non ci pesa e non ci turba più di quanto ci serva. Paucis opus est litteris ad mentem bonam.I 5 Sono accessi di febbre del nostro spirito, strumento agitato e inquieto. Raccoglietevi: troverete in voi gli argomenti della natura contro la morte, veri, e i più adatti a servirvi nel momento del bisogno. Sono quelli che fanno sì che un contadino e dei popoli interi muoiano con altrettanta fermezza di un filosofo. [C] Sarei morto meno lietamente prima di aver letto le Tusculanæ? Penso di no. E quando mi trovo al momento decisivo, sento che la mia lingua si è arricchita, il mio cuore per nulla. È come la natura me lo fabbricò e si arma per la lotta in modo ordinario e comune. I libri mi hanno servito non tanto d’istruzione quanto di esercitazione. [B] Che dire se la scienza, cercando di armarci di nuove difese contro gli inconvenienti naturali, ci ha impresso nella mente piuttosto la loro grandezza e il loro peso che i suoi ragionamenti e le sue sottigliezze per proteggercene? [C] Sono davvero sottigliezze, con le quali essa ci stimola spesso molto inutilmente. Guardate come gli autori, anche i più concisi e i più saggi, tutt’intorno a un buon argomento ne seminino tanti altri futili e, a guardar bene, inconsistenti. Non sono che arguzie verbali che ci ingannano. Ma poiché questo può essere utile, non voglio ulteriormente criticarle. Qui dentro ce ne sono abbastanza di questo tipo, in diversi punti, o prese a prestito o imitate. Tuttavia bisogna stare un po’ attenti a non chiamar forza quello che è soltanto finezza, e solido quello che è soltanto acuto, o buono quello che è soltanto bello, quæ magis gustata quam potata delectant.II 6 Non tutto ciò che piace pasce. Ubi non ingenii, sed animi negotium agitur.III 7 [B] A vedere gli sforzi che Seneca s’impone per prepararsi contro la morte, a vederlo sudare dall’affanno per fortificarsi e farsi coraggio, e dibattersi tanto a lungo su quel panione, avrei sminuito la mia stima per lui se morendo non l’avesse assai valorosamente rafforzata. La sua agitazione così ardente, [C] così frequente, dimostra che era caldo e impetuoso di natura. Magnus animus remissius loquitur et securius.I 8 Non est alius ingenio, alius animo color.II 9 Bisogna convincerlo a sue spese.10 E dimostra in qualche modo [B] che si sentiva turbato dal suo avversario. Lo stile di Plutarco, più sdegnoso e disteso, è secondo me tanto più virile e convincente. Crederei facilmente che i moti della sua anima fossero più sicuri e più regolati. L’uno, più vivo, ci sprona e ci infiamma all’istante: tocca più lo spirito. L’altro, più calmo, ci istruisce, ci rafforza e ci conforta costantemente: tocca più l’intelletto. [C] Quello rapisce il nostro giudizio, questo lo conquista. Ho visto del pari altri scritti ancor più venerati, che nella descrizione della lotta che sostengono contro gli stimoli della carne li rappresentano tanto pungenti, tanto potenti e invincibili che noi stessi, che siamo della feccia del popolo, dobbiamo ammirare la straordinarietà e la forza sconosciuta della loro tentazione non meno della loro resistenza.

[B] A che scopo fortificarci con questi sforzi della dottrina? Guardiamo a terra i poveretti che vi vediamo sparsi, la testa china sul loro lavoro, che non conoscono né Aristotele né Catone, né esempio né precetto. Da questi la natura trae ogni giorno atti di fermezza e di pazienza più puri e più severi di quelli che studiamo tanto attentamente a scuola. Quanti ne vedo abitualmente che non si curano della povertà? Quanti che desiderano la morte, o che la superano senza affanno e senza afflizione? Quello là che vanga il mio giardino ha sotterrato stamani suo padre o suo figlio. I nomi stessi con cui chiamano le malattie ne addolciscono e ne mitigano l’asprezza. La tisi è per loro la tosse; la dissenteria, sconvolgimento di stomaco; una pleurisia è un’infreddatura. E come dolcemente le chiamano, così anche le sopportano. Devono essere molto gravi per interrompere il loro lavoro abituale. Si mettono a letto solo per morire. [C] Simplex illa et aperta virtus in obscuram et solertem scientiam versa est.III 11

[B] Scrivevo questo all’epoca in cui un’ondata particolarmente forte dei nostri disordini si abbatté per parecchi mesi, con tutto il suo peso, dritto su di me.12 Da una parte avevo alla porta i nemici, dall’altra parte i predoni, nemici peggiori: non armis sed vitiis certatur.I 13 E sopportavo ogni sorta di offese militari in una volta,

Hostis adest dextra levaque a parte timendus,

Vicinoque malo terret utrumque latus.II 14

Guerra mostruosa: le altre agiscono di fuori; questa anche contro se stessa, si rode e si guasta col suo proprio veleno. È di natura così maligna e distruttiva che si distrugge insieme al resto, e si sbrana e si smembra per la rabbia. La vediamo più spesso dissolversi da sola che per difetto di qualcosa di necessario o per la forza nemica. Ogni disciplina la fugge. Viene a guarire la sedizione e ne è piena.15 Vuole punire la disobbedienza e ne dà l’esempio. E intrapresa per difendere le leggi, si ribella per parte sua contro le proprie. Dove siamo arrivati? La nostra medicina porta infezione,

Notre mal s’empoisonne

Du secours qu’on lui donne,III 16

exuperat magis ægrescitque medendo.IV 17

Omnia fanda, nefanda, malo permista furore,

Iustificam nobis mentem avertere Deorum.V 18

In queste malattie pubbliche si possono distinguere all’inizio i sani dai malati; ma quando cominciano a prolungarsi, come la nostra, tutto il corpo ne risente, dalla testa ai calcagni, nessuna parte è esente da corruzione. Di fatto non c’è aria che si respiri tanto avidamente, che si diffonda e penetri quanto la licenza. I nostri eserciti non sono ormai tenuti insieme e legati che con cemento straniero:19 con i Francesi non si può più fare un corpo d’armata solido e ordinato. Che vergogna! Non c’è altra disciplina che quella che ci mostrano i soldati mercenari. Quanto a noi, ci comportiamo a discrezione, e non del capo: ognuno secondo la propria. C’è più da fare di dentro che di fuori. Spetta al comandante seguire, corteggiare e cedere, a lui solo obbedire: tutto il resto è libero e sfrenato. Mi piace vedere quanta vigliaccheria e pusillanimità ci sia nell’ambizione: quanta abiezione e servilità le occorra per arrivare al suo scopo. Ma mi dispiace vedere temperamenti bonari e capaci di giustizia corrompersi ogni giorno di più nella condotta e nel comando di questa confusione. La lunga sopportazione genera l’abitudine; l’abitudine, il consenso e l’imitazione. Avevamo abbastanza anime mal nate senza guastare quelle buone e generose. Tanto che, se continuiamo, resterà difficilmente qualcuno a cui affidare la salute di questo Stato, nel caso che la fortuna ce la restituisca:

Hunc saltem everso iuvenem succurrere seclo

Ne prohibite.I 20

[C] Che cosa è diventato quell’antico precetto, che i soldati devono temere il loro capo più di quanto lo tema il nemico?21 E quell’esempio meraviglioso, che un melo essendo rimasto chiuso nel recinto dell’accampamento romano, si vide l’esercito sloggiare l’indomani, lasciando al proprietario tutte quante le sue mele intatte, mature e deliziose.22 Mi piacerebbe molto che quel tempo che la nostra gioventù impiega in peregrinazioni meno utili e in apprendimenti meno onorevoli, lo dedicasse per metà a osservare la guerra sul mare, sotto qualche buon capitano comandante di Rodi,23 e per metà a studiare la disciplina degli eserciti turchi,24 poiché è molto diversa e superiore alla nostra. Sta di fatto che i nostri soldati diventano più licenziosi nelle spedizioni, là25 invece più rattenuti e peritosi. Di fatto le offese o i furti a danno del popolo minuto, che in tempo di pace si puniscono a bastonate, sono puniti con la morte in tempo di guerra. Per un uovo preso senza pagare sono, di numero prestabilito, cinquanta colpi di bastone. Per ogni altra cosa, per lieve che sia, non necessaria al nutrimento, essi vengono impalati o decapitati seduta stante. Mi ha stupito nella storia di Selim,26 il più crudele conquistatore che mai sia stato, leggere che quando soggiogò l’Egitto, i giardini che sono intorno alla città di Damasco, mirabili per ricchezza ed eleganza, rimasero vergini delle mani dei suoi soldati, così aperti e non recintati come sono.

[B] Ma c’è in un governo qualche male che valga la pena d’esser combattuto con un rimedio così mortale? Nemmeno, diceva Faonio, l’usurpazione tirannica del dominio d’uno Stato.27 [C] Allo stesso modo Platone non consente che si faccia violenza alla tranquillità del proprio paese per guarirlo, e non accetta il miglioramento che costa il sangue e la rovina dei cittadini, stabilendo il dovere d’un uomo d’onore: in tal caso, lasciar tutto come sta, pregando soltanto Iddio che vi porti il suo soccorso straordinario. E sembra che ne voglia a Dione, suo grande amico, perché questi aveva agito un po’ diversamente.28 Io ero platonico in questo senso, prima di sapere che ci fosse un Platone al mondo. E sebbene a rigore questo personaggio debba essere escluso dal nostro consorzio,29 lui che, per la sincerità della sua coscienza, meritò dalla grazia divina di penetrar tanto addentro nella luce cristiana attraverso le tenebre comuni della gente del tempo suo, non penso sia convenevole lasciare che un pagano ci dica quale empietà sia il non aspettar da Dio nessun soccorso esclusivamente suo e senza la nostra cooperazione. Dubito spesso che, fra tante persone che s’immischiano di questa faccenda, ci sia stato qualcuno così infermo di mente da lasciarsi in buona fede persuadere di andare verso la riformazione attraverso l’estrema deformazione; di tendere alla propria salvezza attraverso le più manifeste cause che abbiamo di certissima dannazione; di poter, rovesciando il governo, il magistrato e le leggi sotto la cui tutela Dio lo ha posto, sbranando sua madre30 e dandone a rosicchiare i pezzi ai suoi antichi nemici,31 riempiendo di odii parricidi i cuori dei fratelli, chiamando in suo aiuto i diavoli e le furie, portar soccorso alla sacrosanta dolcezza e giustizia della parola divina. [B] L’ambizione, la cupidigia, la crudeltà, la vendetta non hanno sufficiente violenza propria e naturale: accendiamole e attizziamole col glorioso pretesto della giustizia e della devozione. Non si può immaginare uno stato di cose peggiore di quello in cui la malvagità diventa legittima, e prende col consenso del magistrato il mantello della virtù. [C] Nihil in speciem fallacius quam prava religio, ubi deorum numen prætenditur sceleribus.I 32 L’estremo grado d’ingiustizia, secondo Platone, è che quello che è ingiusto sia ritenuto giusto.33

[B] Il popolo sofferse enormemente allora non solo i danni presenti,

undique totis

Usque adeo turbatur agris,II 34

ma anche quelli futuri. I vivi ne ebbero a patire; e così quelli che non erano ancor nati. Lo si depredò, e me per conseguenza, perfino della speranza, portandogli via tutto quello che aveva per procacciarsi da vivere per lunghi anni:

Quæ nequeunt secum ferre aut abducere perdunt,

Et cremat insontes turba scelesta casas.35

Muris nulla fides, squallent populatibus agri.I 36

Oltre a questo colpo, ne subii altri. Incorsi negli inconvenienti che la moderazione porta in tali malattie. Fui strigliato da tutte le mani: per il ghibellino ero guelfo, per il guelfo ghibellino. Qualcuno dei miei poeti dice bene questo, ma non so dove. La posizione della mia casa e la dimestichezza con gli uomini del mio vicinato37 mi presentavano sotto un aspetto, la mia vita e le mie azioni sotto un altro. Non se ne traevano accuse formali, poiché non c’era dove attaccarsi. Io non mi allontano mai dalle leggi; e chi avesse fatto un’inchiesta su di me sarebbe stato trovato più colpevole di me. Erano sospetti muti che correvano sotto mano, che non mancano mai di verosimiglianza, in una mescolanza così confusa, né di cervelli invidiosi quanto sciocchi. [C] Io favorisco di solito i sospetti ingiuriosi che la fortuna semina contro di me, per un certo modo che ho da sempre di evitar di giustificarmi, scusarmi e spiegarmi, ritenendo che sia compromettere la mia coscienza il perorare per essa: perspicuitas enim argumentatione elevatur.II 38 E come se ognuno vedesse in me altrettanto chiaramente come vedo io, invece di tirarmi indietro di fronte all’accusa, mi faccio avanti e l’aggravo piuttosto con una confessione ironica e beffarda; quando non taccio addirittura, come per una cosa indegna di risposta. Ma quelli che la prendono per una troppo altera sicurezza non me ne vogliono meno di quelli che la prendono per debolezza in una causa indifendibile. Specialmente i potenti, nei cui riguardi la mancanza di sottomissione è la mancanza più grave: insensibili ad ogni rettitudine che ha coscienza di sé, che si riconosce; non dimessa, umile e supplichevole. Ho spesso urtato contro questo scoglio. Tant’è che per quello che mi accadde allora [B] un ambizioso si sarebbe impiccato; così avrebbe fatto un avaro. Io non mi curo affatto di arricchirmi,

Sit mihi quod nunc est, etiam minus, ut mihi vivam

Quod superest ævi, si quid superesse volent dii.III 39

Ma le perdite che mi vengono dall’ingiustizia di altri, sia ladrocinio, sia violenza, mi feriscono quasi come un uomo malato e tormentato dall’avarizia. L’offesa è senza paragone più amara della perdita.

Mille diverse specie di mali si riversarono su di me in fila. Li avrei sopportati più vigorosamente in folla. Pensavo già a chi, fra i miei amici, avrei potuto affidare una vecchiaia bisognosa e disgraziata: dopo aver girato gli occhi dappertutto, mi trovai in camicia. Per lasciarsi cadere a capofitto, e da tale altezza, bisogna cader fra le braccia d’un affetto solido, robusto e facoltoso. Sono rari, se pur ve ne sono. Infine vidi che la cosa più sicura era affidarmi a me stesso, me e la mia miseria. E se mi accadeva di aver magro favore della fortuna, mi raccomandassi tanto più al mio, mi attaccassi e mi tenessi più strettamente a me stesso. [C] In tutte le cose gli uomini si gettano sugli appoggi estranei per risparmiare i propri: i soli sicuri e i soli potenti, per chi sappia giovarsene. Ognuno corre altrove e all’avvenire, in quanto nessuno è arrivato a se stesso. [B] E mi convinsi che erano inconvenienti utili. In primo luogo perché bisogna correggere a colpi di frusta i cattivi discepoli, quando la ragione non basta. [C] Come col fuoco e con la forza dei cunei facciamo tornare dritto un legno storto. [B] Da tanto tempo mi ammonisco di attenermi a me e di separarmi dalle cose esteriori, tuttavia seguito a volger sempre gli occhi intorno: l’affetto, una parola favorevole di un potente, un buon viso mi tentano. Dio sa se ce n’è penuria in questo tempo, e quale significato questo abbia. Ascolto anche, senza corrugare la fronte, le istigazioni che mi si fanno per tirarmi in ballo, e me ne difendo così fiaccamente che sembra che preferirei piuttosto esserne vinto. Ora, per uno spirito tanto indocile, ci vogliono delle bastonate; e bisogna consolidare e rimettere in sesto a buoni colpi di maglio questo vascello che si sfascia, si disfa, sfugge e si sottrae a se stesso. In secondo luogo, perché questo accidente mi serviva di esercizio per prepararmi al peggio, nel caso in cui io, che sia per il favore della fortuna sia per la natura dei miei costumi speravo di essere fra gli ultimi, fossi stato fra i primi colpito da questa tempesta: abituandomi di buon’ora a limitare la mia vita e a regolarla per una nuova condizione. La vera libertà è potere qualsiasi cosa su se stesso. [C] Potentissimus est qui se habet in potestate.I 40 [B] In un’epoca normale e tranquilla ci si prepara ad accidenti moderati e comuni. Ma in questa confusione in cui ci troviamo da trent’anni, ogni francese, sia in particolare sia in generale, si vede ogni momento a rischio di un totale rovescio di fortuna. Perciò bisogna tenere il proprio coraggio rifornito di provviste più forti e vigorose. Dobbiamo esser grati alla sorte di averci fatto vivere in un secolo non molle, languido né ozioso. Anche chi non lo sarebbe stato altrimenti, si renderà famoso per la sua sventura. [C] Come non leggo nelle storie torbidi simili degli altri Stati senza rimpiangere di non aver potuto meglio osservarli di persona, così la mia curiosità fa sì che io mi rallegri in qualche modo di veder coi miei occhi questo notevole spettacolo della nostra morte civile, i suoi sintomi e la sua forma. E poiché non posso ritardarla, sono contento di esser destinato ad assistervi e trarne insegnamento. Così cerchiamo avidamente di riconoscere perfino nei fantasmi e nelle favole dei teatri la rappresentazione dei giochi tragici della fortuna umana. Non è che non proviamo compassione di quel che ascoltiamo, ma ci compiacciamo di eccitare il nostro dolore con la singolarità di tali pietosi eventi. Niente solletica se non punge. E i buoni storici evitano, come un’acqua stagnante e un mare morto, le narrazioni calme, per ritornare alle sedizioni, alle guerre, dove sanno che li aspettiamo. Dubito di poter onestamente41 confessare con quanto poco pregiudizio della calma e della tranquillità della mia vita io l’abbia passata per più di metà in mezzo alla rovina del mio paese. Riesco un po’ troppo facilmente a sopportare gli accidenti che non mi toccano direttamente, e per compiangermi guardo non tanto ciò che mi si toglie, quanto quello che mi resta di salvo e dentro e fuori. C’è un certo conforto nello schivare or questo or quello dei mali che ci prendono di mira uno dopo l’altro e colpiscono altrove intorno a noi. Analogamente, in materia d’interessi pubblici, a misura che la mia partecipazione è più generalmente distribuita, è altresì più fiacca. Si aggiunga che senza dubbio tantum ex publicis malis sentimus, quantum ad privatas res pertinet,I 42 o pressappoco. E che la salute da cui partimmo era tale da alleviare di per sé il rimpianto che dovremmo averne. Era salute, ma solo in confronto alla malattia che l’ha seguita. Non siamo caduti da una grande altezza. La corruzione e il brigantaggio tenuti in onore e nella norma mi sembrano i meno sopportabili. È meno esasperante esser derubati in un bosco che in un luogo sicuro. Era una congiunzione generale di membra guaste ognuna in sé, e una più dell’altra: e la maggior parte per ulcere invecchiate che non ammettevano più né richiedevano guarigione.

[B] Questo sconvolgimento dunque mi rianimò certo più di quanto mi abbatté, con l’aiuto della mia coscienza, che si manteneva non solo tranquilla, ma fiera: e non trovavo di che lamentarmi di me. Così, poiché Dio non manda mai agli uomini mali soltanto o beni soltanto, la mia salute resisté in quel tempo oltre il suo solito. E come senza di essa non posso nulla, ci sono poche cose che non posso con essa. Mi dette modo di mettere in opera tutte le mie risorse e di portar la mano davanti alla ferita, che facilmente sarebbe andata più in profondo. E costatai nella mia sopportazione che ero capace di qualche resistenza contro la fortuna; e che per disarcionarmi ci voleva un grande urto. Non lo dico per sfidarla a farmi un assalto più vigoroso. Sono suo servitore, le tendo le mani. Dio voglia che si accontenti. Se sento i suoi assalti? Altro che! Come coloro che la tristezza opprime e possiede si lasciano tuttavia di tanto in tanto titillare da qualche piacere e sfugge loro un sorriso: così io ho abbastanza potere su di me per rendere il mio stato abituale tranquillo e libero da idee moleste. Ma mi lascio tuttavia, a tratti, sorprendere dai morsi di quegli spiacevoli pensieri, che mi colpiscono mentre mi armo per cacciarli o per combatterli.

Ecco un altro accrescimento di male che mi colse in seguito al resto. Tanto fuori che dentro la mia casa fui assalito da una peste43 violenta quant’altre mai. Di fatto, come i corpi sani sono soggetti a più gravi malattie, poiché non possono esser vinti che da quelle, così la mia aria oltremodo salubre, dove a memoria d’uomo il contagio, benché vicino, non aveva mai potuto prender piede, venendo a infettarsi, produsse effetti straordinari:

Mista senum et iuvenum densantur funera, nullum

Sæva caput Proserpina fugit.I 44

Dovetti sopportare questa piacevole situazione: che la vista della mia casa mi riempiva di terrore. Tutto quello che vi si trovava era senza custodia e abbandonato a chiunque ne avesse voglia. Io che sono tanto ospitale fui in estrema difficoltà per trovare un asilo per la mia famiglia. Una famiglia sbandata, che faceva paura ai suoi amici e a se stessa, e orrore dovunque cercasse di fermarsi, costretta a cambiar dimora appena uno della compagnia cominciava a sentir male alla punta d’un dito. Tutte le malattie sono prese per peste: non ci si dà il tempo di riconoscerle. E il bello è che, secondo le regole dell’arte, a qualsiasi sintomo che si manifesti bisogna star quaranta giorni con la paura di quel male, mentre intanto l’immaginazione vi tormenta a suo piacere e fa ammalare la vostra stessa salute. Tutto questo mi avrebbe toccato molto meno se non avessi dovuto preoccuparmi per la pena altrui, e per sei mesi servir miserabilmente di guida a questa carovana.45 Poiché io porto in me le mie difese, che sono fermezza e sopportazione. La paura, che si teme particolarmente in questo male, non mi tormenta affatto. E se, essendo solo, avessi voluto prenderlo, sarebbe stata una fuga ben più risolutiva e lontana.46 È una morte che non mi sembra delle peggiori: è di solito breve, con stordimento, senza dolore, consolata dalla condizione comune, senza cerimonia, senza lutto, senza folla. Ma quanto alla gente dei dintorni, la centesima parte delle anime non poté salvarsi,

videas desertaque regna

Pastorum, et longe saltus lateque vacantes.I 47

In questo luogo la mia maggiore entrata deriva da lavori manuali: quello che cento uomini lavoravano per me, rimarrà senza frutto per molto tempo.

Or dunque, quale esempio di fermezza non vedemmo nella semplicità di tutto questo popolo? Tutti quanti rinunziavano alla cura della vita. I grappoli rimasero sospesi alle viti, ricchezza principale del paese, mentre tutti indifferentemente si preparavano alla morte e l’aspettavano per la sera, o per il giorno dopo, con volto e voce così poco spaventati che sembrava che fossero venuti a patti con tale necessità, e che fosse una condanna universale e inevitabile. Essa è sempre tale. Ma da quali inezie dipende la fermezza davanti alla morte! La distanza e la differenza di qualche ora, la sola considerazione della compagnia ce ne rende diverso il sentimento. Guardate costoro: dato che muoiono tutti nello stesso mese, bambini, giovani, vecchi, non si spaventano più, non piangono più. Ne ho visti alcuni che temevano di rimanere ultimi, come in un’orribile solitudine. E non vidi in genere altra cura che quella delle sepolture: li turbava vedere i corpi sparsi per i campi, alla mercé delle bestie, che vi pullularono immediatamente. [C] Come si differenziano le ubbie umane! I Neoriti, popolo che Alessandro sottomise, gettano i corpi dei morti nel più profondo dei boschi perché vi siano mangiati: sola sepoltura ritenuta felice fra loro.48 [B] Un tale, sano, scavava già la propria fossa, altri vi si adagiavano ancora vivi. E uno dei miei braccianti a forza di mani e di piedi si tirò addosso la terra morendo: non era questo un mettersi al riparo per addormentarsi più a suo agio? [C] Con un gesto per nobiltà in qualche modo pari a quello dei soldati romani che furono trovati, dopo la battaglia di Canne, con la testa conficcata in alcune buche che avevano fatto e riempito con le loro mani soffocandovisi.49 [B] Insomma tutto un popolo fu indotto d’un tratto, per la sola pratica, a un contegno che per rigore non è da meno di qualsiasi risoluzione studiata e meditata.

La maggior parte degli ammaestramenti della scienza diretti a incoraggiarci hanno più apparenza che forza, e più ornamento che frutto. Abbiamo abbandonato la natura e vogliamo insegnarle la sua stessa lezione: a lei che ci guidava così felicemente e sicuramente! E tuttavia le tracce del suo ammaestramento e quel poco della sua immagine che, in grazia dell’ignoranza, rimane impresso nella vita di questa folla rustica di uomini incivili, la scienza è costretta ad andarlo a prendere a prestito ogni giorno per farne modello di fermezza, d’innocenza e di tranquillità ai suoi discepoli. È ridicolo a vedersi che costoro, pieni di tante belle cognizioni, debbano imitare questa sciocca semplicità, e imitarla nelle principali azioni della virtù. E che la nostra sapienza apprenda dalle bestie medesime gli insegnamenti più utili alle cose più grandi e necessarie della nostra vita:50 come bisogna vivere e morire, amministrare i nostri beni, amare ed educare i nostri figli, render giustizia. Singolare testimonianza della corruzione umana. E che questa ragione che governiamo a nostro piacimento, trovando sempre qualche diversità e novità, non lasci in noi alcuna traccia apparente della natura. E gli uomini hanno fatto di lei quello che i profumieri fanno dell’olio: l’hanno sofisticata con tante argomentazioni e ragionamenti presi dal di fuori, che è divenuta variabile e particolare per ognuno. E ha perduto il volto suo proprio, costante e universale, del quale ci occorre cercar testimonianza nelle bestie, non soggetto a favore, a corruzione, né a diversità di opinioni. Di fatto è ben vero che anch’esse non procedono sempre esattamente sulla strada della natura: ma quando se ne allontanano è di così poco che ne scorgete sempre la traccia. Allo stesso modo che i cavalli che sono condotti a mano fanno, certo, dei salti e delle impennate, ma per la lunghezza delle redini, e nondimeno seguono sempre il passo di colui che li guida; e come l’uccello prende il volo, ma per quanto glielo permette il lacciuolo.

[C] Exilia, tormenta, bella, morbos, naufragia meditare, ut nullo sis malo tyro.I 51 [B] A che cosa ci serve questa curiosità di prevedere tutti gli inconvenienti della natura umana, e di prepararci con tanta fatica proprio contro quelli che forse non devono toccarci affatto? [C] Parem passis tristitiam facit, pati posse.II 52 Non solo il colpo, ma il vento e il rumore ci percuote. [B] O come i più febbricitanti, perché è certo una febbre, andar fin d’ora a farvi fustigare, perché può accadere che la fortuna ve lo faccia patire un giorno; [C] e mettere la vostra veste impellicciata fin dal giorno di San Giovanni perché ne avrete bisogno a Natale. [B] Datevi a far esperienza dei mali che possono capitarvi, specialmente i più grandi: mettetevi alla prova, dicono, allenatevi. Al contrario, la cosa più facile e più naturale sarebbe cacciarli perfino dal pensiero. Non verranno già abbastanza presto, il loro vero essere non ci accompagna già abbastanza: bisogna che il nostro spirito li estenda e li allunghi e che prima del tempo li incorpori a sé e vi s’intrattenga, come se non pesassero a sufficienza sui nostri sensi. [C] «Peseranno abbastanza quando ci saranno» dice uno dei maestri, non di qualche scuola accomodante, ma della più severa,53 «nel frattempo aiutati: credi ciò che preferisci; a che cosa ti serve andare incontro alla tua cattiva fortuna prevenendola, e perdere il presente per timore del futuro? ed essere miserabile ora perché devi esserlo col tempo?» Sono le sue parole. [B] La scienza ci fa spesso un bel servizio istruendoci molto precisamente sulle dimensioni dei mali,

Curis acuens mortalia corda.III 54

Sarebbe un vero peccato se parte della loro grandezza sfuggisse al nostro sentire e alla nostra conoscenza! È certo che alla maggior parte delle persone la preparazione alla morte ha dato più tormento che non il subirla. [C] Fu detto un tempo veracemente e da un autore molto giudizioso: minus afficit sensus fatigatio quam cogitatio.IV 55 Il sentimento della morte presente ci anima talvolta di per sé d’una pronta risoluzione a non evitar più una cosa assolutamente inevitabile. Si sono visti molti gladiatori, nel tempo passato, dopo aver combattuto vigliaccamente, accettare coraggiosamente la morte, presentando la gola al ferro del nemico e invitandolo. La vista della morte futura ha bisogno di una fermezza lenta, e difficile quindi a conseguire. [B] Se non sapete morire, non preoccupatevene, la natura vi istruirà sul momento, in modo completo e sufficiente: compirà a puntino questa operazione per voi, non datevene la briga.

Incertam frustra, mortales, funeris horam

Quæritis, et qua sit mors aditura via.56

Pœna minor certam subito perferre ruinam,

Quod timeas gravius sustinuisse diu.I 57

Noi turbiamo la vita con la preoccupazione della morte, e la morte con la preoccupazione della vita. [C] L’una ci affligge, l’altra ci spaventa. [B] Non è contro la morte che ci prepariamo, è cosa troppo momentanea. [C] Un quarto d’ora di acquiescenza senza conseguenza, senza danno, non merita precetti particolari. [B] A dire il vero ci prepariamo contro le preparazioni alla morte. La filosofia ci ordina di aver sempre la morte davanti agli occhi, di prevederla e meditarla prima del tempo, e ci dà poi le regole e le precauzioni per provvedere affinché tale previdenza e tale pensiero non ci feriscano. Così fanno i medici che ci precipitano nelle malattie, per aver dove impiegare i loro farmachi e la loro arte. [C] Se non abbiamo saputo vivere, è un’ingiustizia insegnarci a morire. E render la fine difforme dal suo tutto. Se abbiamo saputo vivere con fermezza e tranquillità, sapremo morire allo stesso modo. Se ne vanteranno quanto loro piacerà, Tota philosoforum vita commentatio mortis est.II 58 Ma sono del parere che sia, sì, la fine, non già il fine della vita. È il suo termine, il suo estremo, non già il suo oggetto. Essa dev’essere di per sé la sua stessa mira, il suo stesso proposito. Il suo proprio studio è regolarsi, governarsi, sopportarsi. Nel numero di parecchi altri doveri che comprende questo capitolo generale e principale che è il saper vivere, c’è quest’articolo di saper morire. E uno dei più lievi, se il nostro timore non gli desse peso.

[B] A giudicarle dall’utilità e dalla pura verità, le lezioni della semplicità non sono affatto da meno di quelle che ci predica la dottrina in senso opposto. Gli uomini sono diversi per gusto e per forza, bisogna condurli al loro bene secondo ciò che sono, e per vie diverse. [C] Quo me cumque rapit tempestas, deferor hospes.I 59 [B] Non vidi mai contadino dei miei dintorni mettersi a pensare con qual contegno e fermezza avrebbe passato quell’ora estrema. La natura gli insegna a non pensare alla morte se non quando muore. E allora lo fa con miglior garbo di Aristotele, che la morte affligge doppiamente, e per se stessa e per una così lunga premeditazione. Per questo l’opinione di Cesare fu che la morte meno prevista fosse la più felice e la più sopportabile.60 [C] Plus dolet quam necesse est, qui ante dolet quam necesse est.II 61 La crudeltà di questo pensiero nasce dalla nostra curiosità. Ci impastoiamo sempre così: volendo prevenire e governare le prescrizioni naturali. Lasciamo ai dottori mangiar peggio per questo, anche da sani, e corrucciarsi all’idea della morte. La gente comune non ha bisogno né di rimedio né di conforto se non sul momento, e non ne considera se non quel tanto che ne sente. [B] Non è quello che diciamo, che la stupidità e la mancanza d’intelligenza del volgo gli dà quella sopportazione dei mali presenti e quella profonda noncuranza per i sinistri accidenti futuri; [C] che la loro anima, essendo grossolana e ottusa, è meno penetrabile e impressionabile? [B] Per Dio, se è così, teniamo d’ora innanzi scuola di stoltezza. È il frutto supremo che le scienze ci promettono, al quale questa conduce così dolcemente i suoi discepoli.

Non ci mancheranno i buoni maestri, interpreti della semplicità naturale. Socrate sarà uno di questi. Di fatto, per quanto mi ricordo, parla pressappoco in questo senso ai giudici che deliberano sulla sua vita: «Io temo, signori, se vi prego di non farmi morire, di confermare la denuncia dei miei accusatori, che è che io faccio il saputo più degli altri, come se avessi qualche conoscenza più occulta delle cose che sono al di sopra e al di sotto di noi. Io so che non ho frequentato né conosciuto la morte, e che non ho visto alcuno che abbia saggiato le sue qualità per istruirmene. Quelli che la temono, presuppongono di conoscerla. Quanto a me, non so né quale essa sia né che cosa accada nell’altro mondo. Forse la morte è cosa indifferente, forse desiderabile. [C] È credibile tuttavia, se è una trasmigrazione da un posto a un altro, che ci sia un miglioramento nell’andar a vivere con tanti grandi personaggi defunti, e nel non dover più aver a che fare con giudici iniqui e corrotti. Se è un annientamento del nostro essere, è anche questo un miglioramento, entrare in una lunga e placida notte. Noi non proviamo nella vita nulla di più dolce d’un riposo e d’un sonno tranquillo e profondo, senza sogni. [B] Le cose che so essere cattive, come offendere il prossimo e disobbedire al superiore, sia Dio sia uomo, le evito accuratamente. Quelle che non so se sono buone o cattive, non potrei temerle. [C] Se muoio e vi lascio in vita, gli dèi soli vedono a chi, fra voi e me, andrà meglio. Quindi, per quanto mi riguarda, stabilirete ciò che vi piacerà. Ma secondo il mio costume di consigliare le cose giuste e utili, dico che per la vostra coscienza fareste meglio a liberarmi, se non vedete più in là di me nella mia causa. E giudicando in base alle mie azioni passate e pubbliche e private, alle mie intenzioni e al profitto che traggono ogni giorno dalla mia conversazione tanti nostri concittadini e giovani e vecchi, e il frutto che reco a voi tutti, non potete convenientemente sdebitarvi verso il mio merito se non ordinando che io sia mantenuto, data la mia povertà, nel Pritaneo, a spese pubbliche, cosa che spesso vi ho visto con minor ragione concedere ad altri. Non prendete per ostinazione o disprezzo che io non mi metta a supplicarvi e muovervi a commiserazione secondo l’usanza. Ho amici e parenti (poiché non sono, come dice Omero, generato né dal legno né dalla pietra, non diversamente dagli altri) capaci di presentarsi in lacrime e in lutto, e ho tre figlioli piangenti con cui indurvi a pietà. Ma farei vergogna alla nostra città, all’età che ho e con quella fama di saggezza per cui mi trovo qui accusato, se mi lasciassi andare a un così vile comportamento. Che cosa si direbbe degli altri Ateniesi? Ho sempre ammonito quelli che mi hanno ascoltato parlare di non riscattar la loro vita con un’azione disonesta. E nelle guerre del mio paese, ad Anfipoli, a Potidea, a Delio e in altre nelle quali mi sono trovato, ho mostrato coi fatti quanto fossi lontano dall’assicurare la mia salvezza con la mia vergogna. Inoltre vi farei mancare al vostro dovere e vi spingerei a cose turpi, poiché non sta alle mie preghiere persuadervi, ma alle pure e solide ragioni della giustizia. Voi avete giurato agli dèi di attenervi a queste. Sembrerebbe ch’io volessi sospettarvi e accusarvi di rimando di non credere che ve ne siano. E io stesso darei prova contro di me di non credere in essi come devo, diffidando della loro guida e non rimettendo semplicemente la mia causa nelle loro mani. Io mi ci affido interamente e tengo per certo che faranno in questo ciò che sarà più conveniente per voi e per me. Le persone dabbene, né vive né morte, non hanno da temere in alcun modo dagli dèi». [B] Non è questa una perorazione62 secca e schietta, ma al tempo stesso sincera e semplice, di un’altezza inimmaginabile, veritiera, franca e giusta oltre ogni esempio, e fatta in un simile frangente? [C] Davvero fu giusto che egli la preferisse a quella che quel grande oratore Lisia aveva scritto per lui:63 eccellentemente composta secondo lo stile giudiziario, ma indegna d’un così nobile imputato. Si sarebbe potuta udire dalla bocca di Socrate una parola supplichevole? Quella superba virtù avrebbe potuto venir meno nel momento culminante della sua manifestazione? E la sua ricca e potente natura avrebbe potuto affidare all’arte la propria difesa, e rinunciare nella sua più alta prova alla verità e alla semplicità, ornamenti del suo parlare, per adornarsi del belletto delle immagini e delle finzioni di un discorso imparato? Egli si comportò molto saggiamente, e coerentemente a se stesso, non corrompendo un tenore di vita incorruttibile, e una così santa immagine dell’umana natura, per allungar di un anno la sua decrepitezza e tradire l’immortale memoria di quella fine gloriosa. Doveva la sua vita non a se stesso, ma come esempio al mondo: non sarebbe un danno pubblico se l’avesse terminata in modo ozioso e oscuro? [B] Certo una così noncurante e distaccata considerazione della propria morte meritava che la posterità la considerasse tanto più a suo vantaggio: cosa che fece. E non c’è nulla di così giusto nella giustizia come ciò che la fortuna dispose per la sua fama. Di fatto gli Ateniesi ebbero in tale obbrobrio quelli che ne erano stati causa, che venivano evitati come persone scomunicate: si riteneva contaminato tutto ciò che avevano toccato; nessuno al bagno si lavava con loro; nessuno li salutava né li avvicinava; tanto che alla fine, non potendo più sopportare quest’odio pubblico, s’impiccarono.64

Se qualcuno pensa che fra tanti altri esempi che avevo da scegliere tra i detti di Socrate a sostegno del mio ragionamento, io abbia scelto male, e giudica che questo discorso sia in alto al di sopra delle opinioni comuni: l’ho fatto apposta. Perché io giudico diversamente. E ritengo che sia un discorso per livello e per ingenuità molto più arretrato e più basso delle opinioni comuni. Rappresenta [C] nella sua arditezza senza artificio e goffa, nella sua sicurezza puerile, [B] la pura e primitiva impronta e ignoranza naturale. Di fatto è credibile che abbiamo naturalmente paura del dolore, ma non della morte per se stessa: è una parte del nostro essere, non meno essenziale del vivere. A che scopo la natura ce ne avrebbe istillato l’odio e l’orrore, dato che essa le è di grandissima utilità per alimentare il succedersi e l’avvicendarsi delle sue opere? E che in questa repubblica universale essa serve più di nascita e di aumento che di perdita o rovina,

sic rerum summa novatur.I 65

[C]mille animas una necata dedit.II 66

[B] Il venir meno di una vita è il passaggio a mille altre vite. [C] La natura ha impresso nelle bestie la cura di sé e della propria conservazione. Esse arrivano fino a temere di nuocersi, di urtarsi e ferirsi, che noi le accalappiamo e le battiamo, accidenti soggetti ai loro sensi e alla loro esperienza. Ma che le uccidiamo, non possono temerlo, né hanno la facoltà d’immaginare e dedurre la morte. E si dice anche che le si vedono [B] non solo sopportarla lietamente (la maggior parte dei cavalli nitriscono morendo, i cigni la cantano), ma addirittura cercarla al loro momento: come provano parecchi esempi degli elefanti.

Oltre a questo, la maniera di ragionare di cui si serve qui Socrate non è ammirevole sia per semplicità sia per forza? Davvero è molto più facile parlare come Aristotele e vivere come Cesare, di quanto sia facile parlare e vivere come Socrate. Lì sta l’estremo grado di perfezione e di difficoltà: l’arte non vi può arrivare. Ora, le nostre facoltà non sono educate così. Noi non le saggiamo, né le conosciamo. Ci rivestiamo di quelle altrui e lasciamo oziare le nostre. Analogamente qualcuno potrebbe dire di me che ho fatto qui soltanto un fascio di fiori altrui, non avendoci messo di mio che il filo per legarli. Certo, ho concesso al gusto del pubblico che questi ornamenti presi a prestito mi accompagnino. Ma non intendo che mi coprano e che mi nascondano. È il contrario del mio progetto, poiché non voglio far mostra che del mio. E di ciò che è mio per natura. E se mi fossi fidato di me stesso, a qualsiasi rischio, avrei parlato tutto da solo. [C] Me ne carico ogni giorno di più al di là del mio proposito e della mia forma originaria, obbedendo al capriccio dell’epoca e alle esortazioni altrui. Se non conviene a me, come credo, non importa: può essere utile a qualcun altro. [B] Uno cita Platone e Omero senza averli mai letti. E io ho preso parecchie citazioni altrove che dalla fonte. Senza fatica e senza competenza, avendo attorno a me mille volumi di libri in questo luogo dove scrivo, prenderò a prestito ora, se mi piace, da una dozzina di tali rappezzatori, gente che non sfoglio neppure, di che ornare il trattato della fisionomia. Basta la lettera dedicatoria di un tedesco per farcirmi di citazioni. E andiamo a cercare in tal modo una ghiotta gloria, per turlupinare gli sciocchi. [C] Questi zibaldoni di luoghi comuni, grazie ai quali tanta gente si risparmia uno studio personale, non servono che per gli argomenti comuni; e servono a far mostra di noi, non a guidarci: ridicolo frutto della scienza, che Socrate critica in modo così pungente contro Eutidemo.67 Ho visto fare dei libri con cose mai studiate né intese: l’autore affidando a diversi suoi dotti amici la ricerca di questo e di quest’altro materiale per metterlo insieme; accontentandosi per parte sua di averne progettato il disegno e accumulato con la sua abilità quel fagotto di provviste sconosciute: almeno son suoi l’inchiostro e la carta. Questo, in tutta coscienza, è comprare o prendere a prestito un libro, non farlo. È mostrare agli uomini non che si sa fare un libro ma, cosa di cui potrebbero dubitare, che non lo si sa fare. [B] Un presidente si vantava, in mia presenza, di aver accumulato duecento e tante citazioni altrui in un suo decreto presidenziale. [C] Dichiarandolo a ognuno, mi sembrò cancellare la gloria che gliene veniva tributata: [B] pusillanime e assurda vanteria, a parer mio, per un tale argomento e tale persona. [C] Fra tanti prestiti, sono ben lieto di poterne trafugare qualcuno, mascherandolo e deformandolo per un nuovo uso. A rischio di lasciar dire che è perché non ho capito il suo uso originario, gli do di mano mia qualche piega particolare, affinché in tal modo sia meno completamente estraneo. Questi qui mettono i loro furti in mostra e in conto: e hanno più credito di me di fronte alle leggi.68 Noi altri naturalisti pensiamo che l’onore dell’invenzione abbia una grande e incomparabile superiorità sull’onore della citazione. [B] Se avessi voluto parlare per scienza, avrei parlato prima. Avrei scritto fin dal tempo più vicino ai miei studi, quando avevo più spirito e memoria. E mi sarei affidato piuttosto al vigore di quell’età che a questa, se avessi voluto far il mestiere di scrittore. [C] Inoltre, un certo grazioso favore che la fortuna può avermi offerto per mezzo di quest’opera69 avrebbe trovato allora una stagione più propizia. [B] Due miei conoscenti, uomini grandi a questo riguardo, hanno perduto della metà, a parer mio, avendo rifiutato di essere pubblicati a quarant’anni per aspettare i sessanta. La maturità ha i suoi difetti, come l’età verde, e peggiori. E la vecchiaia è inadatta a questo tipo di lavoro come a ogni altro. Chiunque mette la propria decrepitezza sotto la pressa,70 è pazzo se spera di spremerne degli umori che non sappiano di sgraziato, di farnetico e di sonnolento. Il nostro spirito si fa stitico e stagnante invecchiando. Io parlo pomposamente e opulentemente dell’ignoranza, e parlo della scienza seccamente e miseramente. [C] Accessoriamente e accidentalmente di questa; di quella espressamente e principalmente. E non tratto a dovere di nulla se non del nulla, né di altra scienza che di quella dell’inscienza. [B] Ho scelto il tempo in cui la mia vita, che devo descrivere, mi sta tutta davanti: ciò che ne resta appartiene piuttosto alla morte. E della mia morte soltanto, se, come ad altri, mi toccasse chiacchierona, darei ancora volentieri notizia alla gente dipartendomi.

Socrate, che è stato un esemplare perfetto in ogni grande qualità, mi rincresce che gli fosse toccato un corpo e un viso così brutto come dicono, e disdicevole alla bellezza della sua anima. [C] Lui così innamorato e appassionato della bellezza! La natura gli fece ingiustizia. [B] Non c’è nulla di più verosimile della conformità e della relazione fra il corpo e lo spirito. [C] Ipsi animi magni refert quali in corpore locati sint: multa enim e corpore existunt quæ acuant mentem, multa quæ obtundant.I 71 Questi72 parla di una bruttezza snaturata e di una deformità di membra. Ma noi chiamiamo bruttezza anche una sgradevolezza a prima vista, che risiede principalmente nel viso, e spesso ci disgusta per ragioni molto lievi: per il colorito, per una macchia, per un cipiglio rude, per qualche ragione inesplicabile su membra ben fatte e sane. La bruttezza che rivestiva un’anima bellissima in La Boétie era di questo tipo. Questa bruttezza superficiale, che ha tuttavia un gran potere, è di minor pregiudizio alla condizione dell’anima e ha poco peso nell’opinione degli uomini. L’altra, che con nome più appropriato si chiama deformità, più sostanziale, ha più facilmente influenza fin nell’intimo. Non solo ogni scarpa di cuoio ben levigato, ma ogni scarpa ben fatta mostra la forma interna del piede. [B] Così Socrate diceva della sua che ne avrebbe appunto rivelato una uguale nella sua anima se non l’avesse corretta con l’educazione.73 [C] Ma io ritengo che scherzasse dicendolo, secondo la sua abitudine: e mai anima tanto eccellente si fece da sola.

[B] Non potrò mai dire abbastanza quanto io ritenga la bellezza una qualità potente e vantaggiosa. Egli la chiamava una breve tirannia,74 e Platone il privilegio della natura. Noi non ne abbiamo nessuna che la superi in credito. Essa occupa il primo posto nei rapporti fra gli uomini. Si presenta per prima, seduce e occupa fin dall’inizio il nostro giudizio, con grande autorità e straordinaria forza. [C] Frine avrebbe perduto la causa nelle mani di un eccellente avvocato se, aprendo la veste, non avesse corrotto i giudici con lo splendore della sua bellezza.75 E trovo che Ciro, Alessandro, Cesare, questi tre padroni del mondo, non l’hanno dimenticata nel compiere le loro grandi imprese. Non l’ha dimenticata Scipione maggiore. Una stessa parola comprende in greco il bello e il buono.76 E lo Spirito Santo chiama spesso buoni quelli che vuol dire belli. Io manterrei volentieri l’ordine dei beni indicato da quella canzone che Platone dice esser stata in gran voga,77 presa da qualche antico poeta: la salute, la bellezza, la ricchezza. Aristotele dice che ai belli spetta il diritto di comandare, e quando ce ne siano la cui bellezza si avvicini a quella delle immagini degli dèi, che è loro parimenti dovuta venerazione.78 A colui che gli domandava perché più a lungo e più spesso si frequentassero i belli: «Questa domanda» disse «spetta farla soltanto a un cieco».79 La maggior parte dei filosofi, e i più grandi, pagarono il loro tirocinio e acquistarono la saggezza per mezzo e in virtù della loro bellezza. [B] Non solo negli uomini che mi servono, ma anche nelle bestie, la considero molto vicina alla bontà. Così mi sembra che quel tratto e quella forma del viso e quei lineamenti dai quali si deducono alcune inclinazioni interiori e le nostre fortune avvenire, sia cosa che non rientri tanto direttamente e semplicemente sotto il capitolo della bellezza e della bruttezza. Come, del resto, non sempre profumo e serenità dell’aria promettono la salute, né sempre pesantezza e lezzo l’infezione in tempo di pestilenza. Quelli che accusano le dame di contraddire la loro bellezza con i loro costumi, non l’indovinano sempre. Di fatto in un viso che non sia troppo ben formato può esserci una certa aria di probità e di lealtà. Come, al contrario, ho letto talvolta fra due begli occhi indizi di una natura maligna e pericolosa. Ci sono fisionomie favorevoli. E in mezzo a una folla di nemici vittoriosi sceglierete immediatamente, fra uomini sconosciuti, l’uno piuttosto che l’altro, al quale arrendervi e affidare la vostra vita. E non propriamente in considerazione della bellezza. È una debole garanzia l’aspetto, tuttavia ha una certa importanza. E se dovessi frustare i malvagi, frusterei più duramente quelli che smentiscono e tradiscono le promesse che natura aveva loro stampate in fronte: punirei più aspramente la malizia in un aspetto bonario. Sembra che ci siano alcuni visi fortunati, altri disgraziati. E cre do che ci sia una certa arte nel distinguere i visi bonari dagli sciocchi, i severi dai rudi, i maligni dagli arcigni, gli sdegnosi dagli atrabiliari; e tali altre qualità simili. Ci sono bellezze non soltanto fiere, ma aspre; ce ne sono altre dolci, e ancora più in là insipide. Quanto a pronosticarne i casi futuri, è un argomento che lascio irrisolto.

Ho accettato, come ho detto altrove, molto semplicemente e nettamente, per quanto mi riguarda, quel precetto antico: che non potremo sbagliare seguendo la natura, che il precetto supremo è conformarsi ad essa. Non ho corretto, come Socrate, con la forza del ragionamento le mie tendenze naturali; e non ho in alcun modo turbato con l’artificio la mia inclinazione. Mi lascio andare, come sono venuto. Non combatto nulla. Le mie due parti principali vivono per grazia loro in pace e buon accordo. Ma il latte della mia nutrice è stato, grazie a Dio, mediamente sano e regolato. [C] Dirò questo incidentalmente: che vedo tenere in maggior pregio di quanto valga, al punto che è quasi la sola che si usi fra noi, una certa immagine di probità scolastica, schiava dei precetti, stretta fra la speranza e il timore.80 A me piace tale che le leggi e le religioni non la facciano, ma la perfezionino e la convalidino: che si senta capace di sostenersi senza aiuto, nata in noi dalle sue proprie radici, per il seme della ragione universale infuso in ogni uomo non snaturato. Questa ragione, che raddrizza in Socrate la sua inclinazione viziosa, lo rende obbediente agli uomini e agli dèi che comandano nella sua città, coraggioso nella morte, non perché la sua anima è immortale, ma perché egli è mortale. Educazione rovinosa per ogni governo, e molto più dannosa che ingegnosa e sottile, quella che persuade i popoli che la fede religiosa è sufficiente, da sola e senza i costumi, a soddisfare la giustizia divina. La pratica ci fa vedere una differenza enorme fra la devozione e la coscienza.

[B] Io ho un portamento gradevole, e per l’aspetto e per l’impressione che dà,

Quid dixi habere me? Imo habui, Chreme!81

Heu tantum attriti corporis ossa vides,I 82

e che fa un effetto opposto a quello di Socrate. Mi è accaduto spesso che sul semplice credito della mia presenza e del mio aspetto, delle persone che non mi conoscevano affatto si siano fidate moltissimo di me, sia per i loro propri affari sia per i miei. E ne ho tratto in paesi stranieri vantaggi singolari e rari. Ma queste due esperienze valgono forse la pena che le racconti dettagliatamente.

Un quidam decise di prendere di sorpresa la mia casa e me. Il suo strattagemma fu di arrivare solo alla mia porta e di sollecitare un po’ insistentemente di entrare. Io lo conoscevo di nome, e avevo motivo di fidarmi di lui, come mio vicino e in certo modo mio lontano parente. Gli feci aprire, come faccio a chiunque. Eccolo tutto spaventato, il suo cavallo ansante, tutto spossato. Mi raccontò questa fandonia: che era stato affrontato poco prima, a una mezza lega di là, da un suo nemico, che io pure conoscevo, e avevo sentito parlare della loro divergenza; che questo nemico gli aveva dato addosso a gran forza, e che essendo stato preso alla sprovvista e inferiore per numero, si era gettato alla mia porta per salvarsi; che era in gran pena per i suoi uomini, che diceva di ritenere morti o prigionieri. Cercai molto ingenuamente di confortarlo, rassicurarlo e ristorarlo. Poco dopo, ecco quattro o cinque dei suoi soldati che si presentano, nello stesso atteggiamento ed egualmente spaventati, per entrare; e poi altri, e poi altri ancora, ben equipaggiati e ben armati, fino a venticinque o trenta, fingendo di avere il nemico alle calcagna. [C] Questo mistero cominciava a svegliare il mio sospetto. [B] Non ignoravo in che epoca vivevo, quanto la mia casa poteva destare invidia, e avevo parecchi esempi di altri di mia conoscenza ai quali era capitata la stessa disavventura. Tant’è che, trovando che non c’era alcun profitto nell’aver cominciato a fare un favore se non terminavo, e non potendo liberarmi senza guastare tutto, mi lasciai andare al partito più naturale e più semplice, come faccio sempre, ordinando che entrassero. E in verità sono poco diffidente e sospettoso di natura. Inclino volentieri all’indulgenza e all’interpretazione più benevola. Prendo gli uomini secondo la norma comune, e non credo alle inclinazioni perverse e snaturate, se non vi sono costretto da prove evidenti, non più che ai prodigi e ai miracoli. E inoltre sono un uomo che si affida volentieri alla fortuna e si lascia andare a corpo morto fra le sue braccia. Del che, fino a questo momento, ho avuto più occasione di lodarmi che di lamentarmi; e l’ho trovata e più avveduta e più sollecita dei miei affari di quanto sia io. Ci sono certe azioni nella mia vita, condotte in modo che si può a ragione chiamare difficile o, se si vuole, prudente: anche di queste, posto che un terzo sia del mio, certo i due terzi sono ampiamente suoi. [C] Noi sbagliamo, mi sembra, non affidandoci abbastanza al cielo per quanto ci riguarda. E pretendiamo dal nostro operare più di quanto è in nostro potere. Per questo tanto spesso i nostri progetti falliscono. Esso è geloso dell’estensione che attribuiamo ai diritti della saggezza umana a danno dei suoi: e ce li restringe quanto più noi li ampliamo. [B] Quelli rimasero a cavallo nella mia corte; nella sala insieme con me il capo, che non aveva voluto che si mettesse nella stalla il suo cavallo, dicendo che doveva ritirarsi appena avesse avuto notizie dei suoi uomini. Egli si vide padrone della situazione, e a questo punto non rimaneva che compiere l’impresa. Spesso in seguito ha detto, poiché non esitava a fare questo racconto, che il mio viso e la mia franchezza gli avevano strappato il tradimento dalle mani. Rimontò a cavallo, mentre i suoi tenevano continuamente gli occhi su di lui per vedere quale segnale avrebbe dato: molto stupiti di vederlo uscire e lasciar perdere il suo vantaggio.

Un’altra volta, fidandomi di non so quale tregua che era stata poco prima proclamata nei nostri eserciti, mi misi in viaggio, attraverso paesi estremamente perigliosi. Non appena fui avvistato, ecco tre o quattro compagnie a cavallo da diversi luoghi per catturarmi; una mi raggiunse alla terza giornata, e fui assalito da quindici o venti gentiluomini mascherati, seguiti da un’ondata di arcieri. Eccomi preso e arreso, tratto nel folto d’una foresta vicina, fatto scendere da cavallo, svaligiato, i miei bauli rovistati, la mia cassa presa, cavalli ed equipaggio spartiti fra nuovi padroni. Rimanemmo a lungo a discutere in quella macchia riguardo al mio riscatto, che fissavano tanto alto che era evidente che non mi conoscevano affatto. Cominciarono una grande discussione a proposito della mia vita. In verità erano parecchie le circostanze che mi minacciavano del pericolo di perderla.

[C]Tunc animis opus, Ænea, tunc pectore firmo.I 83

[B] Seguitai a tener duro basandomi sulla tregua, per lasciar loro soltanto il guadagno che avevano fatto depredandomi, che non era da disprezzare, senza promessa di altro riscatto. Dopo due o tre ore che eravamo là, e che mi ebbero fatto salire su un cavallo che non rischiava di scappare, e affidata la mia custodia particolare a quindici o venti archibugieri, e dispersi i miei uomini fra altri, avendo ordinato che fossimo condotti prigionieri per strade diverse, e io già avviato a due o tre tiri di schioppo di là,

iam prece Pollucis, iam Castoris implorata,II 84

ecco che sopravvenne in loro un mutamento subitaneo e oltremodo inopinato. Vidi tornare verso di me il capo con parole più miti, dandosi da fare per ricercare nella compagnia i miei bagagli sparsi e facendomeli rendere via via che se ne potevano recuperare: perfino la mia cassetta. Il dono migliore che mi fecero fu infine la libertà: il resto non mi importava molto in quel momento. La vera causa d’un cambiamento così inatteso e di quel ravvedimento, senza alcun motivo evidente, e d’un pentimento così miracoloso, in un momento simile, in un’impresa premeditata e stabilita, e diventata giusta per la circostanza (di fatto fin da principio dichiarai loro apertamente il partito al quale appartenevo e la strada che facevo), certo ancora non so bene quale sia. Il più ragguardevole, che si tolse la maschera e mi fece conoscere il suo nome, mi ripeté allora parecchie volte che dovevo quella liberazione al mio viso, alla franchezza e fermezza delle mie parole, che mi rendevano immeritevole di tale disavventura, e mi domandò promessa di rendergli la pariglia all’occasione. È possibile che la bontà divina abbia voluto servirsi di questo vano strumento per la mia salvezza. Essa mi difese anche il giorno dopo da altre imboscate peggiori, delle quali quelle stesse persone mi avevano avvertito. L’ultimo è ancora vivo per poterlo raccontare; il primo fu ucciso, non molto tempo fa.

Se il mio viso non avesse garantito per me, se non si fosse letta nei miei occhi e nella mia voce l’innocenza delle mie intenzioni, non avrei vissuto tanto tempo senza liti e senza offesa, con questa libertà smodata di dire a torto e a ragione quello che mi viene in mente, e giudicare temerariamente delle cose. Questo modo di fare può sembrare a ragione incivile e inadatto alle nostre usanze; ma non ho trovato nessuno che l’abbia giudicato ingiurioso e malevolo, né che si sia offeso per la mia libertà se gli è venuta dalla mia bocca. Le parole riferite hanno, come altro suono, altro senso. Io non odio nessuno. E sono tanto incapace di offendere che non posso farlo, neppure per servire la ragione medesima. E quando le circostanze mi hanno spinto a condanne penali, ho piuttosto mancato alla giustizia. [C] Ut magis peccari nolim quam satis animi ad vindicanda peccata habeam.I 85 Si rimproverava, si dice, ad Aristotele, di esser stato troppo misericordioso verso un malvagio. «In verità», disse «sono stato misericordioso verso l’uomo, non verso la malvagità».86 I giudizi sono comunemente incitati alla vendetta dall’orrore del misfatto. Proprio questo raffredda il mio: l’orrore del primo assassinio me ne fa temere un secondo. E l’odio della prima crudeltà me ne fa odiare ogni ripetizione. [B] A me, che conto quanto il due di briscola, può applicarsi quello che si diceva di Carillo, re di Sparta: «Non saprebbe esser buono, poiché non è cattivo con i malvagi».87 Oppure così, poiché Plutarco lo presenta in queste due forme, come mille altre cose, in modo diverso e contrario: «Bisogna pure che sia buono, poiché lo è perfino coi malvagi». Come nelle azioni legittime mi dispiace adoperarmi contro coloro che ne soffrono: così, a dire il vero, nelle illegittime non mi adopero abbastanza coscienziosamente contro coloro che vi consentono.88

 

I conservare la misura, rispettare il limite e seguire la natura

I Siamo egualmente smodati nello studio delle lettere come in ogni altra cosa

I Non c’è gran bisogno delle lettere per formare un animo sano

II cose che si preferisce degustare piuttosto che bere

III Quando si tratta non del cervello, ma dell’anima

I Un grande animo si esprime con più calma e serenità

II Non è che la mente abbia un colore e l’anima un altro

III Questa virtù semplice e alla portata di tutti è stata cambiata in una scienza oscura e sottile

I Si gareggia non con le armi ma coi vizi

II Un nemico temibile è alla mia destra, un altro alla mia sinistra, e da entrambe le parti mi minaccia d’un pericolo imminente

III Il rimedio che si porta al nostro male lo aggrava

IV Il male si accresce e peggiora per il rimedio

V Il bene e il male, confusi dal nostro colpevole furore, hanno allontanato da noi la giusta volontà degli dèi

I Almeno non impedite a questo giovane di soccorrere un secolo in rovina

I Niente ha un volto più fallace di una falsa religione, in cui si giustificano i crimini con la volontà degli dèi

II a tal punto da ogni parte le campagne sono sconvolte

I Quello che non possono prendere e portar via lo distruggono, e questa turba scellerata incendia innocenti capanne. Non c’è sicurezza dietro le mura, e le campagne sono devastate dal saccheggio

II poiché l’argomentazione indebolisce l’evidenza

III Che io conservi ciò che mi appartiene ora, anche meno, e viva per me i giorni che mi restano, se gli dèi vogliono accordarmene ancora

I L’uomo più potente è colui che ha potere su se stesso

I sentiamo i mali pubblici se e in quanto toccano i nostri interessi privati

I Si ammucchiano nella tomba giovani e vecchi insieme, la crudele Proserpina non rispetta nessuna testa

I avresti visto deserti i regni dei pastori e vuoti da ogni parte i pascoli

I Medita l’esilio, i tormenti, le guerre, le malattie, i naufragi, affinché nessun male ti colga impreparato

II La possibilità di soffrire causa una sofferenza uguale a quella di chi ha sofferto

III Affinando con le preoccupazioni i cuori mortali

IV l’immaginazione fiacca i nostri sensi più della sofferenza stessa

I Invano, mortali, cercate di conoscere l’ora incerta della vostra fine, e per qual via verrà la morte. È meno penoso sopportare una sciagura improvvisa e certa che soffrire a lungo il supplizio della paura

II Tutta la vita dei filosofi è una meditazione della morte

I Dovunque mi trascini la tempesta, vi giungo come ospite

II Soffre più del necessario, chi soffre prima che sia necessario

I così si rinnova l’universo

II Da una morte nascono mille vite

I È di grande importanza per l’anima esser collocata in un corpo o in un altro: poiché ci sono nel corpo molti elementi che acuiscono la mente e molti che la ottundono

I Che cosa ho detto? Che l’ho? No, Cremo, dovevo dire che l’avevo! Ahimè, non vedi più in me che le ossa di un corpo scarnito

I Allora, Enea, ti occorse del coraggio, allora ti occorse un cuore fermo

II dopo aver già implorato Castore e Polluce

I Preferirei che non si commettessero più colpe di quante abbia il coraggio di punirne

Saggi
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