CAPITOLO I

Dell’utile e dell’onesto

[B] Nessuno è esente dal dire sciocchezze. Il male è dirle con pretensione.

Næ iste magno conatu magnas nugas dixerit.I 1

Questo non mi riguarda. Le mie mi scappano con tutta l’indifferenza che meritano. Ed è bene per loro. Le ripudierei subito, per poco che mi costassero. E le acquisto e le vendo solo per quello che valgono. Parlo alla carta come parlo al primo che incontro. Che sia vero, eccone la prova.

A chi non deve essere detestabile la perfidia, se Tiberio la rifiutò con così gran danno? Gli fu mandato a dire dalla Germania che, se lo trovava opportuno, lo si sarebbe liberato di Arminio per mezzo del veleno (era questi il più potente nemico che avessero i Romani, che li aveva trattati così crudelmente sotto Varo, e che da solo ostacolava l’accrescimento del suo dominio in quelle contrade). Rispose che il popolo romano era solito vendicarsi dei suoi nemici in modo aperto, con le armi in pugno, non con la frode e di nascosto.2 Egli lasciò l’utile per l’onesto. Era (mi direte) un ipocrita. Lo credo: non è una cosa strana per la gente del suo mestiere. Ma il riconoscimento della virtù non ha minor valore in bocca di chi la odia. Tanto più che la verità glielo tira fuori a forza e, se non vuole accoglierla in sé, almeno se ne copre per adornarsene.

La nostra organizzazione, e pubblica e privata, è piena d’imperfezione. Ma non c’è niente di inutile in natura. Neppure l’inutilità stessa. Non si è introdotto in questo universo nulla che non vi occupi un posto opportuno. Il nostro essere è cementato di qualità malsane. L’ambizione, la gelosia, l’invidia, la vendetta, la superstizione, la disperazione, albergano in noi con un così naturale dominio che se ne ritrova l’immagine anche nelle bestie. Perfino la crudeltà, vizio così contro natura: di fatto, in mezzo alla compassione, sentiamo dentro non so che punta agrodolce di piacere maligno nel veder soffrire gli altri. E i fanciulli lo sentono,

Suave mari magno turbantibus æquora ventis,

E terra magnum alterius spectare laborem.I 3

E chi togliesse nell’uomo il seme di tali qualità, distruggerebbe le condizioni fondamentali della nostra vita. Allo stesso modo, in ogni governo ci sono degli uffici necessari, non solo abietti, ma anche viziosi: i vizi vi trovano il loro posto e sono utili a fissare il nostro legame, come i veleni a conservare la nostra salute. Se diventano scusabili, in quanto fanno al caso nostro e la necessità comune cancella la loro vera natura, bisogna lasciar fare questa parte ai cittadini più vigorosi e meno timorosi: i quali sacrificano il loro onore e la loro coscienza, come quegli altri antichi sacrificarono la loro vita per la salvezza del loro paese. Noialtri, più deboli, assumiamo ruoli e più facili e meno rischiosi. Il bene pubblico richiede che si tradisca e che si menta, [C] e che si massacri;4 [B] lasciamo quest’incarico a gente più obbediente e più malleabile.

Certo, mi sono spesso irritato nel vedere alcuni giudici indurre il criminale, con la frode e con false speranze di grazia o di perdono, a rivelare il suo misfatto: e adoperarvi l’inganno e l’impudenza. Sarebbe bene per la giustizia, e per Platone medesimo, che favorisce quest’uso,5 fornirmi altri mezzi più di mio gusto. È una giustizia maligna: e non la ritengo meno ferita da se stessa che da altri. Io risposi, non molto tempo fa, che a malincuore tradirei il principe per un privato, io, che sarei dolentissimo di tradire qualsiasi privato per il principe. E non soltanto odio ingannare, ma odio anche che ci si inganni su di me. Non voglio fornirne nemmeno la materia e l’occasione.

In quel poco che ho avuto da negoziare fra i nostri principi, in queste divisioni e suddivisioni che oggi ci dilaniano, ho accuratamente evitato che s’imbrogliassero sul conto mio e s’intrappolassero nella mia finzione.6 La gente del mestiere si tiene coperta il più possibile, e si presenta e si contraffà più moderata e conciliante che può. Quanto a me, mi offro con le mie opinioni più schiette e con l’atteggiamento che più mi è proprio. Molle negoziatore e novizio, che preferisco venir meno al mio incarico che a me stesso. Tuttavia questo è avvenuto finora così felicemente (poiché certo la fortuna vi ha la parte principale) che pochi hanno trattato con l’uno e l’altro partito con minor sospetto, maggior favore e dimestichezza. Ho un modo di fare aperto, facile a insinuarsi e a farsi dar credito fin dai primi contatti. La semplicità e la schietta verità, in qualsiasi secolo, trovano ancora la loro opportunità e il loro impiego. E poi: è poco sospetta e poco odiosa la libertà di quelli che si adoprano senza alcun loro interesse, e che possono veracemente servirsi della risposta di Iperide agli Ateniesi che si lamentavano dell’asprezza delle sue parole: «Signori, non state a guardare se io sono libero con voi, ma se lo sono senza avvantaggiarmi e senza fare per questa via il mio interesse».7 La mia libertà mi ha anche facilmente affrancato dal sospetto di simulazione per la sua stessa forza, non avendo io evitato di dire alcunché, per grave e pungente che fosse, e non avrei potuto dir peggio se fossi stato altrove; e perché essa ha un’apparenza evidente di semplicità e di noncuranza. Agendo, io non pretendo altro profitto che l’agire, e non vi annetto conseguenze e propositi duraturi. Ogni azione fa il suo proprio gioco: frutti se può!

Del resto, non sono agitato da passione né di odio né di amore verso i potenti; né la mia volontà è vincolata da offesa o da obbligazione particolare. [C] Guardo i nostri re con affetto semplicemente legittimo e civile: né destato né sopito da interesse privato. E di questo mi compiaccio. [B] La causa generale e giusta non mi tocca che moderatamente e senza eccitazione. Non sono soggetto a quelle ipoteche e a quegli impegni penetranti e intimi. La collera e l’odio sono al di là del dovere della giustizia, e sono passioni che servono soltanto a coloro che non si attengono abbastanza al loro dovere in virtù della semplice ragione. Tutte le intenzioni legittime ed eque sono di per sé equabili e temperate: altrimenti si corrompono in sediziose e illegittime. È questo che mi fa camminare dappertutto a testa alta, a viso e a cuore aperto. In verità, e non ho paura di confessarlo, porterei facilmente in caso di bisogno una candela a san Michele e un’altra al suo drago, secondo il principio di quella vecchia.8 Seguirò il buon partito fino al fuoco, ma evitandolo se posso. Che Montaigne sprofondi insieme alla rovina pubblica, se è necessario; ma se non è necessario, sarò grato alla fortuna se si salverà; e finché il mio dovere mi darà corda, la userò per la sua conservazione. Non fu Attico che, attenendosi al partito giusto, cioè al partito che perdette, si salvò per la propria moderazione in quell’universale naufragio del mondo, fra tanti mutamenti e contrasti?9 Per un privato, come lui, è più facile: e in tal sorta di faccende trovo giustificabile non aver l’ambizione d’intromettervisi e ingerirvisi di propria iniziativa. Tenersi in bilico ed esitare, mantenersi indifferenti e senza inclinazioni in mezzo ai torbidi del proprio paese e in una secessione pubblica, non lo trovo né bello né onesto. [C] Ea non media, sed nulla via est, velut eventum expectantium quo fortunæ consilia sua applicent.I 10 Questo può essere permesso nei riguardi degli affari dei vicini; e Gelone, tiranno di Siracusa, tenne in tal modo sospesa la propria adesione nella guerra dei Barbari contro i Greci, mantenendo ambasciatori a Delfi, con doni, per stare in vedetta ad osservare da che parte pendesse la fortuna e cogliere al volo il momento per accordarsi col vincitore.11 Sarebbe una specie di tradimento farlo negli affari interni del proprio paese, nei quali necessariamente [B] bisogna prender partito [C] per meditata risoluzione. [B] Ma non occuparsene affatto, da parte di un uomo che non ha né carica né ordine preciso che lo spinga, lo trovo più scusabile (e tuttavia non usufruisco per me di questa scusa) che non nelle guerre con stranieri: alle quali tuttavia, secondo le nostre leggi, non prende parte chi non lo vuole. Ciononostante anche quelli che vi si impegnano interamente possono farlo con tale misura e moderazione che la bufera passerà senz’altro sulla loro testa senza danneggiarli. Non avevamo ragione di sperarlo per il defunto vescovo di Orléans, signor de Morvilliers?12 E fra quelli che vi si adoperano valorosamente in questo momento ne conosco alcuni di costumi o così equi o così miti che rimarranno certamente in piedi, qualsiasi iniquo mutamento e rovina il cielo ci prepari.

Ritengo che spetti propriamente ai re infiammarsi contro i re. E mi burlo di quegli animi che a cuor leggero si espongono in vertenze così sproporzionate: poiché non si entra in lite personale con un principe se si marcia contro di lui apertamente e coraggiosamente, per il proprio onore e secondo il proprio dovere. Anche se egli non ama un tal personaggio, fa tuttavia meglio: lo stima. E in particolare la causa delle leggi e la difesa dell’antico stato di cose ha sempre questa caratteristica: che quelli stessi che per i loro privati disegni lo turbano, ne scusano i difensori; se addirittura non li onorano. Ma non bisogna chiamare dovere (come noi facciamo ogni giorno) un rancore e un risentimento interiore che nasca dall’interesse e dalla passione personale; né coraggio una condotta traditrice e malfida. Essi chiamano zelo la loro propensione alla malvagità e alla violenza: non è la causa che li infiamma, è il loro interesse. Essi attizzano la guerra non perché è giusta, ma perché è guerra. Niente impedisce che ci si possa destreggiare agevolmente fra uomini che sono nemici fra loro, e comportarsi con lealtà: regolatevi secondo un sentimento se non uguale in ogni caso (poiché può avere diversi gradi), almeno, però, moderato, e che non vi leghi all’uno tanto strettamente che egli possa pretender tutto da voi. E contentatevi quindi di una misura media del loro favore, e di calarvi nell’acqua torbida senza volervi pescare. L’altra maniera, di offrirsi con tutte le proprie forze a questi e a quelli, ha in sé ancor meno prudenza che coscienza. Colui per il quale tradite un altro da cui siete ugualmente ben visto, non sa forse che fate la stessa cosa con lui? Vi ritiene malvagio; tuttavia vi ascolta, e si serve di voi, e trae partito dalla vostra slealtà. Poiché gli uomini doppi sono utili per quello che apportano; ma bisogna stare attenti che portino via il meno possibile.

Io non dico niente all’uno che non possa dire all’altro, quando viene il momento, cambiato solo un poco l’accento; e riferisco solo le cose o indifferenti, o conosciute, o che servono a tutti. Non c’è vantaggio per il quale mi permetta di mentir loro. Quello che è stato affidato al mio silenzio, lo nascondo scrupolosamente. Ma accetto il meno che posso di cose da nascondere: è una custodia fastidiosa quella del segreto dei principi, per chi non sa che farsene. Io propongo volentieri questo patto: che mi affidino poco, ma si fidino decisamente di ciò ch’io porto loro. Ne ho sempre saputo più di quanto abbia voluto. [C] Un parlare aperto apre un altro parlare e lo fa venir fuori, come fanno il vino e l’amore. [B] Filippide rispose saggiamente al re Lisimaco che gli diceva: «Che cosa vuoi che ti dia dei miei beni?» «Quello che vorrai, purché non sia dei tuoi segreti».13 Vedo che ognuno si ribella, se gli si nasconde il fondo degli affari nei quali ci si serve di lui, e se gli è stato celato qualche retroscena. Per me, son contento che non mi se ne dica più di quel che si vuole che io metta in opera; e non desidero che la mia conoscenza oltrepassi e vincoli la mia parola. Se devo servire di strumento d’inganno, che sia almeno salva la mia coscienza. Non voglio esser considerato servitore né tanto affezionato né tanto leale che mi si trovi buono a tradir qualcuno. Chi è infedele a se stesso, è scusabile che lo sia al suo signore.

Ma sono principi,14 che non accettano gli uomini a metà e disprezzano i servigi limitati e condizionati. Non c’è rimedio. Io dico loro francamente i miei limiti: poiché schiavo non devo esserlo che della ragione, benché non possa sempre venirne a capo. [C] E inoltre essi hanno torto di esigere da un uomo libero quella soggezione al loro servizio e quell’obbligo che esigono da colui che hanno fatto e comperato, o la cui sorte è legata particolarmente e espressamente alla loro. [B] Le leggi mi hanno liberato da un grande imbarazzo: mi hanno scelto un partito e dato un signore. Ogni altra autorità e obbligazione deve essere relativa a quella e da essa limitata. E non è da dire che quando il mio sentimento mi dirigesse altrimenti, io lo seguirei immediatamente. La volontà e i desideri si fanno legge da soli; le azioni devono riceverla dall’ordinamento pubblico.

Tutto questo mio modo di procedere è molto in disaccordo con le nostre usanze. Non potrebbe produrre grandi risultati, né durare; l’innocenza medesima non potrebbe né negoziare fra noi senza dissimulazione, né mercanteggiare senza menzogna. Così le occupazioni pubbliche non fanno per me: a quello che la mia professione richiede, attendo nella forma più privata che posso. Ragazzo, vi fui immerso fino alle orecchie. E con successo. Tuttavia me ne distaccai di buon’ora. In seguito ho spesso evitato d’impicciarmene, raramente accettato, mai richiesto. Tenendo le spalle voltate all’ambizione; ma se non proprio come i rematori che avanzano pur andando a ritroso, tuttavia in modo tale che se non mi ci sono imbarcato, lo devo meno alla mia risoluzione che alla mia buona fortuna. Di fatto ci sono strade meno contrarie al mio gusto e più conformi alla mia portata, tali che, se per queste vie essa mi avesse un tempo chiamato agli uffici pubblici e ad acquistarmi credito nella società, so che sarei passato sopra alla ragione dei miei propositi per seguirla.

Quelli che, contro la mia dichiarazione, dicono in genere che ciò che io chiamo franchezza, semplicità e schiettezza nei miei costumi è arte e astuzia, e piuttosto prudenza che bontà, abilità che natura, buon senso che buona ventura, mi fanno più onore di quanto me ne tolgano. Ma certo fanno la mia astuzia troppo astuta. E mi darò per vinto se chi mi avrà seguito e osservato da vicino non riconoscerà che nella loro scuola non c’è regola che sappia riprodurre questo atteggiamento naturale; e mantenere un’apparenza di libertà e d’indipendenza così uguale e inflessibile in mezzo a strade tanto tortuose e diverse; e che tutta la loro attenzione e il loro ingegno non saprebbe farceli arrivare. La via della verità è una, e semplice; quella dell’utile personale e del vantaggio degli affari che ci sono affidati, doppia, ineguale e fortuita. Ho visto spesso usare queste libertà contraffatte e artificiali. Ma il più delle volte senza successo. Esse ricordano parecchio l’asino di Esopo, che per emulare il cane andò tutto allegro a buttare le zampe sulle spalle del padrone; ma per quante carezze riceveva il cane per una simile festa, il povero asino ricevette due volte tanto di bastonate.15 [C] Id maxime quemque decet quod est cuiusque suum maxime.I 16

[B] Io non voglio privare l’inganno del suo rango: sarebbe un mal intendere il mondo. So che ha servito spesso utilmente, e che mantiene e alimenta la maggior parte delle professioni degli uomini. Ci sono vizi legittimi, come parecchie azioni, o buone o scusabili, illegittime. La giustizia in sé, naturale e universale, è regolata altrimenti, e più nobilmente, di quanto sia quest’altra giustizia speciale, nazionale, vincolata alle necessità dei nostri governi.17 [C] Veri iuris germanæque iustitiæ solidam et expressam effigiem nullam tenemus: umbra et imaginibus utimur.II 18 [B] Tanto che il saggio Dandami,19 sentendo narrare le vite di Socrate, Pitagora, Diogene, li giudicò grandi personaggi in ogni altra cosa, ma troppo soggetti al rispetto delle leggi: per sostenere e secondare le quali la vera virtù deve rinunciare a parecchio del suo vigore originario. E molte azioni viziose si compiono non solo col loro permesso, ma anche per loro istigazione. [C] Ex senatusconsultis plebisquescitis scelera exercentur.III 20 [B] Io seguo il linguaggio comune, che fa differenza fra le cose utili e le oneste: tanto che alcune azioni naturali, non solo utili, ma necessarie, le chiama disoneste e sporche.

Ma continuiamo la nostra esemplificazione del tradimento. Due pretendenti al regno di Tracia erano venuti a contesa per i loro diritti. L’imperatore impedì loro di venire alle armi; ma uno di essi, col pretesto di trattare un accordo amichevole in un abboccamento, invitato il compagno per festeggiarlo nella propria casa, lo fece imprigionare e uccidere. La giustizia voleva che i Romani chiedessero ragione di questo misfatto; la difficoltà ne ostacolava le vie consuete. Quello che non poterono fare legittimamente, senza guerra e senza rischio, intrapresero di farlo col tradimento. Quello che non poterono fare onestamente, lo fecero utilmente. A questo si trovò adatto un certo Pomponio Flacco: costui, attirato quell’uomo nelle sue reti con finte parole e assicurazioni, invece dell’onore e del favore che gli prometteva, lo mandò, mani e piedi legati, a Roma.21 Un traditore tradì l’altro, contro l’uso comune. Essi infatti sono pieni di diffidenza, ed è difficile sorprenderli con le loro stesse arti. Testimonio la dura esperienza che abbiamo fatto recentemente.22

Sarà Pomponio Flacco chi vorrà, e ce ne sono parecchi che lo vorranno. Quanto a me, e la mia parola e la mia fede sono, come il resto, parti di questo corpo comune:23 il loro miglior impiego è l’utilità pubblica. Tengo questo per presupposto. Ma allo stesso modo che se mi si domandasse di assumere l’incarico del tribunale e dei processi, risponderei: «Non ci capisco nulla»; o l’incarico di capitano dei guastatori,24 direi: «Sono chiamato a un compito più degno»; così, se si volesse servirsi di me per mentire, tradire e giurare il falso per qualche notevole utilità, anche se non si trattasse di assassinare o avvelenare, direi: «Se ho rubato o rapinato qualcuno, mandatemi piuttosto in galera». Di fatto a un uomo d’onore si conviene parlare come parlarono gli Spartani, sconfitti da Antipatro, al momento degli accordi: «Potete comandarci compiti pesanti e dannosi quanto vorrete; ma vergognosi e disonesti, perderete tempo a comandarceli».25 Ognuno deve aver giurato a se stesso quello che i re d’Egitto facevano solennemente giurare ai loro giudici: che non tralignerebbero dalla loro coscienza, qualsiasi ordine essi stessi dessero loro.26 In tali incombenze c’è una nota evidente d’ignominia e di condanna; e chi ve la dà, vi accusa, e ve la dà, se ben l’intendete, come peso e come pena. Quanto più i pubblici affari migliorano per opera vostra, tanto più peggiorano i vostri: fate tanto peggio quanto meglio fate. E non sarà cosa nuova, né forse senza qualche parvenza di giustizia, che vi punisca quello stesso che si sarà servito di voi. [C] Se la perfidia può essere in qualche caso scusabile: lo è allora soltanto quando si adopera a punire e tradire la perfidia.

[B] Ci sono parecchi tradimenti non solo rifiutati, ma puniti da quelli in favore dei quali erano stati intrapresi. Chi non conosce la sentenza di Fabrizio contro il medico di Pirro?27 Ma si trova anche questo: che un tale l’ha comandato, e l’ha poi vendicato severamente su quello stesso di cui si era servito: rifiutando un’autorità e un potere così sfrenato, e sconfessando una schiavitù e un’obbedienza così totale e così vile. Jaropolk, duca di Russia, subornò un gentiluomo d’Ungheria a tradire il re di Polonia Boleslao, facendolo morire, o dando modo ai Russi di causargli qualche grave danno. Questi si comportò da galantuomo: si dedicò più di prima al servizio di quel re, e ottenne di far parte del suo consiglio e dei suoi più fidi. Con questi vantaggi, e scegliendo al momento giusto l’opportunità dell’assenza del signore, consegnò ai Russi Vislicia, grande e ricca città, che fu da loro interamente saccheggiata e arsa, con uccisione totale non solo degli abitanti di ogni sesso ed età, ma di un gran numero di nobili dei dintorni, che egli vi aveva riunito a questo fine. Jaropolk, saziata la sua vendetta e la sua collera, che non era tuttavia senza ragione (infatti Boleslao lo aveva molto offeso, e in modo simile), e pienamente soddisfatto del frutto di questo tradimento, venendo a considerarne la bruttura nuda e cruda, e a guardarla con sguardo sano e non più offuscato dalla passione, fu preso da tale rimorso e dolore che fece cavar gli occhi e tagliar la lingua e le vergogne al suo esecutore.28 Antigono persuase i soldati Argiraspidi a tradire a morte Eumene, loro comandante generale, suo avversario. Ma appena lo ebbe fatto uccidere, dopo che quelli glielo ebbero consegnato, desiderò essere egli stesso commissario della giustizia divina per il castigo di un misfatto così detestabile: e li abbandonò nelle mani del governatore della provincia, dandogli espresso ordine di finirli e farli morire di mala morte, in qualsiasi modo fosse.29 Tanto che di quel gran numero che erano, nessuno vide mai più il cielo di Macedonia. Quanto meglio ne era stato servito, tanto più giudicò di esserlo stato in modo malvagio e degno di punizione. [C] Lo schiavo che tradì il nascondiglio di P. Sulpicio, suo padrone, fu messo in libertà, secondo quanto era detto nella proscrizione di Silla; ma secondo quanto era detto nella legge pubblica, benché libero, fu precipitato dalla rupe Tarpea.30 Li fanno impiccare con la borsa della loro mercede al collo. Avendo mantenuto la loro parola secondaria e particolare, mantengono quella generale e principale. Maometto II, volendo disfarsi di suo fratello per gelosia del dominio, secondo lo stile della loro razza, si servì per questo di uno dei suoi ufficiali, che lo soffocò, facendogli ingoiare una gran quantità d’acqua tutta d’un fiato. Fatto ciò, per espiazione di questo assassinio consegnò l’assassino nelle mani della madre del morto (poiché erano fratelli solo di padre); questa, in sua presenza, aprì a quell’assassino il petto e, caldo com’era, cercandogli e strappandogli il cuore con le mani, lo gettò in pasto ai cani.31 E il nostro re Clodoveo fece impiccare i tre servi di Cannacre dopo che gli ebbero consegnato il loro padrone, cosa a cui li aveva subornati.32 [B] E anche per quelli che non valgono nulla, è così dolce, dopo aver tratto vantaggio da un’azione malvagia, potervi ormai unire in tutta sicurezza qualche tratto di bontà e di giustizia, come per compensazione, e correzione di coscienza. [C] Si aggiunga che essi guardano gli esecutori di tali orribili crimini come gente che glieli rinfaccia. E cercano con la loro morte di soffocare la conoscenza e la testimonianza di tali mene.

[B] Ora, se per caso vi se ne ricompensa, per non privare del tutto la pubblica necessità di tale estremo e disperato rimedio, colui che lo fa non cessa di considerarvi, se non lo è lui stesso, un uomo maledetto ed esecrabile. E vi ritiene più traditore di quanto faccia colui nei cui riguardi lo siete, poiché tocca la malvagità del vostro cuore con le vostre mani, senza che possiate smentire né obiettare. Ma si serve di voi per questo, appunto come si fa con gli uomini perduti nelle esecuzioni dell’alta giustizia, incarico tanto utile quanto poco onesto. Oltre alla bassezza di tali incombenze, c’è prostituzione di coscienza. La figlia di Seiano, non potendo esser punita con la morte secondo una certa procedura a Roma, essendo vergine, per dar corso alle leggi fu violata dal carnefice prima che questi la strangolasse.33 Non solo la sua mano, ma la sua anima è schiava dell’utilità pubblica. [C] Quando Amurat I, per inasprire la punizione di quei suoi sudditi che avevano appoggiato la ribellione parricida di suo figlio contro di lui, ordinò che i loro parenti più prossimi prestassero mano a tale esecuzione,34 io trovo molto onesto in alcuni aver scelto di essere iniquamente ritenuti colpevoli del parricidio commesso da altri, piuttosto che servire la giustizia col loro proprio parricidio. E quando, in qualche bicocca conquistata al tempo mio, ho visto dei furfanti che per salvare la propria vita accettavano di impiccare i loro amici e compagni, ho considerato il loro stato peggiore di quello degli impiccati. Si dice che Vitoldo, principe dei Lituani, fece un tempo questa legge: che i criminali condannati dovessero dar esecuzione di persona, con le proprie mani, alla pena capitale stabilita contro di loro, trovando strano che un terzo, innocente della colpa, fosse impiegato a questo e incaricato d’un omicidio.35

[B] Il principe, quando una circostanza urgente e qualche improvviso e inopinato caso di bisogno del suo Stato lo fa venir meno alla sua parola e alla sua fede, o lo spinge altrimenti fuori del suo consueto dovere, deve attribuire questa necessità a un colpo della verga divina. Non è vizio, poiché egli ha abbandonato la sua ragione per una più universale e potente ragione. Ma certo è disgrazia. Sicché a qualcuno che mi domandava: «Che rimedio?» «Nessun rimedio» risposi. «Se era davvero stretto fra questi due estremi [C] (sed videat ne quæratur latebra periurio)I 36 [B], bisognava farlo. Ma se lo ha fatto senza rammarico, se non gli è pesato farlo, è segno che la sua coscienza è in cattive condizioni». [C] Quando se ne trovasse qualcuno di coscienza così delicata al quale nessuna guarigione sembrasse degna d’un così grave rimedio, non lo stimerei meno. Non potrebbe perdersi in modo più scusabile né più decoroso. Non possiamo tutto. Tant’è che spesso ci è giocoforza affidare la protezione del nostro vascello alla pura guida del cielo come all’àncora di salvezza. A quale più giusta necessità si riserva? Che cosa gli è meno possibile fare di ciò che non può fare se non a spese della sua fede e del suo onore, cose che forse gli devono essere più care della sua stessa salute. Sì, e della salute del suo popolo. Quando, con le braccia incrociate, chiamerà Dio semplicemente in suo aiuto, non dovrà sperare che la bontà divina non rifiuterà il favore della sua mano miracolosa a una mano pura e giusta?

[B] Sono esempi pericolosi, rare e malsane eccezioni alle nostre regole naturali. Bisogna cedervi. Ma con gran moderazione e circospezione. Nessun interesse privato è degno che si faccia per esso tale violenza alla nostra coscienza. Quello pubblico, va bene, quando è e molto evidente e molto importante. [C] Timoleone riscattò la straordinarietà della sua impresa con le lacrime che sparse, ricordandosi che era con mano fraterna che aveva ucciso il tiranno.37 E appunto questo punse la sua coscienza, che fosse stato necessario comprare l’utilità pubblica a prezzo dell’onestà dei propri costumi. Il senato stesso, liberato dalla schiavitù per mezzo suo, non osò decidere risolutamente di un fatto così grave e scisso in due aspetti così importanti e contrastanti. Ma poiché i Siracusani avevano appunto, in quello stesso momento, mandato a chiedere ai Corinzi la loro protezione e un capo degno di ricondurre la loro città alla sua primitiva dignità e sbarazzare la Sicilia di parecchi tirannelli che la opprimevano, esso ne dette l’incarico a Timoleone, con questo espediente e questa dichiarazione inaudita: che, secondo che egli avesse svolto bene o male il suo compito, la loro sentenza sarebbe stata o a favore del liberatore del proprio paese o a danno dell’assassino del proprio fratello. Tale strana conclusione ha tuttavia qualche scusa per il pericolo dell’esempio e l’importanza di un fatto così complesso. E fecero bene a esonerarne il loro giudizio ovvero a fondarlo altrove e su considerazioni esterne. Ora, la condotta di Timoleone in quella spedizione rese presto la sua causa più chiara, tanto egli vi si comportò con dignità e virtù sotto ogni aspetto. E la fortuna che lo accompagnò nelle difficoltà che dovette vincere in quella nobile bisogna, sembrò essergli mandata dagli dèi cospiranti e favorevoli alla sua discolpa.

Il fine di costui è scusabile, se alcuno poteva esserlo. Ma l’utilità dell’aumento del reddito pubblico, che servì di pretesto al senato romano per quella turpe conclusione che ora racconterò, non è abbastanza forte per giustificare una tale ingiustizia. Alcune città si erano riscattate con denaro e avevano riacquistato la libertà, con l’ordine e il permesso del senato, dalle mani di L. Silla. Venuta di nuovo in giudizio la questione, il senato le condannò ad essere sottoposte a taglia come prima, e che il denaro che avevano dato per riscattarsi fosse perduto per loro.38 Le guerre civili producono spesso questi brutti esempi, che noi puniamo i privati perché ci hanno prestato fede quando eravamo di un altro partito. E uno stesso magistrato fa pagare il fio del suo cambiamento a chi non ne ha colpa. Il maestro fustiga il discepolo per la sua docilità, e la guida il suo cieco. Orribile immagine di giustizia. Ci sono nella filosofia delle regole e false e fiacche. L’esempio39 che ci si propone per far prevalere l’utilità privata sulla fede data non riceve sufficiente peso dalla circostanza che essi vi introducono. I ladri ci hanno preso, ci hanno rimesso in libertà, dopo averci estorto il giuramento di pagare una certa somma: si ha torto di dire che un uomo dabbene sarà sciolto dalla sua parola senza pagare, una volta fuori delle loro mani. Non è affatto così. Ciò che la paura mi ha fatto volere una volta, sono tenuto a volerlo anche senza paura. E qualora essa non avesse forzato che la mia lingua, senza la mia volontà, sono ancora tenuto a mantenere scrupolosamente la mia parola. Per quanto mi riguarda, quando a volte essa ha inconsideratamente oltrepassato il mio pensiero, mi sono tuttavia fatto scrupolo di sconfessarla. Altrimenti, di gradino in gradino, arriveremmo ad annullare ogni diritto che un terzo acquista dalle nostre promesse e giuramenti. Quasi vero forti viro vis possit adhiberi.I 40 L’interesse privato ha potere solo in questo, di scusarci di mancare alla promessa, se abbiamo promesso una cosa malvagia e iniqua per se stessa: poiché il diritto della virtù deve prevalere sul diritto della nostra obbligazione.

[B] Io ho collocato già una volta41 Epaminonda al primo posto fra gli uomini eccellenti, e non mi disdico. Fino a che punto egli innalzava la considerazione del suo dovere personale! Egli che non uccise mai un uomo dopo averlo vinto. Che per quel bene inestimabile di rendere la libertà al suo paese, si faceva scrupolo di uccidere un tiranno o i suoi complici senza le forme della giustizia. E che giudicava iniquo, per quanto buon cittadino potesse essere, colui che fra i nemici, e in battaglia, non risparmiava il suo amico e il suo ospite. Ecco un’anima ricca e complessa. Egli univa alle più rudi e violente azioni umane la bontà e l’umanità. Forse la più delicata che si trovi nella scuola della filosofia. Quel cuore così forte, teso e ostinato contro il dolore, la morte, la povertà, era natura o arte a intenerirlo fino al punto di una così estrema dolcezza e mitezza di temperamento? Orribile di ferro e di sangue, egli va fracassando e abbattendo una nazione invincibile per chiunque altro eccetto che per lui solo, e si ritrae, in mezzo a tal mischia, di fronte al suo ospite e al suo amico. Davvero costui comandava realmente alla guerra, lui che le faceva subire il morso della benignità nel momento del suo più forte ardore, infiammata com’era e schiumante di furore e di assassinio. È un miracolo poter unire a tali azioni qualche immagine di giustizia. Ma è proprio soltanto del rigore di Epaminonda potervi unire la dolcezza e la mitezza dei costumi più delicati e la pura innocenza. E mentre uno42 disse ai Mamertini che gli statuti non avevano alcun valore nei riguardi degli uomini in armi; l’altro,43 al tribuno del popolo, che i tempi della giustizia e della guerra erano due; il terzo,44 che il rumore delle armi gli impediva d’intendere la voce delle leggi: questi non era neppur impedito d’intendere quelle della civiltà e della pura cortesia. Non aveva forse preso dai suoi nemici l’uso di sacrificare alle Muse,45 andando in guerra, per temperare con la loro dolcezza e letizia quella furia e durezza marziale?

Non temiamo, dopo un così gran maestro, di ritenere [C] che ci sono cose illecite contro gli stessi nemici; [B] che l’interesse comune non deve chieder tutto da tutti contro l’interesse privato: [C] manente memoria etiam in dissidio publicorum fœderum privati iuris,I 46

[B]et nulla potentia vires

Præstandi, ne quid peccet amicus, habet.II 47

E che non tutto è permesso a un uomo dabbene per il servizio [C] del suo re né [B] della causa comune e delle leggi. [C] Non enim patria præstat omnibus officiis, et ipsi conducit pios habere cives in parentes.III 48 [B] È un ammaestramento utile per i nostri tempi: non abbiamo bisogno di indurire i nostri cuori con queste lame di ferro, è sufficiente che lo siano le nostre spalle. È già sufficiente intingere le nostre penne nell’inchiostro, senza intingerle nel sangue. Se è grandezza di cuore ed effetto di una virtù rara e singolare disprezzare l’amicizia, gli obblighi personali, la propria parola e la parentela per il bene comune e l’obbedienza al magistrato, è sufficiente davvero, a dispensarcene, che sia una grandezza che non può albergare nella grandezza del cuore di Epaminonda. Io detesto le esortazioni furiose di quest’altra anima sfrenata,

dum tela micant, non vos pietatis imago

Ulla, nec adversa conspecti fronte parentes

Commoveant; vultus gladio turbate verendos.I 49

Togliamo ai malvagi per natura, e ai sanguinari, e ai traditori questo pretesto di ragione. Lasciamo stare questa giustizia eccessiva e fuori di sé. E teniamoci a modelli più umani. Quanto può il tempo e l’esempio! In uno scontro durante la guerra civile contro Cinna, un soldato di Pompeo, avendo ucciso senza saperlo il proprio fratello che era del partito contrario, si uccise immediatamente per la vergogna e il rimorso. E qualche anno dopo, in un’altra guerra civile di quello stesso popolo, un soldato, per aver ucciso il proprio fratello, chiese una ricompensa ai suoi capitani.50 Si deduce male l’onestà e la bellezza di un’azione dalla sua utilità, e si conclude male stimando che ognuno vi sia obbligato, [C] e che sia onesta per ognuno, dato che è utile. Omnia non pariter rerum sunt omnibus apta.II 51 [B] Prendiamo la più necessaria e la più utile della società umana, ossia il matrimonio. Tuttavia il pensiero dei santi52 trova il partito contrario più onesto e ne esclude la più venerabile occupazione degli uomini: come noi destiniamo all’allevamento le bestie di minor pregio.

 

I Certo costui farà grandi sforzi per dirmi grandi sciocchezze

I È dolce, quando sul vasto mare i venti sollevano i flutti, assistere dalla riva alle dure prove di un altro

I Questo non è prendere una via di mezzo, è non prenderne alcuna, come quelli che aspettano gli eventi per mettersi dalla parte della fortuna

I Quello che più conviene a ciascuno è quello che gli è più proprio

II Di un vero diritto e di una vera giustizia non possediamo alcun modello solido ed esatto: ci serviamo di un’ombra e di immagini

III Vi sono crimini commessi per istigazione dei senatoconsulti e dei plebisciti

I ma si guardi dal cercar dei pretesti al suo spergiuro

I Come se si potesse far violenza a un uomo forte

I il ricordo del diritto privato sussiste anche nella rottura dei patti pubblici

II e nessun potere è tanto forte da autorizzare a violare i diritti dell’amicizia

III La patria infatti non soffoca tutti gli altri doveri, anzi è suo interesse che i cittadini si comportino con filiale pietà verso i loro genitori

I finché scintillano le armi, nessuno spettacolo pietoso vi muova a compassione, nemmeno i vostri padri che avete visto nel campo avverso; turbate con la vostra spada quei volti venerabili

II Tutte le cose non convengono egualmente a tutti

Saggi
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