CAPITOLO LV
Degli odori
[A] Di alcuni, come di Alessandro Magno, si dice che per una loro rara e straordinaria costituzione il loro sudore spandeva un odore soave; di questo Plutarco ed altri1 ricercano la cagione. La conformazione normale dei corpi è tuttavia affatto contraria; e la miglior condizione in cui possano trovarsi è di essere privi di odore. La stessa dolcezza degli aliti più puri non ha nulla di più perfetto che essere senza alcun odore che ci dia fastidio, come quelli dei bambini perfettamente sani. Ecco perché, Plauto dice,
Mulier tum bene olet, ubi nihil olet.I 2
«il più squisito profumo di una donna è non profumare di niente», come si dice che il miglior odore delle sue azioni è che siano impercettibili e tacite. E i buoni profumi estranei alla persona, si ha ragione di ritenerli sospetti in coloro che se ne servono, e di pensare che siano usati per coprire qualche difetto naturale a questo riguardo. Di qui nascono le facezie dei poeti antichi: che l’esser profumati è puzzare,
Rides nos, Coracine, nil olentes,
Malo quam bene olere, nil olere.II 3
E altrove:
Posthume, non bene olet, qui bene semper olet.III 4
[B] Tuttavia a me piace molto respirare i buoni odori, e odio straordinariamente i cattivi, che sento da lontano più di ogni altro,
Namque sagacius unus odoror,
Polypus, an gravis hirsutis cubet hircus in alis,
Quam canis acer ubi lateat sus.IV 5
[C] Gli odori più semplici e naturali mi sembrano più gradevoli. E questa cura riguarda soprattutto le dame. Nella più rozza barbarie, le donne scite, dopo essersi lavate, si incipriano e si spalmano tutto il corpo e il viso con una certa sostanza odorifera che nasce nel loro paese. E quando si accostano agli uomini tolto questo trucco, si trovano lisce e profumate.6 [B] È straordinario come qualsiasi odore mi si attacchi, e come io abbia la pelle atta a impregnarsene. Colui che si lamenta della natura, perché ha lasciato l’uomo senza uno strumento per portare gli odori al naso, ha torto, infatti essi vi arrivano da soli. Ma per quanto riguarda me personalmente, sono i baffi, che ho folti, che mi servono a questo. Se vi avvicino i guanti o il fazzoletto, l’odore vi rimarrà per tutto il giorno. Essi rivelano il luogo da cui vengo. Gli intensi baci della giovinezza, saporosi, golosi e vischiosi, vi si incollavano un tempo, e vi rimanevano poi per parecchie ore. E tuttavia in confronto sono poco soggetto alle malattie diffuse che si attaccano attraverso la frequentazione e nascono dal contagio dell’aria; e sono scampato da quelle del mio tempo, e ce ne sono state diverse specie nelle nostre città e nei nostri eserciti. [C] Si legge di Socrate7 che, non essendosi mai allontanato da Atene durante diverse epidemie di peste che colpirono tante volte la città, lui solo non si ammalò mai. [B] I medici potrebbero, credo, trar dagli odori più profitto di quanto non fanno: infatti mi sono accorto spesso che essi mi cambiano, e agiscono sul mio spirito secondo la loro natura. E questo mi fa approvare quel che si dice, che l’invenzione degli incensi e dei profumi nelle chiese, tanto antica e diffusa in tutti i popoli e in tutte le religioni, miri a rallegrarci, risvegliarci e purificarci i sensi per renderci più disposti alla contemplazione. [C] Mi piacerebbe molto, per poterne giudicare, aver avuto anch’io un saggio dell’arte di quei cuochi che sanno mescolare gli odori esotici col sapore delle vivande. Come fu notato specialmente alla tavola di quel re di Tunisi che, ai nostri tempi, sbarcò a Napoli per avere un abboccamento con l’imperatore Carlo. Si farcivano le sue vivande di sostanze odorifere con tale abbondanza che un pavone e due fagiani venivano a costare cento ducati, per prepararli alla loro maniera. E quando venivano tagliati, riempivano non solo la sala, ma tutte le camere del suo palazzo e perfino le case del vicinato di un profumo quanto mai soave che non svaniva tanto presto.8 [B] La mia preoccupazione principale, quando cerco un alloggio, è di fuggire l’aria fetida e pesante. Quelle belle città, Venezia e Parigi, sminuiscono la mia predilezione per esse con il cattivo odore, l’una della sua laguna, l’altra del suo fango.
I [Montaigne traduce il verso alla riga seguente]
II Tu ridi di noi, Coracino, perché non abbiamo odore; preferisco non aver odore che odorare di buono
III Postumo, non odora di buono chi odora sempre di buono
IV Di fatto ho un odorato unico per sentire il lezzo di un polipo o di un capro che ristagna nelle ascelle villose, meglio del cane sagace che annusa dov’è nascosto il cinghiale