CAPITOLO XLIII

1 Si tratta delle leggi promulgate successivamente da Francesco I, Enrico II, Carlo IX, Enrico III ed Enrico IV contro il lusso delle vesti e della tavola, miranti a distinguere i gradi sociali e soprattutto a impedire l’uscita del denaro verso l’Italia, da dove venivano sete, velluti e prodotti d’oreficeria.

2 Diodoro Siculo, XII, 21.

3 Quintiliano, Declamationes, III, 15, dove l’espressione è riferita ai superiores, per mostrare che le loro colpe sono per questo più gravi.

4 Fino al regno di Enrico III i gentiluomini rimanevano a capo coperto in presenza del re, a meno che non dovessero parlargli.

5 Leggi, VII, 757bc.

Postilla. La prima versione si limitava ad auspicare un mezzo indiretto per limitare le spese vestimentarie, oggetto di molteplici e vane regolamentazioni nel XVI secolo; l’aggiunta del 1588 sposta l’obiettivo verso gli eccessi di ossequiosità che caratterizzano il consenso della piccola nobiltà alla propria sottomissione: fenomeno politico che porta alle riflessioni dell’aggiunta manoscritta sulla corruzione delle istituzioni, poi sulla continuità, unico fondamento dell’autorità delle leggi e delle consuetudini (cfr. I, XXIII).

CAPITOLO XLIV

1 Plutarco, Vita di Alessandro, LIX.

2 Id., Vita di Ottone, XXIII.

3 Id., Vita di Catone Uticense, LXXXVIII e XXXVIII.

4 Svetonio, II, 16.

5 Figlio adottivo di Mario che aveva continuato la lotta contro Silla. Plutarco, Vita di Silla, LX.

6 Id., Vita di Paolo Emilio, LIX.

7 Erodoto, IV, 25, dove però questa particolarità viene data come leggendaria.

8 Diogene Laerzio, I, 109.

Postilla. Le considerazioni etiche iniziali inducono a riconoscere casi eccezionali di impavidità negli esempi citati di individui che dormono in momenti cruciali; poi il tema del dormire è ripreso come problema fisiologico; l’unica aggiunta manoscritta accentua questa inflessione, annotando due semplici stranezze, come se qui Montaigne avesse abbandonato progressivamente la sua prospettiva di moralista.

CAPITOLO XLV

1 Vittoria delle truppe cattoliche contro le truppe protestanti, nel dicembre del 1562, durante la prima guerra di religione.

2 Il conestabile di Montmorency.

3 Plutarco, Vita di Filopemene, XVI.

4 Si tratta di Cheronea, cfr. Id., Vita di Agesilao, XXVII.

Postilla. Osservazioni su un problema di tattica, in cui si ritrovano le preoccupazioni militari, frequenti nei primi capitoli (cfr. I, V-VI e I, XV-XVI); l’aggiunta del 1588, alla fine, paragona esplicitamente il prestigio dell’eroismo con la preoccupazione dell’efficacia, a vantaggio di quest’ultima.

CAPITOLO XLVI

1 Bouchet, Annales d’Aquitaine, III, 5, f. 65v.

2 Elio Sparziano (Historia Augusta), Vita Antonini Getæ, V, ma tratto da Crinito.

3 Bouchet, Annales d’Aquitaine, I, 6, f. 10v, dove è aggiunto un miracolo postumo.

4 Grave e lenta, ritmata in spondaici, a tempi lunghi. L’aneddoto si trova in Boezio, De musica, I, 1.

5 La Riforma, che introdusse l’uso dei nomi biblici.

6 Ciascuno dei rami nei quali si suddivide il tronco capetingio porta un cognome differente (Borbone, Valois ecc.).

7 Si tratta di forme diverse del nome di Bertrand du Guesclin.

8 Processo delle vocali, dove, davanti al tribunale delle Vocali, Σ denuncia T, che lo spoglia delle sue prerogative grammaticali nell’Attica, 82.

9 Virgilio, Eneide, XII, 764, dove la posta in gioco della corsa è la morte di Turno.

10 Nicolas Denisot, pittore, incisore e poeta (1515-1559); nell’anagramma, la grafia del termine francese comte è conte.

11 È questo il cognomen di Svetonio (Caio Svetonio Tranquillo), che ha pressappoco lo stesso significato di Lenis.

12 Baiardo (ovvero il Fulvo) è il soprannome, trasmesso ai posteri, di Pierre Terrail, eroe delle guerre d’Italia, il “cavaliere senza macchia e senza paura”. Antoine Escalin, luogotenente generale delle galee sotto Francesco I, era barone de La Garde e veniva soprannominato Paulin o Poulin.

13 Diogene Laerzio alla fine delle sue monografie elenca regolarmente gli omonimi dei personaggi citati.

14 Virgilio, Eneide, IV, 34.

15 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 17. È la traduzione latina del primo dei quattro versi greci scolpiti ai piedi della statua di Epaminonda.

16 Ibid.

17 Giovenale, X, 137-141.

Postilla. Presentati fin dall’inizio come mezzi per repertoriare gli esseri, con il difetto dell’imprecisione e senza funzione qualificante, i nomi costituiscono l’oggetto di una serie disparata di note scandite da item d’inventario notarile, gli ultimi dei quali insistono sugli scarti e le approssimazioni possibili tra appellazioni e persone designate. Una prima conclusione (Per chiudere il nostro discorso…, p. 495) evidenzia l’incertezza dei titoli nobiliari (con alla fine un’osservazione disincantata sullo stemma di Montaigne). Ma il vero esito di questi discorsi, in un altro campo (p. 497), mette in causa la nozione stessa di identità storica, riducendola a un effetto del linguaggio (il nome: insieme di suoni o di lettere, del resto variabili e spesso equivoci; e la rinomanza: insieme di enunciati commemorativi associati al nome) che ha come sostrato reale la cenere anonima dei morti di tutti i tempi (pp. 499-501).

CAPITOLO XLVII

1 Omero, Iliade, XX, 249. La traduzione di Montaigne non è esatta: infatti il quarto termine è accentato νοµϛ (pascolo) e non νόµοϛ (legge) e dovrebbe perciò essere tradotto: vasto è il campo delle parole, in un senso e nell’altro.

2 In italiano nel testo. Petrarca, Rime, 103, dove il poeta esorta Stefano Colonna a continuare la lotta contro gli Orsini, dopo la vittoria del 1533.

3 A Moncontour, nel 1569, Tavannes, vincitore dei protestanti, voleva inseguirli, ma il duca d’Angiò preferì assediare Niort e altre piazzeforti.

4 Filippo II preferì continuare l’assedio di Saint-Quentin (1557) piuttosto che inseguire i Francesi battuti davanti alla città da Emanuele Filiberto duca di Savoia, comandante delle truppe imperiali.

5 Lucano, VII, 734.

6 Plutarco, Vita di Cesare, LI.

7 Episodio della guerra marsica (90 a.C.) tratto probabilmente da Appiano.

8 Gaston de Foix fu ucciso l’11 aprile 1512 inseguendo un corpo di Spagnoli dopo la vittoria di Ravenna.

9 A Ceresole d’Alba, in Piemonte, Francesco di Borbone, conte d’Enghien, vinse gli Spagnoli nel 1544.

10 Porcio Latrone, citato da Giusto Lipsio, Politiche, V, 18.

11 Lucano, IV, 275.

12 Diodoro Siculo, XII, 79.

13 Bouchet, Annales d’Aquitaine, II, 4, f. 30.

14 Ciropedia, IV, 3, 2.

15 Aulo Gellio, V, 5.

16 Plutarco, Apophthegmata Laconica, 228f (Licurgo).

17 Id., Vita di Ottone, IX.

18 Id., Pirro, XXXVI, dove l’ufficiale di Pirro si chiama Megacle. Per i casi che seguono si veda Id., Vita di Alessandro, XXVII; Vita di Lucullo, LIII; Vita di Agide e Cleomene, VI; Vita di Agesilao, XXII.

19 Id., Vita di Pompeo, XCIX.

20 Ciro e Artaserse, a Cunassa, nel 401 a.C. Senofonte, Anabasi, I, 8, 14-17 e Plutarco, Conjugalia præcepta, XXXVII, 143c.

21 G. e M. du Bellay, Mémoires, VI, Bourrilly, t. III, pp. 33-36 / 1569, f. 184, e pp. 125-130 per la deliberazione simmetrica di Carlo V, riferita anch’essa da G. du Bellay nelle sue Instructions sur le fait de la guerre, 1553, II, 3.

22 I quattro esempi che seguono (Scipione, Annibale, gli Ateniesi, Agatocle), così come molti argomenti della deliberazione, figurano nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di Machiavelli (II, 12), cui Montaigne si è ispirato, senza tuttavia riprenderne le conclusioni (attaccare se si impiegano dei mercenari, resistere se i soldati sono cittadini).

23 Manilio, Astronomica, IV, 95-99.

24 Timeo, 34c.

Postilla. La serie delle coppie di “discorsi” di senso contrario, annunciati dalla citazione di Omero (p. 501), su questioni di tattica o di strategia, conduce a una duplice conclusione (pp. 511-513, in correlazione: Quindi a ragione siamo soliti dire […] Ma, a ben considerare): prima la banalità prevedibile, sulle incertezze della guerra; poi, attraverso la riflessione sulla possibilità stessa di questi discorsi opposti, la scoperta della componente di casualità che entra nei nostri propositi – quelli che si sono appena letti, e che Montaigne ha fatto suoi. Lo scrittore orienta dunque l’intento critico verso il funzionamento del suo stesso giudizio, indicato dal titolo e saggiato nel testo prodotto. Questo capitolo è l’unico nei Saggi ad essere metodicamente segmentato in capoversi: ordinamento ironico di un testo che mette in dubbio il potere ordinatore del pensiero e ne distorce i procedimenti per mettere in risalto coppie di discorsi contraddittori.

CAPITOLO XLVIII

1 Cfr. Svetonio, III, 6, dove si parla dei funales (cavalli attaccati alla fune, mentre iugales erano detti quelli attaccati al giogo) di un corteo trionfale, posti l’uno a sinistra, l’altro a destra (dexterior) del carro.

2 I romanzi cavallereschi.

3 Tito Livio, XXIII, 29.

4 Erodoto, V, 111-112, dove nel duello tra i due capi, lo scudiero colpisce il cavallo che si era impennato contro Onesilo, che può allora centrare il cavaliere.

5 Plutarco, Vita di Cesare, XXI; Vita di Pompeo, XCIX.

6 Aulo Gellio, V, 2, 2 e 5.

7 Svetonio, I, 61. Montaigne aveva trovato qui, nella sua edizione (Lyon, 1548) con il commento di Béroalde, i riferimenti a Plinio, Senofonte, Trogo Pompeo e Giustino, infra.

8 Leggi, VII, 789d.

9 Ciropedia, IV, 3, 22-23.

10 Tito Livio, IX, 22.

11 De bello gallico, VII, 11.

12 Virgilio, Eneide, X, 756-757.

13 Tito Livio, XXV, 41.

14 Lucano, VIII, 384-386.

15 Questo saggio sulle armi da fuoco, che Montaigne annuncia qui, fu effettivamente scritto, ma gli fu sottratto da un domestico, come risulta da un brano, poi soppresso, di II, IX e da un accenno all’inizio di II, XXXVII.

16 Virgilio, Eneide, IX, 705-706.

17 Tito Livio, XXXVIII, 29.

18 Ibid., 5.

19 I Galati, popolo d’Asia Minore; li si credeva parenti dei Galli a causa della somiglianza dei nomi.

20 Tito Livio, XXVIII, 21.

21 Mercenari di Ciro, cfr. Senofonte, Anabasi, IV, 2, 28.

22 Le catapulte, cfr. Claudio Eliano, Varia Historia, VI, 12.

23 Enguerrand de Monstrelet, continuatore delle Chroniques di Froissart. I brani citati sono I, 46 e 66.

24 L’edizione del 1588 reca erroneamente ceux de Suède (Svezia). Cfr. Cesare, De bello gallico, IV, 2, dove si parla del popolo germanico degli Svevi.

25 Lucano, IV, 682-683.

26 Virgilio, Eneide, IV, 41.

27 Tito Livio, XXXV, 11.

28 Tradotte in francese con il titolo di Epîtres Dorées e molto apprezzate nel XVI secolo. Le regole che seguono, stabilite da Alfonso XI, re di Castiglia, sono menzionate nella lettera al conte di Benavante.

29 Il divieto enunciato da Baldassarre Castiglione nel Cortegiano (II, 3) appare desueto.

30 Mago e principe mitico d’Etiopia, il cui nome equivaleva a un titolo di sovranità locale per i cosmografi europei.

31 Ciropedia, III, 3, 26-27 e più avanti (Il suo Ciro), VIII, 1, 38.

32 Marziale, Liber de spectaculis, III, 4.

33 Valerio Massimo, VII, 6, 7. Nell’edizione del 1588, per una svista, si ha Crotte.

34 Gli amerindi. La fonte è López de Gómara, Historia di Don Ferdinando Cortes, Venezia, Franceschini, 1576, f. 32r.

35 Cioè le Indie orientali. Cfr. Arriano, Anabasi di Alessandro, XVII, 2.

36 Tito Livio, VIII, 20.

37 Ibid., XL, 40.

38 La fonte è Herburt de Fulstin, Histoire des Rois de Pologne, f. 204, e più avanti (In Russia), f. 212.

39 Calcondila, III, 12.

40 Erodoto, I, 78, dove viene spiegato il presagio.

41 Plutarco, Vita di Nicia, L.

42 Quinto Curzio Rufo, VII, 7.

43 Montaigne vide quest’uomo l’8 ottobre 1581 a Roma, alle Terme di Diocleziano, come racconta nel Journal de voyage.

44 Particolare tratto dalla Description des jeux représentés à Constantinople en la solennité de la circoncision du fils d’Amurath, di G. Lebelski (Paris, Patrasson, 1583).

Postilla. La prima versione non è altro che un repertorio di usi equestri abbastanza insoliti; le questioni di tattica e di armamento prevalgono nelle aggiunte, soprattutto dopo il 1588. L’insieme non sembra andare oltre l’intento documentaristico. Vi si potrebbe rinvenire una certa compiacenza nell’evocare immagini diverse, nello spazio e nel tempo, di quegli accessori tipici della nobiltà di spada che sono il destriero e le armi, nonché intravedere, in filigrana, l’archetipo della cavalleria errante; resterebbe allora da interrogarsi sulle acrobazie dei ginnasti descritte nelle ultime righe.

CAPITOLO XLIX

1 Cesare, De bello civili, I, 75, che reca sinistras sagis involvunt, con lo stesso significato.

2 Id., De bello gallico, IV, 5.

3 Seneca, Epistole, 86.

4 Marziale, II, 62, 1.

5 Ibid., VI, 93, 9, che reca psilothro viret aut acida (si fa verde di unguento o scompare sotto il gesso secco).

6 Virgilio, Eneide, II, 2.

7 Plutarco, Vita di Catone Uticense, LXXXV.

8 Ovidio, Epistulæ ex Ponto, IV, 9, 13.

9 Appartenente alla scuola cinica, cfr. Diogene Laerzio, VI, 89.

10 Seneca, Epistole, 70.

11 Marziale, XI, 58, che proseguiva: “ti manderò al diavolo, con la tua insaziabile avidità”.

12 Lucrezio, IV, 1026-1027.

13 Marziale, VII, 48, 4, dove si parla dei banchetti in cui i servitori passano e ripassano i piatti, anziché posarli a portata dei commensali.

14 Cioè la traduzione di Plutarco di Jacques Amyot.

15 Marziale, VII, 35, 2-3.

16 Carmina, V, 239.

17 Orazio, Satire, I, 5, 13-14.

18 Svetonio, I, 49.

19 Orazio, Odi, II, 1, 18-20.

20 Persio, I, 58.

21 Plutarco, Ætia Romana et Græca, XXVI, 270d.

Postilla. Dato per banale nella frase finale, questo repertorio presenta come estraneo e talvolta bizzarro il mondo antico di cui gli umanisti (e Montaigne stesso) si fanno generalmente un’immagine idealizzata e razionalizzata; d’altra parte, il continuo mutare delle cose umane (p. 531) vi è ben colto sia nelle somiglianze dei costumi (gli usi simili ai nostri) sia nelle loro differenze. Completa dunque I, XXIII e sembra anticipare il passo dell’Apologia di Raymond Sebond (pp. 1055-1059) dove le analogie tra caratteristiche di civiltà diverse sono considerate il massimo della stranezza.

CAPITOLO L

1 Questa metafora dello scampolo sembra applicarsi indistintamente ai prestiti, avulsi dal loro contesto d’origine per essere apprezzati isolatamente, e al testo prodotto, preso come un insieme di enunciati senza connessione (slegati), le cui possibilità di combinazione non sono limitate da alcun piano (disegno), cfr. I, LVI, p. 575.

2 È coordinato a cambiare quando mi piace: rivendicando il diritto di cambiare piano e opinione, lo scrittore riconosce di riflesso il dubbio che domina le sue ricerche e l’ignoranza cosciente che costituisce la sua identità di filosofo. Cfr. infra l’inizio di I, LVI, così come III, XI, pp. 1915 e 1927.

3 A ciascuna delle anime (o, in altri termini, a ogni soggetto individuale).

4 Un passo delle Sacre Scritture.

5 Cfr. Seneca, De tranquillitate animi, XV; ma questo tema, già ampiamente discusso nell’antichità, si ritrova in vari moralisti o compilatori rinascimentali.

6 Giovenale, X, 28-30.

7 Plutarco, Vita di Alessandro, XXII.

8 Id., Vita di Bruto, XII.

9 Diogene Laerzio, II, 95 e 98.

10 Quest’ultimo aggettivo con valore attivo, “capace di ridere, ridanciano”. Montaigne si richiama alla definizione aristotelica, secondo cui il riso è proprio dell’uomo, e si diverte a sdoppiarla, facendo dell’uomo un essere che per natura (condizione) è ridicolo (oggetto di derisione: il buffone della commedia della fine di III, IX), così come è risibile (animale risibile, dotato della facoltà di ridere). Sintesi riflessiva: ridere di se stessi (cfr. la risposta di Misone citata infra, III, VIII, p. 1723).

Postilla. Accingendosi a trattare un luogo comune al quale, con una certa ironia, darà forma di paradosso, lo scrittore giustifica anzitutto la scelta del tema, poi, più oltre, gli intenti, procedimenti e limiti dei “saggi del giudizio” (p. 537) di cui è costituita la sua opera. Questo preambolo è modificato e prolungato da un’importante aggiunta manoscritta, molte volte rimaneggiata (p. 539), che insiste sull’aspetto frammentario, incompiuto, talora indeciso e come aleatorio conferito di conseguenza al discorso, nel quale prendono forma le investigazioni senza limite del pirronismo. Una seconda aggiunta manoscritta raccorda questo tipo insolito di scrittura al progetto di conoscenza di sé, più ortodosso, ma osservando che attività banali o futili (e specialmente i giochi) possono crearne l’occasione; si ritorna così alla disinvoltura iniziale, e si prepara la battuta finale. Composta in tal modo per riflessioni sovrapposte, e situata forse intenzionalmente in posizione simmetrica a I, VIII, questa breve meditazione riassume le caratteristiche essenziali della filosofia del saggio e delle sue modalità di espressione.

CAPITOLO LI

1 Plutarco, Apophthegmata Laconica, 208c (Agesilao).

2 Si tratta di un omonimo dello storico, figlio di Milesio, capo del partito aristocratico ad Atene. Plutarco, Vita di Pericle, XIV, o piuttosto Id., Præcepta gerendæ reipublicæ, V, 802c (i paragrafi da IV a VIII trattano dell’eloquenza politica).

3 Platone, Gorgia, 463b, 465c.

4 Le regole della loro arte di persuadere – esposte, tra gli altri, da Quintiliano, che sostenne che la retorica è al servizio della verità – ne forniscono la prova.

5 Quintiliano, Institutio oratoria, II, 16, 4.

6 Tito Livio, X, 22.

7 Giovenale, V, 123-124.

8 Terenzio, Adelphœ, 425, dove lo schiavo Sirio fa la parodia dei precetti paterni di Demea presentandoli sotto forma di consigli di cucina.

9 Plutarco, Vita di Paolo Emilio, XLVII.

10 Palazzo meraviglioso descritto nell’Amadigi.

11 Si usava, per esempio, chiamare senatores i magistrati del Parlement (tribunale) di Parigi.

Postilla. Inizialmente conforme alla topica contro le astuzie dei retori, ereditata sia da Socrate sia dagli stoici, il discorso perde di gravità quando rivela l’occasione che l’ha originato: una parodia involontaria dello stile elevato e delle classificazioni didattiche da parte di un maggiordomo (p. 547). Quindi, sempre su un registro umoristico, viene affrontato il problema più inquietante delle imposture inerenti alle parole, e per finire dell’inganno dei titoli onorifici attribuiti a scrittori e principi; il capitolo si colloca pertanto all’incrocio tra satira dell’ambizione oratoria (I, XXXIX, XL e XLI) e denuncia delle menzogne sociali (I, XLII e XLVI).

CAPITOLO LII

1 Valerio Massimo, IV, 4, 6.

2 Plutarco, Vita di Catone il Censore, XII, XIII e X.

3 Valerio Massimo, IV, 3, 13.

4 Plutarco, Vita di Tiberio e Caio Gracco, XVIII, dove viene precisato che, su istigazione dei nemici di Tiberio Gracco, il Senato aveva stabilito questa indennità irrisoria per umiliarlo.

Postilla. Nota erudita, tutta sul contrasto tra il prestigio dei personaggi evocati e la modestia delle loro risorse, presentata come volontaria dal titolo del capitolo e dalla discreta alterazione dell’ultimo esempio.

CAPITOLO LIII

1 Lucrezio, III, 1082-1084.

2 Ibid., VI, 9-19, dove il soggetto è Epicuro. Montaigne sopprime i versi 11 e 15, senza alterazione di significato.

3 De bello civili, II, 4, 4. (Nelle edizioni del 1580, 1582 e 1588 la frase latina è seguita dalla traduzione). Frase sottolineata da Montaigne nella sua copia delle opere di Cesare.

Postilla. Simmetrico a I, IV e al preambolo aggiunto nel 1588 a I, III, questo breve commento collega alle sentenze ereditate dagli antichi (il detto di Cesare indicato dal titolo e, dopo il 1588, le citazioni di Lucrezio) alcune annotazioni percepite come ricorrenti a distanza nei Saggi.

CAPITOLO LIV

1 Si tratta di calligrammi realizzati dai poeti dell’età alessandrina.

2 Questo personaggio di nome Senocrate, di cui parla Plutarco nelle Quæstiones conviviales (VIII, 9, 3, 733a), asseriva che tale numero ammontava a cento milioni e duecentomila.

3 Pseudo-Plutarco, Placita philosophorum, IV, 10.

4 Si tratta non di Sancio, ma di García III, dodicesimo re di Navarra.

5 Lo Pseudo-Aristotele, Problemi, L, dove questa proprietà è attribuita allo stagno.

6 Coloro che, avendo abiurato il protestantesimo, si trasformano in estremisti cattolici.

7 Cfr. I, XXXI, pp. 387-389.

Postilla. Il testo è fin dall’inizio riflessivo, e il titolo stesso testimonia della sua inanità di raccolta di astuzie inutili, vestigia di un gioco di società (p. 555 e cfr. l’inizio di III, IX). Segue un repertorio di coincidenze degli opposti, tema di paradosso abbastanza banale nel XVI secolo. Ma fin dalla prima versione si modifica verso la fine, quando si tratta dei Saggi, per indicare come zona indecisa quella regione mediana che Montaigne assegna al suo libro. Questo luogo mediano costituisce anche l’oggetto dell’ultima aggiunta manoscritta, che lo discredita. Di conseguenza, cessa di esser percepito come negli elogi tradizionali della mediocritas, del “giusto mezzo” ecc., e diventa punto critico, incerto e problematico: enigma più inquietante di quelli relativi agli estremi.

CAPITOLO LV

1 Plutarco, Vita di Alessandro, VI, dove sono portati a esempio Aristossene e Teofrasto.

2 Mostellaria, 273.

3 Marziale, VI, 55, 4-5.

4 Ibid., II, 12, 4.

5 Orazio, Epodi, XII, 4-6.

6 Cfr. Erodoto, IV, 75. Montaigne aggiunge il particolare: quando si accostano agli uomini.

7 Diogene Laerzio, II, 25.

8 Paolo Giovio, Historiæ sui temporis, XLIV.

Postilla. Testo stratificato. Nella sua prima redazione è solo una parafrasi delle tre citazioni satiriche. Arricchito dalla lunga aggiunta del 1588, manifesta una viva attenzione per l’esperienza sensibile (tanto più notevole in quanto nella gerarchia dei sensi immaginata nel Rinascimento, l’odorato, ritenuto troppo carnale, era svalutato), esaminata gradualmente a partire dai suoi aspetti fisiologici fino alla sua influenza sulla contemplazione religiosa (incenso). Le aggiunte manoscritte apportano qualche tocco di sensualità (unguento delle donne scite, cucina ricca di profumi).

CAPITOLO LVI

1 Senza un piano e senza conclusioni, cfr. I, L, p. 539 e note.

2 Matteo, 6, 9-13 e Luca, 11, 2-4.

3 Leggi, X, 885d.

4 È una delle proposizioni che i censori del Santo Uffizio hanno giudicato erronee (Journal de voyage, 20 marzo 1581). Le altre censure riguardavano l’uso, frequente nei Saggi, del termine fortuna (in luogo di provvidenza; Montaigne giustificherà quest’uso in un’addizione del 1588, infra); l’elogio dei poeti Théodore de Bèze e George Buchanan (I, XXV e II, XVII; Montaigne protesterà contro questa critica, cfr. III, X); il panegirico di Giuliano l’Apostata (II, XIX); la condanna di ciò che va al di là della semplice morte (cioè la tortura, II, XI e XXVII); l’utilità per i giovani di fare ogni sorta d’esperienze (I, XXVI). Dunque Montaigne non farà alcuna correzione, confermando anzi le proprie opinioni, e limitandosi ad aggiungere, all’inizio di questo capitolo, una dichiarazione di sottomissione alla Chiesa.

5 Giovenale, VIII, 144-145.

6 Erasmo raccomanda il segno della croce quando si sbadiglia (De pueris instituendis).

7 Per quelli citati per primi, cioè i volubili, che è più difficile accusare di “ostinazione” dato che cambiano continuamente.

8 La Riforma. I rischi che essa comportava avrebbero tentato Montaigne piuttosto che dissuaderlo.

9 Il canto in comune dei Salmi era una delle pratiche religiose proprie dei protestanti.

10 Esortazione pronunciata dal sacerdote all’inizio (preambolo) del rito della consacrazione.

11 Montaigne oppone (non è più lo stesso) la predicazione orale del Vangelo, incentrata su parti del testo le cui interpretazioni, benché variabili da un predicatore all’altro, non lasciano tracce, alla pubblicazione di traduzioni integrali, in cui le scelte dell’esegeta rimangono definitivamente iscritte.

12 Niceta, citato da Giusto Lipsio, Adversus dialogistam, liber de una religione, III.

13 Sisinnio.

14 Esempio tratto da Giusto Lipsio, Adversus dialogistam, rivolto contro un controversista calvinista che rivendicava la diffusione e il libero esame dei testi sacri.

15 Leggi, I, 634c.

16 Socotra, nell’Oceano Indiano. Cfr. Osorio, Histoire de Portugal, V, 6.

17 Plutarco, Amatorius, XII, 756b, cita questo verso tacciato di empietà dagli Ateniesi e ritrattato da Euripide. Montaigne trascrive la traduzione di Amyot.

18 Omelia sulla prima Epistola ai Corinzi, VII, 3 in fine, in Migne, Patrologia Græca, Opere di san Giovanni Crisostomo.

19 Sant’Agostino, Civitas Dei, X, 29, che si riferisce all’espressione tre dèi applicata dai plotiniani alla Trinità.

20 Il frequente uso della parola fortuna nei Saggi era stato censurato dal Maestro del Sacro Palazzo (cfr. supra, nota 4). Montaigne, pur dicendosi d’accordo su alcune di queste censure nel passo del Journal dove riferisce l’episodio, quando pubblicò i Saggi non cambiò uno iota di quello che aveva scritto, e in questa frase, aggiunta nell’edizione del 1588, rivela chiaramente di averlo fatto di proposito.

21 In altri termini, si tratta di considerazioni che non si collegano a un corpus dottrinale e di conseguenza non fanno appello (come invece le summæ teologiche) alla Rivelazione che le renderebbe incontestabili.

22 Presentano i loro esercizi come saggi delle loro capacità, per servire da materia alla loro istruzione, non per istruire il precettore.

23 I protestanti.

24 Persio, II, 4.

25 Ibid., II, 21-23. Staio, giudice integro, non può che indignarsi della preghiera di colui a cui si riferisce il poeta: un tutore che chiede agli dèi la morte del suo pupillo per impossessarsi della sua eredità.

26 Margherita di Navarra, Heptameron, novella XXV. L’allusione è a Francesco I (fratello di Margherita) che prima del matrimonio ebbe una relazione con Jeanne Le Coq, moglie di un noto avvocato.

27 Lucano, V, 104, che reca Haud illic […] concipiunt (In questo luogo [Delfi] non si sussurrano voti criminali).

28 Persio, II, 6-7.

29 Orazio, Epistole, I, 16, 59-62. Laverna è la dea protettrice dei ladri.

30 Leggi, IV, 716e.

31 Orazio, Odi, III, 23, 17-20.

Postilla. Nella sua prima versione il capitolo ha come punto di partenza un’osservazione sul Padre nostro, preghiera prescritta e dettata da Cristo nel Vangelo, che definisce l’unico modello di linguaggio sacro ammissibile in materia religiosa. Da questo carattere della parola di invocazione procede la condanna delle preghiere in malafede, considerate sacrileghe, poi la critica di alcune caratteristiche della pastorale protestante: l’uso dei Salmi nel corso delle occupazioni quotidiane, la traduzione e divulgazione dei testi scritturali, il diritto di esame riconosciuto a tutti i fedeli. Ne consegue anche una netta separazione tra le investigazioni filosofiche e la dottrina divina: il rispetto manifestato nei confronti di quest’ultima la pone a un livello superiore, inaccessibile al discorso profano, e lascia il campo libero alle prime, nel loro ambito specifico in cui Montaigne rivendicherà modestamente nel 1588, contro i censori del Sant’Uffizio incontrati a Roma, il diritto di servirsi di termini e nozioni considerati incompatibili con l’ortodossia cristiana (p. 575). Fin dal 1582 viene aggiunta, come preambolo (pp. 563-565), una dichiarazione di obbedienza senza riserve. Ma non per questo le idee censurate nel 1581 sono ritrattate, vengono semplicemente presentate a titolo di opinioni personali; e dopo il 1588 Montaigne aggiunge a margine (p. 575) una formulazione molto precisa della divisione del suo pensiero tra il dogma cui si sottomette e le fantasie umane della sua avventura intellettuale.

CAPITOLO LVII

1 Cfr. Plutarco, Vita di Catone Uticense, LXXXVII, dove Catone rimprovera ai suoi soltanto di voler mantenere in vita a forza un uomo della sua età.

2 Svetonio, II, 32.

3 Aulo Gellio, X, 28.

4 Lucrezio, III, 451-453.

Postilla. La prima pagina potrebbe apparire come un’eco della meditazione di I, XX, sulla morte; ma il seguito prende in considerazione soprattutto i periodi dell’esistenza, in relazione alle attività che le leggi romane assegnavano loro. Si apre così la prospettiva più concreta e forse più inquietante del declino (e non della brevità) della vita (cfr. II, XXXVII, così come III, II e XIII).

Libro II

CAPITOLO I

1 Plutarco, Vita di C. Mario, LXXXIX.

2 Bouchet, Annales d’Aquitaine, IV, 2, f. 79.

3 Seneca, De clementia, I, I, 2.

4 Sentenza di Publilio Siro citata da Aulo Gellio, XVII, 14 e Macrobio, II, 7, e reinterpretata da Montaigne. Il consiglio pratico di adattarsi alle circostanze diventa una costatazione di incostanza.

5 Seneca, Epistole, 20.

6 Orazione funebre dei soldati morti a Cheronea, 17.

7 Orazio, Epistole, I, 1, 98-99.

8 Id., Satire, II, VII, 82. Duceris (seconda persona): risposta dello schiavo di Orazio, che costata che anche il suo padrone è schiavo (delle sue passioni).

9 Lucrezio, III, 1057-1059.

10 Versi dell’Odissea, XVIII, 136-137, tradotti da Cicerone e citati da sant’Agostino, Civitas Dei, V, 8.

11 Diogene Laerzio, VIII, 63.

12 Lucrezia, matrona romana suicidatasi dopo esser stata violentata, rappresenta la virtù per antonomasia. Per il racconto che segue, cfr. Margherita di Navarra, Heptameron, novella XX.

13 Plutarco, Vita di Pelopida, I.

14 Orazio, Epistole, II, 2, 36.

15 Ibid., 2, 39-40.

16 Calcondila, VIII, 13.

17 Ipotesi manichea combattuta da sant’Agostino nel trattato De duobus animabus e nel De Hæresibus, 46.

18 Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 27, così come le considerazioni che precedono.

19 Id., De officiis, I, 21, contro quanti rifiutano le magistrature con il pretesto che disprezzano il guadagno e la gloria, in realtà perché temono le responsabilità.

20 Id., Paradoxa, V, I.

21 Si tratta del famoso capitano inglese John Talbot, morto nel 1453 nella battaglia di Castillon, non lontano dal castello di Montaigne, e che Montaigne chiama nostro per le imprese da lui compiute in Guascogna.

22 Seneca, Epistole, 71.

23 Cicerone, De senectute, VII.

24 Erodoto, V, 29.

25 Seneca, Epistole, 120.

26 Tibullo, II, I, 75, che reca Hoc duce (guidata da Cupido).

Postilla. Il tema dell’incostanza nei comportamenti è considerato sotto due aspetti, uno etico, l’altro gnoseologico: le tradizionali riprovazioni si alternano pertanto con il problema ermeneutico – come comprendere e analizzare quest’uomo inafferrabile? –, che finisce per prevalere, cosicché vi si può riconoscere una preoccupazione costante legata all’impresa dei Saggi, soprattutto dal momento che un’aggiunta del 1588 ha ricondotto il discorso sullo scrittore stesso (p. 595. Si veda anche II, VI, p. 671, III, II, p. 1487 e III, XI, p. 1915).

CAPITOLO II

1 Secondo gli stoici, il grado di gravità dei vizi è ininfluente, essendo la loro natura in sé malvagia, cfr. Diogene Laerzio, VII, 120 e 127. Questa teoria fu vivacemente combattuta, tra gli altri, da Plutarco, De Stoicorum repugnantiis, XIII, 1038c.

2 Orazio, Satire, I, 1, 107.

3 Ibid., 3, 115-117.

4 Platone, Carmide, 174b.

5 I Tedeschi.

6 Lucrezio, III, 475.

7 Orazio, Odi, III, 21, 14-16.

8 Flavio Giuseppe, Autobiografia, 44.

9 Seneca, Epistole, 83, così come gli esempi che seguono (Cosso, Cimbro).

10 Virgilio, Egloghe, VI, 15, che reca hodierno inflatum (gonfio di vino bevuto la vigilia).

11 Giovenale, XV, 47, che scrive invece et facilis victoria (è facile anche vincerli).

12 Diodoro Siculo, XVI, 93.

13 Massimiano, Elegie, I, 47-48.

14 Orazio, Odi, III, 21, 11-12.

15 Plutarco, Vita di Artaserse, VI.

16 Jacques Dubois, detto Sylvius, matematico e lettore di medicina al Collège Royal.

17 Erodoto, I, 133; Plutarco, Quæstiones convivales, VII, 9, 714ac.

18 El Relox de principes o Libro Aureo del Emperador Marco Aurelio, di Antonio Guevara, pubblicato nel 1529, tradotto in francese e più volte ristampato nel XVI secolo.

19 Sulla castità nel suo tempo.

20 Cioè in Italia.

21 Diogene Laerzio, I, 104.

22 Leggi, II, 666ac.

23 Diogene Laerzio, II, 120 (e, per Arcesilao, IV, 44).

24 Orazio, Odi, III, 28, 4, dove la frase, all’imperativo, è in realtà un’esortazione a trasgredire i precetti della saggezza, servendo del vino.

25 Leggenda tratta dalla Vita Lucretii di Crinito.

26 Lucrezio, III, 154-157.

27 Terenzio, Heautontimorumenos, 77.

28 Virgilio, Eneide, VI, 1, dove Enea piange la morte del nocchiero Palinuro.

29 Vita di Publicola, IX.

30 Quella degli stoici.

31 Quella degli epicurei.

32 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 9.

33 Diogene Laerzio, IX, 58.

34 Allusione al martirio di san Lorenzo.

35 Flavio Giuseppe, Storia dei Maccabei, IX-XII. Montaigne condensa il testo.

36 Questa frase è riportata da diversi autori, in particolare da Diogene Laerzio, VI, 3 (nella forma ottativa Mανεην µλλον σθεην).

37 Virgilio, Eneide, IV, 158: auspicio espresso da Ascanio alla caccia, citato da Seneca, Epistole, 64, per illustrare le sfide dello stoico Sestio.

38 Fedro, 245a.

39 Problemata, XXX, 1.

40 Timeo, 71e.

Postilla. Dopo una valutazione tradizionale della perniciosità dell’ubriachezza (intrisa di una certa indulgenza sul piano morale, complicata da riprovazione nel quadro di un’etica della lucidità), il discorso si riorienta bruscamente (p. 613) verso una meditazione sulla vulnerabilità dell’anima (cfr. II, XII, pp. 1007-1011); poi, imprevedibilmente, viene abbozzato un elogio dei deliri ispirati (fonti il Fedro, lo Ione e il trentesimo dei Problemi attribuiti ad Aristotele, che tratta della malinconia e delle estasi, ma si veda a II, XII, p. 1045, la replica all’entusiasmo dei discepoli di Ficino). L’ultima frase del testo del 1580 riduce la portata di questo slancio.

CAPITOLO III

1 Plutarco, Apophthegmata Laconica, 219e (Damida, leggi Daminda).

2 Ibid., 216c.

3 Ibid., 234bc.

4 Ibid., 235b.

5 Ibid., 235ab, rimaneggiato da Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 14.

6 Seneca, Epistole, 70, che fornisce anche, con l’Epistola 69, le sentenze successive, fino a eccoci guariti del tutto.

7 Tacito, Annali, XIII, 56 (leggi Boiocalo).

8 Seneca, Phœnissæ, 151-153.

9 Plinio, XXV, 7.

10 Secondo Cicerone, De finibus, III, 18.

11 Diogene Laerzio, II, 94 e IV, 3.

12 Tra gli altri, Platone, Fedone, 62b, e Cicerone, De republica, VI, 15 (il sogno di Scipione), ripresi da sant’Agostino, Civitas Dei, I, 22 (e 24, dove l’esempio di Regolo è contrapposto a quello di Catone, cfr. infra).

13 Virgilio, Eneide, VI, 434, che colloca i suicidi vicino al limbo, non in un luogo di pena.

14 Orazio, Odi, IV, 4, 57-60.

15 Seneca, Phœnissæ, 190-192.

16 Marziale, XI, 56, 15-16, che reca in angustiis […] fortiter, con significato equivalente.

17 Orazio, Odi, III, 3, 7-8.

18 Marziale, II, 80, 2.

19 Lucano, VII, 104-107.

20 Lucrezio, III, 79-82.

21 Platone, Leggi, IX, 873cd.

22 Lucrezio, III, 861-863.

23 È questa l’espressione che usavano gli stoici; Diogene Laerzio, VII, 130.

24 Plutarco, Mulierum virtutes, XI, 249bc.

25 Id., Vita di Agide e di Cleomene, LXIII-LXIV.

26 Versi citati da Giusto Lipsio, Saturnales, II, 22.

27 Citata e confutata da Seneca, Epistole, 70.

28 Flavio Giuseppe, Autobiografia, 28.

29 Seneca, Epistole, 13.

30 Virgilio, Eneide, XI, 425-427.

31 Plinio, XXV, 7.

32 Epistole, 58 (in fine).

33 Tito Livio, XXXVII, 46.

34 Ibid., XLV, 26.

35 Vicino a Malta.

36 Cfr. Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XII, V, 4, dove non si tratta esplicitamente di suicidi.

37 Seneca, Epistole, 70, dove l’argomento di Scribonia, presentato come un’obiezione al suicidio, che equivarrebbe a ricoprire il ruolo del boia, è respinto da Libone, ma poi reinterpretato in senso contrario da Seneca.

38 Maccabei 2, 14, 37-46.

39 Lodate da sant’Ambrogio, De virginibus, III, VII, 33, che Vives cita nel suo commento della Civitas Dei (I, 25-26) di sant’Agostino.

40 Per esempio quella di Eusebio di Cesarea, VIII, 15.

41 Estienne, Apologie pour Hérodote, XV, t. I, pp. 257-261, che cita a sua volta un “dotto personaggio”, Théodore de Bèze, per il suo epigramma su Lucrezio.

42 I suicidi delle donne violentate.

43 Quello del dotto autore citato supra; tutto il brano è ironico.

44 Allusione al noto epigramma di Marot, De ouy et nenny.

45 Nell’ordine, L. Arunzio, Granio Silvano: Tacito, Annali, VI, 48 e XV, 71; Spargabise, Boge: Erodoto, I, 213 e VII, 107; Ninachetuen: Osorio, De rebus Emmanuelis regis gestis, IX, t. 2, p. 140; Sestilia, Passea, Cocceio Nerva: Tacito, Annali, VI, 29 e 26; Fulvio: Plutarco, De garrulitate, XI, 508ab.

46 Tito Livio, XXVI, 13-14.

47 Ibid., 15.

48 Quinto Curzio Rufo, IX, 4, 6-7.

49 Tito Livio, XXVIII, 22-23.

50 Ibid., XXXI, 18.

51 Tacito, Annali, VI, 29.

52 Epistola ai Filippesi, I, 23; Epistola ai Romani, VII, 24.

53 Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 34, dove è citato un epigramma che deride questo gesto.

54 Joinville, Histoire de Saint Louis, LXXVII, p. 293.

55 Regioni orientali le cui relazioni con gli europei erano percepite come recenti. Mendoza, probabile fonte, colloca queste autoimmolazioni vicino a Ceylon.

56 Valerio Massimo, II, 6, 7.

57 Ibid., 6, 8.

58 Plinio, IV, 12.

Postilla. Destinato a indagare e discutere, senza risolvere (p. 619), sulla morte volontaria, punto di divergenza tra saggezza pagana e ortodossia cristiana, il discorso espone anzitutto gli argomenti tradizionali pro e contro il suicidio, poi devia sul problema della sua opportunità (p. 627), che ne presuppone la legittimità, e lo tratta attraverso una serie di esempi di cui l’ultimo, privilegiato dal titolo del capitolo, è del tutto diverso dai gesti tradizionali di disperazione o di eroismo: al termine di una vita felice, una lezione di serenità di fronte alla morte, ratificata dalla collettività che gli conferisce lo statuto di usanza. Le aggiunte del 1588 e quelle manoscritte fanno tuttavia prevalere i casi in cui il suicidio è una risposta alla violenza della Storia, o a una sofferenza eccessiva.

CAPITOLO IV

1 A Roma, nel marzo del 1581, alla tavola dell’ambasciatore francese, Montaigne ebbe occasione di difendere la traduzione di Plutarco di Jacques Amyot con parole, a quanto si legge nel Journal, non molto diverse da queste.

2 De curiositate, XV, 522e.

3 G. e M. du Bellay, Mémoires, IX (febbraio 1543), Bourrilly, t. IV, pp. 114-117 / 1569, f. 299.

4 Plutarco, Vita di Giulio Cesare, LXXXII.

5 Id., De genio Socratis, XXX, 596f.

6 Id., Quæstiones convivales, I, 3, 619ef.

Postilla. Il proverbio preso come titolo pone una questione di saggezza pratica, su cui Plutarco è colto in fallo; questo tema offre lo spunto per riconoscere ancora una volta il ruolo del caso negli eventi (cfr. l’epilogo di I, XXIII, p. 219: Tuttavia la sorte). Incidentalmente, nel preambolo, l’elogio della traduzione di Jacques Amyot delle Vite parallele e soprattutto dei Moralia di Plutarco, pubblicati nel 1572, è rivelatore della preponderanza di questi scritti nella documentazione storica e filosofica del libro II.

CAPITOLO V

1 Giovenale, XIII, 195.

2 Plutarco, De sera numinis vindicta, VIII, 553e, dove si cita il detto di Esiodo, Le opere e i giorni, v. 265, riportato dopo questo esempio.

3 Verso di Publilio Siro citato da Aulo Gellio, IV, 5, con un aneddoto in cui un aruspice è punito per aver dato un cattivo consiglio; qui tuttavia traduce il verso di Esiodo citato supra, dove si tratta di cattive intenzioni.

4 Virgilio, Georgiche, IV, 238.

5 Lucrezio, V, 1158-1160. Gli editori moderni sostituiscono procraxe, al secondo verso, con protraxe (= protraxisse, si sono traditi).

6 Plutarco, De sera numinis vindicta, X, 554f.

7 Citato da Seneca, Epistole, 97 (cfr. Diogene Laerzio, X, 151). In queste fonti si tratta solo del timore di un’imputazione tardiva; Montaigne aggiunge l’intervento della coscienza, nel foro interiore.

8 Giovenale, XIII, 2-3.

9 Ovidio, Fasti, I, 485-486: parole rivolte a un innocente, Evandro, perseguitato dagli dèi.

10 Detti di Scipione l’Africano riferiti da Plutarco, De laude ipsius, IV, 540f, e Regum et imperatorum apophthegmata, 196f-197a; Valerio Massimo, III, 7, 1; Aulo Gellio, IV, 18.

11 Tito Livio, XXXVIII, 52.

12 Publilio Siro, citato da Vives nel suo commento (fortemente critico su questo punto) a sant’Agostino, Civitas Dei, XIX, 6.

13 Quinto Curzio Rufo, VI, 11.

14 Da Froissart, su Bajazet I (IV, 87), citata come esempio di giustizia rigorosa da Estienne, Apologie pour Hérodote, XVII, t. I, pp. 348-350.

Postilla. Nella prima versione del capitolo, le consuete considerazioni sulla cattiva coscienza conducono a una parvenza di giustificazione dell’uso della tortura (gêne) nell’istruzione dei processi criminali, sistematizzato a partire dal 1539, nella convinzione che il colpevole ceda e l’innocente resista, a causa della forza della coscienza che indebolirebbe l’uno e sosterrebbe l’altro; e le riserve non impediscono di ammettere in conclusione (Ma tant’è, che…, p. 655) questo tipo di interrogatorio come un minor male. Nel 1588, un rimaneggiamento della punteggiatura ribalta il senso, accreditando le riserve come una verità che si impone (A dire il vero…, p. 653), con argomenti supplementari a sostegno; la scusa finale, tuttavia, resta intatta. Le aggiunte manoscritte completano la critica: inserendo un si dice (p. 655, l’indefinito rimanda a sant’Agostino, già criticato da Vives su questo punto), Montaigne da parte sua rigetta l’argomento del minor male e il suo giudizio condanna definitivamente, ricorrendo ad apostrofi ed esempi, l’uso della tortura negli interrogatori, senza che ormai siano presi in considerazione gli ipotetici effetti della coscienza, che pur costituivano l’oggetto primo del capitolo. Si ha qui un esempio particolarmente evidente dei rimodellamenti subiti dal testo da una versione all’altra.

CAPITOLO VI

1 Lucrezio, III, 929-930.

2 Seneca, De tranquillitate animi, XIV.

3 Lucano, VIII, 636.

4 Durante la terza (1568-1570) o la seconda (1567-1568) guerra di religione; il racconto, posteriore di quattro anni all’avvenimento, è dunque stato redatto tra il 1571 e il 1574.

5 In italiano nel testo. Tasso, Gerusalemme liberata, XII, 74.

6 Ibid., VIII, 26.

7 Lucrezio, III, 487-491.

8 Ovidio, Tristia, I, 3, 12, dove il poeta descrive il suo sconforto al momento della partenza per l’esilio.

9 Virgilio, Eneide, IV, 702-703: Iris, messaggera degli dèi, si rivolge a Didone morente.

10 Ibid., X, 396: si tratta del movimento di una mano recisa.

11 Lucrezio, III, 642 e 644-646.

12 Ovidio, Tristia, I, 3, 14.

13 Cfr. Plinio, XXII, 51, experimentum in se cuique (ciascuno può farne l’esperienza), osservazione incidentale, che Montaigne formula come una massima.

14 Montaigne parla di opere scomparse (forse quelle di Lucilio, Scauro e Rutilio menzionati all’inizio di II, XVII, p. 1171, o anche di Archiloco e di Alceo) e non sembra riferirsi alle Confessioni di sant’Agostino. Ma si veda infra (i santi, che udiamo parlare così altamente di sé).

15 Orazio, Ars poetica, 31.

16 I protestanti.

17 Oratore contemporaneo e rivale di Cicerone.

18 Il corpo disseccato (skeletos, in greco) esibisce gli organi interni diventando interamente visibile; quand’era vivo, manifestava parzialmente i suoi affetti, mediante “effetti” esteriori (tosse, pallore e altri sintomi).

19 Etica a Nicomaco, IV, 9 (1125a).

Postilla. Molto diverso dalle “preparazioni alla morte” tese verso i fini ultimi, questo documento di esercitazione tenta di lasciar intravedere il fenomeno del torpore letale, giustapponendo alla descrizione intima di uno stato di choc, poi del suo progressivo dissiparsi, alcune testimonianze di terzi su questa letargia (dicono…, p. 667) e delle riflessioni sulle eclissi della coscienza, a proposito dei gesti convulsi degli agonizzanti. Si scopre così, senza angoscia, la precarietà del pensiero, della sua continuità e delle sue manifestazioni, quale indizio della radicale contingenza del soggetto pensante. La lunga aggiunta manoscritta che prolunga il capitolo evidenzia la novità di questo approccio ad un tempo incerto e preciso delle zone oscure del vissuto, pur affermando l’interesse e la legittimità dell’impresa.

CAPITOLO VII

1 Svetonio, II, 25.

2 L’Ordine di San Michele era stato istituito da Luigi XI nel 1469, e mantenne il suo valore fino al regno di Enrico II. Ma già al tempo di Carlo IX e di Enrico III numerosi abusi ne avevano diminuito l’importanza.

3 Marziale, XII, 80, 2.

4 Tito Livio, XXV, 19.

5 L’Ordine del Santo Spirito, istituito da Enrico III nel 1578.

6 Si è cercato qui di rendere il senso della frase francese. Montaigne dice infatti che il termine di vaillance (valor militare) deriva da valeur.

7 Montaigne collega la parola latina virtus (virtù) al termine vis, viris (forza).

Postilla. Escludendo con una doppia preterizione la prospettiva filosofica prevedibile (ce n’è un’altra […] filosofica, p. 679 e poiché Plutarco…, p. 681), il testo si limita a considerazioni socio-politiche, e tende così a spogliare del loro prestigio quasi religioso le distinzioni proprie della nobiltà, senza contestarne l’utilità. Un tocco di ironia, nell’ultima frase, potrebbe autorizzare un raffronto con II, XVI, dove la critica viene esercitata senza ambagi.

CAPITOLO VIII

1 In tutte le edizioni pubblicate Montaigne vivente, solo il titolo di questo capitolo è stampato in lettere maiuscole; idem nel 1595 e 1598. La persona cui viene dedicato il capitolo, Louise d’Estissac de la Béraudière, vedova del barone d’Estissac dal 1565, aveva saputo affrontare innumerevoli ostacoli per preservare gli interessi del figlio Charles, che aveva due anni alla morte del padre.

2 Etica a Nicomaco, IX, 7 (1167b), e i paragrafi 3-7 per le spiegazioni, riassunte nel seguito del capoverso.

3 Ibid., IV, I, 36 (1121b) e la spiegazione al paragrafo 38: l’avarizia è determinata dal timore del futuro, a sua volta legato alla consapevolezza della debolezza.

4 Terenzio, Adelphœ, 65-67.

5 Tito Livio, XXVIII, 28.

6 Politica, VII, 16 (1335a) (dove in realtà Aristotele propone trentasette anni).

7 Repubblica, V, 460e-461a.

8 Diogene Laerzio, I, 26.

9 Cfr. Cesare, De bello gallico, VI, 21, dove si tratta dei Germani.

10 In italiano nel testo. Tasso, Gerusalemme liberata, X, 39.

11 Platone, Leggi, VIII, 840a.

12 López de Gómara, Histoire générale des Indes occidentales, II, 12, f. 63r.

13 Orazio, Epistole, I, 1, 8-9.

14 Terenzio, Adelphœ, 548.

15 Proverbio oggetto del biasimo di Seneca, Epistole, 47.

16 Nel Journal Montaigne racconta di aver incontrato in Italia, prima a Bologna, nel novembre 1580, poi a Roma, nel marzo 1581, il nipote di Monluc, figlio appunto del capitano Pérot morto a Madera nel 1566.

17 De bello gallico, VI, 18.

18 Leggi, XI, 922d-923.

19 La legge detta salica, che esclude le donne dalla successione dinastica, non si trova formulata in alcuna raccolta giuridica antica. I giuristi del Rinascimento la facevano derivare dal diritto dei Franchi Salii, che vietavano alle loro donne il possesso di terre; ma la teoria era controversa, soprattutto dopo la morte del duca d’Alençon (1584) che lasciava Enrico di Navarra, principe protestante, unico erede maschio della corona.

20 Erodoto, IV, 180, dove si cita la somiglianza, non la tendenza naturale.

21 Fedro, 258c.

22 Autore delle Etiopiche, o gli Amori di Teagene e Carichia, storia di amore e avventura, designata qui come figlia dell’ecclesiastico. La scelta imposta a Eliodoro è ricordata da Niceforo Callisto (Historia Ecclesiastica, XII, 34) in un capitolo sulle diverse usanze liturgiche della Cristianità.

23 Seneca il retore, Controversiæ, X, proemio, e ibid. anche Cassio Severo citato infra.

24 Tacito, Annali, IV, 34-35.

25 Ibid., XV, 70. Secondo Tacito, i versi recitati da Lucano descrivevano l’agonia di un soldato dissanguato.

26 Diogene Laerzio, X, 22; testo citato in II, XVI, p. 1147.

27 Sant’Agostino ebbe effettivamente dei figli, come risulta dalle Confessioni; sembra però probabile che Montaigne non abbia conosciuto quest’opera.

28 Cioè i Saggi.

29 Etica a Nicomaco, IX, 7 (1168a).

30 Diodoro Siculo, XV, 87, 6.

31 Ovidio, Metamorfosi, X, 283-284.

Postilla. Dedicato a una vedova preoccupata di proteggere i diritti del figlio minore, questo capitolo tratta non tanto dell’affetto istintivo per i figli piccoli (oggetto di forti riserve), quanto delle relazioni con i figli ormai quasi adulti. In risposta a caricature della tirannia patriarcale, per altro dichiarata illusoria, Montaigne tratteggia un ideale di fiducia reciproca e di generosità, reso concreto dalle risorse e dai diritti che il padre dovrebbe concedere molto presto ai figli, specialmente per quanto riguarda la gestione del patrimonio. Si coglie in filigrana, senza dichiarazione esplicita, un certo risentimento nei confronti della sfiducia probabilmente dimostrata da Pierre Eyquem de Montaigne, che aveva mantenuto uno stretto controllo dei beni familiari e, nel 1561, ne aveva lasciato l’usufrutto alla moglie ormai vedova, spossessando di conseguenza il figlio maggiore Michel (questi, riconfermato nei suoi diritti da un secondo testamento, nel 1567, aveva dovuto tuttavia fare i conti con la pretesa di sua madre di dettar legge su tutto). L’epilogo paradossale che fa prevalere la paternità letteraria contro la preoccupazione nobiliare della discendenza potrebbe essere, indirettamente, una testimonianza umoristica di questo disagio nelle relazioni familiari; costituisce tuttavia, per contrasto con il preambolo sulla sciocca impresa di scrivere i Saggi, una sorta di ratifica dell’opera.

CAPITOLO IX

1 Tito Livio, XXVII, 48.

2 Virgilio, Eneide, VII, 742.

3 Quinto Curzio Rufo, IV, 13.

4 Annali, III, 43.

5 Plutarco, Vita di Lucullo, LIII.

6 Ossia Scipione Emiliano. Id., Regum et imperatorum apophthegmata, 200ab e 201d.

7 In italiano nel testo. Ariosto, Orlando furioso, XII, 30.

8 Tusculanæ disputationes, II, 16.

9 Plutarco, Vita di Mario, XXII.

10 Id., Regum et imperatorum apophthegmata, 201c.

11 Cfr. Ammiano Marcellino, Rerum gestarum libri XXXI, XXIV, 4, 15.

12 Ibid., XXV, 1, 12.

13 Claudiano, In Rufinum, II, 358-362.

14 Vita di Demetrio, XXVI.

Postilla. Poiché le armi in questione erano difensive – armature pesanti o leggere, o rifiuto di portarle – si può riconoscere in queste considerazioni tecniche ed erudite il documento di una fantasticheria sulle varie immagini del guerriero, originariamente prolungata (con effetto di trompe-l’œil?) dalla menzione di un capitolo sullo stesso tema andato perduto.

CAPITOLO X

1 Properzio, IV, 1, 70, a proposito della sua impresa poetica, l’elogio di Roma.

2 Letti solo per piacere, in opposizione a quella lettura che unisce un po’ più di frutto al piacere (infra, p. 735).

3 Everaerts, dell’Aia, uno dei maggiori poeti neolatini del XVI secolo, celebre soprattutto per la raccolta Basia, di gusto catulliano. Per il fatto che tale opera è in latino, alcuni editori intendono la frase seguente s’il les faut loger sous ce titre, riferita ai soli Baci: “se si può comprendere questi sotto tale definizione di moderni”. La maggior parte interpretano invece, riferendo la frase a Boccaccio, a Rabelais e a Jean Second: “se si può comprendere queste tre opere sotto tale definizione di piacevoli”.

4 Amadis de Gaule, romanzo cavalleresco spagnolo adattato in francese da Herberay des Essarts a partire dal 1540, fu un successo letterario nel XVI secolo; Cervantes ne fa uno dei libri preferiti del suo Don Chisciotte, mentre Montaigne nell’edizione del 1588 inserisce appunto gli Amadigi verso la fine del cap. XXVI del libro I, nella frase in cui dichiara il suo disinteresse per i romanzi cavallereschi.

5 Questo dialogo era già considerato apocrifo da Henri Estienne nella sua traduzione di Platone del 1578.

6 Catullo, XLIII, 8.

7 Cicerone, che cita frequentemente Terenzio. Il primo giudice dei poeti romani (infra) si riferisce a Orazio, che non apprezzava affatto Plauto (Ars poetica, 271-272).

8 Orazio, Epistole, II, 2, 120, a proposito dello stile del poeta.

9 Marziale, nella prefazione del libro VIII degli Epigrammi.

10 Virgilio, Georgiche, IV, 194, a proposito del volo delle api quando il cielo è minaccioso.

11 La traduzione di Plutarco di Jacques Amyot, già citata in I, XLIX.

12 Seneca era originario della Spagna, Plutarco della Grecia; Seneca, come è noto, fu precettore di Nerone; Plutarco, secondo una tradizione peraltro sospetta, sarebbe stato precettore di Traiano e di Adriano.

13 Traduzione letterale della giustificazione che Cicerone avanzava per sollecitare gli storici del suo tempo (Epistulæ ad familiares, V, 12), atteggiamento messo in ridicolo da Montaigne (I, XL, p. 447).

14 Espressione atta ad attirare l’attenzione, usata spesso nel teatro comico. Sursum corda, nell’uffizio cattolico, invita i fedeli a elevare il cuore a Dio.

15 Plutarco e Seneca.

16 Plinio il vecchio.

17 Corrispondenza di Cicerone con il suo amico e cognato Attico, cavaliere romano amante della filosofia e della letteratura nonché ben informato sull’attualità della sua epoca.

18 Cfr. II, XXXI.

19 Aneddoto riferito da Seneca il retore, Suasoriæ, VII, 13.

20 Parole di Tacito, Dialogus de oratoribus, XVIII. Montaigne le traduce prima di citarle.

21 Cicerone, De senectute, X.

22 Cioè una dozzina di scrittori come Diogene Laerzio.

23 Senza avervi contribuito personalmente molto più di quanto dichiari nel suo racconto.

24 Jean Froissart (ca. 1337-1400), autore di Chroniques de France, già più volte citato.

25 La fonte è Svetonio, I, 56.

26 Nel libro IV del Methodus ad facilem historiarum cognitionem, cui si ispirano queste due pagine sui requisiti dello storico.

27 La sua Storia d’Italia era stata parzialmente tradotta in francese fin dal 1578.

28 Qualche difetto nel suo modo di valutare.

29 Gentiluomo al servizio di Carlo il Temerario, poi confidente di Luigi XI, di cui ricostruisce con precisione la politica nei suoi Mémoires.

30 Guillaume du Bellay, autore, con il fratello Martin, dei Mémoires, sui conflitti tra la Francia e l’Impero. Cfr. I, III, nota 16.

31 Il duca Anne I, che fu uno dei principali consiglieri di Francesco I ed Enrico II.

32 Philippe de Chabot, ammiraglio di Francia sotto Francesco I.

33 Anne de Pisseleu, duchessa d’Étampes, favorita di Francesco I; a partire dal 1526 esercitò effettivamente una notevole influenza sugli affari di Stato.

Postilla. Fin dall’inizio viene definito, più chiaramente che mai, l’intento riflessivo del saggio, in cui i libri, ricettacoli di tutto il sapere umanistico, sono oggetto di valutazioni che ne misureranno non tanto le qualità oggettive quanto le capacità del lettore-scrittore di comprenderli e giudicarli. In effetti, attraverso la disamina dei suoi autori prediletti, Montaigne evidenzia continuamente l’aspetto soggettivo dei suoi commenti; e soprattutto, nelle ultime pagine del capitolo, cita una dopo l’altra le osservazioni redatte un tempo sugli storici che aveva letto, mettendo così (ed esibendo) i suoi stessi giudizi a distanza critica, come documenti tanto su se stesso e per se stesso, quanto per il suo lettore.

CAPITOLO XI

1 Diogene Laerzio, IV, 43.

2 Cicerone, Epistulæ ad familiares, XV, 19.

3 Seneca, Epistole, 13.

4 Quella dei pitagorici. Cfr. Plutarco, De genio Socratis, XV, 585d.

5 Id., Vita di Mario, LII.

6 Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 30.

7 Cesare.

8 Orazio, Odi, I, 37, 29, dove si tratta del suicidio di Cleopatra.

9 Cfr. supra, I, XXXVII, pp. 415-417.

10 Cicerone, De Officiis, I, 31. La frase precedente, più direttamente di questa citazione, potrebbe costituire una replica a sant’Agostino, Civitas Dei, I, 23, che sostiene che Catone non doveva considerare il suicidio onorevole poiché aveva dissuaso il figlio dal commetterlo.

11 Platone, Fedone, 60b.

12 Diogene Laerzio, II, 76.

13 Virgilio, Eneide, XI, 154-155.

14 Orazio, Satire, I, 6, 65-67.

15 Id., Odi, II, 17, 17-20.

16 Diogene Laerzio, VI, 7.

17 Ibid., II, 67 e 77.

18 Ibid., X, 11.

19 Giovenale, VIII, 164.

20 Diogene Laerzio, VII, 125, opinione contestata da Plutarco, De Stoicorum repugnantiis, XXVII, 1046e.

21 Secondo Diogene Laerzio, V, 31.

22 Cicerone, Tusculanæ disputationes, IV, 37. Cfr. la discussione infra, III, XII, Della fisionomia.

23 Id., De Fato, V, dove viene evocato il caso di Socrate.

24 Id., De senectute, XII, discorso attribuito al pitagorico Archita di Taranto.

25 Lucrezio, IV, 1106-1107.

26 La diciottesima novella. Si vedano i commenti dei “conversatori” Ircano e Longarino.

27 Orazio, Epodi, II, 37, dove si tratta semplicemente dei piaceri della vita dei campi.

28 Svetonio, I, 74.

29 Cfr. supra, II, XXVII, p. 1293. È questa un’altra delle opinioni che furono rimproverate a Montaigne dal Maestro del Sacro Palazzo; cfr. la nota 4 a I, LVI.

30 I cristiani, preoccupati della salvezza dell’anima del condannato.

31 Nell’Esemplare di Bordeaux mancano qui alcune parole, tagliate al momento della rilegatura.

32 Luca, 12, 4.

33 Verso di Pacuvio, citato da Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 44.

34 Questo passo è un’aggiunta del 1582, posteriore naturalmente al viaggio di Montaigne in Italia. Il fatto è narrato nel Journal, alla data 11 gennaio 1581.

35 Plutarco, Regum et imperatorum apophthegmata, 173d.

36 Erodoto, II, 47.

37 Seneca, Epistole, 90, dove alla naturalezza dei primitivi viene contrapposta la perversità degli spettacoli di gladiatori.

38 Virgilio, Eneide, VII, 501-502.

39 Plutarco, Quæstiones convivales, VIII, 8, 729d.

40 Ovidio, Metamorfosi, XV, 106-107.

41 Raymond Sebond, nella Theologia naturalis (cap. LIX), esorta l’uomo ad amare le creature viventi, ma nella misura in cui queste lo servono, riconoscendo “la dignità che gli è propria al di sopra di loro”. Montaigne, rifiutando questa superbia, modifica lo schema e considera che esse sono, come l’uomo e insieme a lui, al servizio di Dio (cfr. infra, II, XII, p. 839).

42 Ovidio, Metamorfosi, XV, 158-159.

43 Claudiano, In Rufinum, II, 482-487.

44 Sono le parole di Pitagora in Ovidio, Metamorfosi, XV, 160-161.

45 Cicerone, De natura deorum, I, 36.

46 Giovenale, XV, 2-6.

47 Cfr. Quæstiones convivales, IV, 5, 670e, o De Iside et Osiride, LXXVI, 382ab.

48 Plinio, X, 26.

49 Plutarco, Vita di Catone il Censore, XI, da cui sono tratti i discorsi generali delle righe precedenti.

50 Diodoro Siculo, XIII, 82.

51 Vita di Catone il Censore, XI, così come i due esempi precedenti.

Postilla. Il preambolo invita a interrogarsi sulla somiglianza tra le inclinazioni alla bontà che procedono semplicemente da un’indole felice (p. 745), e il grado supremo della perfezione morale, incarnata dalla gioiosa disinvoltura di Socrate o di Catone nelle difficoltà, atteggiamento che si colloca al di qua e al di là della virtù propriamente detta, tutta tesa nello sforzo di una difficile padronanza di sé. Riconoscendo in se stesso solo il primo tipo di bontà, Montaigne tratteggia tuttavia, riguardo all’aspetto privilegiato dal titolo del capitolo, la trasformazione dal dato temperamentale in principio etico: la crudeltà gli ripugna a causa della sua sensibilità naturale, ma trae da questa ripugnanza istintiva, assunta per ragionamento, una condanna morale dei comportamenti sanguinari (p. 765), e il suo corollario, il rispetto della vita (pp. 771 e sgg.). Il testo presenta così la struttura di saggio (una reazione viscerale, oggettivata dalla scrittura, viene ratificata e assume valore di massima), e illustra un’etica della scelta spontanea che riduce la portata delle distinzioni iniziali tra i gradi di virtù. È possibile d’altra parte rinvenire nelle ultime pagine un’anticipazione del problema dello statuto degli animali, trattato in apparente digressione in II, XII (si veda infra).

CAPITOLO XII

1 Raymond Sebond (chiamato anche Sebon, Sebeyde, Sibiuda, de Sabonde o Sebonde) era un catalano, nato a Barcellona nella seconda metà del Trecento, e morto nell’aprile 1436 a Tolosa, dove professava la medicina e la teologia. La prima edizione che si conosca della sua opera Theologia naturalis, sive liber creaturarum è del 1487. La traduzione che ne fece Montaigne, intrapresa, come egli dice in questo capitolo, su preghiera del padre, fu pubblicata nel 1569 e riedita nel 1581.

2 Filosofo stoico eterodosso. Diogene Laerzio, VII, 165.

3 Umanista tolosano della prima metà del secolo, ciceroniano di fama, fu al castello di Montaigne tra il 1538 e il 1546. Ritornò all’ortodossia cattolica dopo qualche sviamento nell’ambito degli evangelici.

4 Lucrezio, V, 1140, a proposito della caduta del primitivo potere regale e dell’anarchia che avrebbe preceduto l’istituzione delle città e delle leggi.

5 In realtà la traduzione era finita e in corso di stampa al momento della morte di Pierre Eyquem. Tenuto conto delle dimensioni dell’opera e delle mansioni di consigliere che Montaigne doveva svolgere, si può far risalire l’inizio della traduzione almeno all’anno precedente.

6 Raymond Sebond compose la sua opera tra il 1434 e il 1436, anno della sua morte, ossia centoquarant’anni prima dell’epoca in cui Montaigne scrisse queste pagine.

7 Turnèbe, che Montaigne ha già citato in I, XXV, nota 26, considerandolo a ragione una delle figure maggiori dell’umanesimo di fine secolo, sembra avere in questo caso sopravvalutato l’influenza di san Tommaso d’Aquino, forse a causa dei modi argomentativi praticati da Sebond. Il contenuto dottrinale di quest’ultimo si ricollega piuttosto a sant’Agostino, sant’Anselmo, san Bonaventura, Ugo di san Vittore e Raimondo Lullo.

Saggi
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