CAPITOLO XXI
Della forza dell’immaginazione
[A] Fortis imaginatio generat casum,I 1 dicono i dotti. Io sono di quelli che sentono moltissimo la forza dell’immaginazione. Tutti ne sono colpiti, ma alcuni ne sono sconvolti. [C] Il suo stigma mi trafigge. E la mia astuzia è di sfuggirle, non di resisterle. Vorrei vivere solamente in compagnia di persone sane e allegre. La vista delle angosce altrui mi angoscia materialmente, e la mia sensazione ha spesso fatta propria la sensazione di un terzo: uno che tossisce di continuo mi irrita i polmoni e la gola. Visito più malvolentieri i malati di cui mi è doveroso interessarmi, che quelli a cui tengo meno e che meno considero. Io afferro il male che osservo e lo pongo in me. Non trovo strano che essa dia le febbri e la morte a quelli che la lasciano fare e se ne compiacciono. Simon Thomas era un gran medico, al tempo suo. Mi ricordo che incontrandomi un giorno in casa di un vecchio ricco, malato di polmonite, e parlando con questi dei mezzi per guarirlo, gli disse che uno era di offrirmi occasione di godere della sua compagnia e che, fissando lo sguardo sulla freschezza del mio viso e il pensiero su quell’allegria e quel vigore che traboccavano dalla mia adolescenza, e saziando tutti i suoi sensi di quella floridezza in cui mi trovavo, le sue condizioni avrebbero potuto migliorare. Ma dimenticava di dire che le mie avrebbero anche potuto peggiorare.
[A] Gallo Vibio applicò tanto intensamente l’animo suo a comprendere l’essenza e le variazioni della follia, che trascinò la sua mente fuori della sua sede naturale, tanto che poi non poté più ricondurvela. E poteva vantarsi di esser diventato pazzo per saggezza.2 Ci sono di quelli che per paura anticipano la mano del carnefice. E un tale a cui stavano togliendo la benda per leggergli la grazia, si trovò morto stecchito sul patibolo per il solo effetto della sua immaginazione. Ci vengono i sudori, tremiamo, impallidiamo e arrossiamo ai sussulti delle nostre immaginazioni e, riversi fra le coltri, sentiamo il nostro corpo agitarsi sotto la loro spinta, a volte fino a morirne. E la gioventù bollente si eccita a tal punto, anche nel sonno, che soddisfa in sogno i suoi desideri amorosi.
Ut quasi transactis sæpe omnibus rebus profundant
Fluminis ingentes fluctus, vestemque cruentent.I 3
E benché non sia cosa nuova veder crescere di notte le corna a chi non le aveva andando a letto, è tuttavia memorabile il caso di Cippo, re d’Italia, il quale, per aver assistito durante il giorno con grande interesse al combattimento dei tori, e aver avuto in sogno tutta la notte delle corna sulla testa, se le fece spuntare sulla fronte per forza d’immaginazione.4 Il dolore dette al figlio di Creso la voce che la natura gli aveva rifiutato.5 E Antioco fu colto da febbre a causa della bellezza di Stratonica troppo vivamente impressa nella sua anima.6 Plinio dice di aver visto Lucio Cossizio trasformato da donna in uomo il giorno delle sue nozze.7 Pontano ed altri raccontano simili metamorfosi avvenute in Italia nei secoli passati. E per il violento desiderio di lui e di sua madre,
Vota puer solvit, quæ fæmina voverat Iphis.II 8
[B] Passando per Vitry-le-François potei vedere un uomo che il vescovo di Soissons alla cresima aveva chiamato Germano, e che tutti gli abitanti di lì hanno conosciuto e visto ragazza, fino all’età di ventidue anni, col nome di Maria. Era, quando lo vidi, molto barbuto, e vecchio, e non ammogliato. Facendo, disse, qualche sforzo nel saltare, gli uscirono fuori i membri virili; ed è ancora in voga, fra le ragazze di quel paese, una canzone con la quale si avvertono fra loro di non fare passi troppo lunghi, per paura di diventare maschi come Maria Germano.9 Non c’è poi tanto da meravigliarsi che accidenti del genere accadano spesso: infatti, se l’immaginazione ha potere in tali cose, è così continuamente e così fortemente presa da questo argomento, che per non dover tanto spesso ricadere nello stesso pensiero e nello stesso ardente desiderio, le conviene di più incorporare una volta per tutte quella parte virile nelle ragazze.
[A] Alcuni attribuiscono alla forza dell’immaginazione le cicatrici del re Dagoberto e di san Francesco.10 Si dice che per questa forza a volte i corpi si sollevino dal luogo dove sono. E Celso racconta di un prete il quale rapiva la propria anima in tale estasi che il corpo rimaneva a lungo senza respiro e senza sensi. [C] Sant’Agostino11 ne cita un altro al quale bastava fare udire gemiti e grida lamentose che subito perdeva i sensi e a tal punto usciva di sentimento che si aveva un bel da fare a scuoterlo e urlare e pungerlo e bruciarlo perché rinvenisse: allora diceva di aver udito delle voci, ma come se venissero di lontano, e si accorgeva delle sue scottature e contusioni. E che non fosse una ostinazione simulata contro i propri sensi, lo dimostrava il fatto che non aveva in quei momenti né polso né respiro. [A] È verosimile che il principale credito che si dà ai miracoli, alle visioni, agli incantesimi e a simili fatti straordinari derivi dalla potenza dell’immaginazione che agisce principalmente sugli animi del popolo, più malleabili. Si è colpita la loro credulità a tal punto che pensano di vedere quello che non vedono.
Sono anche dell’opinione che quelle ridicole fatture12 da cui la nostra gente si sente così impedita che non si parla d’altro, siano di solito impressioni dell’apprensione e della paura. Infatti so per esperienza che un tale, del quale posso rispondere come di me stesso, e su cui non poteva cadere sospetto alcuno di debolezza, e tanto meno di incantesimo, avendo udito raccontare da un suo compagno di una singolare impotenza che lo aveva colto nel momento in cui meno ne avrebbe avuto bisogno, trovandosi in una circostanza simile fu a un tratto così colpito nell’immaginazione dall’orrore di quel racconto che incorse in un incidente simile; [C] e da allora in poi fu soggetto a ricadervi, poiché il brutto ricordo di quell’inconveniente lo tormentava e lo tiranneggiava. Trovò qualche rimedio a questa fantasia con un’altra fantasia. E cioè, confessando lui stesso tale sua debolezza e mettendo le mani avanti, la tensione del suo animo si alleviava perché, annunciando quel male come atteso, il suo impegno ne era diminuito e gli pesava di meno. Quando ha avuto modo, a suo beneplacito, una volta liberato e svincolato il pensiero, e il suo corpo trovandosi nelle dovute condizioni, di farlo prima verificare, comprendere e sorprendere dalla consapevolezza altrui, ne è guarito completamente. Con chi si è stati capaci una volta, non si è più incapaci, se non per normale debolezza. [A2] Questa disgrazia è da temere solo nelle imprese in cui la nostra anima si trova tesa oltre misura per desiderio e per rispetto, e specialmente se le occasioni si presentano impreviste e pressanti: non si ha modo di riaversi da quel turbamento. So di qualcuno a cui ha giovato disporvisi col corpo [C] già in parte altrove saziato, per addormentare l’ardore di quella brama, e di qualcuno che per l’età si trova ad essere meno impotente per il fatto stesso che è meno potente. E un altro a cui ha pure giovato che un amico l’abbia assicurato d’esser provvisto di una batteria d’incantesimi infallibili per preservarlo. È meglio che dica come fu. Un conte di alto lignaggio13 di cui ero molto intimo, sposandosi con una bella signora che era stata chiesta in moglie da un tale che assisteva alla festa, causava molta inquietudine ai suoi amici e specialmente a una vecchia signora sua parente, la quale presiedeva a quelle nozze che avvenivano in casa sua, ed era timorosa di quelle stregonerie; cosa che ella mi confidò. La pregai di affidarsi a me. Avevo per caso in un mio scrigno una piastrina d’oro su cui erano incise alcune figure celesti, efficace contro i colpi di sole e buona a togliere il mal di capo se la si fosse posta proprio sulla linea del cranio; e, per tenervela, era cucita a un nastro da legare sotto il mento. Fantasia sorella di quella di cui stiamo parlando. Jacques Peletier14 mi aveva fatto quel dono singolare. Pensai di trarne qualche utilità. E dissi al conte che avrebbe potuto correr dei rischi come gli altri, essendovi là degli uomini disposti a corbellarlo; ma che se n’andasse arditamente a letto, che gli avrei reso un servizio da amico, e al bisogno non avrei risparmiato un miracolo, che era in mio potere di fare, purché, sul suo onore, mi promettesse di tenerlo segreto con assoluta fedeltà. Soltanto, quando la notte sarebbero andati a portargli lo spuntino, se gli fosse andata male, mi facesse un certo segno. Tutto quello che aveva udito lo aveva a tal punto colpito nell’animo che si trovò impedito dal turbamento della propria immaginazione, e mi fece il segno. Gli dissi allora che si alzasse come per volerci scacciare, e prendesse scherzando la veste da notte che portavo – eravamo di taglia molto simile – e la tenesse indosso finché non avesse eseguito il mio ordine, che fu: quando noi fossimo usciti, si ritirasse per orinare; dicesse tre volte certe orazioni, e facesse certi movimenti; che ognuna di queste tre volte si cingesse del nastro che gli mettevo in mano e collocasse accuratamente la medaglia che vi era attaccata sui rognoni, con la figura in una certa posizione. Fatto ciò, e stretto bene il nastro perché non potesse sciogliersi né muoversi dal suo posto, tornasse con piena fiducia alla sua bisogna e non dimenticasse di gettar la mia veste sul letto, in modo che li coprisse tutti e due. Queste buffonate sono la cosa più importante per il risultato, perché il nostro pensiero non può convincersi che procedimenti così strani non vengano da qualche scienza astrusa. La loro inanità conferisce loro credito e rispetto. Insomma, certamente i miei talismani si dimostrarono più venerei che solari, più propri all’azione che alla preservazione. Fu un’ispirazione improvvisa e bizzarra che mi spinse a quell’atto, lontano dalla mia natura. Sono nemico delle azioni scaltre e finte, e odio in me l’astuzia, non solo dilettevole, ma anche utile. Se non è vizioso l’atto, lo è il procedimento. Amasi, re d’Egitto, sposò Laodice, bellissima fanciulla greca: e lui, che si mostrava compagno gentile in ogni altro caso, si trovò impotente a godere di lei, e minacciò di ucciderla, ritenendo che si trattasse di qualche stregoneria. Come per le cose che si basano sull’immaginazione, ella lo fece volgere alla devozione, e lui fatti voti e promesse a Venere, si trovò divinamente rafforzato fin dalla prima notte che seguì le sue oblazioni e i suoi sacrifici.15
Ora, esse hanno torto di accoglierci con quel contegno lezioso, piagnucoloso e schivo, che ci spegne accendendoci. La nuora di Pitagora diceva che la donna che va a letto con un uomo deve insieme con la veste abbandonare anche la vergogna, e riprenderla con la gonna.16 [A] L’animo dell’assalitore, turbato da più allarmi diversi, si smarrisce facilmente; e colui al quale l’immaginazione ha fatto subire una volta quella vergogna (e la fa subire solo ai primi approcci, poiché sono più ardenti e irruenti, ed anche perché in quella prima esperienza si ha molta più paura di fallire), avendo mal cominciato, è colto dall’agitazione e dal dispetto per quell’incidente che gli si ripete nelle occasioni seguenti. [C] Gli ammogliati, avendo tutto il tempo a loro disposizione, non devono affrettare la loro impresa né tentarla se non sono pronti; ed è meglio mancare vergognosamente di inaugurare il letto nuziale pieno d’agitazione e di febbre, attendendo l’una o l’altra occasione più intima e meno ansiosa, piuttosto che cadere in una perpetua miseria, per esser rimasti sgomenti e disperati del primo fallimento. Prima del possesso, il paziente deve, a tratti e in momenti diversi, moderatamente provarsi ed offrirsi, senza impuntarsi e ostinarsi a compromettersi definitivamente da solo. Coloro che sanno i loro membri docili per natura, si preoccupino solo di ingannare la loro fantasia.
C’è ragione di notare l’indocile licenza di quel membro, che si ingerisce tanto inopportunamente quando non sappiamo che farne, e tanto inopportunamente viene meno quando ne abbiamo più bisogno, e che combatte così imperiosamente di autorità con la nostra volontà, respingendo con tanta fierezza e ostinazione le nostre sollecitazioni e mentali e manuali. Tuttavia, poiché si inveisce contro la sua ribellione e se ne trae una prova per la sua condanna, se mi avesse pagato per difendere la sua causa, forse farei ricadere sulle altre nostre membra, sue compagne, il sospetto di esser andate a metter su contro di lui questa vertenza fittizia per invidia bella e buona dell’importanza e dolcezza del suo uso, e di aver, per complotto, armato tutti contro di lui, malignamente addossando a lui solo la loro colpa comune. Vorrei infatti che vi domandaste se ci sia una sola parte del nostro corpo che non rifiuti spesso la sua opera alla nostra volontà, e che spesso non agisca contro la nostra volontà. Ciascuna di esse ha passioni proprie che la risvegliano e l’addormentano senza il nostro permesso. Quante volte espressioni incontrollabili del nostro viso rivelano i pensieri che tenevamo segreti e ci tradiscono davanti agli altri! Quella stessa causa che muove quel membro, a nostra insaputa muove anche il cuore, i polmoni e il polso, e infatti la vista d’un oggetto gradevole diffonde impercettibilmente in noi la fiamma di un’emozione febbrile. Ci sono forse soltanto quei muscoli e quelle vene che si alzano e si abbassano senza il consenso, non solo della nostra volontà, ma anche del nostro pensiero? Non comandiamo certo ai nostri capelli di rizzarsi e alla nostra pelle di fremere di desiderio o di timore. La mano va spesso dove non la mandiamo. La lingua si paralizza e la voce s’arresta a piacer suo. Proprio quando, non avendo nulla da mangiare, glielo proibiremmo volentieri, la voglia di mangiare e di bere non ristà dall’agitare le parti che le sono soggette, né più né meno di quell’altra voglia; e allo stesso modo ci abbandona, fuor di proposito, quando le piace. Gli organi che servono a scaricare il ventre hanno le loro proprie dilatazioni e contrazioni, oltre e contro il nostro volere, come quegli altri destinati a scaricare i nostri rognoni. E quel fatto che sant’Agostino cita17 per comprovare l’onnipotenza della nostra volontà, di aver visto qualcuno che comandava al suo deretano quanti peti voleva, e che Vives, suo glossatore, rafforza con un altro esempio del tempo suo, di peti armonizzati secondo il tono dei versi che si recitavano, non garantisce affatto una obbedienza più assoluta di quel membro: infatti normalmente ce n’è uno più indiscreto e sedizioso? Si aggiunga che ne conosco uno tanto turbolento e ribelle, che son quarant’anni che tiene il suo padrone a scoreggiare con una lena e con un impegno costante e ininterrotto, e così lo porta alla morte.
Ma la nostra volontà, per i cui diritti avanziamo questo rimprovero, con quanta più verosimiglianza la possiamo tacciare di ribellione e sedizione per la sua sregolatezza e disobbedienza! Vuole essa sempre ciò che noi vorremmo che volesse? Non vuole spesso quello che le proibiamo di volere, e con nostro danno manifesto? Si lascia forse condurre alle conclusioni della nostra ragione? Infine, a difesa del mio signor cliente, dirò: ci si compiaccia di considerare come in questa faccenda, pur essendo la sua causa inseparabilmente e solidalmente congiunta a un complice, si citi tuttavia lui solo, e con argomenti e accuse tali che, vista la condizione delle parti, non possono in alcun modo riferirsi né concernere il detto complice. Pertanto si vede l’animosità e illegalità manifesta degli accusatori. Comunque sia, protestando che gli avvocati e i giudici hanno un bel litigare e sentenziare, la natura continuerà tuttavia il suo corso; e avrebbe fatto cosa assennata se avesse dotato questo membro, autore della sola opera immortale dei mortali, di qualche particolare privilegio. Per ciò la generazione è per Socrate azione divina, e amore desiderio d’immortalità e demone immortale lui stesso.18
[A] Per questo effetto dell’immaginazione un tale forse lascia qui la scrofola che il suo compagno riporta in Spagna.19 Ecco la ragione per cui in tali cose, si è soliti richiedere un animo preparato. Perché i medici cercano di conquistare prima di tutto la fiducia del paziente con tante false promesse di guarigione, se non perché l’effetto dell’immaginazione supplisca all’impostura del loro decotto? Essi sanno che uno dei maestri di questo mestiere ha lasciato loro per scritto che ci sono stati uomini ai quali la sola vista della medicina produceva l’effetto.20 E tutta questa fantasia m’è ora venuta in mente a proposito di quello che mi raccontava un domestico speziale del mio defunto padre, uomo semplice e svizzero, gente poco frivola e menzognera: di aver conosciuto per molto tempo un mercante di Tolosa malaticcio e soggetto al mal della pietra, che aveva spesso bisogno di clisteri, e se li faceva ordinare di vario tipo dai medici, secondo le necessità del suo male. Quando glieli avevano portati, non ometteva nulla delle formalità abituali; spesso sentiva con la mano se erano troppo caldi. Eccolo sdraiato, bocconi, dopo aver fatto tutti i preparativi, se non che non si procedeva ad alcuna irrigazione. Ritiratosi lo speziale dopo questa cerimonia, il paziente, sistematosi come se si fosse fatto davvero il clistere, ne risentiva lo stesso effetto di coloro che se li fanno. E se il medico riteneva che l’operazione non fosse stata sufficiente, gliene prescriveva altri due o tre della stessa specie. Il mio testimonio giura che per risparmiare la spesa (poiché li pagava come se se li fosse fatti), avendo talvolta la moglie di quel malato tentato di farvi mettere solo dell’acqua tiepida, l’effetto smascherò l’inganno, ed essendosi questi dimostrati inefficaci, bisognò tornare alla prima maniera. Una donna, pensando di aver ingoiato una spilla insieme al pane, gridava e si tormentava come se avesse un dolore insopportabile alla gola, dove pensava di sentirla incastrata; ma poiché all’esterno non c’era né gonfiore né alterazione, un uomo sagace, pensando che si trattasse solo di un suo capriccio e di una sua idea, nati da qualche pezzo di pane che l’aveva punta passando, la fece vomitare e di nascosto gettò in quello che aveva rimesso una spilla contorta. La donna, credendo di averla rigettata, si sentì subito liberata dal dolore. So che un gentiluomo, il quale aveva convitato in casa sua una buona brigata, si vantò tre o quattro giorni dopo, per scherzo (perché non era vero nulla), di aver fatto loro mangiare un pasticcio di gatto; del che una damigella della compagnia ebbe tale orrore che fu colta da un grande travaglio di stomaco e febbre e fu impossibile salvarla. Le bestie stesse si vedono come noi soggette alla forza dell’immaginazione. Testimoni i cani, che si lasciano morire di dolore per la perdita dei loro padroni. Li vediamo anche guaire e dimenarsi in sogno, e i cavalli nitrire e agitarsi.
Ma tutto questo può attribuirsi alla stretta congiunzione dello spirito e del corpo, che si comunicano reciprocamente le loro condizioni. Altra cosa è che l’immaginazione agisca talvolta non contro il proprio corpo soltanto, ma contro il corpo di altri. E come un corpo attacca il proprio male al vicino, come si vede nella peste, nel vaiolo e nel mal degli occhi, che si trasmettono dall’uno all’altro:
Dum spectant oculi læsos, læduntur et ipsi:
Multaque corporibus transitione nocent,I 21
allo stesso modo l’immaginazione, violentemente colpita, lancia dardi che possono offendere l’oggetto estraneo. L’antichità credeva che certe donne nella Scizia, prese da animosità e da ira contro qualcuno, lo uccidessero col solo sguardo. Le tartarughe e gli struzzi covano le uova con la sola vista, segno che posseggono in essa qualche virtù eiaculatrice. E quanto agli stregoni, si dice che abbiano occhi capaci di offendere e di nuocere,
Nescio quis teneros oculus mihi fascinat agnos.II 22
Sono per me cattivi garanti, i maghi. Comunque sia, vediamo per esperienza le donne trasmettere ai corpi dei bambini che portano nel ventre certi segni delle loro fantasie, testimone quella che generò il moro.23 E fu presentata a Carlo, re di Boemia e imperatore, una ragazza dei dintorni di Pisa, tutta pelosa e irsuta, che sua madre diceva esser stata così concepita a causa di un’immagine di san Giovanni Battista appesa sopra il suo letto. Per gli animali accade lo stesso. A riprova le pecore di Giacobbe,24 e le pernici e le lepri che la neve sulle montagne fa diventare bianche. Recentemente a casa nostra fu visto un gatto puntare un uccello in cima a un albero; e dopo che si furono guardati fissi l’un l’altro per qualche tempo, l’uccello lasciarsi cadere come morto fra le zampe del gatto, o rapito dalla sua propria immaginazione o attirato da qualche forza attrattiva del gatto. Quelli che amano la caccia col falcone hanno sentito raccontare di quel falconiere che, fissando intensamente lo sguardo su un nibbio in volo, scommetteva di farlo cader giù con la sola forza della propria vista; e lo faceva, a quanto dicono. Perché le storie che riporto le metto sulla coscienza di quelli da cui le prendo.
[B] I ragionamenti sono miei, e si reggono sulla prova della ragione, non dell’esperienza. Ciascuno vi può aggiungere i propri esempi. E chi non ne ha, non deve credere che non ve ne siano, visto il numero e la varietà dei casi. [C] Se non scelgo bene gli esempi,25 un altro li scelga per me. Anche nello studio che faccio dei nostri costumi e dei nostri atti le testimonianze favolose, purché siano possibili, servono al pari di quelle vere. Accaduto o non accaduto, a Parigi o a Roma, a Giovanni o a Pietro, è sempre un tratto dell’umana capacità di cui sono utilmente avvertito da quel racconto.26 Lo vedo e ne traggo profitto egualmente, sia esso ombra o cosa concreta. E fra le diverse versioni che spesso offrono le storie prendo, per servirmene, la più rara e memorabile. Ci sono autori il cui scopo è di raccontare i fatti. Il mio, se potessi arrivarci, sarebbe di parlare di ciò che può accadere. Giustamente nelle scuole si permette di supporre delle similitudini,27 quando non ve ne siano nella realtà. Io tuttavia non faccio così, e a questo riguardo supero in scrupolo superstizioso ogni fedeltà storica. Negli esempi che metto qui, di ciò che ho udito, fatto o detto, mi son vietato di osar alterare perfino le più insignificanti e inutili circostanze. La mia coscienza non falsifica un iota, la mia scienza non so. A questo proposito, mi metto talvolta a pensare se possa assai ben convenire a un teologo, a un filosofo e a simili persone di squisita ed esatta coscienza e prudenza, di scrivere la storia. Come possono impegnare la loro fede su una fede popolare? Come rispondere dei pensieri di persone sconosciute, e dar per denaro sonante le loro congetture? Delle azioni che presentano aspetti diversi che accadono sotto i loro occhi, essi si rifiuterebbero di rendere testimonianza, se fossero chiamati da un giudice a giurare; e non c’è persona che sia loro tanto intima, che possano attentarsi a rispondere pienamente delle sue intenzioni. Ritengo meno arrischiato scrivere sulle cose passate piuttosto che sulle presenti: perché lo scrittore deve rendere conto solo di una verità presa a prestito.28 Alcuni mi invitano a scrivere delle cose del mio tempo, stimando ch’io le veda con occhio meno viziato dalla passione d’un altro, e più da vicino, per la possibilità che la fortuna mi ha dato di avvicinare i capi dei diversi partiti.29 Ma non dicono che, nemmeno per tutta la gloria di Sallustio, io me ne darei la pena, nemico giurato quale sono di ogni impegno, assiduità, perseveranza. Che non c’è nulla di tanto contrario al mio stile quanto una narrazione estesa: mi interrompo spessissimo per mancanza di fiato, e non ho né forma né esposizione di qualche valore; ignorante come sono, più d’un fanciullo, delle frasi e dei vocaboli che servono alle cose più comuni. Per questo ho preso a dire quel che so dire, adattando la materia alle mie forze. Se ne prendessi una che mi si imponesse, la mia misura potrebbe essere inferiore alla sua. Ed essendo la mia libertà così libera, avrei pubblicato giudizi, a mio stesso parere e secondo ragione, illegittimi e punibili. Plutarco ci direbbe volentieri riguardo a ciò che ha fatto, che è merito d’altri30 se i suoi esempi sono in tutto e per tutto veritieri: che poi siano utili alla posterità, e presentati in una luce che ci illumini verso la virtù, questo è merito suo. Non è pericoloso, come in una droga medicinale, che in un racconto antico sia così oppure così.
I Una forte immaginazione genera l’evento
I Quasi come se avessero compiuto l’atto, spesso spargono copiosi fiotti di seme e macchiano la veste
II Iphis, ragazzo, adempì i voti che aveva fatto fanciulla
I Mentre guardano i malati gli occhi si ammalano anch’essi: e molti mali passano così da un corpo all’altro
II Non so quale occhio getti la malia sui miei teneri agnelli