CAPITOLO X
Del governare la propria volontà
[B] In confronto alla maggior parte degli uomini, poche cose mi toccano, o per meglio dire, mi tengono in loro potere. Infatti è giusto che ci tocchino, purché non ci posseggano. Io ho gran cura di aumentare con lo studio e con la riflessione questo privilegio d’insensibilità che è per natura molto sviluppato in me. Mi attacco, e per conseguenza mi appassiono a poche cose. Ho la vista chiara, ma la fisso su pochi oggetti. La sensibilità, delicata e tenera. Ma l’apprensione e l’applicazione l’ho dura e tarda. M’impegno difficilmente. Per quanto posso, mi occupo tutto di me stesso. Ed anche in questo frenerei tuttavia e tratterrei volentieri il mio affetto perché non vi s’immerga troppo interamente: dato che è una cosa che possiedo per grazia d’altri e sulla quale la fortuna ha più diritto di quanto ne abbia io. Di modo che, perfino la salute che apprezzo tanto, mi occorrerebbe non desiderarla e non attaccarmici con tanta furia da trovare insopportabili le malattie. [C] Ci si deve equilibrare fra l’odio del dolore e l’amore del piacere. E Platone indica1 una strada mediana di vita fra i due. [B] Ma agli affetti che mi distraggono da me e mi volgono altrove, a questi certo mi oppongo con tutte le mie forze. La mia opinione è che bisogna prestarsi agli altri e darsi soltanto a se stessi. Se la mia volontà fosse facile a ipotecarsi e applicarsi, non ci resisterei. Sono troppo delicato, e per natura e per abitudini,
fugax rerum, securaque in otia natus.I 2
Le discussioni contrastate e ostinate che infine dessero vantaggio al mio avversario, l’esito che rendesse vergognoso il mio sforzo appassionato mi roderebbero forse molto crudelmente. Se mi ci investissi davvero, come fanno gli altri, la mia anima non avrebbe mai la forza di sopportare gli allarmi e le emozioni che colgono quelli che se la prendono tanto a cuore. Sarebbe immediatamente sconvolta da questa agitazione interiore. Se talvolta sono stato spinto a occuparmi di affari estranei, ho promesso di prenderli in mano, non nel polmone o nel fegato; d’incaricarmene, non d’incorporarli; di curarmene, sì, ma non di appassionarmivi: li guardo, ma non li covo. Ho abbastanza da fare a ordinare e sistemare la folla delle preoccupazioni personali che ho nelle viscere e nelle vene, senza aggiungervi una folla estranea e farmene schiacciare. E sono abbastanza preso dai miei affari essenziali, propri e naturali, senza attirarmene altri esterni. Quelli che sanno quanto si devono e di quanti servigi sono obbligati verso se stessi, trovano che natura ha dato loro un incarico piuttosto pesante e non certo ozioso. Hai già abbastanza da fare a casa tua, non allontanartene.
Gli uomini si danno in affitto. Le loro facoltà non sono per loro, ma per quelli a cui si asserviscono. I loro locatari abitano in loro, non loro stessi. Questa tendenza comune non mi piace. Bisogna amministrare la libertà della nostra anima e ipotecarla solo nelle occasioni giuste: e queste sono in piccolissimo numero, se giudichiamo con senno. Guardate le persone abituate a lasciarsi trascinare e possedere, fanno così sempre. Nelle piccole cose come nelle grandi, per ciò che non le riguarda affatto come per ciò che le riguarda. S’ingeriscono indifferentemente dove c’è da darsi da fare e da impegnarsi, e sono senza vita quando sono senza agitazione affannosa. [C] In negotiis sunt negotii causa.I 3 Cercano un’occupazione soltanto per occuparsi. Non tanto vogliono andare quanto non possono star fermi. Né più né meno di una pietra lanciata in caduta, che non si ferma finché non si posa. L’occupazione è, per un certo tipo di persone, segno di abilità e di dignità. [B] Il loro spirito cerca riposo nel movimento, come i bambini nella culla. Possono dirsi tanto servizievoli per i loro amici quanto importuni a se stessi. Nessuno distribuisce il proprio denaro ad altri, ognuno distribuisce il proprio tempo e la propria vita. Non c’è nulla di cui siamo tanto prodighi quanto di queste cose, delle quali sole l’avarizia sarebbe per noi utile e lodevole. Io adotto un atteggiamento del tutto diverso. Mi racchiudo in me stesso. E generalmente desidero blandamente quello che desidero, e desidero poco. Mi occupo e mi adopero allo stesso modo: di rado e con calma. Tutto ciò che essi vogliono e compiono, lo fanno con tutta la loro volontà e veemenza. Tanti sono i brutti frangenti che, per maggior sicurezza, bisogna passare questa vita con un po’ di leggerezza e superficialità. [C] Bisogna scivolarvi, non affondarvi. [B] La voluttà stessa è dolorosa nel suo profondo,
incedis per ignes
I signori di Bordeaux mi elessero sindaco della loro città, mentre ero lontano dalla Francia e ancor più lontano da tale pensiero. Me ne schermii. Ma mi si fece capire che avevo torto, interponendovisi anche il comando del re.5 È una carica che deve sembrare tanto più bella in quanto non c’è altro compenso né guadagno che l’onore di esercitarla. Dura due anni, ma può essere prolungata con una seconda elezione. Cosa che avviene molto raramente. Fu fatto per me, e non era stato fatto che due volte in precedenza: qualche anno prima per il signor de Lansac; e recentemente per il signor de Biron, maresciallo di Francia; al cui posto io subentrai, e lasciai il mio al signor de Matignon, anch’egli maresciallo di Francia. Fiero di una così nobile compagnia,
uterque bonus pacis bellique minister.I 6
La fortuna volle aver parte nella mia promozione, per questa particolare circostanza che vi mise del suo. Non del tutto vana: infatti Alessandro disdegnò gli ambasciatori di Corinto che gli offrivano la cittadinanza della loro città; ma quando vennero a dirgli come Bacco ed Ercole fossero pure in quella lista, li ringraziò cortesemente.7
Al mio arrivo mi dichiarai fedelmente e in coscienza tal quale mi sento di essere: senza memoria, senza attenzione, senza esperienza e senza vigore; altresì senza odio, senza ambizione, senza cupidigia e senza violenza; affinché fossero informati e istruiti di ciò che dovevano aspettarsi dal mio servizio. E poiché soltanto la conoscenza del defunto padre mio e l’onore della sua memoria li aveva spinti a ciò,8 aggiunsi loro molto chiaramente che mi sarei molto rammaricato se una cosa qualsiasi avesse preso tanta importanza nella mia volontà quanta ne avevano presa un tempo nella sua i loro affari e la loro città, mentre ne aveva il governo, in quello stesso posto al quale mi avevano chiamato. Mi ricordavo di averlo visto vecchio, nella mia giovinezza, con l’animo crudelmente agitato da quel pubblico travaglio: dimentico della dolce aria della sua casa, a cui la debolezza degli anni lo aveva legato molto tempo prima, e delle sue cure domestiche e della sua salute, e non tenendo certo in alcun conto la propria vita che rischiò di perdere, impegnato per loro in lunghi e faticosi viaggi. Era così: e questo atteggiamento gli derivava da una grande bontà naturale. Non vi fu mai anima più caritatevole e dedita al popolo. Questo modo di procedere che lodo in altri, non mi piace seguirlo. E non sono senza giustificazione. Egli aveva sentito dire che bisognava dimenticare se stessi per il prossimo, che il particolare non aveva alcun peso in confronto al generale. La maggior parte delle regole e dei precetti del mondo sono intesi a spingerci fuori di noi e gettarci sulla piazza, per l’utile della società. Hanno pensato di fare una bella cosa distogliendoci e distraendoci da noi stessi, presupponendo che fossimo eccessivamente attaccati a noi e con un legame troppo naturale; e non hanno tralasciato nulla che potesse far difetto a questo fine. Di fatto non è nuovo per i saggi predicare le cose secondo ciò a cui servono, non secondo quello che sono. [C] La verità ha i suoi impedimenti, i suoi incomodi e incompatibilità nei nostri riguardi. Spesso bisogna ingannarci perché non ci inganniamo, e cucirci gli occhi e stordire il nostro intelletto per educarli e correggerli. Imperiti enim iudicant, et qui frequenter in hoc ipsum fallendi sunt, ne errent.I 9 [B] Quando ci ordinano di amare più di noi stessi tre, quattro e cinquanta specie di cose, imitano l’arte degli arcieri, che per raggiungere il bersaglio vanno prendendo la mira un bel tratto al di sopra del segno. Per raddrizzare un legno curvo lo si curva all’incontrario.
Ritengo che nel tempio di Pallade,10 come vediamo in tutte le altre religioni, ci fossero dei misteri comprensibili da rivelare al popolo, e altri misteri più segreti e più alti da rivelare soltanto a quelli che vi fossero iniziati. È verosimile che in questi ultimi si trovi il vero grado dell’affetto che ognuno deve a se stesso. Non un affetto [C] falso, che ci fa abbracciare la gloria, la scienza, la ricchezza e cose simili con un amore dominante e smodato, come membra della nostra persona; né un affetto [B] sviscerato e senza discernimento nel quale accade ciò che si vede dell’edera, che corrompe e rovina la parete a cui si attacca. Ma un affetto salutare e moderato, utile quanto piacevole. Chi ne conosce i doveri e li adempie, fa parte davvero del tabernacolo delle Muse: ha raggiunto il culmine della saggezza umana e della nostra felicità. Costui, sapendo esattamente ciò che deve a se stesso, trova che rientra nella sua parte il dover trarre vantaggio per sé dagli altri uomini e dal mondo; e per far ciò, tributare alla società i doveri e gli uffici che gli pertengono. [C] Chi non vive in qualche modo per gli altri, non vive in alcun modo per sé. Qui sibi amicus est, scito hunc amicum omnibus esse.II 11 [B] Il compito principale che abbiamo è per ognuno la propria condotta: ed è per questo che siamo qui. Come chi dimenticasse di vivere bene e santamente, e pensasse di esser esentato dai propri doveri indirizzandovi ed educandovi gli altri, sarebbe uno sciocco: così chi abbandona per quanto lo riguarda il vivere sano e lieto per procacciarlo agli altri, prende a mio parere un partito iniquo e contro natura. Non intendo che si rifiutino agli incarichi che si assumono l’attenzione, le cure, le parole, e il sudore e il sangue dove necessario,
non ipse pro charis amicis
Aut patria timidus perire.III 12
Ma si diano in prestito e accidentalmente, mentre lo spirito si mantenga sempre tranquillo e sano. Non senza azione, ma senza vessazione, senza passione. L’agire semplicemente gli costa così poco, che agisce perfino dormendo. Ma bisogna dargli lo slancio con misura: di fatto il corpo riceve i carichi che gli si mettono addosso proprio quali sono; lo spirito li estende e li aggrava spesso a proprie spese, dando loro il peso che gli pare. Si fanno cose uguali con sforzi diversi, e con diversa applicazione di volontà. Una cosa può andar senza l’altra. Infatti quanti uomini si arrischiano ogni giorno in guerre di cui a loro non importa nulla? e si affannano nei pericoli delle battaglie la cui sconfitta non turberà loro il prossimo sonno. Un tale, a casa sua, lontano da quel pericolo che non avrebbe osato concepire, si appassiona di più per l’esito di questa guerra e ne ha l’animo più travagliato del soldato che vi mette il proprio sangue e la propria vita. Io ho potuto immischiarmi delle cariche pubbliche senza allontanarmi da me stesso della larghezza di un’unghia. [C] E darmi agli altri senza togliermi a me.
[B] Questa acutezza e violenza di desiderio è d’ostacolo più che di giovamento allo svolgimento di ciò che s’intraprende. Ci riempie d’intolleranza verso gli avvenimenti o contrari o tardivi, e di asprezza e di sospetto verso le persone con le quali trattiamo. Non conduciamo mai bene qualcosa da cui siamo posseduti e condotti:
male cuncta ministrat
Colui che non vi consacra che il proprio giudizio e la propria abilità, procede con maggior leggerezza. Finge, piega, differisce tutto a suo agio, secondo le necessità del caso. Fallisce lo scopo senza tormentarsi e senza affliggersi, pronto e saldo per una nuova impresa. Avanza sempre con le briglie in mano. In colui che è inebriato da tale intento violento e tirannico si rileva necessariamente molta imprudenza e ingiustizia. L’impetuosità del suo desiderio lo trascina. Sono impulsi temerari e, se la fortuna non vi mette molto del suo, di poco frutto. La filosofia vuole che nel punire le offese ricevute facciamo astrazione dalla collera. Non perché la vendetta sia minore, anzi, al contrario, perché colga meglio nel segno e sia più grave: al che le sembra che quell’impetuosità sia d’impedimento. [C] Non solo la collera turba, ma di per sé stanca anche le braccia di coloro che puniscono. Quel fuoco stordisce e consuma la loro forza. [B] Come nella precipitazione, festinatio tarda est,14 la fretta si dà lo sgambetto da sola, si intralcia e si arresta. Ipsa se velocitas implicat.I 15 Per esempio, secondo quello che vedo di solito, la cupidigia non trova intralcio maggiore che in se stessa. Più è tesa e forte, meno è feconda. Di solito afferra più prontamente le ricchezze se si nasconde sotto una maschera di liberalità. Un gentiluomo, persona molto dabbene e mio amico, rischiò di turbare la sua salute mentale con una troppo appassionata premura e partecipazione agli affari di un principe,16 suo signore. Il quale signore si è lui stesso così dipinto a me: che vede come un altro la gravità degli eventi, ma in quelli per i quali non c’è rimedio si risolve subito alla sopportazione. Negli altri, dopo aver preso i provvedimenti necessari, cosa che può fare rapidamente per la sua prontezza di spirito, aspetta tranquillamente ciò che accadrà. In verità, l’ho visto alla prova conservare una grande noncuranza e libertà d’azione e di contegno in affari molto gravi e spinosi. Lo trovo più grande e più capace nella cattiva che nella buona fortuna: [C] le sue sconfitte sono per lui più gloriose delle sue vittorie, e la sua sciagura più del suo trionfo. [B] Considerate che perfino nelle azioni vane e frivole, nel gioco degli scacchi, della palla e simili, questo impegno violento e ardente di un desiderio impetuoso spinge immediatamente lo spirito e le membra all’avventatezza e al disordine: ci si abbaglia, ci si confonde da soli. Colui che si comporta con maggior moderazione di fronte al guadagno e alla perdita, è sempre padrone di sé. Meno si picca e si appassiona al gioco, tanto più vantaggiosamente e sicuramente lo conduce.
Noi impediamo, insomma, la presa e la stretta dell’anima dandole tante cose da afferrare. Alcune bisogna solo presentargliele, altre accollargliele, altre incorporargliele. Essa può vedere e sentire tutte le cose, ma non deve pascersi che di sé, e deve essere istruita di ciò che la riguarda propriamente, e che fa propriamente parte del suo avere e della sua sostanza. Le leggi di natura ci insegnano quello che esattamente ci occorre. Dopo che i saggi ci hanno detto che secondo lei nessuno è bisognoso, e che ognuno lo è secondo l’opinione, distinguono sottilmente in tal modo i desideri che provengono da lei da quelli che provengono dalla sregolatezza della nostra immaginazione. Quelli di cui si vede il termine sono suoi, quelli che fuggono davanti a noi e dei quali non possiamo toccare la fine sono nostri. La povertà di beni è facile a guarire, la povertà dell’anima, impossibile.
[C]Nam si, quod satis est homini, id satis esse potesset,
Hoc sat erat: nunc, cum hoc non est, qui credimus porro
Divitias ullas animum mi explere potesse?I 17
Socrate, vedendo portare in gran pompa per la sua città una grande quantità di ricchezze, gioielli e oggetti di pregio: «Quante cose» disse «non desidero affatto!»18 [B] Metrodoro viveva con dodici once di cibo al giorno, Epicuro con meno.19 Metrocle dormiva d’inverno con le pecore, d’estate sotto i portici delle chiese.20 [C] Sufficit ad id natura, quod poscit.II 21 Cleante viveva del lavoro delle proprie mani e si vantava che Cleante, se avesse voluto, avrebbe dato da mangiare anche a un altro Cleante.22
[B] Se ciò che natura precisamente e originariamente ci domanda per la conservazione del nostro essere è troppo poco (e invero quanto lo sia e quanto a buon mercato possa mantenersi la nostra vita, non si può esprimere meglio che con questa considerazione, che è tanto poco che sfugge alla presa e all’urto della fortuna per la sua piccolezza), concediamoci qualcosa di più: chiamiamo natura anche il modo di vita e la condizione di ciascuno di noi, tassiamoci, trattiamoci a questa stregua, estendiamo fin là le nostre spettanze e i nostri conti. Infatti fin là ben mi sembra che abbiamo qualche giustificazione. L’abitudine è una seconda natura, e non meno potente. [C] Quello che manca alla mia consuetudine, ritengo che mi manchi. [B] E preferirei quasi che mi fosse tolta la vita piuttosto che mi fosse ristretta e limitata di molto rispetto alla condizione in cui l’ho vissuta tanto a lungo. Non sono più in grado di subire un gran cambiamento e di gettarmi a un nuovo e inusitato tenore di vita. Neppure per migliorare. Non è più tempo di diventare diverso. E come rimpiangerei qualche grande ventura che mi capitasse ora fra le mani, poiché non sarebbe venuta in un tempo in cui potessi goderne,
Quo mihi fortuna, si non conceditur uti?III 23
[C] rimpiangerei allo stesso modo qualche acquisto interiore. È quasi meglio non diventar mai un galantuomo che diventarlo così tardi. Ed esperto del vivere quando non si ha più vita. Io che me ne vado, lascerei senza difficoltà a qualcuno che venisse quel po’ di saggezza che imparo per i rapporti con la gente. Senape dopo il pranzo. Non so che farmene del bene del quale non posso far niente. A che serve la scienza a chi non ha più testa? È ingiuria e sfavore della fortuna offrirci doni che ci riempiono d’un giusto dispetto perché ci sono mancati al tempo dovuto. Non guidatemi più, non posso più andare. Di tante parti che ha la saggezza, la pazienza ci basta. Date l’abilità d’un eccellente tenore al cantante che ha i polmoni guasti, e l’eloquenza all’eremita relegato nei deserti d’Arabia. Non occorre arte nella caduta. La fine si trova da sola al termine di ogni faccenda. Il mio mondo è finito, la mia forma è svuotata. Appartengo tutto al passato. E sono tenuto a riconoscergli autorità e a conformarvi la mia dipartita. Voglio dir questo: che la recente soppressione dei dieci giorni fatta dal papa24 mi ha colpito in modo che non posso adattarmici di buon grado. Appartengo a quegli anni nei quali contavamo diversamente. Un così antico e lungo uso mi rivendica e mi richiama a sé. Son costretto ad essere un po’ eretico su questo punto. Incapace di novità, sia pure correttiva. La mia immaginazione, mio malgrado, si getta sempre dieci giorni più avanti o più indietro. E mi brontola negli orecchi: «Questa regola riguarda quelli che sono a venire». Se la salute stessa, tanto dolce, viene a ritrovarmi a intervalli, è per darmi il rimpianto più che il possesso di sé. Non ho più dove accoglierla. Il tempo mi abbandona. Senza di esso nulla si possiede. Oh, come terrei in poco conto quelle grandi dignità elettive che vedo nel mondo, che si danno solo agli uomini pronti ad andarsene! E per le quali non tanto si guarda con quanto scrupolo saranno esercitate, ma per quanto poco tempo saranno esercitate: fin dall’entrata si mira all’uscita. [B] Insomma, eccomi dietro a rifinire quest’uomo, non a rifarne un altro. Per il lungo uso questa forma mi si è trasformata in sostanza, e fortuna in natura. Dico dunque che ognuno di noi, debolucci, è scusabile se stima suo quello che è compreso sotto questa misura. Ma altresì al di là di questi limiti c’è soltanto confusione. È la più larga estensione che possiamo concedere ai nostri diritti. Più allarghiamo il nostro bisogno e possesso, più ci esponiamo ai colpi della fortuna e delle avversità. La carriera dei nostri desideri dev’essere circoscritta e ristretta al breve limite delle comodità più prossime e contigue. E inoltre la loro corsa dev’esser condotta non in linea retta che faccia capo altrove, ma in circolo, i due capi del quale si congiungano e terminino in noi con un breve giro. Le azioni che si compiono senza questo movimento riflesso, s’intende vicino ed essenziale, come quelle degli avari, degli ambiziosi e di tanti altri che corrono dritto, la cui corsa li porta sempre in avanti, sono azioni erronee e malsane.
La maggior parte delle nostre occupazioni sono da commedia. Mundus universus exercet histrioniam.I 25 Bisogna recitare a dovere la nostra parte, ma come parte d’un personaggio preso a prestito. Della maschera e dell’apparenza non bisogna farne un’essenza reale, né dell’estraneo il proprio. Non sappiamo distinguere la pelle dalla camicia. [C] È sufficiente infarinarsi il viso, senza infarinarsi il petto. [B] Vedo alcuni che si trasformano e si transustanziano in altrettante nuove figure, e nuovi esseri, per quante cariche assumono. E che s’impretano fino al fegato e agli intestini. E si portano dietro la loro carica fin nella latrina. Io non posso insegnar loro a distinguere le scappellate che li riguardano da quelle che riguardano la loro funzione, o il loro seguito, o la loro mula. Tantum se fortunæ permittunt, etiam ut naturam dediscant.II 26 Essi gonfiano e ingrossano la loro anima e il loro discorrere naturale secondo l’altezza del loro seggio di magistrati. Il sindaco e Montaigne sono sempre stati due, con una ben netta divisione. Quando si è avvocato o finanziere non bisogna disconoscere la furfanteria che c’è in tali professioni. Un onest’uomo non è responsabile del vizio o della stoltezza del suo mestiere, e non deve per questo rifiutare di esercitarlo: è l’usanza del suo paese, e c’è dell’utile. Bisogna vivere del mondo e valersi di esso così come lo si trova. Ma il giudizio d’un imperatore dev’essere al di sopra del suo imperio, e guardarlo e considerarlo come un accidente estraneo. Ed egli deve saper godere di sé a parte, e manifestarsi come Giacomo e Pietro, almeno a se stesso.
Io non so impegnarmi così profondamente e così per intero. Quando la mia volontà mi spinge a un partito, non è con un attaccamento così violento che il mio intendimento se ne infetti. Nei torbidi attuali di questo Stato, il mio interesse non mi ha fatto disconoscere né le qualità lodevoli nei nostri avversari, né quelle che sono biasimevoli in coloro che ho seguito. [C] Essi adorano tutto ciò che si trova dalla loro parte: io non giustifico neppure la maggior parte delle cose che vedo dalla mia. Una buona opera non perde le sue qualità perché perora contro la mia causa. [B] Fuor che per il nocciolo della questione, mi son mantenuto equanime e assolutamente indifferente. [C] Neque extra necessitates belli præcipuum odium gero.I 27 [B] Del che mi congratulo con me stesso, poiché vedo che generalmente si sbaglia in senso contrario. [C] Utatur motu animi qui uti ratione non potest.II 28 [B] Quelli che estendono la collera e l’odio al di là degli affari, come fanno i più, dimostrano che tali sentimenti derivano loro da qualcos’altro e da una causa privata. Proprio come in chi, guarito di un’ulcera, la febbre che dura ancora dimostra che aveva un’altra origine più nascosta. [C] Ciò perché essi non ce l’hanno con la causa generale, e in quanto essa ferisce l’interesse di tutti e dello Stato. Ma la detestano solo in quanto li danneggia nei loro interessi privati. Ecco perché ci si rodono con passione personale, e al di là della giustizia e della ragione pubblica. Non tam omnia universi quam ea quæ ad quemque pertinent singuli carpebant.III 29 [B] Io voglio che il vantaggio sia dalla nostra parte, ma non m’infurio se non lo è. [C] Mi attacco saldamente al più sano dei partiti, ma non mi picco che mi si consideri particolarmente nemico degli altri, e al di là della ragione generale. Accuso in modo assoluto questo modo di opinare vizioso: «Costui appartiene alla Ligue, perché ammira le belle doti del signore di Guisa». «L’attività del re di Navarra lo entusiasma, è ugonotto». «Trova da ridire sui costumi del re, è sedizioso nell’intimo». E non concessi neppure al magistrato di aver avuto ragione nel condannare un libro perché aveva collocato fra i migliori poeti di questo secolo un eretico.30 Non oseremmo dire di un ladro che ha una bella gamba? E se una è puttana, bisogna che sia anche puzzolente? Se hanno preso in odio un avvocato, l’indomani gli diventa ineloquente. Ho parlato altrove31 dello zelo che spinse degli uomini dabbene a errori simili. Per quanto mi riguarda, so ben dire: «Fa male in questo, e bene in quest’altro». Allo stesso modo, nelle previsioni o negli esiti sfavorevoli delle imprese, vogliono che ciascuno, nel proprio partito, sia cieco ed ebete: che la nostra convinzione e il nostro giudizio serva non alla verità, ma alla mira del nostro desiderio. Io peccherei piuttosto nel senso opposto, tanto temo che il mio desiderio mi sobilli. Si aggiunga che non diffido abbastanza delle cose che desidero. Ho visto al tempo mio casi strabilianti per la soverchia e prodigiosa facilità dei popoli a lasciar menare e manovrare la propria fede e speranza nel senso che piaceva e serviva ai loro capi, nonostante cento delusioni una dopo l’altra, nonostante i fantasmi e i sogni. Non mi stupisco più di quelli che furono messi nel sacco dagli stratagemmi di Apollonio32 e di Maometto. Il loro buon senso e intelletto è interamente soffocato dalla passione. Il loro discernimento non ha più altra scelta che quella che sorride e conforta la loro causa. Avevo notato questo specialmente nel primo dei nostri partiti tanto accesi.33 L’altro34 che è nato dopo, imitandolo lo supera. Per cui penso che sia una caratteristica inseparabile dagli errori popolari. Dietro alla prima che parte, le opinioni si spingono a vicenda seguendo il vento come le onde. Non si appartiene a un corpo se si può staccarsene, se non ci si abbandona all’andazzo comune. Ma certo si fa torto ai partiti giusti quando si vuol soccorrerli con le furfanterie. Io vi sono sempre stato contrario. Questo mezzo non riesce che con i cervelli malati: per quelli sani ci sono strade più sicure, e non solo più oneste, per sostenere i cuori e giustificare gli accidenti contrari. [B] Il cielo non ha visto discordia più grave di quella di Cesare e Pompeo, e non ne vedrà in futuro. Tuttavia mi sembra di scorgere in quei begli animi una gran moderazione nei confronti l’uno dell’altro. Era una rivalità d’onore e di comando, che non li trascinò a un odio furioso e sfrenato, senza malvagità e senza denigrazione. Nelle loro più aspre contese scopro qualche resto di rispetto e di benevolenza; e ritengo che se fosse stato loro possibile, ognuno dei due avrebbe desiderato fare il fatto suo senza rovinare il proprio compagno, piuttosto che rovinandolo. Quanto diversamente stanno le cose fra Mario e Silla: poneteci mente.
Non bisogna precipitarsi così perdutamente dietro ai nostri affetti e interessi. Come da giovane mi opponevo al progresso dell’amore che sentivo guadagnar troppo terreno su di me, e studiavo che non mi fosse tanto gradito da arrivare infine a forzarmi e farmi schiavo in sua completa mercé, faccio lo stesso in tutte le altre occasioni in cui la mia volontà s’impegna con troppo slancio: mi piego in senso contrario alla sua inclinazione, quando la vedo immergersi e inebriarsi nel suo vino. Rifuggo dall’alimentare il suo piacere a tal punto da non poter più distogliernela senza perdita sanguinosa. Gli animi che per stoltezza non vedono le cose che a metà, godono di questa fortuna, che quelle nocive li feriscono meno. È una lebbra spirituale35 che ha qualche sembianza di salute; e salute tale che la filosofia non la disprezza del tutto. Tuttavia non è giusto chiamarla saggezza, cosa che facciamo spesso. E in questa maniera un tale in antico si burlò di Diogene, che andava abbracciando in pieno inverno, tutto nudo, un pupazzo di neve, per provare la propria resistenza. Quello, trovandolo in tale positura: «Hai molto freddo in questo momento?» gli chiese. «Niente affatto» risponde Diogene. «E allora», proseguì l’altro «che cosa pensi di fare di difficile e di esemplare rimanendo costì?»36 Per misurare la resistenza, bisogna necessariamente conoscere la sofferenza. Ma gli animi che dovranno sperimentare gli eventi contrari e le ingiurie della fortuna nella loro profondità e asprezza; che dovranno pesarle e assaporarle nella loro acerbità naturale e nella loro gravezza, usino la loro arte a guardarsi dall’incorrer nelle cause, e ne evitino le occasioni. È quel che fece il re Coti: pagò generosamente il bello e ricco vasellame che gli era stato offerto; ma poiché era straordinariamente fragile, lo ruppe immediatamente lui stesso, per togliersi in tempo una così facile occasione di collera contro i suoi servi.37 [C] Allo stesso modo io ho spesso evitato che i miei affari fossero confusi con quelli dei miei parenti e di coloro ai quali sono unito da una stretta amicizia, e non ho cercato che i miei beni fossero contigui ai loro, poiché da questo nascono di solito ragioni di allontanamento e dissenso. [B] Mi piacevano una volta i giochi d’azzardo con le carte e i dadi; me ne sono liberato, molto tempo fa, soltanto per questo, che per quanto facessi buon viso quando perdevo, non mancavo di provarne dentro una puntura. Un uomo d’onore, che deve sentire una mentita e un’offesa fin nell’intimo, [C] che non è tale da accontentarsi d’una sciocchezza a titolo d’indennizzo e di consolazione della sua sconfitta, [B] eviti di addentrarsi in affari dubbi e in dispute controverse. Io fuggo le nature tristi e gli uomini litigiosi come gli appestati. E negli argomenti che non posso trattare senza interesse e senza emozione, non m’immischio, se il dovere non mi ci costringe. Melius non incipient, quam desinent.I 38 Il modo più sicuro è dunque prepararsi per tempo alle circostanze.
So bene che alcuni saggi hanno preso un’altra strada, e non hanno avuto paura di attaccarsi e impegnarsi fino in fondo in diverse cose. Queste persone si fidano della propria forza, sotto la quale si mettono al riparo da ogni sorta di casi contrari, facendo combattere i mali dal vigore della pazienza:
velut rupes vastum quæ prodit in æquor,
Obvia ventorum furiis, expostaque ponto,
Vim cunctam atque minas perfert cælique marisque,
Non attacchiamo questi esempi: non ci arriveremmo. Essi si ostinano a guardare risolutamente e senza turbarsi la rovina del proprio paese, che dominava e comandava tutta la loro volontà. Per noi animi comuni, è cosa in cui c’è troppo sforzo e troppa durezza. Catone abbandonò per questo la vita più nobile che mai sia stata. Noialtri dappoco, bisogna fuggire la tempesta più da lontano. Bisogna provvedere alla sensibilità, non alla resistenza, e schivare i colpi che non sapremmo parare. [C] Zenone, vedendo avvicinarsi Cremonide, giovine che egli amava, con l’intenzione di sederglisi accanto, si alzò subito. E domandandogliene Cleante la ragione: «Sento» disse «che i medici ordinano soprattutto la calma, e per qualsiasi tumescenza vietano l’emozione».40 [B] Socrate non dice: non cedete alle attrattive della bellezza, resistetele, sforzatevi in senso contrario. «Fuggitela», dice, «correte lontano dai suoi occhi e dal suo cammino, come da un veleno potente che schizza e colpisce da lontano».41 [C] E il suo buon discepolo,42 inventando o raccontando, ma secondo me raccontando più che inventando, le rare perfezioni di quel gran Ciro, lo presenta dubbioso delle proprie forze a sostenere le lusinghe della divina bellezza di quella famosa Pantea, sua prigioniera, tanto da incaricare di visitarla e custodirla un altro che avesse meno libertà di lui. [B] E lo Spirito Santo allo stesso modo, ne nos inducas in tentationem.II 43 Noi non preghiamo perché la nostra ragione non sia combattuta e vinta dalla concupiscenza, ma perché non sia nemmeno messa a tale prova: perché non siamo neppure condotti al punto di dover sopportare gli approcci, le sollecitazioni e le tentazioni del peccato. E supplichiamo Nostro Signore di tener la nostra coscienza tranquilla, pienamente e perfettamente libera dal contatto col male.
[C] Quelli che dicono di aver ragione nella loro passione di vendetta o in qualche altra specie di passione tormentosa, dicono spesso in verità come sono le cose, ma non come furono. Parlano a noi quando le cause del loro errore sono alimentate e portate avanti da loro stessi. Ma tornate più indietro, richiamate queste cause al loro principio: là li coglierete alla sprovvista. Vogliono che il loro errore sia minore perché è più vecchio? e che sia giusta la conseguenza d’un ingiusto principio? [B] Chi auspica il bene del proprio paese, come me, senza per questo esacerbarsi o dimagrire, sarà dispiaciuto ma non sbigottito nel vederlo minacciare o la propria rovina o una durata non meno rovinosa. Povero vascello, che i flutti, i venti e il nocchiero trascinano qua e là con disegni così contrari:
in tam diversa magister,
Chi non si strugge dietro il favore dei principi come dietro cosa di cui non potrebbe fare a meno, non si duole gran che della freddezza della loro accoglienza e del loro volto, né della volubilità dei loro sentimenti. Chi non cova i figli o gli onori con un attaccamento da schiavo, non cessa di vivere comodamente dopo averli perduti. Chi agisce bene soprattutto per sua propria soddisfazione, non si irrita vedendo gli uomini giudicare le sue azioni contrariamente al merito. Un quarto d’oncia di pazienza ovvia a tali inconvenienti. Io sono soddisfatto di questa ricetta, liberandomi dei primi sintomi nel miglior modo che posso, e sento di esser scampato per mezzo suo a molti affanni e difficoltà. Con pochissimo sforzo freno quel primo impulso delle mie emozioni, e abbandono l’oggetto che comincia a pesarmi e prima che mi trascini. [C] Chi non frena la partenza non è in grado di frenare la corsa. Chi non sa chiuder loro la porta non le caccerà una volta che saranno entrate. Chi non riesce ad averla vinta all’inizio non l’avrà vinta alla fine. E non ne sosterrà la caduta chi non ha potuto sostenerne l’urto. Etenim ipsæ se impellunt, ubi semel a ratione discessum est: ipsaque sibi imbecillitas indulget, in altumque provehitur imprudens, nec reperit locum consistendi.II 45 [B] Io avverto in tempo i venticelli che vengono a tentarmi e mormorarmi nell’intimo, forieri di tempesta: [C] Animus, multo antequam opprimatur, quatitur.III 46
[B]ceu flamina prima
Cum deprensa fremunt sylvis, et cæca volutant
Murmura, venturos nautis prodentia ventos.IV 47
Quante volte mi son fatto un’ingiustizia ben evidente per fuggire il rischio di riceverne una ancora peggiore dai giudici, dopo un secolo di fastidi e di sporche e vili pratiche, più contrarie alla mia natura di quanto lo siano la tortura e il fuoco? [C] Convenit a litibus quantum licet, et nescio an paulo plus etiam quam licet, abhorrentem esse. Est enim non modo liberale, paululum nonnunquam de suo iure decedere sed interdum etiam fructuosum.I 48 Se fossimo veramente saggi dovremmo rallegrarci e vantarci, come ho sentito un giorno un rampollo di nobile casato far festa assai ingenuamente con tutti perché sua madre aveva perso un processo, come se si fosse trattato della tosse, della febbre o di altra cosa fastidiosa ad aversi. Perfino i favori che la fortuna poteva avermi concesso, parentele e relazioni con coloro che hanno autorità suprema in tali cose, ho fatto molto secondo la mia coscienza per evitar accuratamente di servirmene a pregiudizio di altri, e di far salire i miei diritti al di sopra del loro giusto valore. Infine [B] ho tanto fatto con i miei sforzi, per buona sorte posso dirlo, che eccomi qui ancora vergine di processi: che si sono presentati a più riprese a me favorevoli, a giustissimo titolo, se avessi voluto porgervi ascolto. E vergine di liti. Ho passato ormai una lunga vita senza aver subito o arrecato offese notevoli, e senza esser stato ingiuriato: rara grazia del cielo.
Le nostre più grandi agitazioni hanno impulsi e cause ridicole. A qual rovina andò incontro il nostro ultimo duca di Borgogna per la questione d’un carretto di pelli di montone!49 E l’incisione d’un sigillo non fu forse la prima e principale cagione del più orribile sconvolgimento che questa macchina abbia mai sofferto?50 Infatti Pompeo e Cesare non sono che gli eredi e la discendenza degli altri due. E ho visto al tempo mio i più savi cervelli di questo regno riuniti, con gran cerimonia e spesa pubblica, per trattati e accordi in cui la vera decisione dipendeva tuttavia con assoluta preminenza dai discorsi del salotto delle dame e dall’opinione di qualche donnetta. [C] Hanno ben capito questo i poeti, che hanno messo la Grecia e l’Asia a ferro e a fuoco per una mela. [B] Guardate perché quello se ne va a mettere a rischio il proprio onore e la propria vita, con la spada e il pugnale; che vi dica qual è l’origine di quella disputa: non può farlo senza arrossire, tanto frivola ne è la causa. All’inizio occorre solo un po’ d’accortezza, ma dopo che vi siete imbarcato tutte le corde tirano. C’è bisogno di grandi provvigioni, ben più difficili e importanti. [C] Quanto è più agevole non entrarvi che uscirne! [B] Ora, bisogna procedere al contrario della canna, che produce di getto uno stelo lungo e dritto; ma dopo, come se si fosse indebolita e avesse perso lena, si mette a fare nodi frequenti e fitti: come delle pause, che indicano che non ha più quel primitivo vigore e resistenza. Bisogna piuttosto cominciare con calma e freddezza, e serbare la lena e gli slanci vigorosi per il culmine e il perfezionamento dell’opera. Noi guidiamo gli affari agli inizi e li teniamo in pugno: ma poi, quando sono avviati, sono loro che ci guidano e ci trascinano, e dobbiamo seguirli. [C] Tuttavia non vuol dire che quest’avvertenza mi abbia liberato da ogni difficoltà, e che non abbia spesso dovuto faticare per dominare e frenare le mie passioni. Non sempre esse si governano alla stregua delle occasioni, e spesso i loro stessi inizi sono aspri e violenti. Tant’è: se ne ricava pur sempre un bel risparmio e del frutto, salvo per quelli che nell’agir bene non si appagano di alcun frutto, se non è accompagnato da una certa reputazione. Infatti, in verità, tale risultato vale ad ognuno solo per sé. Ne siete più contento, ma non più stimato, essendovi emendato prima d’essere in ballo e prima che la cosa fosse visibile. Tuttavia, non in questo soltanto, ma in tutti gli altri doveri della vita, la strada di coloro che mirano all’onore è ben diversa da quella che seguono coloro che si propongono l’ordine e la ragione.
[B] Ne vedo alcuni che si mettono in lizza sconsideratamente e furiosamente, per rallentare poi nella corsa. Come Plutarco dice51 che quelli che per il difetto di una male intesa vergogna, sono docili e facili a concedere qualsiasi cosa si domandi loro, sono facili poi a mancar di parola e a disdirsi: allo stesso modo chi entra in lite con leggerezza è soggetto a uscirne con altrettanta leggerezza. La stessa difficoltà che mi trattiene dall’iniziarla m’inciterebbe quando mi ci fossi infervorato e accalorato. È una cattiva condotta: quando ci siamo, bisogna andare avanti o crepare. [C] «Cominciate fiaccamente», diceva Biante «ma proseguite ardentemente».52 [B] Da mancanza di prudenza si cade in mancanza di coraggio, cosa ancor meno sopportabile. La maggior parte delle composizioni delle nostre vertenze di oggi sono vergognose e menzognere. Cerchiamo solo di salvare le apparenze, e intanto tradiamo e sconfessiamo le nostre vere intenzioni. Mascheriamo il fatto: sappiamo come l’abbiamo detto e in che senso, e i presenti lo sanno, e i nostri amici, ai quali abbiamo voluto far noto il nostro vantaggio. È a spese della nostra franchezza e dell’onore del nostro coraggio sconfessare il nostro pensiero e cercar sotterfugi nella falsità per metterci d’accordo. Smentiamo noi stessi per convalidare una smentita che abbiamo dato. Non bisogna guardare se la vostra azione o la vostra parola può avere un’altra interpretazione: è la vostra vera e sincera interpretazione che bisogna ormai mantenere, per quanto vi costi. Si parla alla vostra virtù e alla vostra coscienza: non sono cose da mettere in maschera. Lasciamo questi mezzi vili e questi espedienti ai cavilli del tribunale. Le scuse e le riparazioni che vedo fare ogni giorno per rimediare agli eccessi mi sembrano più turpi degli eccessi stessi. Sarebbe meglio offenderlo un’altra volta che offender se stesso facendo tale ammenda al proprio avversario. L’avete ingiuriato, spinto dalla collera, e andate a calmarlo e lusingarlo a mente fredda e in tutto il vostro senno: così vi sottomettete più di quanto vi siate ribellato. Non trovo alcuna affermazione tanto riprovevole in un gentiluomo quanto mi sembra vergognosa per lui la ritrattazione, quando è una ritrattazione che gli sia strappata d’autorità. Tanto più che l’ostinazione è in lui più scusabile della pusillanimità.
Le passioni mi sono tanto facili da evitare come difficili da moderare. [C] Abscinduntur facilius animo quam temperantur.I 53 [B] Chi non può raggiungere quella nobile impassibilità stoica, si salvi nel grembo di questa mia ottusità popolaresca. Ciò che quelli facevano per virtù, io m’ingegno di farlo per natura. La regione mediana alberga le tempeste: le due estreme, degli uomini filosofi e degli uomini campagnoli, coincidono in tranquillità e felicità,
Fælix qui potuit rerum cognoscere causas
Atque metus omnes et inexorabile fatum
Subiecit pedibus, strepitumque Acherontis avari.
Fortunatus et ille Deos qui novit agrestes,
Panaque, sylvanumque senem, nymphasque sorores.II 54
Di tutte le cose la nascita è debole e molle. Perciò bisogna avere gli occhi aperti all’inizio. Infatti come allora nella sua piccolezza non se ne vede il pericolo, quando è cresciuto non se ne vede più il rimedio. Avrei incontrato sulla strada dell’ambizione un milione di traversie ogni giorno più difficili da digerire di quanto mi sia stato difficile fermare l’inclinazione naturale che mi ci spingeva:
iure perhorrui
Late conspicuum tollere verticem.I 55
Tutte le azioni pubbliche sono soggette a incerte e diverse interpretazioni, perché troppi cervelli le giudicano. Alcuni dicono di quel mio incarico di sindaco (e sono contento di dirne una parola, non perché ne valga la pena, ma perché serva di dimostrazione dei miei costumi in queste cose) che mi ci sono comportato da uomo che si scuote troppo mollemente e con blanda partecipazione. E non sono del tutto lontani dal vero. Cerco di tenere tranquilli la mia anima e i miei pensieri, [C] cum semper natura, tum etiam ætate iam quietus.II 56 [B] E se si lasciano andare talvolta a qualche emozione forte e penetrante, in verità è senza il mio volere. Da questa accidia naturale non si deve tuttavia trarre alcuna prova d’impotenza, poiché mancanza d’impegno e mancanza d’ingegno sono due cose diverse. E ancor meno di disconoscenza e ingratitudine verso questo popolo che impiegò tutti quanti i mezzi che ebbe a disposizione per gratificarmi, e prima di avermi conosciuto e dopo. E fece molto di più per me rinnovandomi la carica che dandomela la prima volta. Io gli voglio tutto il bene possibile. E certo, se se ne fosse presentata l’occasione, non c’è nulla che avrei risparmiato per servirlo. Mi son dato da fare per lui come faccio per me. È un buon popolo, guerriero e generoso, capace tuttavia di obbedienza e di disciplina, e di servire a qualche buono scopo se vi è ben guidato.
Dicono anche che questa mia carica è passata senza cose notevoli e senza lasciar traccia. Questa è bella! Si accusa la mia inattività in un tempo in cui quasi tutti erano accusati di far troppo. Io agisco con impeto quando la volontà mi spinge. Ma questo slancio è nemico della perseveranza. Chi vorrà servirsi di me secondo la mia natura, mi dia degli incarichi dove ci sia bisogno di vigore e di franchezza, la cui condotta sia dritta e breve, e perfino rischiosa: potrò ottenere qualche risultato. Se dev’essere lunga, sottile, laboriosa, artificiosa e contorta, sarà meglio che si rivolga a qualcun altro. Non tutte le cariche importanti sono difficili. Io ero pronto a impegnarmi un po’ più a fondo, se ce ne fosse stato un gran bisogno. Infatti è in mio potere far qualcosa di più di quel che faccio e che mi piace fare. Non tralasciai, che io sappia, alcuna azione che il dovere mi richiedesse sul serio. Facilmente ho trascurato quelle che l’ambizione mescola al dovere e copre col suo nome. Sono quelle che riempiono più spesso gli occhi e gli orecchi, e contentano gli uomini. Non la cosa, ma l’apparenza li appaga. Se non sentono rumore, gli sembra che si dorma. La mia indole è il contrario d’un’indole rumorosa. Fermerei certo una sommossa senza sommuovermi, e punirei un disordine senza scompormi. Ho bisogno di collera e di furore? Li prendo a prestito e me ne maschero. I miei costumi sono miti, piuttosto dolci che forti. Non accuso un magistrato che dorme, purché quelli che sono sotto la sua autorità dormano con lui. Le leggi dormono anch’esse.57 Per quanto mi riguarda, approvo una vita liscia, oscura e muta, [C] neque submissam et abiectam, neque se efferentem.I 58 [B] La mia sorte vuole così. Sono nato in una famiglia che si è mantenuta senza splendore e senza disordine, e da lunga data particolarmente ambiziosa di probità. I nostri uomini sono così avvezzi all’agitazione e all’ostentazione che la bontà, la moderazione, l’equanimità, la costanza e tali qualità quiete e nascoste non si avvertono più. I corpi scabrosi si sentono, quelli levigati si maneggiano senza accorgersene. La malattia si sente, la salute poco o punto. E neppure le cose che ci ungono, in confronto a quelle che ci pungono. È agire per la propria reputazione e il proprio interesse particolare, non per il bene, rinviar di fare in pubblico quello che si può fare nella camera del consiglio, e in pieno mezzogiorno quello che si poteva fare la notte precedente. E piccarsi di fare di persona quello che il nostro compagno fa altrettanto bene. Così alcuni cerusici di Grecia facevano le operazioni della loro arte su di un palco davanti agli occhi dei passanti, per procacciarsi più lavoro e clientela.59 Pensano che i buoni regolamenti non possano essere intesi se non sono strombazzati.
L’ambizione non è un vizio da uomini dappoco e per possibilità come le nostre. Si diceva ad Alessandro: «Vostro padre vi lascerà un grande impero, calmo e pacifico».60 Quel ragazzo era geloso delle vittorie di suo padre e della giustizia del suo governo. Non avrebbe voluto godere l’impero del mondo mollemente e placidamente. [C] Alcibiade, in Platone, preferisce morire giovane, bello, ricco, nobile, dotto quant’altri mai piuttosto che rimanere a quel punto.61 [B] Questa malattia è forse scusabile in un’anima così forte e ricca. Quando queste animucce nane e meschine vanno pavoneggiandosi e pensano di diffondere il loro nome per aver giudicato un affare secondo giustizia o regolato i turni delle guardie a una porta di città, mostrano il culo quanto più sperano di alzare la testa. Questo minuto ben fare non ha corpo né vita. Svanisce sulla prima bocca e non gira che da un crocicchio all’altro. Parlatene pure con vostro figlio e col vostro servo, come quell’antico che non avendo altri che ascoltasse le sue lodi e riconoscesse il suo valore, si vantava con la sua cameriera, esclamando: «O Pierina, che uomo onesto e valente hai per padrone!»62 Parlatene a voi stesso, alla peggio: come un consigliere di mia conoscenza, che avendo sciorinato una tiritera di paragrafi con uno sforzo estremo e altrettanta inutilità, ritiratosi dalla camera del consiglio nell’orinatoio del palazzo, fu udito borbottar fra i denti, con perfetta convinzione: Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.I 63 Chi non può pagarsi con altre borse, si paghi con la sua. La fama non si prostituisce a un prezzo così basso. Le azioni rare ed esemplari, alle quali è dovuta, non sopporterebbero la compagnia di questa folla innumerevole di piccole azioni quotidiane. Il marmo innalzerà i vostri meriti quanto vi piacerà, perché avrete fatto rabberciare un pezzo di muro o ripulire un rigagnolo pubblico: ma non gli uomini che hanno senno. La rinomanza non segue ogni buona azione, se non vi è congiunta la difficoltà e la straordinarietà. E nemmeno la semplice stima è dovuta ad ogni azione che nasce dalla virtù, secondo gli stoici.64 E non vogliono neppure che si consideri con rispetto colui che per temperanza si astiene da una vecchia cisposa. [C] Quelli che hanno conosciuto le mirabili qualità di Scipione Africano negano la gloria che gli attribuisce Panezio65 per essersi astenuto dai doni, come gloria non tanto sua propria quanto di tutta la sua epoca. [B] Noi abbiamo piaceri convenienti alla nostra sorte: non usurpiamo quelli della grandezza. I nostri sono più naturali. E tanto più solidi e sicuri quanto più bassi. Se non è per coscienza, rifiutiamo l’ambizione almeno per ambizione. Disdegniamo questa fame di rinomanza e di onore, bassa e birbona, che ce li fa accattare da ogni sorta di gente, [C] quæ est ista laus quæ possit e macello peti?II 66 [B] con mezzi abietti e a qualunque vil prezzo. È un disonore essere onorato così. Impariamo a non essere più avidi di gloria di quanto ne siamo capaci. Gonfiarsi di ogni azione utile e innocente è cosa da persone per le quali essa è straordinaria e rara. Vogliono metterla al prezzo che costa a loro. Quanto più una buona azione è risplendente, io detraggo dalla sua bontà il sospetto che mi viene che sia stata fatta più perché era risplendente che perché era buona. Messa in mostra, è mezzo venduta. Hanno molto più merito quelle azioni che sfuggono dalla mano di chi le fa con noncuranza e senza rumore, e che qualche galantuomo in seguito sceglie e toglie dall’ombra per portarle alla luce per quello che sono. [C] Mihi quidem laudabiliora videntur omnia, quæ sine venditatione et sine populo teste fiunt,I 67 dice il più borioso uomo del mondo.
[B] Io dovevo solo conservare e continuare, che sono azioni sorde e impercepibili. L’innovazione è di gran lustro. Ma è vietata in quest’epoca in cui siamo oppressi, e dobbiamo soltanto difenderci dalle novità. [C] L’astenersi dal fare è spesso altrettanto generoso del fare, ma è meno in luce. E quel poco che valgo è quasi tutto in tal senso. [B] Insomma: le circostanze, in questa carica, hanno secondato la mia indole; del che sono loro assai grato. C’è forse qualcuno che desidera esser malato per vedere il suo medico all’opera? E non bisognerebbe fustigare il medico che ci augurasse la peste per mettere in pratica la sua arte? Sono stato immune da quella tendenza iniqua e abbastanza comune di desiderare che il disordine e la corruzione degli affari di questa città innalzasse e onorasse il mio governo. Ho offerto di buon cuore il mio appoggio alla loro agevolezza e facilità. Chi non vorrà essermi grato dell’ordine, della dolce e silenziosa tranquillità che ha accompagnato la mia amministrazione, non può privarmi almeno della parte che me ne spetta a motivo della mia buona fortuna. E son fatto in modo che mi piace esser felice quanto esser saggio, e dovere i miei successi esclusivamente alla grazia di Dio quanto all’intervento della mia opera. Avevo abbastanza eloquentemente dichiarato a tutti la mia incompetenza in tali maneggi pubblici. E c’è in me peggio dell’incompetenza: cioè che essa non mi dispiace e che non cerco affatto di guarirla, visto il genere di vita che mi sono proposto. In questa faccenda non ho soddisfatto neppure me stesso. Ma sono arrivato pressappoco a ciò che mi ero ripromesso, e ho superato di molto quello che avevo promesso a coloro con i quali avevo a che fare. Infatti prometto volentieri un po’ meno di quel che posso, e di quello che spero di mantenere. Ho fiducia di non aver lasciato né offesa né odio. Quanto al lasciar rimpianto e desiderio di me, son certo almeno di questo, che non l’ho ricercato gran che.
mene huic confidere monstro,
Mene salis placidi vultum fluctusque quietos
I nemico delle preoccupazioni, nato per l’ozio tranquillo
I [Montaigne traduce questa frase dopo averla citata]
II cammini su un fuoco nascosto da una cenere ingannevole
I l’uno e l’altro buoni amministratori in pace e valorosi in guerra
I Sono degli ignoranti che giudicano, e bisogna spesso ingannarli per impedir loro di sbagliare
II Sappiate che chi è amico di se stesso è amico di tutti
III io stesso non esiterei a morire per i miei cari amici o per la patria
I l’impetuosità rende sempre cattivi servizi
I [Montaigne traduce queste frasi rispettivamente dopo e prima delle citazioni]
I Infatti, se l’uomo si accontentasse di ciò che gli basta, io avrei abbastanza: ma poiché non è così, come possiamo credere che le ricchezze, per grandi che siano, possano mai soddisfarmi?
II La natura provvede alle proprie esigenze
III A che mi serve la fortuna, se non posso goderne?
I Il mondo intero recita la commedia
II Si abbandonano alla loro fortuna al punto di dimenticarne la natura
I E al di fuori delle necessità della guerra non nutro alcun odio particolare
II Colui che non può seguire la ragione, segua la passione
III Non erano tutti d’accordo nel criticare tutto, ma ognuno criticava ciò che lo interessava personalmente
I È meglio non cominciare che fermarsi
I come una roccia che si leva al largo, opponendosi alla furia del vento ed esposta ai flutti, sostiene l’assalto e le minacce del cielo e del mare, rimanendo incrollabile
II e non ci indurre in tentazione
I [Montaigne traduce questi versi prima di citarli]
II Perché le passioni si spingono innanzi da sole, una volta che ci si è allontanati dalla ragione: la debolezza umana si abbandona a se stessa, avanza imprudentemente verso il mare alto e non trova più un luogo per gettar l’àncora
III L’anima è scossa molto prima di esser vinta
IV come il vento, debole ancora, si agita nella foresta e freme e si gonfia in sordi mormorii che annunciano ai marinai la tempesta vicina
I Si devono evitare le liti quanto si può, e anche un po’ più di quanto si può. È non solo nobile, ma talvolta anche vantaggioso, abbandonare un po’ dei propri diritti
I È più facile strapparle dall’anima che tenerle a freno
II Felice colui che ha potuto conoscere le cause delle cose e calpestare tutte le paure, il destino inesorabile e lo strepito dell’avaro Acheronte. E fortunato colui che conosce gli dèi campestri, Pan e il vecchio silvano e le Ninfe sorelle
I giustamente ho avuto in orrore di levar alta la testa e attirar da lontano gli sguardi
II Sempre calmo per natura, e ancor più oggi, per la mia età
I né bassa e vile, né tracotante
I Non darne gloria a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome
II che cos’è questa gloria che si può trovare al mercato?
I A me sembrano più lodevoli le cose che si fanno senza ostentazione e lontano dagli occhi della gente
I ch’io mi affidi a questo prodigio e mi lasci ingannare dal placido volto del mare e dai flutti tranquilli?