CAPITOLO XVI
Della punizione della codardia
[A] Ho udito una volta un principe e grandissimo capitano sostenere che un soldato non dovrebbe essere condannato a morte per vigliaccheria, quando gli fu raccontato, a tavola, il processo del signor de Vervins, che era stato condannato a morte per aver consegnato Boulogne.1 In verità, è giusto che si faccia grande differenza fra le colpe che derivano dalla nostra debolezza e quelle che derivano dalla nostra malizia. In queste infatti ci siamo opposti coscientemente alle regole della ragione, che la natura ha impresso in noi; e in quelle, sembra che potremmo chiamare a garante questa medesima natura, che ci ha lasciato in tale imperfezione e deficienza: sicché molte persone hanno pensato che non si potesse farci colpa se non di ciò che facciamo contro la nostra coscienza. E su questa regola è in parte fondata l’opinione di coloro che disapprovano2 le punizioni capitali degli eretici e dei miscredenti, e quella che stabilisce che un avvocato e un giudice non possano essere incolpati se hanno mancato per ignoranza nell’adempimento della loro carica.
Ma quanto alla codardia, è certo che il modo più comune è di castigarla con l’onta e l’ignominia. E si ritiene che questa regola sia stata per la prima volta messa in uso dal legislatore Caronda,3 e che prima di lui le leggi di Grecia punissero con la morte quelli che erano fuggiti da una battaglia. Mentre egli si limitò a ordinare che dovessero star seduti per tre giorni in mezzo alla pubblica piazza, vestiti con abiti da donna, sperando di poter ancora servirsi di loro dopo avergli fatto tornare il coraggio per mezzo di quest’onta. Suffundere malis hominis sanguinem quam effundere.I 4 Sembra anche che le leggi romane nell’antichità condannassero a morte quelli che erano fuggiti. Infatti Ammiano Marcellino5 racconta che l’imperatore Giuliano condannò dieci dei suoi soldati, che avevano voltato le spalle in una carica contro i Parti, ad essere degradati e poi a subire la morte secondo, egli dice, le antiche leggi. Tuttavia altrove, per una colpa simile, si limitò a condannarne altri a stare fra i prigionieri nei reparti delle salmerie. [C] L’aspra condanna del popolo romano contro i soldati scappati a Canne, e in quella stessa guerra contro quelli che furono compagni di Cn. Fulvio nella sua disfatta, non arrivò fino alla morte.6 Eppure c’è da temere che la vergogna li renda disperati e non soltanto indifferenti, ma nemici. [A] Al tempo dei nostri padri il signor de Franget, già luogotenente della compagnia del signor maresciallo de Châtillon, essendo stato nominato dal signor maresciallo de Chabannes governatore di Fuenterrabia al posto del signor du Lude, e avendola consegnata agli Spagnoli, fu condannato ad essere privato della nobiltà e ad esser dichiarato, tanto lui che la sua posterità, plebeo, soggetto alla taglia e indegno di portare le armi. E questa dura sentenza fu eseguita a Lione.7 In seguito subirono una simile punizione tutti i gentiluomini che si trovarono in Guisa quando vi entrò il conte di Nassau; e in seguito altri ancora.
Tuttavia, quando si verificasse un’ignoranza o codardia tanto grossolana ed evidente da sorpassare tutte quelle abituali, sarebbe giusto ritenerla prova sufficiente di malvagità e di malizia, e punirla come tale.
I Fate salire il sangue al viso d’un uomo piuttosto che spargerlo