8 Primo termine di uno schema di opposizione articolato dalla correlazione ben… tuttavia… (in francese bien… mais…) con il secondo termine, alcune righe sotto, Tuttavia non si può non affermare che: Montaigne legittima così l’uso degli strumenti della ragione (mezzi naturali e umani) quali ausiliari della fede ispirata da Dio, senza riconoscere loro alcuna efficacia spirituale.
9 Gradazione discendente che va dai motivi intellettuali (ragionamento) di accettare i dogmi della chiesa ai motivi occasionali (mezzi umani), entrambi considerati indegni di un’autentica conversione.
10 Versi d’imitazione virgiliana tratti da un poema, In laudem Ronsardi, forse di Jean Dorat, inserito alla fine dei Discours (dopo la Réponse aux injures et calomnies) nell’edizione del 1567 delle opere di Ronsard. Questa citazione potrebbe valere come pegno di ortodossia.
11 Leggenda innestata sul testo di Joinville, Histoire de Saint Louis, XXIX (XIX nell’edizione D. Guillemot, 1609, che la riferisce, attribuendo però agli inviati dal papa presso il khan, la preoccupazione di evitare che gli ambasciatori tartari mandati a Lione vi scoprissero i disordini della cristianità).
12 Cfr. Boccaccio, Decamerone, I, 2.
13 Quintiliano, Institutio oratoria, XII, 11, 12. Si tratta di una citazione il cui significato è distorto: Quintiliano esortava alla fiducia – credere: credere a ciò che si fa – il discepolo preoccupato di doversi dedicare alla filosofia.
14 I cattolici avevano condannato ogni ribellione contro il re legittimo, qualunque ne fosse il motivo. Il loro atteggiamento cambia completamente quando Enrico III sembra fare il gioco di Enrico di Navarra, sicché nella giornata delle barricate, nel 1588, il re deve lasciare Parigi per sfuggire ai fautori della Lega; e dopo l’uccisione di Enrico III (1589) il partito cattolico giustifica il regicidio e predica la ribellione contro Enrico IV. Il partito protestante ha compiuto il cammino inverso nel corso degli stessi anni.
15 Diogene Laerzio, VI, 4.
16 Ibid., 39. Allegazione fuori del nostro discorso, ovvero pseudolapsus, di un sarcasmo applicabile alle dottrine cristiane, che promettevano la salvezza ai battezzati, ma destinavano alla dannazione tutti gli eroi pagani, poiché le loro virtù puramente umane non avevano alcun valore agli occhi di Dio.
17 Lucrezio, III, 613-615.
18 San Paolo, Epistole ai Filippesi, 1, 23 (cfr. cap. III, p. 641).
19 Cfr. Leggi, X, 888c, poi (egli proibisce) Repubblica, I, 380b e 391d.
20 Diogene Laerzio, IV, 54.
21 Suggerito forse da Platone, Leggi, X, 887d e Repubblica, I, 330d.
22 Epistole ai Romani, 1, 20.
23 Manilio, Astronomica, IV, 907-911.
24 È la dottrina tomista dei “preamboli della fede”. L’uomo può da solo, con il soccorso della sua ragione naturale, incamminarsi verso la fede, ma la raggiunge soltanto per mezzo di una grazia speciale di Dio.
25 Orazio, Epistole, I, 5, 6, parole rivolte a un commensale a proposito di vini.
26 Erodoto, VII, 10: proverbio citato da Artabane per dissuadere Serse dai suoi progetti di conquista. Montaigne l’avrebbe trovato nell’antologia di Stobeo.
27 San Pietro, Epistole, I, 5, 5. La presunzione (ce cuider) è la credenza illusoria e orgogliosa dell’uomo nelle sue capacità; conformemente alla tradizione agostiniana, Montaigne vi ritrova il motivo profondo del peccato originale. Il serpente dice ad Adamo ed Eva: “Voi sarete come gli dèi e avrete conoscenza del bene e del male”, Genesi, 3, 5.
28 Timeo, 51e.
29 Civitas Dei, XXI, 5, che riferisce di prodigi esotici, gli esempi rari evocati di seguito.
30 Ispirate a san Paolo, delle cui Epistole le righe che precedono trascrivono alcuni passi: Epistole ai Colossesi, 2, 8; Epistole ai Corinzi, 1, 3, 19 e 8, 2; Epistole ai Galati, 6, 3. Le ultime due massime erano iscritte sulle travi della biblioteca di Montaigne.
31 Cicerone, De natura deorum, II, 53.
32 Lucrezio, V, 1204-1206.
33 Manilio, Astronomica, III, 58. Montaigne sembra ammettere qui, forse per le esigenze della causa, il determinismo celeste, credenza accolta da numerosi umanisti del XVI secolo, così come, su più ampia scala, in III, VI, p. 1699 (quella grande congiunzione degli astri). Cfr. tuttavia le sue riserve sui pronostici degli astrologhi (I, XI).
34 Manilio, Astronomica, I, 62-65.
35 Ibid., I, 57 e IV, 93.
36 Ibid., I, 79-85 e 118. Quest’ultimo verso, nel contesto originale, concludeva un’argomentazione volta a mostrare che, benché fatali, i crimini sono condannabili (l’espressione expendere fatum significava “subire la morte”). Il montaggio operato da Montaigne gli attribuisce il senso riflessivo dato nella traduzione e anticipato qualche riga sopra: e questo stesso ragionamento che facciamo, cioè l’espressione vale per il contesto argomentativo stesso.
37 Cicerone, De natura deorum, I, 8, che reca tanti muneris.
38 Ibid., 31, dove l’esclamazione commenta un’affermazione di Epicuro ritenuta erronea.
39 Cfr. Diogene Laerzio, II, 8 (Anassagora) e Plutarco, De facie in orbe lunæ, XXIV, 937d e XXV, 940de.
40 Combinazione di due formule sapienziali, l’una pagana (Seneca, De ira, II, 10), l’altra biblica (Sapienza, 9, 15), mediante l’eliminazione di un inciso di separazione.
41 Il più basso nella cosmologia aristotelica e tolemaica adottata qui.
42 L’aerea, l’acquatica, la terrestre.
43 Politico, 272c.
44 Plinio, VI, 35, ma la fonte è piuttosto Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, XI, 1064bc.
45 Lucrezio, V, 1059-1061: bisogna leggere ciere al secondo verso.
46 Ibid., 1030-1031.
47 In italiano nel testo. Tasso, Aminta, II, 450-451.
48 Sono citati qui soltanto i gesti codificati isolatamente, ad esclusione delle mimiche occasionali e individuali da una parte, e dei sistemi artificiali di espressione gestuale dall’altra.
49 Plinio, VI, 35.
50 Plutarco, Apophthegmata Laconica, 415e.
51 La maggior parte dei seguenti esempi di comportamento animale è tolta dai trattati di Plutarco, De sollertia animalium, o utilizzato meno frequentemente, Bruta ratione uti. Altra fonte sono i libri VII, X e XXXII della Naturalis Historia di Plinio. I riferimenti precisi saranno forniti solo quando il testo li presenta con valore di testimonianza o quando si discosta sensibilmente dall’originale. Sulla funzione di questo bestiario nel contesto dell’argomentazione, cfr. infra, la Postilla per la lettura dell’Apologia.
52 Virgilio, Georgiche, IV, 219-221.
53 Lucrezio, V, 222-234, per confutare l’idea che il mondo sia organizzato provvidenzialmente a favore dell’uomo.
54 Plutarco, Vita di Licurgo, XXXIII.
55 Lucrezio, V, 1033.
56 Ibid., II, 1157-1161.
57 In italiano nel testo. Dante, Purgatorio, XXVI, 34-36.
58 Institutiones divinæ, III, 10. Gradazione rivelatrice dell’audacia: il riso, considerato da Aristotele una caratteristica dell’uomo e, secondo Plinio, segno dell’ingresso del neonato nell’universo sociale, è attribuito agli animali da un apologista dei primi secoli della Chiesa che rifiutava di riconoscere all’uomo altri privilegi che la conoscenza di Dio.
59 Ricerche sugli animali, IV, 536b.
60 Lucrezio, V, 1078, 1081, 1083-1084.
61 L’espressione rimanda all’Ecclesiaste, 9, 3, versetto la cui applicazione letterale è abbastanza diversa (si tratta di eventi che colpiscono in egual modo i giusti e gli ingiusti), ma che Montaigne interpreta seguendo 3, 19, identica è la sorte dell’uomo e quella della bestia. Su una delle travi della sua biblioteca era iscritta, con il medesimo riferimento, una formula latina corrispondente alla traduzione data qui (Omnium quæ sub sole sunt fortuna et lex par est. Eccl. IX).
62 Lucrezio, V, 876, dove si parla degli animali privi di difesa che hanno servito da preda fino all’estinzione della loro specie.
63 Ibid., 923-924.
64 Plutarco, De sollertia animalium, XIII, 969a, con le stesse congetture sui sillogismi della volpe.
65 Tibullo, I, 9, 21, Ure meum potius (bruciami piuttosto). Rivolgendosi a un amante incostante, il poeta preferisce all’abbandono i trattamenti destinati ai gladiatori. Montaigne ne ha tradotto supra il giuramento secondo Petronio, Satyricon, 117.
66 Erodoto, IV, 71-72.
67 Diogene Laerzio, VI, 75.
68 Giovenale, XIV, 74-75 e 81-82, sull’educazione paterna mediante l’esempio.
69 Plutarco, De sollertia animalium, XIII, 969b, che rifiuta tuttavia di ammettere che il cane scelga per deduzione.
70 L’umanista greco Giorgio di Trebisonda, i cui trattati di logica e di grammatica erano in uso nelle scuole nel XVI secolo.
71 De sollertia animalium, XIX, 973ef.
72 Si tratta di Arriano di Nicomedia, Historia indica, XIV, 5.
73 De sollertia animalium, XIX, 973cd.
74 Ibid., X, 967a.
75 Giovenale, XII, 107-110.
76 Nel 1562, a Rouen, secondo il capitolo Dei cannibali (I, XXXI, p. 389).
77 Marziale, IV, 30, 6-7.
78 Secondo Plutarco, De sollertia animalium, XI, 967e.
79 Tra gli altri Plinio, XXXII, 1, che cita la testimonianza di Caligola.
80 Lucrezio, IV, 1264-1267.
81 Ibid., 1269-1273.
82 Discorso riferito da Plutarco, De facie in orbe lunæ, XXV, 940d, ma da lui attribuito a Epimenide, uno dei sette sapienti.
83 Orazio, Satire, I, 2, 69, dove il poeta si fa interpellare dal suo membro virile: Numquid ego a te […] deposco? (Ti chiedo forse […]?). Montaigne adatta il testo alla sua frase: essa, cioè la natura, non chiede…
84 Questo esempio, come il precedente, è tratto da Plutarco, De sollertia animalium, XVIII, 972ef.
85 Cynegetica, I, 236-269, dove si narra la storia di una giumenta e del suo puledro che un padrone perverso con allettamenti incita all’incesto. Inorriditi dal loro atto, si danno la morte precipitandosi al galoppo contro le rocce.
86 Ovidio, Metamorfosi, X, 325-328.
87 Plutarco, De sollertia animalium, XVI, 971b.
88 Giovenale, XV, 160-162.
89 Virgilio, Georgiche, IV, 67-70.
90 Lucrezio, II, 325-328.
91 Orazio, Epistole, I, 2, 6-7.
92 Epigramma citato e attribuito ad Augusto da Marziale, XI, 21, 3. La parentesi che segue, che giustifica la crudezza del vocabolario latino, è rivolta alla destinataria del capitolo, forse Margherita di Valois (cfr. infra, p. 1023, Voi, per cui mi sono preso…).
93 Virgilio, Eneide, VII, 718-722.
94 Ibid., IV, 404, dove i Troiani che si preparano a partire, disposti in file, sono paragonati a formiche.
95 Segno di esitazione che cerca di dissimulare una deformazione dei dati storici. Secondo Plutarco (Vita di Sertorio, XXIII-XXIV), la sconfitta fu inflitta in realtà a un popolo spagnolo, i Caracitani, trincerati all’interno di grotte. Degli esempi aggiunti nel 1588 (Vita di Eumene, XXXIV; Vita di Crasso, XLVII), il primo inverte le parti.
96 Virgilio, Georgiche, IV, 86-87.
97 De sollertia animalium, XIII, 969f, come i due aneddoti precedenti.
98 Testimonianza riportata da Aulo Gellio (V, 14, 5-30), di cui Montaigne traduce con precisione il racconto. Androdus, errore grafico per Androclus, che correggiamo nella traduzione, si trova già in Aulo Gellio.
99 Virgilio, Eneide, XI, 89-90.
100 De sollertia animalium, XXXI, 980df, come l’esempio che segue.
101 Cfr. Ovidio, Metamorfosi, VI, 190.
102 De sollertia animalium, XXXV, 982f-983d.
103 Lucrezio, IV, 987, che attribuisce la capacità di sognare a tutti gli animali (986). Sebond invece, come altri dualisti, considerava l’immaginazione come propria dell’uomo e ne faceva un argomento a favore dell’immaterialità dell’anima.
104 Ibid., 991-997.
105 Ibid., 998-1001.
106 Properzio, II, 18, 26.
107 Gasparo Balbi, a cui Montaigne si richiama anche in I, XXXVI e nota 8.
108 Si tratta della bellezza umana (cfr. supra), soggetto separato dal pronome dall’aggiunta del 1588 e dalle altre aggiunte manoscritte, così da prestarsi a equivoco.
109 Timeo, 33b. Cfr. Cicerone, De natura deorum, I, 10, che esprime qualche riserva su questa preferenza.
110 Seneca, Epistole, 124.
111 Ovidio, Metamorfosi, I, 84-86. Questa affermazione, volta a definire la vocazione spirituale dell’uomo, è stata instancabilmente ripetuta e commentata durante il Rinascimento.
112 Ennio, citato da Cicerone, De natura deorum, I, 35.
113 Ovidio, Remedia amoris, 429-430.
114 Lucrezio, IV, 1185-1187.
115 Eccezione a favore della bellezza femminile, celebrata qui nei termini neoplatonici.
116 Secondo Plutarco, che deride i due consigli che seguono attribuendoli a questa scuola filosofica senza dare i riferimenti, cfr. De communibus notitiis contra Stoicos, XI, 1064bc.
117 Senofonte, Memorabili, I, 4, 12.
118 Cicerone, De natura deorum, III, 27.
119 Gli epicurei accusavano Aristotele di aver avuto una giovinezza dissoluta e di aver aperto, vivo il suo maestro Platone, una scuola rivale di filosofia.
120 Orazio, Epodi, VIII, 17.
121 Giovenale, XIV, 156-158, che con queste parole di sfida si rivolge al ricco.
122 O piuttosto uno dei suoi discepoli, secondo Plutarco, Adversus Colotem, XXX, 1124d.
123 Genesi, 3, 5.
124 Odissea, XII, 188, tradotto e interpretato da Cicerone, De finibus, V, 18.
125 San Paolo, Lettera ai Colossesi, 2, 8.
126 Orazio, Epistole, I, 1, 106-108: voltafaccia alla fine di un programma di austerità.
127 Manuale, VI, dove il buon uso del pensiero (phantasia) è presentato come l’unico bene inalienabile, in opposizione ai vantaggi esteriori; Montaigne, giocando con la parola (ortografata fantasie), suggerisce un’altra opposizione, tra finzione mentale e realtà.
128 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 36, per le prime tre righe; I, 26, per le due successive; V, 1, per le ultime due.
129 Lucrezio, V, 8: si tratta di Epicuro, che Lucrezio ad un tempo esalta ed interpreta. Di seguito viene evocata la leggenda dell’avvelenamento che avrebbe fatto perdere la ragione al poeta.
130 Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, XXX, 1076a.
131 Cicerone, De natura deorum, III, 36.
132 Epistole, 53.
133 Tratto da Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 25 (Posidonio, con a commento una citazione dello stesso libro, II, 13) e De finibus, V, 31 (Arcesilao, Dionisio).
134 Id., Tusculanæ disputationes, II, 13.
135 Diogene Laerzio, IX, 68. Ma si veda infra, pp. 911 e 915, la teoria dell’atarassia qui illustrata da questo aneddoto.
136 La fonte è Osorio, De rebus Emmanuelis regis gestis, II, t. 1, p. 88.
137 Allusione alla follia del Tasso, che Montaigne poté vedere all’Ospedale di Sant’Anna, a Ferrara, nel 1580. Di tale visita non è tuttavia fatta menzione nel Journal.
138 La Gerusalemme liberata, composta prima del ricovero del poeta, fu stampata durante il suo internamento e senza il suo accordo.
139 Tito Livio, XXX, 21.
140 Versi di La Boétie, Poésies latines, XX (Ad M. Montanum), v. 295, che reca urit (brucia), anziché pungit.
141 Ennio, citato da Cicerone, De finibus, II, 13.
142 Cicerone, Tusculanæ disputationes, III, 6, dove è citato il discorso di Crantore: “Io non approvo”, infra, che Montaigne fa proprio.
143 Ibid. Le espressioni che seguono, a sostegno di questa critica dell’apatia epicurea, sono di Epicuro, Epistola a Meneceo, citata da Diogene Laerzio, X, 129.
144 Cicerone, Tusculanæ disputationes, III, 15, che cita Epicuro prima di criticarlo.
145 In italiano nel testo. Il verso si trova nella Giocasta, tragedia di Euripide tradotta da Ludovico Dolce (Venezia 1549). Il concetto, a partire da Dante (Inferno, V, 121-123), ha avuto varie formulazioni.
146 Cicerone, De finibus, II, 32, che traduce un verso di Euripide addotto contro Epicuro.
147 Ibid., I, 17, nella presentazione della dottrina epicurea.
148 Ibid., II, 32: parole attribuite a Temistocle, citato nella confutazione.
149 Ibid., 3: si tratta di Epicuro, come nella citazione che segue.
150 Lucrezio, III, 1043-1044.
151 Seneca, Œdipus, 515: parole pronunciate da Edipo, appena prima di udire le rivelazioni di Tiresia sul suo destino.
152 Orazio, Epistole, I, 5, 14-15.
153 Ibid., II, 2, 138. Questo aneddoto era associato alla storia di Trasilao, al verso di Sofocle e al versetto dell’Ecclesiaste negli Adagi di Erasmo (Fortunata stultitia, I, 981), il che induce a considerare questi ultimi come la fonte di tutto il passo.
154 Sofocle, Aiace, 554, dove l’eroe invidia la felicità del suo figlioletto.
155 Ecclesiaste, 1, 18.
156 Seneca, Epistole, 91. Cfr. ibid., 70: Placet? vive. Non placet? licet eo reverti unde venisti. Montaigne unisce questa citazione alla seguente.
157 Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 14. Le armi Vulcanii, la corazza e l’elmo che si è forgiato sono indistruttibili.
158 Proverbio tradotto da Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 41; pronunciato con l’accento guascone, il primo verbo potrebbe suonare vivat (viva).
159 Orazio, Epistole, II, 2, 213-216.
160 Lucrezio, III, 1039-1041.
161 Plutarco, De Stoicorum repugnantiis, XIV, 1040a, dove Crisippo cita Antistene con Tirteo.
162 Plutarco, nella traduzione di Amyot, ibid.
163 Diogene Laerzio, VI, 86.
164 Plutarco, Quomodo quis suos in virtute sentiat profectus, V, 77e, e Seneca, Epistole, 64, tra gli altri.
165 Cfr. Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 40.
166 Espressione tratta in realtà da Cornelio Agrippa, De incertitudine et vanitate scientiarum, I, che la attribuisce a san Paolo: illud Pauli: Surgunt indocti, così come i due esempi che seguono.
167 Non esiste un imperatore di nome Valentiano. Si tratta forse di Valente (non di Valentiniano, come spiegano alcuni commentatori, poiché non risulta che nessuno dei tre imperatori di tal nome sia stato nemico delle lettere).
168 In italiano nel testo. Ariosto, Orlando furioso, XIV, 84: ritratto allegorico della Discordia.
169 Attribuito a Socrate da Stobeo, III, 22, 36; Montaigne lo fece iscrivere sulle travi della sua biblioteca.
170 Platone, Apologia di Socrate, 21b.
171 Ecclesiastico, 10, 9. Questa sentenza e la seguente (Ecclesiaste, 7, 1 e cfr. Sapienza, 2, 3-5) erano anch’esse iscritte sulle travi della biblioteca di Montaigne.
172 De ordine, II, 16, dove questa affermazione restrittiva è collocata tra parentesi, in un capitolo volto a mostrare che la cultura filosofica contribuisce a elevare lo spirito verso la religione: Disciplinæ liberales efferunt intellectum ad divina.
173 Tacito, Germania, XXXIV, a proposito di un esploratore che ha rinunciato al suo progetto di raggiungere le colonne d’Ercole.
174 Leggi, VII, 821a.
175 Timæus seu de universo, II, che traduce Platone, Timeo, 28c.
176 Lucrezio, V, 122, a proposito del biasimo subito dai filosofi che studiano gli astri poiché si crede possano così profanarli.
177 Etica a Nicomaco, VII, 1 (1145a).
178 Cicerone, De natura deorum, I, 17, espressione citata come massima di Epicuro e condivisa.
179 San Paolo, Prima lettera ai Corinzi, 1, 19-21.
180 Cicerone, De natura deorum, I, 7.
181 Diogene Laerzio, I, 122.
182 Socrate. Cfr. Platone, Apologia di Socrate, 21b; Cicerone, Academica, I, 4, et alii.
183 Politico, 277d.
184 Cicerone, Academica, I, 12.
185 Non si trova nulla di simile in Valerio Massimo, ma Montaigne segue Cornelio Agrippa (De incertitudine et vanitate scientiarum), che interpreta inesattamente un passo di Valerio.
186 Cicerone, De divinatione, II, 3.
187 Lucrezio, III, 1048 e 1046 (l’associazione dei due versi rispetta il senso originale).
188 Passo tradotto da Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 1. Nonostante la tradizione ciceroniana e agostiniana, secondo cui esiste una distinzione fondamentale tra dogmatici e scettici (tra cui sono raggruppati neoaccademici e pirroniani), Montaigne, come Sesto, oppone alle filosofie assertive (dogmatici che affermano il loro sapere o neoaccademici che lo negano) il pirronismo, definito come filosofia della ricerca e dell’incertezza.
189 Lucrezio, IV, 469, che reca quoniam nil scire fatetur (ignora se può sapere qualcosa, poiché dichiara di non sapere nulla).
190 Questa espressione non propone un ideale di dotta ignoranza (come quella che si troverà in III, XI: in verità c’è una specie d’ignoranza forte e magnanima), ma confuta come illogica la posizione dei neoaccademici.
191 Analisi classica delle operazioni mentali a partire dai dati sensibili. Lo spirito forma delle rappresentazioni (facoltà immaginativa, che crea l’immagine degli oggetti), sente nei loro confronti piacere o dispiacere (facoltà appetitiva, che orienta verso gli oggetti piacevoli) e le riceve come informazioni sulla realtà (facoltà consenziente, che decide della validità dei dati). In altri termini: i pirroniani accettano di percepire e di desiderare, ma si astengono dal giudicare le cose.
192 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 47. Si tratta dello schema stoico, diverso dal precedente nella misura in cui distingue dei gradi di affidabilità. I pirroniani, secondo quanto si è scritto sopra, non vanno oltre le apparenze (visum, nel testo di Cicerone), ma vi introducono la desiderabilità.
193 Tipo di paradosso contro l’evidenza sensibile, generalmente attribuito agli scettici (cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 13). Montaigne si diverte a invertire i ruoli.
194 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 3.
195 Ibid.
196 Questo stoico che dichiarava di dubitare della divinazione, nonostante la dottrina della sua scuola, è citato dallo scettico degli Academica, II (Lucullus), 33, e del De divinatione, I, 3.
197 Cicerone, Academica, I, 12, che definisce l’intento di Arcesilao, perpetuamente volto alla contraddizione.
198 Citati e analizzati da Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 18-28.
199 Questa parola figurava su una delle travi della biblioteca di Montaigne, come la maggior parte degli aforismi qui citati, tratti da Sesto Empirico.
200 Cicerone, De divinatione, I, 18.
201 Immagine divulgata da Diogene Laerzio, IX, 62.
202 Citazione molto approssimativa, iscritta su una trave della biblioteca di Montaigne, di Ecclesiaste, 3, 22 (nella Vulgata: Deprehendi nihil esse melius quam lætari hominem in opere suo, et hanc esse partem illius. Quis enim eum adducet ut post se futura agnoscat?).
203 Salmi, 93, 11.
204 Tito Livio, XXVI, 22 dove si tratta della “città dei sapienti”.
205 Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 9.
206 Id., Timæus, III, traducendo Platone, Timeo, 29cd. È omessa la frase intermedia: “Ma se vi portiamo degli argomenti che non cedono a nessun altro in verosimiglianza, bisogna accontentarci; e ricordarsi…”.
207 Plutarco, Quæstiones convivales, VIII, 10, 734d-736b.
208 De natura deorum, I, 5, dove la proposizione che testimonia il credito accordato agli scettici è al passato, usque ad nostram viguit ætatem, mentre il seguito della frase costata e deplora il declino di questa scuola.
209 Secondo Cicerone, Academica, II (Lucullus), 45, a proposito del bene sovrano.
210 Id., De finibus, II, 5.
211 Lucrezio, I, 639 e 641-642.
212 De officiis, I, 6.
213 Diogene Laerzio, II, 92, e (Zenone di Cizio) VII, 32.
214 Plutarco, De Stoicorum repugnantiis, XXIV, 1045f-1046b.
215 Sallustio, Bellum Iugurthinum, 85: parole di Mario per giustificare la sua incultura.
216 Secondo Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 33, che sostiene che Platone non è un vero scettico poiché su alcuni punti si pronuncia categoricamente.
217 Diogene Laerzio, II, 47.
218 Cfr. Platone, Teeteto, 149b-150d: di questa maieutica di Socrate viene considerata qui la controparte negativa, la sua necessaria “ignoranza”.
219 È purtroppo impossibile rendere in italiano il gioco di parole fra sage-femme, ostetrica, e sage homme, uomo saggio.
220 Tratto da Cicerone, Academica, II (Lucullus), 5, dove Lucullo, argomentando contro gli scettici, li accusa di impostura quando si fanno forti dei filosofi qui enumerati.
221 Nella pratica giudiziaria dell’epoca, sentenze pronunciate solennemente, da giudici in toga rossa, per creare un precedente nella giurisprudenza.
222 L’autore è Plutarco, De defectu oraculorum, XXXVII (e XXXVIII per la citazione di Euripide, tradotta da Amyot nella sua versione corretta dal filosofo), 431a. Il punto interrogativo introdotto qui da Marie de Gournay e altri editori, che non hanno riconosciuto in Que un relativo di collegamento (c’est ce que signifie…), disarticola il passo e lo rende incomprensibile. Il car non si spiega più e non si riesce a vedere che semblable à si riferisce a ce refrain.
223 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 5, dove Lucullo attribuisce il discorso a un accesso delirante, senza ispirazione divina. Montaigne aggiunge invece spinto dalla forza della verità.
224 Sapienza, 9, 14.
225 Plutarco, Quæstiones convivales, I, 10, 628c.
226 Seneca, Epistole, 88.
227 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 41, discorso del neoaccademico che giustifica, contro le obiezioni di Lucullo, la ricerca di una verità dichiarata inaccessibile.
228 Plutarco, Non posse suaviter vivi secundum Epicurum, XI, 1094b, dove l’esempio mira a mostrare che i piaceri intellettuali sono superiori a quelli dei sensi.
229 Seneca il retore, Suasoriæ, IV, 3, a proposito dell’oroscopo.
230 Cfr. le parole di Diogene riferite da Diogene Laerzio, VI, 64.
231 Platone, Repubblica, II, 379-392, e cfr. Leggi, VII, 817d-838c.
232 Id., Repubblica, V, 459cd, a proposito delle misure di eugenismo.
233 Quintiliano, Institutio oratoria, II, 17, 4, su alcuni dei paradossi contro la retorica.
234 Versi attribuiti da Varrone a Valerio Sorano e citati da sant’Agostino, Civitas Dei, VII, 9.
235 Cfr. Atti degli Apostoli, 17, 22-23.
236 Plutarco, Vita di Numa, XIV.
237 Ronsard, Remontrance au peuple de France, 64-78.
238 Cfr. Cicerone, De natura deorum, I, 10-15, per l’insieme dell’aggiunta C.
239 Montaigne scrive qui aage, errore per air, “aria”, come infatti correttamente scrive a p. 987.
240 Ennio, citato da Cicerone, De divinatione, II, 1.
241 Lucrezio, V, 122-123, dove si tratta dei corpi celesti.
242 Cicerone, De natura deorum, II, 28, citazione tratta da sant’Agostino, Civitas Dei, IV, 30.
243 Persio, II, 62 e 61.
244 Secondo sant’Agostino, Civitas Dei, XVIII, 5.
245 Assioco, 371bc, attribuito a Platone (cfr. supra, cap. X, p. 729 e nota 5).
246 Virgilio, Eneide, VI, 443-444.
247 Prima lettera ai Corinzi, 2, 9, che cita Isaia, 64, 4.
248 Ovidio, Tristia, III, 11, 27-28, che reca at idem / Vinctus ad Hæmonios (ma questo stesso corpo attaccato a dei cavalli di Tessaglia).
249 Lucrezio, III, 756-757.
250 Porfirio citato da sant’Agostino, Civitas Dei, X, 30.
251 Lucrezio, III, 847-851.
252 Idea ricavata forse da Repubblica, X, 611b-612a, per incrocio con la dottrina tomista dell’immortalità dell’anima intellettiva.
253 Lucrezio, III, 563-564.
254 Ibid., 859-860.
255 Ibid., 845-846.
256 Il soggetto è Platone (cfr. supra, p. 919, le citazioni dal Timeo).
257 De sera numinis vindicta, 549ef.
258 Tito Livio, XLI, 12, 6, e XLV, 33.
259 Diodoro Siculo, XVII, 104, dove non viene fatta menzione di sacrifici umani; la punteggiatura erronea dell’edizione postuma ha indotto a credere che Montaigne li attribuisse ad Alessandro, mentre il soggetto è l’antichità.
260 Virgilio, Eneide, X, 517-519: le ombre sono i mani di Pallante, compagno di Enea, che è appena stato ucciso in combattimento.
261 Popolo di Tracia. La fonte è Erodoto, IV, 94.
262 Ibid., VII, 114, dove Amestri figura come moglie di Serse, o Plutarco, De superstitione, XIII, 171d, dove le vittime sono 12.
263 Lucrezio, I, 101.
264 Plutarco, De superstitione, XIII, 171bc.
265 Id., Apophthegmata Laconica, 239cd.
266 Lucrezio, I, 98-99.
267 Cicerone, De natura deorum, III, 6.
268 Erodoto, III, 40-42, dove Policrate segue il consiglio di Amasis, re d’Egitto, reputato saggio.
269 Sant’Agostino, Civitas Dei, VI, 10.
270 Ibid.
271 Lucrezio, I, 82-83.
272 San Paolo, Prima lettera ai Corinzi, 1, 25.
273 Diogene Laerzio, II, 117.
274 Lucrezio, VI, 678-679.
275 Lucrezio, II, 1085. Questa citazione e le due che seguono, conformi alla cosmologia epicurea, sono collocate nel testo di Montaigne nella prospettiva della Creazione, per cui la pluralità dei mondi è ritenuta una conseguenza logica dell’onnipotenza divina.
276 Ibid., 1077-1078.
277 Ibid., 1064-1066.
278 Platone, Timeo, 30d. Tra i cristiani (i nostri), Origene, secondo Vives nel suo commento a sant’Agostino, Civitas Dei, XIII, 16.
279 Diogene Laerzio, X, 89.
280 Plinio, VII, 2, per la maggior parte degli esempi; si veda anche Erodoto, III, 111 e 116; IV, 25, 27 sgg. Montaigne tuttavia ha forse trovato questi esempi nelle compilazioni di mirabilia della sua epoca.
281 Plutarco, De facie in orbe lunæ, XXIV, 938c (preso come uno scherzo). Dall’ipotesi di popoli senza bocca, dunque incapaci di ridere e di parlare, Montaigne conclude che le definizioni canoniche dell’uomo, che fanno del riso e del linguaggio le sue qualità specifiche, sono false, e non che questi popoli non sarebbero umani.
282 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 13, o Cicerone, Academica, II (Lucullus), 23, così come la sentenza seguente di Metrodoro di Chio.
283 Versi tratti dalla raccolta di Stobeo, IV, 52, 38. In una forma lievemente diversa sono citati anche da Diogene Laerzio nei suoi cenni su Pirrone (IX, 73). Montaigne, che qui li traduce prima di citarli, li aveva fatti iscrivere sulle travi della sua biblioteca.
284 Cfr. Teeteto, 180e (con un riferimento a Melisso), e soprattutto Parmenide, 138bc, per il ragionamento riassunto più avanti (se uno esistesse). Gli autori delle diverse dottrine (Protagora, Nausifane, Parmenide, Zenone di Elea) sono citati e derisi in Seneca, Epistole, 88.
285 Prima parola della formula eucaristica (Hoc est enim corpus meum [questo è il mio corpo]) che cattolici, luterani e calvinisti interpretavano ognuno in modo diverso.
286 Diogene Laerzio, IX, 76, cita questo argomento per tacciare i pirroniani di contraddizione, così come la loro replica (riportata anche da Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 28).
287 Nel 1576, infatti, Montaigne aveva fatto incidere su una medaglia questo motto e una bilancia con i piatti in equilibrio.
288 Plinio, citato infra, II, VII.
289 Orazio, Odi, III, 29, 43, nel contesto dei precetti di serenità citati da Montaigne in I, XI, p. 69.
290 Plinio, II, 23 sul tema dei calcoli delle distanze tra gli astri.
291 Tra gli altri, Seneca, Epistole, 92, nelle ultime pagine.
292 Montaigne sembra avere di mira la dottrina calvinista della predestinazione, o piuttosto la caricatura che ne fanno i controversisti cattolici, travisandola in una sorta di fatalismo.
293 Cioè fra i cristiani. Montaigne allude a Tertulliano, che afferma come un’evidenza che Dio è insieme spirito e corpo, Contra Praxeam, VII, cfr. anche Contra Marcionem, XVI, e De carne Christi, XI (Migne, Patrologia Latina, II, coll. 162, 303, 774).
294 Cicerone, De natura deorum, II, 66.
295 Ibid., III, 35.
296 Sant’Agostino, Civitas Dei, XI, 22.
297 Cicerone, De natura deorum, I, 17, che attribuisce questa sentenza a Epicuro.
298 Epistole ai Romani, 1, 22-23, dove filosofia pagana e idolatria sono unitamente oggetto di riprovazione. La formula è usata da sant’Agostino contro Ermete Trismegisto nella Civitas Dei, VII, 23, dove Montaigne la trova associata ai passi che riprende più avanti (Quasi quicquam […] Sentite Trismegisto…).
299 Moglie di Marco Aurelio, notoriamente dissoluta. Viene rappresentata distesa sulle ali dell’aquila, assimilate alle spalle di un pastore che trasporta una capra.
300 Lucano, I, 486.
301 Sant’Agostino, Civitas Dei, VIII, a proposito di Ermete Trismegisto, legato al culto degli idoli, fallacia figmenta (effigi ingannevoli).
302 Plutarco, Apophthegmata Laconica, 210d.
303 Secondo sant’Agostino, Civitas Dei, VIII, 24.
304 La citazione di Lucano, I, 452, rimanda ai druidi, preti depositari di tutto il sapere nell’antica Gallia. Ma questa perifrasi potrebbe anche designare la scuola, cioè gli scolastici che rivendicavano l’esclusività degli insegnamenti di teologia. In alcuni dei sillogismi della lista che segue, tratti dal De natura deorum di Cicerone (III, 13 e II, 6), si riconoscono prove dell’esistenza di Dio esposte da Sebond.
305 Selezione di espressioni stoiche (cfr. Seneca, Epistole, 73) ad eccezione della seconda, epicurea.
306 Orazio, Satire, II, 3, 319: cfr. la favola La rana e il bue.
307 Sant’Agostino, Civitas Dei, XII, 18, contro l’antropomorfismo delle teologie pagane, svisa il senso di una frase di san Paolo, Seconda lettera ai Corinzi, 10, 12, sui predicatori orgogliosi.
308 Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XVIII, 3, 4, aneddoto ripreso da vari compilatori.
309 Tutti i compilatori che raccontano questa storia, assai diffusa nel XVI secolo, parlano non di Serapide, ma di Anubi.
310 Secondo sant’Agostino, Civitas Dei, VI, 7.
311 Secondo Diogene Laerzio, III, 1-2.
312 Cicerone, De natura deorum, I, 27, in risposta ai discorsi dei sostenitori dell’antropomorfismo tradotti subito sopra, da I, 18.
313 Secondo Eusebio, Præparatio Evangelica, XIII, 13, 679a, letto in Vérité de la religion chrétienne (1581) del teologo protestante Duplessis-Mornay, capp. I e IV.
314 Cicerone, De natura deorum, I, 27.
315 Orazio, Odi, II, 12, 6: si tratta della battaglia degli dèi contro i Titani, forse assimilati qui agli uomini.
316 Virgilio, Eneide, II, 610-613.
317 Erodoto, I, 172, dove l’espulsione degli dèi stranieri è presentata come un gesto rituale compiuto una volta per tutte.
318 Tito Livio, XXVII, 23.
319 Virgilio, Eneide, I, 16; hic si riferisce a Cartagine, la città preferita di Giunone.
320 Anonimo citato da Cicerone, De divinatione, II, 56. Com’è noto, il santuario di Apollo a Delfi era ritenuto il centro della terra.
321 Ovidio, Fasti, III, 81-85.
322 Ibid., I, 294: il tempio di Esculapio, figlio di Apollo, addossato a quello di Zeus.
323 O trentamila secondo Varrone, citato da sant’Agostino nell’inventario satirico qui imitato (Civitas Dei, VI, 9).
324 Ovidio, Metamorfosi, I, 194: è Giove che parla, mentre assegna le terre alle divinità agresti, ninfe e silvani.
325 Secondo Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, XXXI, 1075b.
326 Ovidio, Metamorfosi, VIII, 99.
327 Sant’Agostino, Civitas Dei, IV, 27, dopo avere denunciato la doppiezza di Varrone che, seguace di una teologia filosofica, raccomanda l’idolatria per il popolo.
328 Cfr. Ovidio, Metamorfosi, II, 303-334.
329 Opinioni menzionate da Senofonte, Memorabili, IV, 7, 7 (Anassagora, come qui di seguito), e Cicerone, De natura deorum, II, 22 (Zenone).
330 Platone, Timeo, 40de: preterizione ironica sulle divinità della mitologia.
331 Ovidio, Metamorfosi, II, 107-108.
332 Repubblica, X, 616b-617.
333 Varrone, Saturæ menippeæ, 92, Dolium, nella versione di Turnèbe, Adversaria, XX; il testo originale reca al primo verso homulli (del piccolo uomo) anziché rerum.
334 Alcibiade secondo, 147c. Montaigne deriva dalla traduzione di Marsilio Ficino e, prendendo un ablativo per un nominativo, interpreta erroneamente la frase: Est enim ipsa natura universa poesis ænigmatum plena, il cui senso è che ogni poesia è, per sua natura, enigmatica. Montaigne piega il testo in direzione delle cosmologie poetiche dei neoplatonici del Rinascimento, per concludere con il riconoscimento di incertezza espresso nella citazione che segue.
335 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 39.
336 Diogene Laerzio, III, 26.
337 Fatti supposti reali per l’applicazione di una regola di diritto (per esempio, un figlio può essere istituito erede fin dal suo concepimento, come se fosse nato).
338 Figure geometriche con cui Tolomeo e tutti gli astronomi, fino a Copernico, rendevano conto del movimento apparente dei pianeti in un universo geocentrico.
339 Timeo, 72d.
340 Allusione alla teoria del “microcosmo”, che pretende di trovare nell’uomo, per un gioco di analogie, la struttura dell’universo.
341 Platone, Teeteto, 174a, dove il saggio cade in un pozzo, senza che la ragazza abbia messo nulla sui suoi passi per farlo inciampare. L’aneddoto non mirava a discreditare le speculazioni filosofiche, ma solo a contrapporle alle preoccupazioni quotidiane.
342 Versi citati da Cicerone nel De divinatione, II, 13, dove si tratta del tipo di informazioni che si possono ricavare dall’esame delle viscere di animali sacrificati.
343 Orazio, Epistole, I, XII, 16: omaggio un po’ ironico alle preoccupazioni di un sapiente.
344 Plinio, II, 37, a proposito dei fuochi di sant’Elmo.
345 Civitas Dei, XXI, 10.
346 In questa enumerazione dei principi delle cose secondo i diversi pensatori, il riferimento è al fisico Diogene di Apollonia (non Diogene il cinico), che riteneva primario lo stato gassoso (aria) di ogni materia.
347 Tale principio non è dei pitagorici, ma dei peripatetici. Montaigne, derivando da Cornelio Agrippa (De incertitudine et vanitate scientiarum, I), commette probabilmente un errore di lettura.
348 Repubblica, V, 480a: quelli che si attaccano alle opinioni e non al sapere, secondo Platone; quelli che si ostinano nelle loro opinioni anziché rimetterle in discussione mediante il dubbio, secondo Montaigne.
349 I quattro elementi, principi di tutte le cose (divini e dotati di anima secondo Empedocle; cfr. supra, p. 935, e il riferimento al De natura deorum).
350 Lucrezio, I, 112: è l’ignoranza, considerata provvisoria dal poeta, di coloro che la dottrina di Epicuro non ha ancora illuminato sulla materialità dell’anima.
351 L’enumerazione che segue è tratta principalmente da Cicerone (Tusculanæ disputationes, I, 10) e da Seneca (Quæstiones naturales, VII, 14), probabilmente per il tramite di Cornelio Agrippa (De incertitudine et vanitate scientiarum, LII, De anima).
352 Virgilio, Eneide, IX, 349, che reca purpuream in luogo di sanguineam.
353 Ibid., VI, 730, sulle semina, principi vitali che animano gli esseri.
354 Lucrezio, III, 99-100.
355 Tusculanæ disputationes, I, 11.
356 San Bernardo, Meditationes […] alias Liber de Anima, I.
357 Diogene Laerzio, IX, 7.
358 Le opinioni che seguono, sulla collocazione dell’anima, sono tratte come le precedenti da Plutarco e da altri autori compilati da Cornelio Agrippa.
359 Lucrezio, III, 102-103.
360 Ibid., 141-142.
361 Tusculanæ disputationes, I, 27, dopo aver notato che l’essenziale è conoscere le capacità dell’anima ed esercitarle secondo la vocazione divina che esse le attribuiscono.
362 Secondo Galeno, Opinioni di Ippocrate e di Platone, II, 2, che considera l’argomentazione aberrante.
363 Seneca, Epistole, 57, che confuta questa opinione pur attribuendola alla propria scuola.
364 Origene, secondo sant’Agostino, che lo deride su questo punto, Civitas Dei, XI, 23.
365 Vita di Teseo, I, che riconosce la componente leggendaria in ciò che si dice del tempo delle origini.
366 Diogene Laerzio, VI, 40, secondo cui questa burla è di Diogene il cinico.
367 Cfr. Cicerone, De finibus, I, 6; e, per la seconda obiezione, De natura deorum, II, 37.
368 Id., De natura deorum, III, 8 e 9: nel dialogo, Cotta, avversario degli stoici, confuta gli argomenti del loro maestro Zenone di Cizio mostrando che, dalle stesse premesse e con dei sillogismi della stessa forma, si ottengono conclusioni aberranti.
369 Cfr. i detti di Socrate in Alcibiade primo, 129a.
370 Cicerone, De divinatione, II, 58, a proposito delle rivelazioni oniriche e delle prescrizioni che ne conseguono.
371 Cfr. Timeo, 69c-70e, forse per il tramite di Diogene Laerzio, III, 67.
372 Claudiano, De sexto consulatu Honorii, V, 411.
373 Lucrezio, III, 143: lo spirito risiede nel petto, l’altra parte dell’anima in tutto il corpo.
374 Virgilio, Georgiche, IV, 221-226.
375 Traduzione latina di un detto di Mentore a Telemaco (Odissea, II, 271).
376 Orazio, Odi, IV, 4, 29.
377 Lucrezio, III, 741-743 e 746-747.
378 Ibid., 671-673.
379 L’inciso rimanda ai sostenitori dell’immortalità dell’anima secondo le concezioni platoniche (due obiezioni contro la reminiscenza). Ma su una possibile replica dei platonici (Dire che la prigione…) la discussione devia verso la concezione cristiana dell’immortalità, con premi e punizioni eterni, offrendo spunto all’obiezione che segue (Sarebbe ingiusto…).
380 Fedone, 75ce, dove questa teoria della reminiscenza serve a provare l’immortalità dell’anima.
381 Dicendo che l’anima è prigioniera del corpo in cui si incarna, i platonici smentiscono: 1. la loro opinione sulla sua predominanza, 2. la loro teoria della giustizia divina (che punirebbe colpe commesse a causa di questa sottomissione e per debolezza).
382 Lucrezio, III, 674-676.
383 Cfr. Repubblica, X, 615b.
384 Si tratta di teologi cristiani tra cui Origene; cfr. infra, p. 1017.
385 Lucrezio, III, 445. Questa citazione e le seguenti, fino a p. 1011, sono tratte dall’argomentazione volta a dimostrare che l’anima è materiale e soggetta alla morte.
386 Ibid., 510-511.
387 Ibid., 175-176.
388 Ibid., 499-501. Versi inseriti nella descrizione di una crisi di epilessia, come le due citazioni che seguono. Lucrezio precisa vis animi atque animæ (le facoltà dello spirito e dell’anima). Al verso 500, Montaigne tralascia ut docui (come ho spiegato), e lascia uno spazio bianco (a margine separez ces deux bouts de vers) per non alterare l’esametro.
389 Ibid., 492-494.
390 Ibid., 463-466.
391 Ibid., 800-805.
392 Ibid., 458.
393 Cicerone, De divinatione, II, 58.
394 Ibid.
395 Lucrezio, III, 110-111.
396 Metafisica, II, 1, 993.
397 Tusculanæ disputationes, I, 16. Si legga “del re Tullio”, ovvero Servio Tullio, designato nel contesto con una perifrasi.
398 Seneca, Epistole, 102: si tratta dell’immortalità dell’anima, che Seneca presenta come un suo sogno.
399 Cfr. Leggi, X, 905-907.
400 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 38, ma a proposito dell’atomismo di Democrito.
401 San Paolo, Prima lettera ai Corinzi, 1, 19 (citando Isaia, 29, 14). Si tratta di un’allusione, classica nel Rinascimento, alla torre di Babele, assimilata a una piramide, simbolo dell’impresa attribuita a Nemrod, poi fallita a causa della confusione delle lingue e dei saperi.
402 Sant’Agostino, Civitas Dei, XI, 22, che reca veritatis in luogo di utilitatis.
403 Seneca, Epistole, 117; tuttavia la convinzione di cui si tratta – che la sapienza è un bene – viene enunciata più avanti.
404 Cicerone, Tusculanæ disputationes, I, 31.
405 Diogene Laerzio, VIII, 4.
406 Virgilio, Eneide, VI, 719: domanda rivolta da Enea ad Anchise, che lo inizia ai misteri platonici dell’aldilà. Ma il testo di Virgilio indica un solo percorso, quello del ritorno alla vita terrestre.
407 Secondo il commento di Vives a sant’Agostino, Civitas Dei, XXI, 17, dove questa teoria è giudicata aberrante.
408 Sant’Agostino, Civitas Dei, XXII, 28.
409 Platone, Menone, 81bc, e più avanti (altrove) Timeo, 42bc.
410 Lucrezio, III, 776-780.
411 Dei cristiani. Per esempio, Marciano Capella secondo Vives (commento alla Civitas Dei di sant’Agostino, IX, 11, alla voce Lemuri).
412 Plutarco, Vita di Romolo, XLVII.
413 Secondo Diogene Laerzio, II, 17. Le teorie sulla generazione elencate di seguito sono state compilate da Cornelio Agrippa, De incertitudine et vanitate scientiarum, LXXXII, De medicina in genere.
414 Plinio, II, 1.
415 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 32.
416 Diogene Laerzio, I, 36.
417 Cfr. la nota 92 a p. 853. In questa interlocutrice anonima, destinataria e forse committente dell’Apologia di Raymond Sebond, si crede generalmente di riconoscere Margherita di Valois; nulla tuttavia prova questa identificazione, né il fatto che l’opera sia stata sollecitata da qualcuno.
418 Erodoto, III, 78.
419 In un cartello di sfida a duello e con l’arbitraggio dei giudici di combattimento.
420 Osorio, De rebus Emmanuelis regis gestis, XII, t. 2, p. 282.
421 In italiano nel testo. Petrarca, Rime, 105.
422 Plutarco, Adversus Colotem, XXX, 1124 d.
423 Cfr. Leggi, IX, 874e-875.
424 Non se ne hanno tracce scritte. Alcuni commentatori vedono qui un’allusione ai protestanti, senza fornire ragioni molto plausibili. Si tratta più probabilmente di “libertini”, cioè liberi pensatori, razionalisti, più atti a prendere a bersaglio la teologia naturale di Sebond. Se anche fossero un’invenzione di Montaigne, questo sarebbe il loro profilo.
425 Cicerone, Tusculanæ disputationes, II, 2.
426 Termini e nozioni di chiromanzia.
427 Secondo Cornelio Agrippa, De incertitudine et vanitate scientiarum, I.
428 Ovidio, Metamorfosi, X, 284: è la storia di Pigmalione in cui l’avorio diventa carne.
429 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 41.
430 Ovidio, Tristia, I, 2, 5.
431 Si veda la teoria di Carneade sul probabile, esposta da Cicerone negli Academica, II (Lucullus), 31.
432 Si vedano le distinzioni tra pirroniani e accademici in Sesto Empirico (Schizzi pirroniani, I, 33) di cui Montaigne riprende qui l’essenziale.
433 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 28.
434 Lucrezio, V, 1414, che reca posteriorque fere melior res (l’ultima, generalmente migliore).
435 Plutarco, Apophthegmata Laconica, 223a.
436 Omero, Odissea, XVIII, 136, trad. di Cicerone conservata da sant’Agostino, Civitas Dei, V, 8. Montaigne ha già citato questi versi in forma leggermente diversa nel cap. I di questo libro, cfr. p. 591.
437 Orazio, Odi, I, 26, 3-6.
438 Catullo, XXV, 12, dove si minaccia un ladruncolo di farlo sobbalzare sotto la frusta come…
439 Cicerone, Tusculanæ disputationes, IV, 23: l’idea espressa qui è confutata nel contesto originale; cfr. tuttavia supra, IV, 19, l’argomentazione a favore messa in bocca ai peripatetici. La dicitura vers è iscritta, peraltro a torto, sopra questa citazione, il che impone di collocarla in mezzo alla riga.
440 Temistocle e Demostene furono entrambi accusati di venalità.
441 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 6.
442 Ironia riflessa. Il discorso filosofico (parola terrestre) che fa del delirio ispirato (parola celeste) l’unico accesso alla verità, non essendo esso stesso un delirio ispirato, si riconosce fallace (al pari di ogni parola terrestre): il che annulla la sua dichiarazione e con essa l’attendibilità attribuita al delirio.
443 La lussuria.
444 Virgilio, Eneide, XI, 624, per descrivere l’alternarsi di assalti e ritirate dei Troiani.
445 Secondo Cicerone, Academica, II (Lucullus), 39, che ne trae una lezione di incertezza.
446 Lucrezio, V, 1276, a proposito delle variazioni, nelle età primitive, dei valori attribuiti ai metalli preziosi e al bronzo.
447 Istruzione ai giovani magistrati secondo gli “stili” di procedura giudiziaria (l’uso); suo consigliere, il magistrato più anziano che lo patrocina.
448 Grammatico, poeta e teorico della poesia, Peletier du Mans fu anche matematico. Si tratta qui delle iperboli e dei loro asintoti.
449 Avendo sant’Agostino negato la loro esistenza (Civitas Dei, XVI, 9), la credenza nella sfericità della terra, e dunque negli antipodi, fu effettivamente esclusa dall’ortodossia filosofica e religiosa fino alle navigazioni del Rinascimento.
450 Lucrezio, V, 1412.
451 Politico, 269ad.
452 Erodoto, II, 142, dove non sono indicate né le permutazioni del mare e della terra, né l’indeterminazione dell’origine.
453 Cioè un cristiano. Secondo Vives nel suo commento a sant’Agostino (Civitas Dei, XII, 13) si tratta di Origene, che adduceva come prova l’Ecclesiaste, 1, 9-11, e Isaia, 65, 17.
454 Quella di Platone, di cui viene riassunta qui la cosmogonia del Timeo.
455 Diogene Laerzio, IX, 8.
456 De deo Socratis, citato da sant’Agostino, Civitas Dei, XII, 10.
457 Prova addotta da sant’Agostino, ibid., nel commento di Vives. Cfr. anche i calcoli che seguono sul tempo trascorso dall’origine.
458 La fonte è forse Diogene Laerzio, X, 45 e 73-74.
459 Il repertorio che segue è tratto dall’Histoire générale des Indes occidentales di López de Gómara, da cui Montaigne seleziona soprattutto le analogie, senza escludere le differenze, entrambe caratterizzate dall’eteroclito (infra). Cfr. I, XXIII, in cui dominano le differenze.
460 Epitoma rei militaris, I, 2.
461 Detto di Solone, secondo Platone, Timeo, 24c.
462 Cicerone, De fato, IV, 7, fornisce questi esempi che Montaigne inserisce nel racconto del Timeo, 24c.
463 Erodoto, IX, 121, o meglio Plutarco, Regum et imperatorum apophthegmata, 172ef.
464 Giovenale, X, 4-6.
465 Senofonte, Memorabili, I, 3, 2, da cui anche gli spunti che figurano alla pagina seguente (Poiché chieder loro degli onori…).
466 Platone, Alcibiade secondo, 148c, associato al prestito da Senofonte.
467 Giovenale, X, 352-353, con il plurale illis (gli dèi).
468 Ovidio, Metamorfosi, XI, 127-128.
469 Cfr. II, VII, p. 677, nota 2.
470 Plutarco, Consolatio ad Apollonium, XIV, 108e-109a.
471 Salmi, 22, 4.
472 Giovenale, X, 346-348 e 350.
473 Secondo sant’Agostino, Civitas Dei, XIX, 1, che tuttavia precisa che Varrone aveva ridotto queste 288 sette a 12, adottando come unico criterio la nozione di bene sovrano, senza dati accessori.
474 Cicerone, De finibus, V, 5, a proposito delle divergenze dei peripatetici su questo punto.
475 Orazio, Epistole, II, 2, 61-64.
476 Ibid., I, 6, 1.
477 Etica a Nicomaco, IV, 8 (1125a).
478 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 33, così come la riserva finale.
479 Questo celebre umanista aveva avuto con Montaigne uno scambio di testimonianze di stima. Cfr. anche I, XXVI, nota 6.
480 Cfr. I, XXV, nota 26.
481 Con lo scisma anglicano (1534), la reazione cattolica di Maria Tudor (1553), il ritorno all’anglicanesimo sotto Elisabetta I (1558).
482 Apollo. Il precetto in questione, citato in I, XXIII, p. 211, proviene dall’oracolo di Delfi secondo Senofonte, Memorabili, I, 3, 1.
483 Cfr. Platone, Teeteto, 172ab.
484 Id., Repubblica, I, 338c.
485 Ovidio, Metamorfosi, X, 331: soliloquio di Mirra, tentata dall’incesto.
486 Cicerone, De finibus, V, 21. Il senso originale è che l’uomo ha ricevuto dalla natura dei germi di virtù, niente di più (nihil amplius). Sta a lui, o piuttosto alla sua cultura (nostrum est, quod dico nostrum, artis est), svilupparli. Montaigne riorganizza il testo per modificarne il senso.
487 Cfr. Plutarco, Vita di Licurgo, 36.
488 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, III, 24, 204, o Diogene Laerzio, II, 78, e per le altre due risposte di Aristippo, 67 e 68.
489 Virgilio, Eneide, III, 539: Anchise interpreta in due sensi diversi un’apparizione di cavalli.
490 Diogene Laerzio, I, 63 e II, 35.
491 Al tempo di Enrico III erano di moda gli orecchini.
492 Giovenale, XV, 36, a proposito delle lotte feroci tra due villaggi egiziani.
493 Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi, i due massimi giuristi italiani del XVI secolo.
494 Plutarco, De tuenda sanitate præcepta, VII, 126a.
495 Cicerone, Tusculanæ disputationes, V, 34.
496 Id., De finibus, III, 20.
497 Seneca, Epistole, 123, che considera il discorso scandaloso e lo imputa a degli stoici fasulli.
498 Secondo Cicerone, Tusculanæ disputationes, IV, 34, questo filosofo avrebbe rimproverato a Platone di dare troppa importanza all’amore.
499 Plutarco, De Stoicorum repugnantiis, XXX, 1047ef, con un talento d’argento come posta in gioco e senza menzione delle brache.
500 Indecenza leggendaria riferita da Erodoto, VI, 129.
501 Diogene Laerzio, VI, 94.
502 Cornelio Agrippa, De incertitudine et vanitate scientiarum, LXIV, De lenonia (in fine).
503 Marziale, III, 70.
504 Ibid., I, 73.
505 Sant’Agostino, Civitas Dei, XIV, 20.
506 Diogene Laerzio, VI, 69.
507 Ibid., 96.
508 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 29, 210-211, e cfr. 32, 218.
509 Quella del Vangelo, cfr. supra, p. 959.
510 All’epoca della fiera del Lendit, che si teneva in onore di san Dionigi dall’11 al 24 giugno, gli scolari usavano fare regali ai loro maestri.
511 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, II, 6, 63.
512 Discepoli di Aristippo di Cirene. Cfr. Cicerone, Academica, II (Lucullus), 24, qui tradotto.
513 Lucrezio, V, 102-103.
514 Ibid., IV, 478-479 e 482-483.
515 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 27, completato dal detto di Carneade citato in Plutarco, De Stoicorum repugnantiis, X, 1035f-1037c.
516 Lucrezio, IV, 4864-4888.
517 Ibid., 489-490. Tra i due frammenti è stata eliminata un’affermazione perentoria.
518 Ibid., V, 577: si tratta della luna, ma dopo affermazioni analoghe sul sole.
519 Ibid., IV, 379 e 386.
520 Cicerone, Academica, II (Lucullus), 25, che contesta come falso questo giuramento.
521 Lucrezio, IV, 499-510.
522 Ibid., 397-398, 389-390, 420-422. Montaigne ha ricomposto il testo e fabbricato il secondo verso, ma il significato d’insieme, cioè le illusioni visive, resta immutato.
523 I sostenitori della religione riformata, che tacciavano di idolatria il cerimoniale cattolico.
524 Diogene Laerzio, VII, 23, su di una versione oggi considerata erronea.
525 Ibid., IV, 36.
526 Ovidio, Remedia amoris, 343-346.
527 Id., Metamorfosi, III, 424-426.
528 Ibid., X, 256: Si tratta di un archetipo dell’illusione, come Narciso, nell’emblematica umanistica. Ma Montaigne riferisce ai sensi ciò che la tradizione imputava alla follia o all’immaginazione.
529 Tito Livio, XLIV, 6, dove l’espressione è più debole: vix possit (si può appena).
530 Democrito. Leggenda riferita senza convinzione da Cicerone, De finibus, V, 29.
531 Plutarco, De recta ratione audiendi, II, 38a.
532 Cicerone, De divinatione, I, 36, che attribuisce simili impressioni a un influsso divino.
533 Cioè accompagnatore. Cfr. Plutarco, De cohibenda ira, VI, 456a.
534 Virgilio, Eneide, IV, 470: delirio di Penteo.
535 Lucrezio, IV, 1155-1156.
536 Ibid., 811-813.
537 Ciò attraverso cui giudichiamo in prima istanza.
538 Pseudo-Plutarco, Placita philosophorum, IV, 10.
539 Lucrezio, IV, 636-639.
540 Plinio, XXXII, 3.
541 Lucrezio, IV, 332-333. Il seguito della pagina è disseminato di taciti prestiti da Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, XIV, 44, 47 (vista), 50 (udito), sul primo modo di argomentazione pirroniana.
542 In Sesto Empirico, da cui Montaigne trae queste notizie, si legge correttamente hyposphagma, non hyposphragma.
543 Lucrezio, IV, 451-452.
544 Ibid., 75-80.
545 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 14, 105 (quarto modo).
546 Ibid., I, 14, 92 (terzo modo).
547 Seneca, Quæstiones naturales, I, 16.
548 Lucrezio, III, 703, dove l’esempio mostra che l’anima infusa nel corpo è peritura.
549 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 14, 102-104 (quarto modo).
550 Lucrezio, IV, 513, dove l’argomento tende a mostrare che è necessario fidarsi dei sensi.
551 Condensato di Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 14, 112-115 (quarto modo).
552 Traduce la parola kriterion, non ancora francesizzata in critère: non una facoltà, ma un riferimento epistemologico. Nel diritto antico, infatti, il termine instrument indica un atto notarile che stabilisce dei diritti, dunque atto a fondare una sentenza.
553 Riassunto di Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, II, 7, 72-75.
554 A partire da qui fino a p. 1117, Montaigne trascrive, con solo lievi ritocchi, la traduzione di Amyot di quattro pagine del trattato di Plutarco, De E apud Delphos, XVIII-XX, 392b-393b. Nelle note che seguono saranno indicati, con sottolineatura, i passi in cui se ne discosta. All’inizio della prima frase, Amyot aveva scritto: Nous n’avons aucune participation du vrai être.
555 Amyot aveva scritto: rien appréhender de subsistant à la vérité et permanent.
556 Teeteto, 152de, con i riferimenti a Omero e a Parmenide.
557 Sesto Empirico, I, 32, attribuisce questa idea a Protagora; ma cfr. Pseudo-Plutarco, Placita philosophorum, I, 9.
558 I pareri degli stoici, Eraclito, Epicarmo derivano da Plutarco, De communibus notitiis contra Stoicos, XLII, 1082b, e De sera numinis vindicta, XV, 559b.
559 Lucrezio, V, 828-831.
560 Montaigne ha omesso la frase precedente dalla traduzione di Amyot: Ains renaissons plusieurs à l’entour d’un fantasme ou d’une ombre et moule commun à toutes figures, la matière se laissant aller, tourner et virer à l’entour (<Ma> tutti noi siamo molti uomini nel nostro divenire, mentre la materia gira e scorre attorno a un’unica apparenza, a uno stampo comune [trad. D. Del Corno]).
561 Frase omessa: […] blâmons? Comment usons-nous d’autres et différents langages? Comment avons-nous différentes affections, ne retenant plus la même forme de visage ni le même sentiment? ([…] Come potremmo fare discorsi e provare sentimenti diversi, non conservando neppure l’aspetto e la figura e il modo di pensare uguali a se stessi? [trad. D. Del Corno]).
562 Se la sua identità cambia, non è (nel senso forte del termine), ma con l’identità (essere sempre uno) cambia anche l’essere semplicemente, giacché diviene incessantemente differente rispetto a quello che lo precede e da esso distinto.
563 Amyot: qui n’a jamais eu commencement de naissance, ni n’aura jamais fin de corruption: car… (Montaigne omette le parti sottolineate).
564 Amyot: la raison le découvrant incontinent le détruit tout sur le champ car il se fend et s’escache tout aussitôt… (Montaigne omette incontinent e modifica la forma da riflessiva in transitiva).
565 Amyot: ou mourantes meshui avec le temps: au moyen de quoi ce serait péché de dire de ce qui est, il fut ou il sera, car… (Montaigne omette meshui avec le temps e trasforma la frase aggiungendo Dieu, qui est le seul qui est).
566 Seneca, pagano come Plutarco, autore della sentenza citata (Quæstiones naturales, I, Prefazione). A lui rinvia il possessivo sua [virtù stoica], alla fine del capitolo.
Postilla. In questo capitolo complesso, la cui versione originaria è stata probabilmente composta in diversi periodi (tra il 1572 e il 1578), sono state inserite aggiunte di notevole consistenza, nel 1588 e in seguito, senza che ne venisse modificata la configurazione generale. Saranno evidenziate qui le sue articolazioni, per facilitare il percorso del testo e segnalarne i punti problematici.
Fin dal titolo, viene annunciata un’argomentazione a favore della Teologia naturale di Raymond Sebond, mediante confutazione delle due obiezioni che sarebbero state mosse da misteriosi detrattori (ugonotti? miscredenti? non hanno lasciato tracce storiche): da una parte, il fatto di presumere, a torto, che l’uomo possa dimostrare i dogmi religiosi con la sola forza della ragione; dall’altra, di non proporre a riguardo alcuna dimostrazione probante. La prima replica espone in poche pagine la teoria ortodossa dei “preamboli della fede” (præambula fidei), piegata in un senso fideistico nonostante l’intento di Sebond: senza poter sostituire la Rivelazione né ispirare la vera fede, gli argomenti razionali sono tuttavia utili per condurre ai confini del dogma e per corroborare le credenze acquisite. Come in annesso, vengono espresse osservazioni severe sulla precarietà di queste credenze e, soprattutto a partire dal 1588, sul loro snaturamento in settarismi omicidi. La seconda replica, quasi venti volte più lunga, è destinata a mostrare che nessuna dimostrazione razionale è probante, così da scusare la debolezza degli argomenti di Sebond, tacciando i suoi detrattori della medesima incapacità di dimostrare le loro tesi. L’argomento, annunciato a p. 799, è posticipato da una lunga digressione sulla collocazione dell’uomo nella Creazione: Montaigne insiste nel confutare indirettamente l’antropocentrismo del teologo e la sua gerarchia delle creature, mostrando con molti esempi che nulla permette di affermare che gli animali siano incapaci di pensare e siano indifferenti ai valori etici; espone quindi la perniciosità delle speculazioni teoriche, unico privilegio che non abbia negato all’uomo. Segue infine, a partire da p. 909, la critica delle conoscenze: alle pretese dei filosofi dogmatici di essere i detentori della verità e alla rinuncia degli accademici (scettici), Montaigne oppone la ricerca senza fine dei pirroniani e la serenità che procura loro l’accettazione consapevole dell’incertezza. Dopo di che, prendendo spunto dalle contraddizioni e dalle oscurità dei grandi filosofi dogmatici (in particolare Aristotele, suprema autorità della Scolastica), li accusa ironicamente di cripto-pirronismo, in virtù del quale le loro speculazioni non sarebbero altro che giochi ed esercizi intellettuali (pp. 917-923). È questo il pretesto di una lunga rassegna delle loro asinerie, su Dio, sul mondo e sull’uomo, la sua anima e il suo corpo; al termine viene costatato il fallimento del sapere e della ragione. Segue, alle pp. 1023-1027, un’apostrofe alla destinataria del capitolo (forse Margherita di Valois), per metterla in guardia contro la strategia quasi suicidaria di questa apologia dell’opera di Sebond che, con la digressione iniziale, inficia l’antropocentrismo su cui era fondata, rigetta globalmente la ragione a cui si appellava e ne invalida le modalità di argomentazione svelandone i presupposti, confrontandoli con antichi sofismi, o caricaturandoli. Ma poi riprende l’indagine delle condizioni della conoscenza, senza più trattare ormai di Sebond: dopo un richiamo (pp. 1029-1033) alle prospettive aperte dalle tre opzioni filosofiche definite precedentemente, Montaigne espone le basi empiriche del suo pirronismo: mutevolezza delle impressioni e dei giudizi, contingenza delle opinioni individuali o collettive, instabilità delle leggi, incertezza delle interpretazioni e, per finire, illusioni dei sensi che rendono precari i dati iniziali di ogni conoscenza. Il percorso si chiude alle pp. 1113-1117 con una meditazione religiosa, attinta testualmente dal pagano Plutarco, sull’inanità dell’uomo e del mondo assoggettato al tempo, e sull’essere assoluto di Dio nella sua eternità.
Presa alla lettera, l’apostrofe alla destinataria riguarderebbe unicamente l’apologia paradossale di Sebond, dunque ciò che la precede, e avrebbe la funzione di indizio volto a far riconoscere in questa arringa-requisitoria, atta a neutralizzare mediante calcolata contraddizione la propensione del discorso a esprimersi assertivamente, un saggio del nuovo linguaggio pirroniano (p. 961). Le ultime quaranta pagine sarebbero allora l’espressione diretta delle opzioni filosofiche implicite nel tema del capitolo. Ma l’insistenza della messa in guardia, che stranamente combina l’approvazione veemente dei freni del pensiero comune con un elogio discreto degli spiriti capaci di liberarsene, permette di ipotizzare che questo enigmatico commento si riferisca all’insieme del capitolo, le cui ultime pagine sarebbero dunque poste, come le altre, a distanza critica e dichiarate temerarie pur senza essere sconfessate. L’incertezza investe così l’intera trattazione attraverso un’ironia a due livelli perfettamente conforme alle esigenze logiche del pirronismo e del saggio critico.