CAPITOLO XXIX
Ventinove sonetti di
Étienne de La Boétie
A Madama de Gramont, Contessa de Guissen1
[A] Madama, non vi offro nulla del mio, sia perché esso è già vostro, sia perché non vi trovo nulla degno di voi. Ma ho voluto che questi versi, dovunque apparissero in pubblico, portassero in testa il vostro nome, per l’onore che ne verrà loro dall’avere per guida questa grande Corisande d’Andouins. Questo dono mi è sembrato esser degno di voi, poiché vi sono poche dame in Francia che giudichino la poesia meglio di voi e ne facciano uso più proprio; e poi, perché non ce ne sono affatto che sappiano renderla viva e animata, come voi fate con quei begli accordi2 musicali di cui, fra un milione di altre bellezze, natura vi ha dotato. Madama, questi versi meritano che li abbiate cari; poiché converrete con me che di Guascogna non ne sono mai venuti altri che avessero più maestria e più finezza, e che testimoniassero di essere usciti da mano più ricca. E non fatevi prendere dalla gelosia perché avete solo il resto di quello che già da tempo ho fatto stampare sotto il nome del signor de Foix,3 vostro buon parente, poiché invero questi hanno un non so che di più vivo e ardente: dato che egli li fece nella sua più verde giovinezza, e acceso da una bella e nobile passione di cui un giorno, Madama, vi dirò in un orecchio. Gli altri furono fatti più tardi, quando egli attendeva al suo matrimonio, in onore di sua moglie, e risentono già di non so qual maritale freddezza. Ed io sono di quelli che ritengono che la poesia non sorrida mai tanto come in un soggetto festevole e spensierato.
[C]Questi versi si leggono altrove.4