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Jacob e Seth corsero per trenta metri in linea retta in direzione opposta all’incendio, per puro istinto animale, quindi si fermarono, si guardarono alle spalle e girarono su se stessi, soli e insignificanti in mezzo ai campi desolati. Guardarono lo Yukon parcheggiato come se lo vedessero per la prima volta e lo fissarono confusi perché era uno dei loro, guidato da uno dei loro maledetti uomini che non veniva a soccorrerli. Poi videro il furgone di Dorothy Coe in lontananza, in un’altra direzione, guardarono di nuovo lo Yukon e capirono. Si scambiarono un’ultima occhiata e ripresero a correre in direzioni diverse, Jacob da una parte e Seth dall’altra.

Reacher sollevò il telefono.

«Se io mi trovo a ore nove e lei a ore dodici, allora Jacob va a ore dieci e Seth a ore sette. Seth è mio. Jacob è suo», disse.

«Intesi», rispose Dorothy Coe.

Reacher tolse il piede dal freno, sterzò con una mano e tracciò lentamente una curva in senso antiorario. Puntò prima a nord e poi a est sobbalzando sulla superficie corrugata. Sentiva il calore del fuoco sul finestrino accanto al viso. Davanti a lui Seth correva incespicando sul terreno verso la strada. Gli mancavano ancora settanta metri per raggiungerla. Reacher vide che aveva qualcosa nella mano destra, poi sentì la voce di Dorothy Coe al telefono. «Jacob ha un’arma.»

«Di che tipo?» chiese Reacher.

«Una pistola. Un revolver, credo. Non riusciamo a vedere. Ci sono troppi scossoni.»

«Rallentate e guardate bene.»

«Pensiamo sia una normale sei colpi», disse dieci lunghi secondi dopo.

«Ha già sparato?»

«No.»

«Ok, indietreggiate ma non perdetelo di vista. Non ha dove andare. Lasciate che si stanchi.»

«Intesi.»

Reacher posò il telefono sul sedile accanto e seguì Seth verso sud restando a trenta metri. Andava proprio spedito. Muoveva le braccia come stantuffi. Reacher non aveva un cannocchiale ma era pronto a scommettere che anche Seth stringesse nella destra un revolver, probabilmente l’altro della coppia di suo padre.

Sterzò, accelerò e si avvicinò fino a venti metri. Seth correva forte con le ginocchia che macinavano terreno, le braccia che si muovevano su e giù e la testa reclinata. L’oggetto che aveva in mano era sicuramente una pistola. La canna era corta, non più lunga di un dito. La strada principale era a quaranta metri. Reacher non capiva perché volesse raggiungerla. Non aveva senso. Era solo una striscia d’asfalto senza traffico con altri campi al di là. Forse era un fatto generazionale. Forse il più giovane dei Duncan pensava che sull’asfalto avrebbe potuto salvarsi. O forse stava andando a casa. Forse lì aveva altre armi. Correva più o meno nella direzione giusta. Nel qual caso o era al culmine della disperazione o il più grande ottimista del mondo. Gli restavano da percorrere più di tre chilometri ed era inseguito da un veicolo a motore.

Reacher restò a venti metri a guardare. Molto lontano, oltre la sua spalla sinistra, l’ultima bombola di propano esplose con un boato sordo. Lo specchietto dello Yukon si riempì di scintille. Seth continuò a correre.

Poi smise, si voltò di scatto, piantò i piedi e impugnò il revolver con due mani ad altezza d’occhio, davanti alla maschera d’alluminio. Il petto si alzava e si sollevava, tutti e quattro gli arti gli tremavano e nonostante la presa a due mani la bocca della canna si muoveva a scatti tracciando un cerchio grande quanto la circonferenza di una palla da basket. Reacher rallentò, cambiò marcia, indietreggiò e restò a trenta metri. Si sentiva piuttosto sicuro. Tra sé e la pistola aveva un grosso blocco motore V-8; in ogni modo, le probabilità che un uomo ansimante e non addestrato colpisse anche solo il furgone con una pistola a canna corta da trenta metri erano minime. Le probabilità che riuscisse a colpirlo alla testa attraverso il parabrezza erano minori di zero. Le probabilità che centrasse il bersaglio discutibili.

Seth sparò tre volte a intervalli ben distanziati con un movimento a scatti sollevando parecchio la canna, senza il minimo controllo laterale. Reacher non batté nemmeno ciglio. Si limitò a guardare le fiammate con interesse professionale e cercò di identificare la pistola ma da trenta metri non vi riuscì. Era troppo lontano. Sapeva che al mondo esistevano revolver da sette e da otto colpi ma non erano comuni, perciò suppose fosse un sei colpi e ne avesse quindi ancora tre. Al suo fianco il telefono stridette rauco. Reacher lo prese. «È tutto a posto? Abbiamo sentito degli spari», disse Dorothy Coe.

«Sto bene», rispose. «E voi? Potrebbe colpire voi quanto me. Ovunque siate.»

«Noi stiamo bene.»

«Dov’è Jacob?»

«Va ancora a sud-ovest. Sta rallentando.»

«Stategli addosso», disse Reacher. Posò di nuovo il telefono sul sedile e tenne la Glock in tasca. Il problema dell’essere destrimano in un furgone con la guida a sinistra era che avrebbe dovuto spaccare il parabrezza per sparare, il che era abbastanza facile ai tempi dei vetri di sicurezza temperati, ma i moderni vetri per automobili erano resistenti in quanto laminati con robusti strati di plastica. In ogni caso la pesante chiave inglese era nel Tahoe bruciato, con molta probabilità completamente fusa.

Seth si fermò, si piegò in avanti e abbassò la testa fin quasi a toccare le gambe. Inspirò con forza, ansimò una, due volte, dopodiché si raddrizzò. Trattenne il fiato e puntò di nuovo la pistola, stavolta con concentrazione e controllo molto maggiori. Ora la bocca della canna si muoveva tracciando un cerchio grande quanto una palla da baseball. Reacher sterzò, diede gas e partì verso destra facendo una curva stretta, finse di tornare sulla traiettoria originaria e invece sterzò brusco dall’altra parte compiendo un movimento a otto. Seth sparò una volta nel vuoto, mirò di nuovo e sparò ancora. Un colpo si conficcò nel bordo del parabrezza in alto, dal lato del passeggero, a meno di due metri dalla testa di Reacher.

Resta un colpo, pensò Reacher.

Invece no. Reacher vide Seth premere furioso il grilletto e il tamburo ruotare più volte invano. O la pistola era una sei colpi non completamente carica o una cinque colpi. Forse una Smith 60, pensò. Alla fine Seth rinunciò, si guardò attorno disperato e scagliò l’arma scarica contro lo Yukon. Finalmente aveva mirato bene. Sarebbe stato più abile a lanciare sassi. La pistola colpì il parabrezza proprio davanti alla faccia di Reacher, che trasalì e si scansò involontariamente. L’arma rimbalzò contro il vetro e cadde a terra. A quel punto Seth si voltò e riprese a correre. Il resto fu facile.

Reacher diede gas, accelerò, si allineò con cura e colpì Seth da dietro alla velocità di quasi settanta all’ora. Un’auto lo avrebbe investito, sollevato in aria e fatto capitombolare sul cofano e sul tetto ma lo Yukon non era un’auto. Era un grosso furgone con un muso alto e schiacciato, delicato come un maglio. Colpì Seth sulla schiena, dalle ginocchia alle spalle, come una sorta di mazza da due tonnellate. Reacher sentì l’impatto, poi la testa di Seth sparì di colpo, quasi fosse stata risucchiata da una forza di gravità inusitata. Il furgone sobbalzò una volta, come se la ruota posteriore sinistra fosse passata sopra qualcosa, e proseguì liscio nella misura in cui il terreno lo consentiva.

Reacher rallentò, fece un’ampia curva e tornò indietro per vedere se il caso richiedesse ulteriore attenzione. Non era così. Non c’erano dubbi. Reacher aveva visto molti morti e Seth Duncan era più morto di tutti loro.

Prese il telefono dal sedile del passeggero. «Seth è morto», disse. Poi si raddrizzò e si allontanò in fretta verso sud-ovest attraverso il campo.

Child Lee - 2013 - Una ragione per morire: Un'avventura di Jack Reacher
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