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Il dottore si oppose subito all’idea. Era una visita che non voleva fare. Distolse lo sguardo, andò su e giù per la cucina, si tastò le ferite al volto, increspò le labbra e si passò la lingua sui denti. «Seth Duncan potrebbe essere a casa», disse infine.
«Spero proprio ci sia. Potremmo controllare che anche lui stia guarendo. E in questo caso potrei dargli un altro pugno.»
«Avrà con sé i Cornhuskers.»
«No. Sono tutti fuori nei campi a cercarmi. I pochi che restano, intendo.»
«Non lo so.»
«Lei è un medico. Ha fatto un giuramento. Ha dei doveri.»
«È pericoloso.»
«Alzarsi dal letto al mattino lo è.»
«Lei è pazzo, sa?»
«Preferisco considerarmi coscienzioso.»
Reacher e il dottore salirono sul pick-up, tornarono sulla strada principale e svoltarono a destra. Arrivarono tre chilometri a sud del motel e tre a nord delle case dei Duncan. Due minuti dopo il dottore fissava le case. Anche Reacher diede un’occhiata. Quello era territorio nemico. Tre case bianche, tre veicoli parcheggiati, nessun segno di attività. Reacher suppose che il secondo Brett avesse ormai riferito i messaggi, e che questi fossero stati ascoltati e giudicati all’istante una spacconata. Anche se il furgone bruciato avrebbe dovuto contare qualcosa. I Duncan stavano perdendo su tutta la linea: non potevano non saperlo.
Reacher girò a sinistra, nel punto in cui aveva svoltato con la Subaru la sera prima, e seguì le varie curve finché la casa di Seth Duncan gli apparve di fronte sulla destra. Alla luce del giorno o a quella dei fari di notte era pressoché identica. La cassetta della posta bianca con la scritta DUNCAN, il prato ghiacciato, l’antico calesse. Il lungo vialetto dritto, il granaio divenuto garage, le tre porte. Stavolta due erano aperte. Dentro, nell’oscurità si vedeva la coda di due macchine. Una era una piccola auto sportiva rossa, forse una Mazda, molto femminile, l’altra una Cadillac berlina lunga e nera, molto maschile.
«Quella è l’auto di Seth» affermò il dottore.
Reacher sorrise. «Quale?»
«La Cadillac.»
«Bella macchina», commentò Reacher. «Forse dovrei fracassargliela. Adesso ho anch’io una chiave. Vuole che lo faccia?»
«No», rispose il medico. «Per amor di Dio.»
Reacher sorrise di nuovo e parcheggiò nello stesso punto della sera precedente. Scesero insieme e rimasero per un attimo fermi nel gelo. Le nubi erano ancora basse e piatte; una nebbiolina stava calando verso il suolo, pronta per il pomeriggio e per la sera. Rendeva l’aria visibile, grigia e opalescente, luccicante come un fluido.
«Si va in scena», esclamò Reacher e si diresse alla porta. Il dottore lo seguì a un paio di metri di distanza. Reacher bussò e attese; dopo un lungo minuto udì un rumore di passi sulle tavole all’interno. Un passo leggero, lento e un po’ esitante. Eleanor.
La donna aprì e rimase con la mano sinistra sul bordo della porta e le dita della destra allargate sullo stipite, come se avesse bisogno di un aiuto per reggersi, o pensasse che il braccio allungato in orizzontale proteggesse l’interno della casa dall’esterno. Indossava una gonna e una maglia nere. Senza collana. Sulle labbra si era formata una spessa crosta scura e il naso era gonfio. La pelle bianca era tesa sopra le contusioni gialle, non del tutto mascherate dal trucco.
«Lei», disse.
«Ho portato il dottore», affermò Reacher. «Per vedere come sta.»
Eleanor Duncan lanciò un’occhiata al volto del medico. «Mi sembra sia messo male anche lui. È stato Seth? O uno dei Cornhuskers? Comunque sia, mi scuso.»
«Nessuno dei due», spiegò Reacher. «Sembra ci siano in giro due scagnozzi.»
A quella frase Eleanor Duncan non replicò. Si limitò a staccare la destra dal muro e compiere un gesto gentile invitandoli a entrare. «Seth è in casa?» domandò Reacher.
«No, grazie al cielo», rispose.
«La sua auto è qui», osservò il medico.
«È venuto a prenderlo il padre.»
«Quanto starà via?» chiese Reacher.
«Non lo so», disse Eleanor. «Ma sembra abbiano molto da discutere.» Li condusse in cucina dove la sera prima − e forse in tante altre occasioni – era stata curata. Si sedette su una sedia e inclinò il volto verso la luce. Il dottore si avvicinò e diede un’occhiata. Toccò con gran delicatezza le ferite e le chiese del dolore, del mal di testa e dei denti. Lei diede quel genere di risposte che Reacher aveva sentito da molti nelle sue condizioni. Era coraggiosa e tendeva a sminuire la cosa. Disse di sì, il naso e la bocca le facevano ancora un po’ male, sì, aveva un leggero mal di testa e no, non le sembrava che i denti fossero del tutto a posto. Ma il suo modo di esprimersi era abbastanza chiaro, non presentava perdita di memoria e le pupille reagivano in modo corretto alla luce, pertanto il medico fu soddisfatto. Disse che si sarebbe ripresa.
«E come sta Seth?» indagò Reacher.
«È molto arrabbiato con lei», rispose Eleanor.
«Quello che dai ti ritorna.»
«È molto più grosso di lui.»
«Lui è molto più grosso di lei.»
Eleanor non rispose. Si limitò a guardarlo per un altro lungo istante, poi distolse lo sguardo, incerta, con un’aria di totale esitazione sul volto attenuata solo dall’immobilità dovuta alle croste rigide sulle labbra e al dolore costante al naso. Soffriva molto, pensò Reacher. Aveva ricevuto due pugni, suppose, probabilmente il primo sul naso e il secondo più in basso, sulla bocca. Il primo era stato tanto violento da lasciare il segno senza rompere l’osso, il secondo da farla sanguinare senza fracassarle i denti.
Due pugni perfettamente a segno secondo le intenzioni, senza danni collaterali.
Pugni da esperti.
«Non è stato Seth, vero?» chiese Reacher.
«No.»
«Allora chi?»
«Citerò la sua precedente affermazione. Sembra ci siano in giro due scagnozzi.»
«Sono venuti qui?»
«Due volte.»
«Perché?»
«Non lo so.»
«Chi erano?»
«Non lo so.»
«Dicono di rappresentare i Duncan.»
«Be’, non è così. I Duncan non hanno bisogno di assoldare persone per picchiarmi. Sono perfettamente capaci di farlo da sé.»
«Quante volte l’ha picchiata Seth?»
«Un’infinità.»
«Questo va bene. Non dal suo punto di vista, ovviamente.»
«Ma per quel che riguarda lei sì, vero? Così ha la coscienza pulita?»
«Più o meno.»
«Faccia ciò che vuole di Seth. Per tutto il giorno, tutti i giorni. Lo riduca in poltiglia. Gli spezzi le ossa, una per una. Si accomodi. Parlo sul serio.»
«Perché resta?»
«Non lo so», disse. «Hanno scritto interi libri sull’argomento. Li ho letti quasi tutti. In definitiva dove potrei andare?»
«In qualsiasi altro posto.»
«Non è così semplice. Non lo è mai.»
«Perché no?»
«Mi creda, d’accordo?»
«Allora cos’è successo?»
«Quattro giorni fa sono venuti qui due uomini. Avevano un accento della costa orientale. Sembravano italiani. Indossavano abiti costosi e cappotti di cachemire. Seth li ha portati nel suo studio. Non ho sentito niente della discussione. Ma avevo capito che eravamo nei guai. In casa c’era un tanfo animale, sul serio. Dopo venti minuti sono usciti insieme. Seth aveva un’aria imbarazzata. Uno degli uomini ha detto che in base agli ordini avrebbero dovuto punire Seth, e che però mio marito aveva contrattato perché punissero me. All’inizio ho pensato che mi avrebbero violentata davanti a Seth. Quello era il clima. Il tanfo animale. Ma no. Seth mi ha tenuta ferma davanti a loro e a turno mi hanno picchiata. Una volta ciascuno. Il naso e poi la bocca. Ieri sera sono tornati e lo hanno rifatto. Dopo Seth è uscito a mangiare una bistecca. Fine della storia.»
«Mi spiace molto», disse Reacher.
«Anche a me.»
«Seth non le ha detto chi fossero? O che cosa volessero?»
«No. Seth non mi dice mai niente.»
«Idee?»
«Erano investitori», disse. «Voglio dire, erano qui per conto di investitori. È l’unica spiegazione logica che mi viene in mente.»
«La Duncan Transportation ha investitori?»
«Presumo. Immagino che non sia un’azienda straordinariamente redditizia. In questo momento la benzina costa molto, no? O il gasolio o qualsiasi cosa usino. Ed è inverno, cioè un periodo in cui il flusso di denaro si riduce notevolmente. Non c’è niente da trasportare. Anche se a dire il vero, io che ne so? So solo che si lamentano sempre di qualcosa. Dalla stampa so che in questo momento le banche creano difficoltà alle piccole aziende. Per cui, forse, hanno dovuto chiedere un prestito a una fonte alternativa.»
«Molto alternativa», precisò Reacher. «Ma se tutto ciò riguarda un problema finanziario della Duncan Transportation, perché quei tizi mi stanno cercando?»
«La stanno cercando?»
«Sì», rispose il dottore. «È così. Sono venuti a casa mia stamattina. Mi hanno picchiato quattro volte e hanno minacciato di fare molto peggio a mia moglie. Tutto ciò che hanno chiesto è dove fosse Reacher. Lo stesso, a quanto pare, è successo al motel. Il signor Vincent ha ricevuto visite. E anche Dorothy, la donna che lavora per lui. Quella che gli rifà le camere.»
«È spaventoso», osservò Eleanor. «Dorothy sta bene?»
«È sopravvissuta.»
«E sua moglie sta bene?»
«È un po’ scossa.»
«Non so spiegarlo», disse Eleanor. «Non so niente dell’attività di Seth.»
«Perché, in fondo sa veramente qualcosa di lui?» domandò Reacher.
«In che senso, scusi?»
«Chi è e da dove viene, ad esempio.»
«Posso offrirvi un drink?»
«No grazie», disse Reacher. «Mi dica da dove viene Seth.»
«Quella vecchia storia? È stato adottato, come molte persone.»
«Da dove?»
«Non lo sa e credo che neanche suo padre lo sappia con certezza. Era una specie di rete di associazioni di beneficenza. Mantenevano un certo anonimato.»
«Non circolava nessuna voce al riguardo?»
«Nessuna.»
«Seth non ricorda nulla? Dicono che, quando arrivò qui, avesse l’età dell’asilo. Avrà avuto qualche ricordo di dove fosse prima.»
«Non ne vuol parlare.»
«Che mi dice della bambina scomparsa?»
«Quell’altra vecchia storia? Dio sa che non nego le colpe di Seth o della sua famiglia, ma da quanto mi risulta sono stati prosciolti dopo un’indagine condotta dall’FBI. Questo non basta alla gente?»
«A quel tempo lei non c’era?»
«No, sono cresciuta in Illinois. Vicino a Chicago. Seth aveva ventidue anni quando l’ho conosciuto. Cercavo di diventare giornalista. L’unico lavoro che ho trovato era in un giornale fuori Lincoln. Stavo preparando un pezzo sui prezzi del mais, naturalmente. Era l’unica cosa di cui si occupava il giornale, del mais e degli eventi sportivi del college. Seth era il nuovo amministratore della Duncan Transportation. Lo intervistai per il pezzo. Poi andammo a bere un aperitivo. All’inizio ne fui conquistata. Dopo non più tanto.»
«Lei riuscirà a cavarsela?»
«E lei? Con quei due scagnozzi che la cercano?»
«Me ne vado», disse Reacher. «Vado a sud e poi a est, in Virginia. Vuol venire con me? Potrebbe prendere l’autostrada e non tornare mai più.»
«No», rispose Eleanor Duncan.
«Ne è sicura?»
«Sì.»
«Allora non posso aiutarla.»
«Mi ha già aiutato. Più di quello che immagina. Gli ha spaccato il naso. Ne sono stata così felice.»
«Dovrebbe venire con me. Dovrebbe andarsene. È una pazzia restare, parlare così. Sentirsi così», ribatté Reacher.
«Riuscirò a sopravvivere», disse la donna. «È la mia missione, credo, sopravvivere a tutti loro.»
Reacher non aggiunse altro. Si guardò attorno in cucina, osservando quello che avrebbe ereditato se fosse riuscita a sopravvivere a tutti loro. Era parecchio, tutto costoso e di alta qualità, molti oggetti di fabbricazione italiana, alcuni fatti in Germania, altre cose invece prodotte negli Stati Uniti. Tra cui la chiave di una Cadillac in una ciotola di vetro.
«È la chiave di Seth?» chiese Reacher.
«Sì», confermò Eleanor.
«Di solito fa il pieno alla sua macchina?»
«Di solito sì. Perché?»
«Ho intenzione di rubarla.»