57

Dorothy Coe si rimise al volante. Il dottore e sua moglie s’infilarono sul sedile al suo fianco. Reacher viaggiò sul pianale con il fucile sottratto al tiratore, reggendosi bene per un lungo e lento chilometro e mezzo, fino al Tahoe bianco preso al giocatore di football che gli aveva spaccato il naso. Era ancora là, fermo e integro. Reacher salì e fece strada. Gli altri tre lo seguirono. Andarono a sud sulla strada principale, rallentarono e si fermarono a circa un chilometro dalla proprietà dei Duncan. Lì la visuale era buona. Reacher svitò il cannocchiale Leica dal fucile e lo usò come un telescopio in miniatura. Tutte e tre le case erano chiaramente visibili. C’erano cinque veicoli parcheggiati. Tre vecchi pick-up, più la Cadillac nera di Seth Duncan e la Mazda rossa di Eleanor. Erano ordinati in fila sullo spiazzo sterrato a sinistra della casa più a sud, quella di Jacob. Tutti freddi, inerti e coperti di rugiada, come se fossero lì da molto tempo. Il che significava che i Duncan erano rintanati dentro e isolati, proprio come Reacher desiderava.

Scese dal Tahoe e andò incontro agli altri. Prese il fucile a canna mozza dalla tasca e lo porse a Dorothy Coe. «Voi tornate indietro e prendete le chiavi delle auto ai giocatori. Poi portatemi altri due veicoli. Scegliete quelli con più benzina nel serbatoio. Tornate qui prima possibile», disse.

Dorothy Coe indietreggiò di un metro, fece inversione sulla strada e partì verso nord. Reacher risalì nel Tahoe e attese.

Tre case isolate. Inverno. Terra piatta tutt’intorno. Neanche un posto dove nascondersi. Un classico problema tattico. Secondo la dottrina standard della fanteria sarebbe stato opportuno attendere e richiedere l’intervento dell’artiglieria o un bombardamento aereo. Secondo l’approccio tipico della guerriglia ci si sarebbe dovuti dividere per attaccare simultaneamente con lanciagranate da quattro direzioni sferrando l’attacco principale da nord, lato su cui si affacciava il minor numero di finestre. Ma Reacher non aveva forze da dividere, né granate, né artiglieria, né supporto aereo. Era solo con un ubriacone e due donne di mezza età, una delle quali sotto shock. Avevano in totale un fucile bolt-action con due colpi, una Glock nove millimetri con sedici colpi, un fucile a canna mozza calibro 12 con tre colpi, un coltello a serramanico, una chiave inglese regolabile, due cacciaviti e una scatola di fiammiferi. Non proprio una forza schiacciante.

Ma dalla loro avevano il tempo: tutto il giorno. E il terreno: sedicimila ettari. E anche il recinto dei Duncan. Costruito un quarto di secolo prima come alibi, ancora forte e robusto. La legge delle conseguenze non volute. Il recinto gli si sarebbe ritorto contro, gli avrebbe morso il culo.

Reacher accostò di nuovo il Leica all’occhio. Nella proprietà non stava succedendo niente. Era immobile e silenziosa. Non si muoveva niente, tranne il fumo che usciva dai camini della prima e dell’ultima casa. Saliva a spirale verso sud. Soffiava una brezza, non il vento, ma l’aria certo si muoveva.

Reacher attese.

Quindici minuti dopo guardò nel retrovisore del Tahoe e vide un piccolo convoglio che puntava dritto verso di lui. Il primo era il furgone di Dorothy Coe, poi veniva lo Yukon dorato che aveva preso al ragazzo di nome John. C’era il dottore al volante. L’ultima era la moglie del dottore che guidava il pick-up nero del primo Cornhuskers arrivato quel mattino. Rallentarono e parcheggiarono in fila dietro il Tahoe. Guardarono tutti a sinistra, dalla parte opposta alla proprietà dei Duncan, distogliendo volutamente lo sguardo. Una vecchia abitudine.

Reacher scese dal Tahoe, gli altri tre si radunarono e lui spiegò che cosa avrebbero dovuto fare. Disse a Dorothy Coe di tenere il fucile a canna mozza, diede il cannocchiale Leica alla moglie del dottore e in cambio prese la sua sciarpa e il suo cellulare. Non appena ebbero compreso i rispettivi ruoli, li mandò via. Risalirono sul furgone di Dorothy Coe e si diressero a sud. Reacher restò solo sul ciglio della strada principale con il Tahoe bianco, lo Yukon dorato, il pick-up nero e le chiavi di tutti e tre i veicoli in tasca. Contò fino a dieci, poi si mise al lavoro.

Il pick-up nero era il più lungo, di circa trenta centimetri, perciò Reacher decise di usarlo per secondo. Il Tahoe bianco aveva più benzina, perciò decise di usarlo per primo. Il che lasciava lo Yukon dorato di John per terzo, cosa di cui fu lieto perché sapeva che si guidava bene.

Andò su e giù lungo la fila, accese tutti e tre i veicoli e li lasciò in moto. Iniziò quindi a spostarli uno alla volta avvicinandoli all’imboccatura del vialetto, di cento metri in cento metri, nel giusto ordine, sperando d’essere avvistato il più tardi possibile. Senza il cannocchiale la visuale della proprietà era molto meno dettagliata, ma sembrava ancora tranquilla. Portò il pick-up nero a cinquanta metri, lasciò lo Yukon dorato subito dietro, tornò di corsa al Tahoe bianco, vi salì e percorse l’ultimo tratto. Svoltò nel vialetto, si raddrizzò e si fermò lentamente.

Scese dal sedile, si accucciò e sistemò la chiave inglese sull’acceleratore. Corresse l’angolazione in modo che il manico fosse sollevato rispetto al piano orizzontale e strinse con forza il pomolo zigrinato. Raggiunse chino il retro, aprì lo sportello della benzina e tolse il tappo. Con il cacciavite più lungo infilò nella tanica un’estremità della sciarpa e diede fuoco all’altra con i fiammiferi. Tornò di corsa alla portiera del guidatore, si protese e inserì la marcia. Il furgone si mosse, spinto dalla velocità minima del motore. Lui tenne il passo, premette con il dito il pulsante che faceva scorrere il sedile e spinse in avanti. Il sedile si spostò lentamente di un paio di centimetri alla volta, oltre il punto in cui una persona di altezza media lo avrebbe posizionato. Poi la parte anteriore del sedile toccò quella posteriore della chiave, il timbro del motore cambiò e il furgone accelerò un po’. Reacher tenne il passo. Il sedile continuò a muoversi e il furgone ad accelerare. Reacher iniziò a correre, poi il sedile arrivò al limite dell’escursione. Reacher si allontanò e lasciò che il furgone proseguisse senza di lui. Andava forse a quindici chilometri all’ora, forse meno, non era affatto veloce ma avrebbe vinto la resistenza della ghiaia sotto le gomme. I solchi nel vialetto lo mantenevano abbastanza diritto. La sciarpa nella tanica della benzina bruciava bene.

Reacher si girò e tornò di corsa sulla strada, al pick-up nero. Vi salì, superò l’imboccatura del vialetto, fece retromarcia e parcheggiò in parallelo tra i due pezzi di recinto manovrando fino a collocarlo in perpendicolare al vialetto stesso, con solo mezzo metro di spazio alle due estremità. Il Tahoe bianco avanzava costante verso il bersaglio − era già a metà strada − ondeggiando nei solchi, seguito da un intenso pennacchio di fuoco. Reacher tolse le chiavi del pick-up nero e tornò sulla strada. Si mise dietro il cofano dello Yukon dorato e guardò.

Il Tahoe bianco era in fiamme. Percorse obbediente, senza intoppi gli ultimi venti metri, colpì la facciata della casa centrale e si fermò. Due tonnellate, una certa velocità, ma non fu un grosso schianto. Il legno si spaccò e si scheggiò, la parete si piegò leggermente verso l’interno, un vetro cadde da una finestra del pianterreno. Nient’altro.

Però bastò.

Le fiamme sul retro del furgone si piegarono in avanti, tornarono indietro e presero ad ardere sul serio. Smossero l’aria tutt’intorno, lambirono la casa sotto i davanzali e salirono lungo la porta. Fuoriuscirono dai vani delle ruote posteriori mentre grosse spirali di fumo nero si levavano dagli pneumatici. Risalirono furiose verso l’alto, furono investite dalla brezza e portate a sud-ovest.

Reacher si chinò all’interno dello Yukon e prese il fucile dal sedile.

Le fiamme continuarono a strisciare verso il muso del Tahoe, lente ma incalzanti, vive, in cerca di uno sfogo, arricciandosi verso l’alto e l’esterno. Gli pneumatici posteriori cominciarono a bruciare, quelli anteriori a emettere fumo. Poi il serbatoio del carburante probabilmente si ruppe, perché d’un tratto apparve un ampio ventaglio di fiamme di un nuovo colore, un’ondata laterale violenta che investì la facciata e s’innalzò attorno al cofano del Tahoe. Il fuoco salì a destra e a sinistra lambendo la casa, incendiandola, sciolse rapido la vernice seguendo una traiettoria a semicerchio. Poi le fiamme presero di mira la vernice piena di bolle, all’inizio in piccoli punti, in seguito in zone sempre più vaste, come un esercito che si riversasse oltre le brecce nelle difese e si spargesse in cerca di un nuovo terreno. L’aria veniva risucchiata dentro e fuori dai finestrini rotti e le fiamme sfiorarono il telaio.

Reacher usò il cellulare preso in prestito.

«La casa centrale brucia», annunciò.

Dorothy Coe rispose dalla sua postazione, ottocento metri a ovest, in mezzo ai campi.

«È la casa di Jonas. Vediamo il fumo», disse.

«Qualcuno si sta muovendo?»

«Non ancora.» Poi aggiunse: «Aspetti. Jonas sta uscendo dalla porta posteriore. Va a sinistra. Girerà attorno alla casa per arrivare davanti».

«L’identificazione è sicura?»

«Al cento per cento. Stiamo usando il cannocchiale.»

«Ok», rispose Reacher. «Resti in linea.»

Posò il cellulare aperto sul cofano e prese il fucile. Aveva un mirino posteriore metallico proprio davanti al supporto per il cannocchiale e uno anteriore sulla bocca della canna. Reacher lo avvicinò all’occhio, si protese, appoggiò i gomiti sulla lamiera e mirò allo spazio tra la casa centrale e quella più a sud. Distanza: circa centotrenta metri.

Attese.

Vide una figura tarchiata entrare nello spazio da dietro. Un uomo basso e largo sulla sessantina o anche più. Faccia rossa rotonda, capelli grigi radi. Era la prima volta che Reacher vedeva in carne e ossa uno dei vecchi Duncan. L’uomo si affrettò a percorrere con la sua andatura rigida lo spazio tra i lati ciechi delle case, uscì nella luce e si bloccò di colpo. Vide il Tahoe in fiamme, si avviò verso il veicolo, si bloccò di nuovo, si girò, guardò davanti a sé e fissò il pick-up all’imboccatura del vialetto.

Reacher puntò il mirino anteriore nel baricentro dell’uomo e premette il grilletto.

Child Lee - 2013 - Una ragione per morire: Un'avventura di Jack Reacher
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