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Il sedile posteriore della vecchia Caprice sembrava composto da due distinte poltrone, non per volontà del progettista, ma per l’età e l’usura inesorabile. L’uomo di Mahmeini si sedette nella parte sfondata a destra, dietro il sedile anteriore del passeggero e allungò il collo a sinistra per guardare dal parabrezza. Vide il retro bianco di un tabellone nella luce dei fari, poi più nulla. La strada davanti era dritta e deserta. Non c’erano fari in avvicinamento, il che fu una delusione. Su un bicchiere si poteva chiudere un occhio. Anche su due. O su tre, purché seguiti da un veloce ritorno. Ma una notte di bevute sarebbe equivalsa a una diserzione.
Il vecchio motore rantolava e l’indicatore della velocità tremava sopra i novanta. Un chilometro e mezzo al minuto. Restavano ancora tredici chilometri e mezzo. Nove minuti.
«Esattamente tra un’ora e dieci minuti a partire da questo momento voglio che si faccia un giro in macchina. Con la sua piccola sportiva rossa», disse Reacher.
«Un giro in macchina? Dove?» chiese Eleanor Duncan.
«Sulla strada principale in direzione sud», spiegò Reacher. «Guidi soltanto. Per diciotto chilometri. Corra quanto vuole. Poi giri e torni a casa.»
«Diciotto chilometri?»
«O venti. O di più. Ma non meno di quindici.»
«Perché?»
«Non importa perché. Lo farà?»
«Ha intenzione di fare qualcosa alla casa? Mi vuole lontana?»
«Non mi avvicinerò alla casa. Glielo prometto. Nessuno lo saprà mai. Lo farà?»
«Non posso. Seth ha preso le mie chiavi. Sono bloccata.»
«E non ha quella di riserva?»
«Ha preso anche quella.»
«Non se le sarà portate dietro in tasca. Non se tiene le sue in una ciotola in cucina», osservò Reacher.
Eleanor rimase in silenzio.
«Sa dove sono?» domandò Reacher.
«Sì. Sulla sua scrivania.»
«Sopra o dentro un cassetto?»
«Sopra. Sono appoggiate lì. È un test per me. Dice che l’obbedienza senza tentazioni non ha senso.»
«Perché diavolo è ancora là?»
«In quale altro posto potrei andare?»
«Prenda quelle maledette chiavi, va bene? Si faccia valere.»
«Tutto ciò nuocerà a Seth?»
«Cosa vuole che le risponda?»
«Voglio che mi risponda onestamente.»
«Potrebbe nuocergli indirettamente. Alla fine. Forse.»
Ci fu un lungo silenzio. «Ok, lo farò. Guiderò in direzione sud per diciotto chilometri sulla strada principale e tornerò indietro. Tra un’ora e dieci minuti a partire da questo momento», disse infine Eleanor.
«No», obiettò Reacher. «Tra un’ora e sei minuti a partire da questo momento. Parliamo da quattro.»
Riagganciò e tornò nella sala principale. Il barista stava lavorando come si confaceva a un bravo barista, con movimenti rapidi ed efficaci, anticipando le mosse, osservando il locale. Incrociò lo sguardo di Reacher e questi deviò nella sua direzione. «Dovrei chiederti di firmare un tovagliolo o roba del genere. Per ricordo. Sei l’unico a essere entrato qui per usare un telefono, non per evitarlo. Bevi qualcosa?»
Reacher studiò quello che aveva da offrire. Liquori di ogni genere, birra alla spina, birra in bottiglia, bibite gassate. Nessun segno di caffè. «No grazie, a posto così. Devo andare», rispose. Si mosse infilandosi di lato tra i tavoli, varcò la porta e tornò all’auto. Salì, la accese, uscì in retromarcia e si allontanò verso nord.
L’uomo di Mahmeini vide un bagliore nell’aria molto lontano a sinistra. Neon, verde, rosso e blu. L’autista tenne il piede sull’acceleratore ancora per un minuto, poi lo sollevò e procedette in folle. Il motore tossì, il tubo di scarico scoppiettò e sputacchiò, il taxi rallentò. Più in là sulla strada, in lontananza, c’erano due fanali rossi. Molto deboli e distanti. Quasi invisibili. Il taxi frenò. L’uomo di Mahmeini vide il bar. Un edificio semplice, di legno. Sotto la gronda anteriore c’erano due flebili riflettori. Gettavano ognuno una chiazza di luce fioca nel parcheggio. C’erano numerosi veicoli posteggiati. Ma nessuna auto gialla a noleggio.
Il taxi accostò e si fermò. Il guidatore guardò al di sopra della propria spalla. «Aspettami qui», gli disse l’uomo di Mahmeini.
«Per quanto?» chiese il guidatore.
«Un minuto.» L’uomo di Mahmeini scese e rimase immobile. I fanali a nord erano scomparsi. Guardò il buio per un istante, verso il punto in cui si trovavano fino a poco prima. Poi si avviò verso la porta dell’edificio. Entrò. Vide una sala ampia con sedie e tavoli a sinistra e il bancone a destra. Nel locale c’erano una ventina di clienti, perlopiù uomini, nessuno dei quali era Asghar Arad Sepehr. C’era un barista dietro il bancone intento a servire un cliente, pronto a occuparsi del successivo e ad accogliere il nuovo arrivato. L’uomo di Mahmeini s’infilò tra i tavoli avvicinandosi a lui. Si sentiva osservato da tutti. Un uomo piccolo, straniero, non rasato, in disordine e non molto pulito. Il cliente si allontanò dal bancone con due bicchieri di birra pieni di schiuma. Il barista passò a quello successivo, lo servì, ma guardò il prossimo della fila, come se anticipasse due mosse alla volta.
«Sto cercando una persona», disse l’uomo di Mahmeini.
«Lo facciamo un po’ tutti, signore. È l’essenza stessa della natura umana, no? Un’eterna ricerca.»
«No, sto cercando una persona che conosco. Siamo amici.»
«Una signora o un signore?»
«Mi assomiglia.»
«Allora non l’ho visto. Mi spiace.»
«Ha un’auto gialla.»
«Le auto stanno fuori. Io sto dentro.»
L’uomo di Mahmeini si girò e scrutò la stanza, pensò ai fanali rossi a nord, si girò di nuovo e chiese: «Ne è sicuro?»
«Non voglio sembrarle scortese, signore, ma davvero, se due di voi fossero entrati qui stasera, qualcuno avrebbe già chiamato le autorità. Non pensa?»
L’uomo di Mahmeini non rispose.
«Facevo solo per dire», proseguì il barista. «Siamo in Nebraska. Ci sono installazioni militari.»
«Qualcun altro è appena venuto qui?»
«Questo è un bar, amico mio. La gente va e viene tutta la sera. È un po’ lo scopo di questo posto.»
Il barista tornò a occuparsi del cliente. Interazione finita. L’uomo di Mahmeini si voltò e scrutò il locale un’ultima volta. Poi rinunciò e si allontanò infilandosi tra i tavoli per riguadagnare la porta. Si fermò nel parcheggio e prese il telefono. Non c’era segnale. Rimase immobile per un secondo e guardò a nord, il punto in cui erano scomparse le luci rosse, poi risalì nel taxi. Chiuse la portiera tra i gemiti dei cardini e disse: «Grazie per avermi aspettato».
L’autista guardò al di sopra della propria spalla. «Adesso dove andiamo?» domandò.
«Ci penso un attimo», rispose l’uomo di Mahmeini.
Reacher mantenne la Malibu a una velocità costante di novanta all’ora. Un chilometro e mezzo al minuto. Era ipnotico. I pali della linea elettrica sfrecciavano via, le gomme sibilavano, il motore ronzava. Reacher prese la bottiglia d’acqua chiusa dal portabicchiere, la aprì e bevve con una mano sola. Inserì gli abbaglianti. Davanti a lui non c’era niente da vedere. Una strada dritta, nebbia e poi il buio. Guardò nel retrovisore. Dietro lui non c’era niente da vedere. Controllò spie e indicatori. Era tutto a posto.
Eleanor Duncan guardò l’orologio. Era un piccolo Rolex, un regalo di Seth, probabilmente autentico. Da quando aveva riagganciato aveva calcolato un’ora e sei minuti: ne mancavano ancora quarantacinque. Passò dal soggiorno all’atrio e dall’atrio nello studio del marito. Era una stanza piccola e quadrata. Non aveva idea della sua funzione originaria. Forse era il luogo dove conservavano le armi. Adesso era adattata a studio ma con stile signorile, non da ambiente lavorativo. C’era una poltrona di pelle. La scrivania era di tasso. Aveva una lampada con un paralume di vetro verde. C’erano scaffali per i libri. C’era un tappeto. L’aria nella stanza aveva lo stesso odore di Seth.
Sul tavolo c’era una ciotola bassa di vetro. Di Murano, un posto vicino a Venezia. Era verde. Un ricordo. Conteneva graffette. E le chiavi della sua auto buttate là, due piccole punte dentellate con una grossa testa nera. Della sua Mazda Miata. Una minuscola due posti decappottabile rossa. Un’auto sfiziosa. Sbarazzina. Come le vecchie MG e Lotus, ma affidabile.
Ne prese una.
Tornò nell’atrio. Diciotto chilometri. Pensò di sapere che cosa avesse in mente Reacher. Perciò aprì il guardaroba e prese un foulard di seta. Di color bianco avorio. Lo piegò a triangolo e se lo mise in testa. Si guardò allo specchio. Proprio come una star del cinema di un tempo. O una star del cinema di un tempo dopo un ko con un campione dei pesi massimi di un tempo.
Uscì dalla porta posteriore e s’incamminò nel freddo verso il garage. Il posto vuoto di Seth era a destra, il suo in centro, le porte erano tutte aperte. Salì in macchina, sganciò i fermi sopra il parabrezza e abbassò la capotta. Avviò il motore, uscì in retromarcia, girò e attese sul vialetto con il motore acceso, il riscaldamento in funzione e il cuore che le batteva forte. Guardò l’orologio. Mancavano ventinove minuti.
Reacher continuò a novanta all’ora per altri tre minuti, poi rallentò e inserì di nuovo gli abbaglianti. Guardò il ciglio destro. Il vecchio locale abbandonato si stagliò davanti a lui quasi a comando, spoglio, inquadrato dalla luce dei fari. Il tetto malandato, le insegne di birra sui muri dietro agli strati di fango, la terra smossa tutt’intorno dove un tempo parcheggiavano le auto. Lasciò la strada ed entrò nel parcheggio. I sassolini schizzarono, scricchiolarono e scivolarono sotto le gomme. Fece un giro completo.
L’edificio era lungo, basso e semplice, come un granaio troncato a metà. Rettangolare tranne per due sporgenze quadrate aggiunte sul retro, una per lato, la prima probabilmente per i bagni, la seconda per la cucina. Efficace per le tubature. Tra le due sporgenze c’era un piccolo spazio a U simile a una zona di carico, vuoto a parte un po’ d’immondizia portata dal vento, chiuso su tre lati, aperto solo a est sui campi bui e desolati. Era lungo una decina di metri e profondo tre e mezzo.
Perfetto per dopo.
Reacher tornò indietro lungo il muro sud e parcheggiò a dieci metri da esso, invisibile da nord, rivolto verso la strada, leggermente in diagonale, come un poliziotto a caccia di guidatori troppo veloci. Spense le luci e tenne il motore acceso. Scese nel freddo, girò attorno al cofano e si avviò verso l’angolo dell’edificio. Si appoggiò alle vecchie assi. Erano sottili e venate, congelate da centinaia di inverni, cotte da centinaia di estati. Odoravano di polvere e di età. Scrutò il buio a nord, verso la strada.
Aspettò.