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Reacher aveva studiato il quadro elettrico e deciso di staccare tutti i circuiti a causa della natura umana. Era piuttosto sicuro che i giocatori di football si sarebbero rivelati sentinelle tutt’altro che perfette. Ogni sentinella aveva un difetto. Era l’eterno problema dell’esercito. Arrivava la noia, l’attenzione si disperdeva e la disciplina veniva meno. La storia militare era costellata di catastrofi provocate dalle scarse prestazioni delle sentinelle. E i giocatori di football non erano neanche dei militari. Reacher suppose che i due in casa sopra di lui sarebbero rimasti vigili per circa dieci o quindici minuti; dopo sarebbero diventati pigri. Forse avrebbero preparato un caffè o avrebbero acceso la televisione e si sarebbero rilassati, mettendosi comodi. Perciò diede loro una mezz’ora per sistemarsi, poi tolse di colpo la corrente dappertutto per essere certo di eliminare qualsiasi forma di svago avessero scelto.

A quel punto la natura umana avrebbe di nuovo preso il sopravvento. Quei due dovevano essere abituati a dominare, a fare di testa loro, a ottenere ciò che volevano, a vincere. Vedersi negare la televisione, il caldo o un caffè non era una grave sconfitta né la fine del mondo, ma per uomini del genere era come uno spintone in pieno petto sul marciapiede davanti a un bar. Una provocazione. Si sarebbero rosi per la rabbia e non avrebbero potuto ignorarla all’infinito. Alla fine avrebbero reagito per una questione di ego. Innanzitutto con uno sfogo, poi con una serie di minacce e infine con un’incursione mal congegnata, goffa.

La natura umana.

Reacher staccò la corrente e trovò le scale al buio. Salì piano fino al primo gradino e si mise in ascolto. La porta era spessa e aderente al telaio, perciò non udì molto tranne i colpi su di essa a pochi centimetri dall’orecchio e il grido della moglie del dottore, che liquidò subito come una palese messinscena. Conosceva la differenza tra un grido vero e uno finto.

Attese al buio. Restò tutto tranquillo per quasi un’ora, un tempo più lungo del previsto. Tutti i bulli sono dei vigliacchi, ma quei due erano più conigli di quanto avesse immaginato. Avevano un fucile da caccia, santo cielo, e presumeva avessero trovato una torcia. Che diavolo stavano aspettando? Il permesso? La mamma?

Attese.

Alla fine sentì muoversi e discutere dall’altra parte della porta. Suppose che uno impugnasse il fucile e l’altro la torcia. Pensò che sarebbero scesi lentamente con il fucile spianato, come avevano visto fare nei film. Che la loro prima intenzione fosse quella di catturarlo e di legarlo, non di ammazzarlo, in parte perché c’era un profondo abisso concettuale tra placcare un quarterback e uccidere un essere umano, in parte perché Seth Duncan lo voleva vivo per divertirsi, dopo. Perciò se avessero sparato, avrebbero mirato in basso. E se fossero stati furbi, avrebbero sparato subito, perché prima o poi avrebbero capito che la sua mossa migliore sarebbe stata attendere proprio là in cima alle scale, per l’effetto sorpresa.

Sentì la maniglia muoversi, poi ci fu una pausa. Appoggiò la schiena al muro, dal lato dei cardini della porta, posò un piede sul muro opposto all’altezza della vita e raddrizzò un po’ la gamba. Si mise in posizione facendo forza, poi sollevò l’altro piede e salì così usando mani e piedi fino ad avere la testa piegata sotto il pianerottolo delle scale e il sedere a più di un metro dal suolo.

Attese.

Poi la porta si spalancò e per una frazione di secondo scorse una torcia attaccata alla canna del fucile. Questo sparò subito a bruciapelo in basso, proprio sotto le sue ginocchia piegate. Le scale si riempirono all’istante di un rumore assordante, della fiammata dell’arma, di fumo, di polvere, delle schegge di legno delle scale e dei pezzi di plastica della torcia sporgente, squarciata dall’esplosione del colpo. Poi la fiammata della canna svanì, la casa ripiombò nel buio pesto e Reacher balzò in avanti posando il piede destro sul gradino superiore, il sinistro sul secondo, pronto, in equilibrio. Sfruttò il vivido brandello di memoria visiva che i suoi occhi avevano conservato dal momento dello sparo, si chinò verso il punto in cui sapeva di trovare il fucile, lo afferrò con due mani, lo strappò all’uomo che lo imbracciava e lo spinse con forza verso il punto in cui sapeva di trovare la sua faccia ottenendo due risultati in un colpo solo: tolse di mezzo il giocatore che ruzzolò all’indietro e azionò rumorosamente, con una secca grattata, il meccanismo di riarmo. Con una spallata scostò la porta e la sentì sbattere contro il secondo uomo, schizzò su dalle scale e sparò verso terra, in realtà senza l’intenzione di colpire qualcuno ma per sfruttare la breve luce della fiammata. Vide un giocatore al suolo, a sinistra, e l’altro ancora in piedi a destra, si gettò sul bersaglio da abbattere e usò il fucile come un bastone azionando di nuovo il meccanismo di riarmo contro il suo volto, un’altra grattata. Lo stese, prese a calci con forza il suo corpo, testa, costole, braccia e gambe, qualsiasi cosa trovasse, saltò indietro, sferrò calci e calpestò il primo uomo al buio, testa, stomaco, mani, dopodiché tornò dal secondo e infine ancora dal primo. Colpiva selvaggiamente senza mirare, con una forza schiacciante, indiscriminata e non mollò finché non fu più che certo che bastasse.

Alla fine si fermò, indietreggiò e rimase immobile ad ascoltare. Sentì perlopiù respiri angosciati provenire dalla stanza alla sua sinistra. La sala da pranzo. «Dottore? Sono Reacher. Sto bene. Nessuno è stato ferito dal fucile. Ora è tutto sotto controllo. Ma mi serve la corrente», gridò.

Nessuna risposta.

Era buio pesto.

«Dottore? Prima lo fa, meglio è, chiaro?»

Sentì un movimento nella sala. Una sedia che veniva scostata, una mano che toccava una parete, un piede che inciampava nella gamba di un tavolo. Poi la porta si aprì e il dottore uscì. Lo percepì più che vederlo, una mera presenza nel buio. «Ha un’altra torcia?» gli chiese.

«No», fu la risposta.

«Ok, vada a riaccendere gli interruttori per me. Stia attento sulle scale. Potrebbero essere un po’ malconce.»

«Adesso?» chiese il dottore.

«Tra un minuto», rispose Reacher. Poi gridò: «Voi due a terra? Mi sentite? State ascoltando?»

Nessuna risposta. Era buio pesto. Reacher avanzò cauto strisciando i piedi sul pavimento, sondando con la punta degli scarponi. Incappò nella testa del primo giocatore, calcolò dove si trovasse il ventre e vi ficcò con forza la canna del fucile. La usò per scavalcarlo, come nel salto con l’asta, e trovò il secondo giocatore a un metro di distanza. Erano supini, approssimativamente in linea retta, simmetrici, piedi contro piedi. Si piazzò lì, tra loro, cacciò il piede sinistro contro la suola del primo e il destro contro quella del secondo. Si stabilizzò, puntò il fucile per terra davanti a sé, tracciò per prova un breve arco, a sinistra, a destra e poi di nuovo, come un battitore nel box che si sciogliesse prima del lancio. «Se vi muovete, vi sparo nelle palle, prima all’uno e poi all’altro.»

Nessuna risposta.

Silenzio totale.

«Ok, dottore vada. Ora stia attento.» Sentì il dottore farsi strada tastoni lungo la parete, ne sentì i piedi sulle scale, i passi cauti e lenti, le dita che sfioravano di qua e di là, udì i cigolii e gli schiocchi delle assi spaccate sotto i piedi, poi il colpo secco, sicuro di un tallone che toccava il solido calcestruzzo sottostante.

Dieci secondi dopo si riaccesero le luci, lo schermo televisivo si rianimò e i commentatori eccitati ripresero a parlare. L’impianto di riscaldamento si accese con un clic, cominciando a ronzare e a vibrare. Reacher strizzò gli occhi per l’improvviso chiarore, si sforzò di socchiuderli e guardò in basso. I due giocatori a terra erano pesti e sanguinanti. Uno era completamente andato, l’altro stordito. Reacher lo sistemò con un altro calcio alla testa, si guardò attorno e vide il rotolo di nastro adesivo sul divano. Cinque minuti dopo i giocatori erano legati insieme come salami, schiena contro schiena, per il collo, la vita e le caviglie. Erano troppo pesanti per essere spostati, perciò Reacher li lasciò dov’erano, sul pavimento dell’atrio, a coprire il parquet rovinato nel punto in cui aveva sparato.

Missione compiuta, pensò.

Missione compiuta, pensò Jacob Duncan. La Cadillac di Seth era stata recuperata, entrambi i cadaveri degli iraniani erano stati denudati e gli abiti gettati nella stufa a legna in cucina. I corpi erano stati trascinati oltre la porta e lasciati in cortile, in attesa d’essere eliminati più tardi. Avevano pulito la parete e il pavimento della cucina, raccolto i vetri rotti e rabberciato la finestra con nastro adesivo e carta cerata. Avevano curato la mano di Seth, Jasper aveva quindi preso alcune sedie in più da un’altra stanza e ora tutti e sei gli uomini erano seduti al tavolo, i quattro Duncan più Cassano e Mancini, vicini, alla pari, gomito a gomito. Avevano tirato fuori il Knob Creek e brindato a loro, al successo e alle future alleanze.

Jacob Duncan si era rilassato e aveva bevuto con notevole soddisfazione ed esultanza, perché si sentiva pienamente vendicato. Aveva scorto Cassano alla finestra, nonché la calibro 45 puntata, e quindi aveva parlato un po’ più a lungo e un po’ più forte di quanto fosse strettamente necessario proclamando la sua imperitura lealtà a Rossi, cementando il rapporto al di là di ogni ragionevole dubbio, mantenendo nel contempo i nervi saldi e aspettando che Cassano sparasse, cosa che alla fine aveva fatto. Aveva pensato in fretta, mostrato coraggio sotto pressione e ottenuto un risultato perfetto. Il raddoppio dei profitti per sempre. Reacher era al sicuro, chiuso sotto terra con due uomini in gamba a sorvegliarlo. E il carico era in arrivo, il che era la cosa più bella di tutte perché, come sempre, una piccola parte sarebbe stata trattenuta per uso personale dalla famiglia. Una perdita di peso propizia, per così dire. Giustificava l’intera folle operazione.

Jacob alzò il bicchiere. «A noi, perché la vita è stata generosa», esclamò.

Reacher trovò un coltello sbucciatore in un cassetto della cucina e rimosse la torcia decapitata dalla canna del fucile. I profani avevano un’idea errata della polvere da sparo. Una carica abbastanza potente da lanciare un proiettile pesante alla velocità di centinaia di chilometri all’ora creava necessariamente una bolla di gas capace di distruggere tutto ciò che incontrava sul suo cammino quando fuoriusciva dalla canna. Per questo le torce militari erano di metallo e montate con la lente dietro alla bocca, non davanti. Gettò la plastica spaccata tra i rifiuti, si guardò attorno in cucina e chiese: «Dov’è il mio parka?»

«Nel guardaroba. Quando siamo rientrati, ho preso tutti i giacconi e li ho appesi. Passando ho raccolto il suo. Ho pensato fosse meglio nasconderlo. Che dentro avesse qualcosa di utile», rispose la moglie del dottore.

Reacher lanciò un’occhiata nell’atrio. «Quei tizi non hanno controllato le tasche?»

«No.»

«Ci vorrebbe un altro calcio in testa. Potrebbe aumentare il loro QI.»

La moglie del dottore gli disse di sedersi. Reacher lo fece e lei lo esaminò con cura. «Il suo naso ha un aspetto davvero terribile», disse.

«Lo so», replicò Reacher. Se lo immaginava, violaceo e gonfio, sfocato, una presenza inattesa. Non si era mai visto il naso prima, tranne che allo specchio.

«Mio marito dovrebbe darle un’occhiata.»

«Non c’è niente che possa fare.»

«Va sistemato.»

«L’ho già fatto.»

«No, in modo serio.»

«Mi creda, più sistemato di così non si può. Ma può pulire i tagli, se vuole. Con quella roba che ha usato prima.»

Dorothy Coe la aiutò. Iniziarono con l’acqua calda per togliergli il sangue incrostato dalla faccia. Poi si misero all’opera con i batuffoli di cotone e il liquido astringente. La pelle aveva grossi squarci a U. I margini aperti bruciavano da matti. La moglie del dottore fu meticolosa. Non furono cinque minuti piacevoli, ma alla fine la medicazione ebbe termine. Dorothy Coe gli sciacquò di nuovo la faccia con l’acqua e gliela asciugò con una salvietta di carta.

«Ha mal di testa?» chiese la moglie del dottore.

«Un po’», disse Reacher.

«Sa che giorno è?»

«Sì.»

«Chi è il presidente?»

«Di cosa?

«Dei coltivatori di mais del Nebraska.»

«Non ne ho idea.»

«Dovrei bendarle la faccia.»

«Non ce n’è bisogno», rispose Reacher. «Mi dia solo un paio di forbici.»

«Per cosa?»

«Vedrà.»

Lei trovò le forbici e lui il rotolo di nastro adesivo. Ne tagliò un pezzo di venti centimetri esatti e lo posò sul tavolo con la colla rivolta verso l’alto. Tagliò quindi un pezzo di cinque centimetri e lo sagomò a triangolo. Lo appiccicò nel centro del pezzo da venti, poi prese il tutto e se lo applicò sul volto con forza in modo che fosse teso, un’ampia fascia argentata che gli andava da uno zigomo all’altro, proprio sotto gli occhi. «Questa è la miglior medicazione da campo del mondo. Una volta i Marine mi hanno trasportato in volo dal Libano in Germania con soltanto il nastro adesivo che mi teneva dentro l’intestino», disse.

«Non è sterile.»

«Ci si avvicina abbastanza.»

«Non dev’essere molto comodo.»

«Ma riesco a vedere. Questa è la cosa principale.»

«Sembra pittura di guerra», osservò Dorothy Coe.

«Ecco un altro punto a favore.»

Entrò il dottore, lo fissò per un istante ma non commentò. «Che succede ora?» chiese invece.

Child Lee - 2013 - Una ragione per morire: Un'avventura di Jack Reacher
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