28

I sei Cornhuskers rimasti si erano divisi e stavano lavorando autonomamente. Due erano parcheggiati a nord sulla strada principale, due a sud, uno stava percorrendo il dedalo di stradine in direzione sud-est, il sesto il dedalo di stradine in direzione sud-ovest.

Il dottore s’imbatté nei due a nord.

Quasi letteralmente. Il suo piano era mollare il furgone non appena avesse trovato un pezzo di terra di nessuno e tornare a piedi a casa attraverso i campi. Mentre guidava si guardava attorno, scrutando a destra e a sinistra, ma il bourbon lo aveva reso lento e stordito. Quando riportò lo sguardo sulla corsia, vide che stava per schiantarsi frontalmente contro un altro furgone parcheggiato per metà sulla strada, per metà sul ciglio. Era fermo, rivolto in senso contrario, con le luci spente. Dagli occhi al cervello alle mani, ogni parte del corpo ottenebrata dai fumi del bourbon reagì con una frazione di secondo di ritardo. Sterzò brusco e si ritrovò in diagonale, diretto contro un secondo furgone parcheggiato sull’altro ciglio, una trentina di metri più in là. Premette il freno, tutte e quattro le ruote si bloccarono, slittò e si fermò più o meno di traverso.

Il secondo furgone si mosse e gli sbarrò la strada davanti.

Il primo furgone si mosse e gli sbarrò la strada dietro.

A Las Vegas Mahmeini compose un numero. Rispose il suo braccio destro, a otto isolati di distanza nell’ufficio di Safir. «Cambiamento di programma. Voi due andrete in Nebraska, subito. Usate l’aereo della ditta. Il pilota ha i dettagli», disse.

«Ok», rispose l’uomo.

«È una missione in due parti. Primo, trovate quel forestiero di cui tutti parlano e fatelo fuori. Secondo, avvicinate i Duncan. Instaurate un rapporto di fiducia. Poi fate fuori gli uomini di Safir e anche quelli di Rossi, in modo da saltare d’ora in avanti due anelli della catena. In futuro potremo trattare direttamente. Così il profitto sarà molto maggiore. E anche il controllo.»

«Ok», rispose l’uomo.

Il dottore rimase immobile al volante, tutto tremante per lo shock, la paura e l’adrenalina. I Cornhuskers scesero in strada. Erano enormi. Con i giubbotti rossi. S’incamminarono verso il veicolo del dottore con calma e scioltezza, uno a destra, l’altro a sinistra. Rimasero per un istante fermi, uno per ogni lato dell’abitacolo, immobili e silenziosi nell’oscurità pomeridiana. Poi il primo aprì la portiera del passeggero e il secondo quella del guidatore. L’uomo davanti alla portiera del passeggero era pronto a sventare una fuga, quello davanti alla portiera del guidatore si allungò all’interno e trascinò fuori il medico per il colletto della giacca. Questi piombò sull’asfalto come un peso morto. Il giocatore lo tirò su, lo colpì con forza al ventre, lo girò e lo colpì altre due volte nella parte bassa della schiena, sui reni. Il dottore cadde in ginocchio e vomitò bourbon sulla strada.

Il giocatore davanti alla portiera del passeggero tornò al suo furgone e lo parcheggiò dov’era prima. Poi parcheggiò quello del dottore subito dietro. Raggiunse il compagno e insieme caricarono a fatica il medico nella cabina dell’altro mezzo. Quindi si allontanarono, uno seduto a destra, l’altro a sinistra con il medico incastrato in mezzo sulla panca da tre, tutto scosso e tremante, con il mento appoggiato al petto.

A Las Vegas Safir compose un numero. Rispose il suo uomo nell’ufficio di Rossi, a sei isolati di distanza. «Nuovi sviluppi. Vi mando in Nebraska. Vi faxerò i dettagli all’aeroporto», disse.

«Ok», rispose l’uomo.

«Gli uomini di Rossi vi aspettano all’hotel. Anche Mahmeini manderà i suoi. Lavorerete tutti e sei insieme finché il forestiero non verrà fatto fuori. Nel frattempo cercate di combinare qualcosa con i Duncan. Instaurate un rapporto. Poi eliminate gli uomini di Rossi. In questo modo saremo un passo più vicini alla fonte. Possiamo raddoppiare il margine.»

«Ok», rispose l’uomo.

«Se ne avete l’occasione, fate fuori anche gli uomini di Mahmeini. Credo di poter avvicinare il suo cliente. Voglio dire, in quale altro modo potrebbe procurarsi roba del genere? Forse potremo quadruplicare il margine.»

«Ok capo», rispose l’uomo.

I Cornhuskers andarono a sud coprendo velocemente otto chilometri, poi rallentarono e svoltarono nel vialetto comune dei Duncan. Percependo il cambiamento di velocità e di direzione, il dottore alzò lo sguardo e gemette. Emise un sospiro strozzato, confuso, chiuse gli occhi e lasciò di nuovo cadere la testa. L’uomo a destra gli cacciò un gomito nelle costole. «Dovrai sforzarti di migliorare la voce, amico. Perché hai qualche spiegazione da dare», disse.

Percorsero il tratto fino alle case lenti, formali e solenni, come a segnalare «missione compiuta». Parcheggiarono davanti, scesero e trascinarono fuori la preda. La trasportarono fino alla porta di Jacob Duncan e bussarono. Un attimo dopo questi venne ad aprire; un Cornhuskers posò la mano sulla schiena del dottore e lo spinse dentro. «Lo abbiamo beccato alla guida del furgone che avevamo perso. Ci ha messo le sue maledette targhe», disse.

Jacob Duncan guardò il medico per dieci lunghi secondi. Sollevò la mano e gli diede alcuni colpetti sulla guancia. Pelle pallida, sudaticcia e appiccicosa, bernoccoli ed ecchimosi. Lo afferrò per la camicia e lo trascinò oltre, nell’atrio. Lo fece girare e lo spinse avanti, nei meandri bui della casa, verso la cucina sul retro. Il prigioniero era entrato nel sistema.

Jacob Duncan si voltò verso i Cornhuskers.

«Ottimo lavoro, ragazzi», esclamò. «Ora andate a terminarlo. Trovate Reacher. È di nuovo a piedi. Se il dottore sa dov’è, sono sicuro che ben presto ce lo dirà e ve lo faremo sapere. Ma nel frattempo continuate a cercare.»

Roberto Cassano era ancora nella cucina di Jacob Duncan. Angelo Mancini era al suo fianco. Videro quell’idiota del dottore arrivare incespicando dall’atrio, ubriaco fradicio, malconcio e terrorizzato, con le conseguenze del lavoro di Mancini ancora chiaramente visibili su tutta la faccia. Poi squillò il telefono di Cassano. Questi controllò il display, vide che la chiamata era di Rossi e uscì dalla porta posteriore incamminandosi sulla ghiaia invasa dalle erbacce. Premette il tasto e sentì la voce di Rossi: «Ci sono complicazioni».

«Cioè?» esclamò Cassano.

«Ho dovuto calmare le acque qui. La cosa stava sfuggendo a ogni controllo. Ho dovuto parlare con certe persone, modificare alcune convinzioni. Per farla breve, avrete rinforzi. Due uomini di Safir e due di Mahmeini.»

«Questo dovrebbe accorciare le cose.»

«All’inizio», osservò Rossi. «Poi però diventerà molto complicato. Arriveranno con istruzioni di eliminarci dalla catena, è più che certo. Mahmeini vorrà probabilmente eliminare anche Safir. Perciò non lasciate che nessuno di loro avvicini i Duncan. Neanche per un istante. Non lasciate che i Duncan facciano nuove amicizie. Non appena il forestiero sarà stato eliminato, occhio. Avrete quattro uomini che vi daranno la caccia.»

«Cosa vuoi che facciamo?»

«Che rimaniate vivi. E conserviate il controllo.»

«Regole di ingaggio?»

«Sicuramente uccidere gli uomini di Safir. In questo modo eliminiamo l’anello sopra di noi. Possiamo vendere direttamente a Mahmeini ai prezzi di Safir.»

«Ok.»

«Uccidete anche gli uomini di Mahmeini, se necessario, per autodifesa. Ma attenti a far sembrare che siano stati gli uomini di Safir o i Duncan. Mahmeini mi serve ancora. Non ci sono alternative. Senza di lui non ho accesso al cliente finale.»

«Ok.»

«Perciò partite subito. Tornate all’hotel senza troppo rumore. Lì incontrerete gli altri, probabilmente molto presto. Prendete contatto e preparate un piano.»

«Chi comanda?»

«Gli iraniani diranno che il comando spetta a loro, ma se lo possono mettere dove non batte il sole. Voi conoscete la gente e il territorio. Tenete in mano le redini della situazione e state molto attenti.»

«Ok, capo», rispose Cassano. Due minuti dopo lui e Mancini erano di nuovo nell’Impala blu a noleggio, diretti a sud sulla strada principale con cento chilometri da fare.

Il furgone bianco era ancora sulla Route 3, ancora in Canada, ancora diretto a est, a più di metà strada nell’Alberta, con Saskatchewan davanti. Aveva appena superato la svolta a destra per la Route 4 che conduceva a sud fino al confine, dove il modesto nastro canadese d’asfalto si trasformava nella maestosa Interstate 15 statunitense che arrivava fino a Las Vegas e a Los Angeles. Il cambiamento di status di quella che un tempo era una pista per cavalli era emblematico dell’idea che le due nazioni avevano di sé e del fatto che fosse ritenuta una strada molto pericolosa. Era un’arteria naturale con due grosse mete alla fine, perciò presumibilmente molto ben controllata. Questo spiegava perché il furgone bianco avesse rinunciato a viaggiare comodo e veloce e stesse ancora arrancando su una strada secondaria verso una cittadina chiamata Medicine Hat. Lì intendeva piegare infine a sud e perdersi nella zona selvaggia del lago Pakowki, prima di trovare una strada sconnessa senza nome che si addentrava nelle foreste fin nel cuore dell’America.

I Duncan costrinsero il dottore a stare in piedi all’estremità del tavolo. Loro rimasero seduti a guardarlo e per un minuto non dissero niente, Jacob e Seth da un lato, Jasper e Jonas dall’altro. «È stato un gesto intenzionale di ribellione?» chiese alla fine Jacob.

Il dottore non rispose. Aveva la gola gonfia e dolente per il vomito, e in ogni caso non afferrò la domanda.

«O hai creduto di averne il diritto?»

Il dottore non rispose.

«Dobbiamo saperlo», insistette Jacob. «Ce lo devi dire. È un argomento affascinante. Va analizzato in dettaglio.»

«Non so di che cosa stiate parlando», affermò il medico.

«Ma forse tua moglie sì», insinuò Jacob. «Dobbiamo andarla a prendere, portarla qui e chiederglielo?»

«Tenetela fuori.»

«Come?»

«Vi prego. Vi prego, tenetela fuori.»

«Potrebbe intrattenerci. Un tempo lo faceva, sai. La conosciamo da molto prima di te. È venuta qui cinque o sei volte. Proprio in questa casa. Era contenta di farlo. Naturalmente la pagavamo, cosa che potrebbe aver influenzato il suo atteggiamento. Dovresti chiederglielo, domandarle che cosa facesse per soldi.»

«La baby-sitter.»

«Questo dice? Suppongo si dica così ora.»

«È ciò che faceva.»

«Chiediglielo di nuovo una volta o l’altra. Coglila alla sprovvista. Era una ragazza dai molti talenti, tua moglie. Forse te lo racconterebbe. Potresti divertirti.»

«Che volete?»

«Conoscere la psicologia che sta dietro quello che hai fatto», rispose Jacob Duncan.

«Che cosa ho fatto?»

«Hai messo le tue targhe sul nostro furgone.»

Il dottore non disse nulla.

«Vogliamo sapere perché. Tutto qui. Non è chiedere molto. È stata semplice impertinenza? O un messaggio? Volevi vendicarti perché abbiamo messo fuori uso la tua vecchia macchina? Reclamare un diritto? Ribadire una posizione? Rimproverarci di essere andati troppo oltre?»

«Non lo so», rispose il dottore.

«O qualcun altro ha cambiato le targhe?»

«Non so chi le abbia cambiate.»

«Ma non sei stato tu?»

«No.»

«Dove hai trovato il furgone?»

«Al motel. Questo pomeriggio. Era accanto alla mia macchina. Con su le mie targhe.»

«Perché non le hai cambiate di nuovo?»

«Non lo so.»

«Guidare con targhe false è un reato, giusto? Nel migliore dei casi, un’infrazione. I medici possono forse indulgere in comportamenti criminali?»

«Immagino di no.»

«Ma tu lo hai fatto.»

«Mi dispiace.»

«Non scusarti con noi. Non siamo un tribunale o una commissione statale. Dovresti però escogitare qualche scusa. Potresti perdere il lavoro. E poi che farebbe tua moglie per guadagnare? Sarebbe forse costretta a tornare ai vecchi metodi. Un ritorno sulle scene, per così dire. Non che la rivorremmo. Voglio dire, chi la vorrebbe? Una vecchia troia imbellettata come quella?»

Il dottore non disse nulla.

«E hai curato mia nuora», proseguì Jacob Duncan. «Dopo che ti era stato detto di non farlo.»

«Sono un medico. Ho dovuto.»

«Per il giuramento di Ippocrate?»

«Esatto.»

«Che dice per prima cosa: non nuocere.»

«Io non l’ho fatto.»

«Guarda la faccia di mio figlio.»

Il dottore la guardò.

«Sei stato tu», disse Jacob.

«No.»

«Sei stato tu la causa. Il che è la stessa cosa. Hai nuociuto.»

«Non sono stato io.»

«Chi è stato?»

«Non lo so.»

«Io penso di sì. Le voci corrono. Le avrai sicuramente sentite. Sappiamo che parlate sempre di noi. La catena telefonica. Credevi fosse un segreto?»

«È stato Reacher.»

«Alla fine», affermò Jacob, «arriviamo al punto. Hai complottato con lui.»

«No.»

«Gli hai chiesto di accompagnarti a casa di mio figlio.»

«No. Mi ha costretto ad andarci.»

«Comunque sia», concluse Jacob, «non serve piangere sul latte versato. Ma abbiamo una domanda per te.»

«Quale?»

«Dov’è ora Reacher?»

Child Lee - 2013 - Una ragione per morire: Un'avventura di Jack Reacher
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