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Dorothy Coe usò il bagno degli ospiti e si fece una rapida doccia, pronta per andare al lavoro al motel. Si fermò in cucina a bere un caffè e a mangiare pane tostato con il dottore e sua moglie, poi cambiò programma. «Dov’è andato Reacher?» chiese.
«Non lo so», rispose il dottore.
«Deve avervelo detto.»
«Sta seguendo una teoria.»
«Adesso sa qualcosa. Lo sento.»
Il dottore non disse nulla.
«Dove è andato?» insistette Dorothy Coe.
«Al vecchio granaio», rispose.
«Allora ci andrò anch’io», disse.
«Non farlo», affermò il dottore.
Reacher andò a sud sulla strada principale, rallentò fino a fermarsi a un chilometro dal retro del granaio. Sorgeva in mezzo ai campi a ovest, vicino al capanno più piccolo, freddo nella luce, inclinato in un angolo come se fosse in ginocchio. Reacher scese, si aggrappò alla barra del tetto, si mise in piedi sul sedile e si issò come aveva fatto sulla Subaru del dottore. Stavolta però era più in alto perché il Tahoe era più grosso. Ruotò lentamente su se stesso con il sole negli occhi da una parte e la sua ombra immensa dall’altra. Vide il motel in lontananza a nord, le tre case dei Duncan in lontananza a sud. Nient’altro. Non c’erano persone né veicoli. Non si muoveva niente.
Scese sul cofano e saltò a terra. Ignorò i solchi del trattore e si incamminò per i campi in linea retta puntando allo spazio tra il granaio e il capanno più piccolo.
Eldridge Tyler sentì il furgone. Solo il fruscio delle gomme lontane sull’asfalto grezzo, il sibilo dei fumi di scarico attraverso la marmitta catalitica, il battito smorzato dei componenti dello sterzo, il tutto a malapena udibile nell’assoluto silenzio della campagna. Lo sentì fermarsi e restare dov’era. A più di un chilometro, pensò. Non era uno dei Duncan con un messaggio. Sarebbe arrivato fin lì o avrebbe telefonato. Non era neanche il carico. Non ancora. Mancavano ore di viaggio.
Rotolò sul fianco e guardò la trappola. Aveva studiato le mosse necessarie se fosse arrivato qualcuno: afferrare il fucile, rotolare sul fianco, mettersi seduto, girarsi e sparare a bruciapelo. Non c’era problema.
Si voltò di nuovo, avvicinò l’occhio al cannocchiale e il dito al grilletto.
Dieci minuti dopo Reacher era a metà strada, intento a valutare, studiare, contare mentalmente. Era solo. L’ultimo ancora in piedi. Tutti e dieci i giocatori di football erano fuori combattimento, gli italiani e gli arabi nella Ford pure, l’iraniano rimasto era stato ucciso e i quattro Duncan erano rintanati in una delle loro case. Ritenne di potersi fidare di quell’ultima informazione. La catena telefonica locale sembrava una fonte impeccabile di intelligence. HUMINT, la chiamavano nell’esercito, e l’esercito che Reacher aveva conosciuto sarebbe stato folle di invidia di fronte a un tale sistema di vigilanza.
Continuò a camminare curvando leggermente per allinearsi con lo spazio tra i due edifici. Il granaio era alla sua destra, il capanno più piccolo alla sua sinistra. I rovi alla base sembravano ombreggiature fatte in fretta su un disegno a matita. Sterpi secchi d’inverno, forse un’esplosione di colori e di petali d’estate. Forse un’attrazione. Una bicicletta da bambino era in grado di affrontare i solchi del trattore. Pneumatici grossi, telaio robusto.
Continuò a camminare.
Eldridge Tyler calmò il proprio respiro, si concentrò con attenzione e tese le orecchie per cogliere qualsiasi rumore ci fosse da intercettare. Conosceva il terreno. La terra era in continuo movimento, si scaldava, si raffreddava, vibrava, subiva impercettibili tremiti e microscopici sollevamenti, spingeva piccoli sassi verso l’alto attraverso i suoi molteplici strati fino alle spaccature in superficie. E quelle pietruzze restavano lì, nei solchi e nelle fenditure in attesa d’essere calpestate, spostate con un calcio, schiacciate, sbattute l’una contro l’altra. Non era possibile camminare senza far rumore su un terreno aperto. Tyler lo sapeva. Tenne l’occhio sul cannocchiale, il dito sul grilletto e le orecchie bene aperte.
Reacher si fermò a cinquanta metri e restò immobile a guardare gli edifici di fronte, assorto da un pensiero circolare. La sua teoria era del tutto esatta o del tutto sbagliata. Margaret Coe era venuta per i fiori, ma non era rimasta intrappolata per caso. La bicicletta ne era la prova. Una bambina impulsiva al punto da lasciare la bici sulla strada si sarebbe forse precipitata in un edificio abbandonato e ferita malamente. Ma una bambina seria e coscienziosa al punto da portare la bici con sé avrebbe fatto attenzione e non si sarebbe mai ferita. Era la natura umana. La logica. Se si fosse trattato di un incidente, la bicicletta sarebbe stata ritrovata all’esterno. La bicicletta non era stata ritrovata, quindi non si era trattato di un incidente.
Non basta: era andata al granaio spontaneamente, ma non vi era entrata di sua volontà. Perché una bambina in cerca di fiori sarebbe dovuta entrare in un granaio? I granai non racchiudevano segreti per i bambini cresciuti nelle fattorie. Non racchiudevano misteri. Una bambina interessata ai colori, alla natura, alla freschezza non avrebbe provato alcuna attrazione per un luogo buio e cupo, impregnato di odori di morte. Il portone scorrevole funzionava venticinque anni prima? Un bambino avrebbe potuto spingerlo? Quell’edificio aveva un secolo e marciva dal giorno in cui era stato finito. Ora il portone era bloccato e forse lo era già all’epoca; in ogni caso, era pesante. In alternativa, una bambina di otto anni avrebbe potuto sollevare la bici per entrare dalla porticina? Una bici con pneumatici grossi, un telaio robusto, pedali e manubrio scomodi?
No, qualcuno lo aveva fatto per lei.
Un quinto uomo.
Perché la teoria non funzionava senza un quinto uomo. Il granaio era irrilevante senza un quinto uomo. I fiori erano trascurabili senza un quinto uomo. I Duncan avevano un alibi, eppure Margaret Coe era scomparsa. Quindi là, quel giorno, c’era un’altra persona, per caso o apposta.
Oppure no.
Logica circolare.
Del tutto esatta o del tutto sbagliata.
Se fosse stata del tutto sbagliata, l’esito sarebbe stato frustrante, ma non avrebbe rappresentato un gran problema. Se fosse stata del tutto esatta, significava che il quinto uomo esisteva e andava considerato. Sarebbe stato legato ai Duncan da un fine comune, da un segreto terribile condiviso a vita. Era presumibile che collaborasse. La sua lealtà e i suoi servigi erano garantiti dall’interesse reciproco o dalla coercizione. In caso di emergenza avrebbe dato una mano.
Reacher guardò il granaio e il capanno più piccolo. Se la teoria era esatta, il quinto uomo si sarebbe trovato lì.
Se il quinto uomo era lì, la teoria si sarebbe rivelata esatta.
Logica circolare.
Reacher aveva visto gli edifici due volte, una di notte e una di giorno. Era un osservatore. Un tempo si guadagnava da vivere notando i dettagli. Ed era ancora vivo perché li notava. Ma da cinquanta metri non c’era niente da vedere. Solo i lati di due vecchi edifici. Per il quinto uomo la mossa migliore sarebbe stata trovarsi nel granaio, in disparte, a un paio di metri dalla porticina, seduto comodo su una sedia da giardino con un fucile da caccia sulle ginocchia in attesa che il bersaglio entrasse illuminato da un fascio di luce intensa. La seconda mossa migliore sarebbe stata trovarsi nel capanno più piccolo a centoventi metri di distanza, con un fucile bene in piano e l’occhio vicino a un cannocchiale per sorvegliare la zona, magari dai fori per la ventilazione che Reacher aveva notato nelle visite precedenti. Un’alternativa più complessa, ma forse la scelta più azzeccata per un tiratore poco incline agli scontri ravvicinati. E l’interno del granaio era un luogo sicuro, inviolabile, dato che nessun estraneo poteva vederlo da fuori, neanche uno prossimo a morire. In entrambi i casi, per semplice logica, il capanno andava controllato per primo.
Reacher andò a sinistra, verso il lungo muro orientale del capanno, né veloce né lento, con un passo tranquillo a metà tra una marcia e una passeggiata, tutto sommato più silenzioso che se avesse corso o strisciato. Si fermò a un paio di metri, dove iniziavano i rovi secchi e rifletté sulle percentuali. C’erano buone probabilità che il quinto uomo fosse stato un militare o quanto meno in contatto con la cultura militare tramite parenti e amici. Cresciuto in uno Stato nel cuore del paese, con famiglie numerose, fratelli e cugini. Probabilmente non un tiratore scelto ma forse neanche un soldato di fanteria. Però poteva conoscere le regole di base, la più importante delle quali diceva che, quando un uomo era steso e mirava a qualcosa davanti a sé, diventava sempre più paranoico al pensiero di ciò che gli succedeva alle spalle. La natura umana. Una dinamica incontrollabile. Per questo i tiratori scelti operavano in squadre di due, con un osservatore. L’osservatore doveva localizzare il bersaglio, calcolare portata e deriva, ma la sua effettiva importanza stava nel paio d’occhi in più e nella sicurezza che forniva. A parità di condizioni, la prestazione di un tiratore scelto dipendeva dal respiro e dal battito cardiaco, e qualsiasi cosa contribuisse a calmarli aveva un valore inestimabile.
Perciò il quinto uomo aveva portato con sé un osservatore? Un sesto uomo? Probabilmente no, perché c’era già un sesto uomo da qualche parte, in giro sul furgone grigio, perciò l’osservatore sarebbe stato il settimo uomo e sette era un numero eccessivo, ingestibile per un complotto locale. Quindi il quinto uomo era più probabilmente solo e di conseguenza avrebbe come minimo escogitato un sistema di allerta: ghiaia o vetri rotti sparsi nei punti di accesso, forse una trappola all’ingresso del capanno, qualcosa di rumoroso, di risolutivo, che lo aiutasse a rilassarsi.
Reacher si allontanò dai rovi e si diresse all’entrata. Si fermò a una trentina di centimetri e si mise attentamente in ascolto, ma non sentì niente di niente. Inspirò l’aria sperando di individuare quel vago odore chimico indicativo della presenza di un veicolo parcheggiato, benzene e idrocarburi freddi trasportati dai profumi organici, ben più terreni, del suolo e del legno vecchio, ma il naso rotto era tappato dai coaguli di sangue e l’olfatto non funzionava a dovere. Niente di niente. Perciò prese il fucile a canna mozza con la destra, la Glock con la sinistra e avanzò di poco per sbirciare dentro.
E vide la trappola.
Era un pezzo di cavo elettrico sottile a basso voltaggio, un articolo facilmente reperibile in qualsiasi negozio di elettronica, isolato da una plastica nera, teso ad altezza di polpaccio sul lato aperto dell’edificio. Era coperto da un velo sottile di rugiada mattutina, ormai in parte asciugata, il che significava che si trovava lì da almeno due ore, da prima dell’alba, il che a sua volta significava che il quinto uomo era una persona seria e cauta, paziente, impegnata e totalmente coinvolta. E che era stato contattato dai Duncan il giorno prima, forse nel tardo pomeriggio, come piano di riserva, per maggior sicurezza. Il che confermava infine che il granaio in effetti nascondeva qualcosa di importante.
Reacher sorrise.
La teoria era del tutto esatta.
Si tenne lontano dal groviglio di rampicanti e tracciò un’ampia curva senza far rumore. Agì in base al presupposto che le persone fossero in genere destrimani, pertanto voleva trovarsi alla sinistra dell’uomo prima di annunciarsi perché in quel modo il suo fucile avrebbe dovuto compiere un movimento di rotazione più lungo e scomodo per agganciare il bersaglio. Studiò il terreno e non vi notò niente di rumoroso. Vide un furgone in fondo al capanno, parcheggiato in parte sotto il soppalco. La ribalta era aperta, la vernice bianco sporco del bordo appariva pallida nella semioscurità. Si avvicinò fino a quindici centimetri dal cavo e restò immobile lasciando che gli occhi si adattassero. L’interno del capanno era buio, a parte qualche sporadica striscia di luce che entrava dalle fessure tra le assi deformate. Sul furgone non si scorgeva alcun movimento. Era uno Chevrolet Silverado. Sopra, a più di un passo dal tetto della cabina di guida, c’era il soppalco e lassù c’era una sagoma gobba: natiche e gambe, schiena e gomiti, il tutto preceduto dalle suole di un paio di stivali e ben illuminato da dietro dalla luce che entrava dai fori per la ventilazione. Il quinto uomo, prono con un fucile.
Reacher scavalcò la trappola con il piede sinistro, poi con il destro tenendo le gambe bene in alto, con attenzione, e sgattaiolò dentro nell’ombra. Avanzò a poco a poco nel solco scavato dagli pneumatici di sinistra dove la terra era stata pressata. Sembrava camminasse in equilibrio su una fune, lento e prudente, trattenendo il fiato. Raggiunse il retro del furgone. Da lì vedeva i piedi del quinto uomo ma nient’altro. Gli serviva un’angolazione migliore. Sarebbe dovuto salire sul pianale, il che implicava escludere l’approccio silenzioso. Le lamiere avrebbero risuonato, le sospensioni cigolato e da quel momento in poi la mattinata sarebbe diventata molto rumorosa.
Fece un profondo respiro dalla bocca: inspirò ed espirò.