Capitolo 8

Matthew – Adesso

Matthew Hill si sporge in avanti per scostare due listelli della tenda verde acqua e vedere senza essere visto. Dall’altra parte della strada c’è una donna con un lungo impermeabile che controlla l’orologio e alza lo sguardo verso la sua finestra.

Aspetta qualche istante prima di sbirciare di nuovo e scopre che è scomparsa. Allora non era la sua nuova cliente? Quella strana Beth Carter, che l’altro giorno al telefono era così nervosa e farfugliava con voce stridula, chiaramente ben al di fuori dalla sua comfort zone, e chiaramente mentendo.

Matthew si acciglia e controlla a sua volta l’orologio prima di sedersi di nuovo e battere nervosamente il piede. Beth Carter è già in ritardo di dieci minuti. Si farà mai vedere? Per lui è ancora scioccante scoprire quanta gente butta via il proprio tempo.

Sono trascorsi quasi due anni da quando ha lasciato il corpo di polizia e ogni giorno si chiede se riuscirà mai a adattarsi alla sua nuova vita. Aveva ingenuamente immaginato che il lavoro di investigatore privato gli avrebbe permesso di scegliere i casi di cui occuparsi e di fare qualcosa di positivo, ma non è così.

Oltre a non avere né la garanzia del posto di lavoro né la pensione della polizia, si è dovuto adattare alla sua terribile nuova routine. La maggior parte della settimana la trascorre pedinando e fotografando coniugi infedeli alla ricerca di prove per qualche causa di divorzio. Il resto del tempo se ne sta seduto nel suo ufficio, fingendo che l’inesistente segretaria sia appena uscita quando risponde al telefono a una serie di persone mentalmente disturbate.

Oltre alla chiamata di Beth, il giorno prima ha parlato tre volte con un certo Ian Ellis, convinto che degli uomini in miniatura lo stiano seguendo su un aereo per rapirlo. «Come Lilliput. Accetta di seguire il mio caso?»

«No, mi dispiace, non posso».

Il nuovo lavoro ha confermato quello che Matthew già sapeva quando era in polizia: che ci sono troppe persone borderline lasciate in balìa di sé stesse. E per quanto sia comprensivo con loro, Matthew non è un assistente sociale e non può prendersi cura di tutti.

Lo squillo del citofono lo fa sobbalzare, era convinto che Beth Carter ci avesse ormai rinunciato. Controlla di nuovo l’orologio e poi va a rispondere, passandosi le dita tra i capelli.

«Beth Carter. Mi scusi, sono un po’ in ritardo». La voce crepita dal piccolo altoparlante e Matthew si chiede se è la stessa donna che ha visto in strada.

«Non si preoccupi. Salga».

L’ufficio è al primo piano. Matthew le va incontro e le tiene aperta la porta. «Dovrei mettere un cartello. Ho sempre paura che la gente si perda su queste scale», dice stringendole la mano e ricordandosi di sorridere. Sì, è proprio la donna che ha visto prima. «Vuole darmi l’impermeabile?»

«No, grazie. Sto bene così».

Le fa cenno di sedersi e nota la sua sorpresa quando si guarda attorno nella stanza. Matthew segue il suo sguardo. Un salto da Ikea e alcuni oculati acquisti online gli hanno permesso di arredare l’ufficio a un prezzo ragionevole ed è soddisfatto del risultato. Scaffali di acciaio inossidabile e una scrivania dello stesso materiale con sedie acqua marina abbinate con le tende, e grandi stampe art déco in cornici di faggio alle pareti. I suoi pezzi preferiti sono i due schedari con le gambe inclinate e i piedi circolari che sembrano piccoli robot. Per fortuna nessuno sa quante poche cartelle ci sono lì dentro.

«È molto carino qui».

«La maggior parte della gente dice che non è quello che si aspettava», risponde Matthew, raggiante. «Voglio che i miei clienti si sentano a loro agio. La gente guarda i film e si immagina una vecchia scrivania traballante e un fumatore incallito».

C’è una breve pausa di silenzio mentre lei armeggia con un bottone dell’impermeabile. Matthew aspetta. Quando lavorava nella polizia, era lui a condurre gli interrogatori. Adesso preferisce che sia il cliente a parlare per primo per capire con chi ha realmente a che fare.

«Ero un po’ nervosa al pensiero di venire qui. Ho cambiato idea due volte. Stavo per andarmene, ma poi ho pensato che sarebbe stato incredibilmente scortese e anche un po’ ridicolo, e così sono tornata». Arrossisce e parla a raffica, come ha fatto al telefono.

Ora gli piace, è bello che sia così sincera. «Quando contatta un investigatore privato, la gente non sa mai cosa aspettarsi».

«È vero. Decidere di coinvolgere un estraneo non è una scelta facile…», dice lei continuando a giocherellare con il bottone.

«Quindi, quella sua amica scomparsa… Al telefono mi ha detto che è da quasi dieci anni che ha perso le sue tracce».

«Non è scomparsa. Non proprio. Non ho detto così. Abbiamo solo perso i contatti ed è importante ritrovarla».

«Importante?». Matthew fa una pausa deliberata. «Perché è importante?». Poi si accorge che Beth Carter sta alzando gli occhi al cielo e si tira prontamente indietro. «Mi scusi, sono stato indiscreto. Vuole un caffè prima che entriamo in argomento? Ho una buona miscela».

Beth Carter respira a fondo e i suoi tratti si distendono. «Adoro il caffè. La ringrazio. È molto gentile da parte sua». Poi si guarda attorno perplessa, cercando evidentemente la caffettiera.

«È nella stanza accanto», dice Matthew indicandole con la testa la porta in fondo alla stanza. Poi va in cucina e alza la voce perché lei possa sentirlo mentre le spiega la sua passione per il buon caffè. Le dice che ha appena scoperto una nuova miscela e che è curioso di sapere cosa ne pensa. E lascia la porta socchiusa per poter vedere Beth Carter attraverso la fessura. Ignara di essere osservata, lei muove il piede su e giù e poi si toglie l’impermeabile. Bene, si sta rilassando. Quando lui ritorna con il caffè e una brocca di latte, Beth sta sorridendo.

«Non l’ho ancora detto a nessuno. Avevo paura che avrebbero disapprovato».

«Disapprovato?»

«Be’, penso che ingaggiare un investigatore privato per trovare un’amica sia una cosa un po’ estrema, persino ridicola».

Matthew è contento che sia lei a dirlo. «A essere sincero, sono rimasto un po’ sorpreso quando mi ha chiamato. Ormai i vecchi amici si cercano soltanto sui social media. Al telefono mi ha detto che ha tentato tutte le classiche strade?»

«Sì, sono una ricercatrice televisiva e rintraccio le persone per lavoro. Le ho provate tutte, tutti i trucchi del mestiere. Immagino lei sia un ex poliziotto, almeno è quello che ho dedotto dal suo sito web, quindi spero che abbia i contatti giusti…».

«Pensa che la sua amica possa avere dei precedenti penali?»

«Oh, mio Dio, no, non intendevo questo. Volevo solo dire che lei deve avere molta esperienza su come trovare le persone».

Matthew la guarda sorseggiare il caffè.

«Posso chiederle perché ha lasciato la polizia, signor Hill?»

«Matthew, la prego. Non era il lavoro per me. Ha portato le fotografie e gli appunti che le ho chiesto?», domanda spazzando dei pelucchi immaginari dai jeans. Nell’arte di cambiare argomento non ha nulla da invidiare a Beth Carter.

Lei regge il suo sguardo per qualche secondo e poi gli passa un pacchetto di fotografie e appunti.

Carol Winters. Trentotto anni. Figlia unica. Alta, bionda naturale. Bell’aspetto. Artista freelance. La madre Deborah viveva a Brighton (indirizzo qui sotto). Si è trasferita qualche anno fa a un indirizzo ignoto. Il padre Simon è morto quando lei era bambina in un incidente stradale. Il fidanzato Ned (cognome ignoto) ha una società immobiliare che opera a livello internazionale (nome della società sconosciuto). Viveva in Francia. Ha viaggiato molto, soggiornando soprattutto in alberghi e case in affitto. Ultimamente sembrava felice, auto di lusso, vacanze esotiche…

Matthew scorre le foto. Chiede sempre ai suoi clienti più foto scattate in periodi diversi, ma Beth Carter gli ha anticipato al telefono che le prime stampe non erano digitali.

«È bellissima, vero?», gli chiede Beth in tono provocatorio.

Matthew sente il sangue affluirgli alle guance mentre guarda le fotografie più recenti – di circa dieci anni prima – e poi quelle più vecchie, degli anni della scuola.

«E perché vuole trovarla?»

«La nostra vecchia scuola sta chiudendo. La demoliranno. C’è un’ultima festa delle ex alunne, non è la solita rimpatriata di vecchie compagne, quanto piuttosto la fine di un’era. È l’ultima occasione per vedere quel posto prima che scompaia».

«È davvero questa l’unica ragione?».

Matthew scorre di nuovo le fotografie delle ragazze negli anni della scuola, ne posa tre sulla scrivania e poi prende quella in mezzo e la porge a Beth Carter. Non riesce a spiegare cosa l’ha colpito in quell’immagine, ma il suo istinto non sbaglia mai.

«Ecco, direi che è da qui che è cambiata. È successo qualcosa, vero?».

Beth sembra scioccata. Posa la tazza del caffè e inspira a fondo dal naso, come se fosse offesa, preoccupata o entrambe le cose.

«C’entra forse la droga? O qualcosa del genere?», dice lui. «Non voglio offendere nessuno, ma è importante che sappia tutto». Matthew posa le foto in sequenza sulla scrivania e indica il viso di Carol. «I suoi occhi, la sua postura, tutto in lei è cambiato dopo questa fotografia. In tutte quelle scattate in seguito i suoi occhi sono diversi. Cos’è stato? Droga? Autolesionismo? Anoressia…?».

«No, nulla di tutto questo».

«Eravate abbastanza in intimità da confidarvi tutto?»

«Sì, eravamo molto amiche».

«Ma non così tanto da rimanere in contatto». Matthew fissa Beth Carter, preoccupato di essersi spinto troppo oltre, ma anche deciso a farle capire che con lui non deve mentire. Nelle ultime due settimane il lavoro è scarseggiato e non può permettersi di rifiutare il caso, ma questa donna non gli sta raccontando tutta la storia, l’aveva già capito dalla conversazione telefonica del giorno prima. È importante che lei sappia almeno che lui lo sa.

Continua a scorrere le fotografie e all’improvviso trova una cartolina. Sembra una di quelle che vendono nei negozi dei musei, una piccola stampa di uno strano dipinto piuttosto inquietante. Tre donne in lunghi abiti traslucidi, quasi spettrali, che si prendono cura di una pianta in fiore.

«Oh, mio Dio, mi scusi… il mio segnalibro», dice Beth Carter, strappandogli di mano la cartolina e arrossendo. «Deve essersi infilato tra le foto, mi dispiace».

Matthew la guarda riporlo nella borsa e nota che lo mette al sicuro nella tasca interna, come se per lei fosse una cosa preziosa. Qual è il significato di quell’immagine?

Matthew raccoglie le foto e le impila di nuovo. «Ho le fotografie digitali che mi ha inviato. Devo soltanto inserire queste più vecchie nel mio computer e prendere qualche altro appunto».

Poi le fa le solite domande di routine, concentrandosi sulla madre di Carol, Deborah. La traccia di Brighton è chiaramente la migliore, visto il lavoro che Beth ha già fatto da sola. Matthew fa oscillare involontariamente la testa quando lei gli parla dell’ossessione della madre di Carol per il bingo.

E poi arriva la parte più difficile, che lo mette a disagio. Matthew apre il cassetto della scrivania, tira fuori un foglio con i termini del contratto e glielo porge. «Siamo d’accordo sul fatto che la madre è la pista migliore. Farò qualche telefonata, ma visto che il grosso del lavoro l’ha già fatto lei, a questo punto non mi resta che andare a Brighton. Se troverò la madre, troverò anche la sua amica. Se, come dice lei, madre e figlia sono invisibili sul web, è l’unica opzione che abbiamo, a meno che non scopra qualcos’altro sul fidanzato». Beth scorre il contratto. «Come vede, lavoro a tariffa giornaliera. Le spese di viaggio e il resto sono a parte. Vuole procedere?». Matthew ha avuto a che fare con così tanti perditempo che ha deciso di mettere le cose in chiaro fin dall’inizio. All’improvviso Beth sembra scossa. «Sono più caro di quanto si aspettava? Posso assicurarle che le mie tariffe sono competitive».

«No, non è questo», risponde lei guardando l’orologio. «Pagheremo il viaggio a Brighton e poi decideremo cosa fare».

«Pagheremo?»

«Io e la mia amica Sally. Gliel’ho menzionata ieri al telefono… l’altra ragazza, quella che appare in alcune di quelle foto». Guarda di nuovo l’orologio come se prima non avesse registrato l’ora. «Mio Dio! Mi dispiace. Devo correre a prendere i ragazzi a scuola. È più tardi di quanto pensassi».

Matthew non riesce a trattenersi. Madri e figli sono argomenti che gli stanno a cuore.

«Ragazzi, ha detto?»

«Sì, due. Undici e otto anni… be’, quasi nove in realtà. Devo organizzare una festa di compleanno». Beth prende il telefono dalla borsa e, tutta fiera, gli fa vedere la foto dei due figli che mostrano la lingua. «Due deliziose scimmiette!».

Matthew guarda il display e poi abbassa gli occhi sul pavimento. La somiglianza e le lentiggini l’hanno scioccato. Chiude gli occhi e si concentra, sforzandosi di celare il proprio imbarazzo di fronte alla nuova cliente, ma li tiene chiusi troppo a lungo e all’improvviso gli appare il viso dell’altro ragazzo.

E vede anche la madre, sente la sua voce riecheggiare nell’aula e nella sua testa… Spero che non dormirai mai più…

«Si sente bene, signor Hill?»

«Sì, certo». Ma quando apre gli occhi si accorge che ha posato la tazza inclinata e il caffè sta sgocciolando sulle assi del pavimento.

«Maledizione, come sono maldestro!», esclama precipitandosi a prendere uno strofinaccio per asciugare. Beth lo guarda con aria attonita.

Poi Matthew dispone sulla scrivania le vecchie foto dei tempi della scuola e le volta le spalle per fotografarle con il suo telefono. Lo fa con lentezza e attenzione, cercando di prendere tempo per calmarsi prima di restituirgliele e prometterle che la contatterà al più presto. Ma si sente ancora insicuro e spiazzato. Quella fotografia di suo figlio… E così le mente. Si alza e dice che deve andare a una riunione, e una nuova ondata di senso di colpa lo assale quando lei prende le sue cose e si salutano frettolosamente. Il cuore gli sta ancora martellando nel petto.