Capitolo 40
Beth – Adesso
Esco in giardino e mi siedo sull’erba vicino a un punto dove la terra è stata smossa per mettere a dimora nuove piante. Sento l’umidità filtrare attraverso i jeans, ma devo essere fuori portata d’orecchio, non posso rischiare che Adam senta la telefonata.
«Pronto, Sally, mi ha appena chiamata Ned».
«Ned?»
«Lo so, nemmeno io riuscivo a crederci. Deborah gli ha detto che ci siamo sentite e gli ha dato il mio numero. Carol è scomparsa».
«Scomparsa come?»
«Svanita nel nulla. A quanto pare, di tanto in tanto lo fa per sgombrarsi la testa. L’attesa dell’adozione la sta logorando».
Sento Sal fare un sospiro. Starà pensando quello che penso io…
C’è un’orribile pausa. Mi picchietto il labbro inferiore con l’indice. Non oso formulare le domande che mi si affollano in testa. È per quello che abbiamo fatto che adesso Carol non può avere un figlio? Perché non l’abbiamo portata da un medico?
«C’è qualcos’altro, Sally. Non so proprio cosa pensare».
«Continua».
«Carol ha una motocicletta. La usa per andarsene da casa quando vuole stare sola».
«Una motocicletta?»
«Sì. Ovviamente è solo una coincidenza. Non posso credere che ci sia un collegamento. Carol non farebbe male a una mosca. Questo lo sappiamo tutte e due. Ho chiesto a Ned cosa ne pensava… se Carol può essere pericolosa per sé stessa o per gli altri, e lui si è offeso…». Parlo sempre più in fretta, come se così le parole fossero meno pericolose. «Ma volevo sapere cosa ne pensi tu. È davvero soltanto una coincidenza? Quando ci penso mi sembra di impazzire, e ogni volta che me lo chiedo mi sento sleale nei confronti di Carol».
«Mio Dio, non so cosa dire».
«Ho paura che se lo racconteremo alla polizia daranno la caccia a Carol e per lei sarà la goccia che fa traboccare il vaso. Forse è meglio parlarne con Matthew. Chiedergli il suo parere. Cosa ne pensi? Sono convinta che Carol non farebbe del male a nessuno, ma credo che dovremmo segnalare alla polizia questa singolare coincidenza. E anche i messaggi su Facebook. Matthew potrà darci un consiglio su cosa fare».
Un’altra lunga pausa e la sento tirare su con il naso. Poi odo dei singhiozzi e mi accorgo che sta piangendo.
«Oh, mio Dio, Sally, non volevo turbarti. Non ho mai pensato che Carol avesse qualcosa a che fare con tutto ciò. Non sto insinuando che potrebbe essere stata lei a investire Adam, mi sto solo chiedendo se possiamo dirlo alla polizia senza…».
«Matthew mi ha mollata», dice lei singhiozzando.
«Come?».
Altri singhiozzi e poi la sento soffiarsi il naso prima di riprendere a parlare. «Dopo quello che è successo a Adam non volevo parlartene. Hai già troppe cose a cui pensare, ma credevo che ti facesse piacere, visto che non hai mai approvato…».
«Oh, Sally, mi dispiace tanto». Sentirla così sconvolta mi fa stare male. Ci vuole un po’ prima che smetta di piangere.
«Ti piaceva così tanto?», le chiedo.
Sally non risponde, piange ancora e poi si soffia di nuovo il naso.
«Raccontami cosa è successo».
«È questo il problema… Non lo so. Stavamo bene, Beth, era tutto perfetto, e poi all’improvviso ho ricevuto un messaggio…».
«Un messaggio? Ti ha scaricata con un SMS?»
«Sì, diceva soltanto che tra noi non funzionava. Che gli dispiaceva tanto, bla bla bla, ma che non sarebbe stato giusto per me».
«Ho bisogno di vederlo», dico alzandomi a fatica e lisciando la chiazza di umido sui jeans.
«No, Beth, ti prego. Lascia perdere».
«Mi dispiace, Sally, ma non posso. In ogni caso, voglio parlargli di Carol. E poi non lascerò che ti tratti in questo modo. Nemmeno per sogno…».
Guido come la notte di tanti anni fa in cui Sally perse il figlio: come una posseduta. Faccio grattare il cambio, picchio la mano sul volante e continuo a passarmi le dita tra i capelli.
So che la rabbia che ribolle in me è pericolosa e ipocrita. Sally ha ragione, non approvavo la loro relazione, ma soltanto perché Matthew sembrava a disagio con i miei figli, perché non è un tipo da famiglia. Non il genere di uomo di cui mi fido e che quindi preferisco. Ma quando ho sentito Sally piangere così disperatamente, mi è tornato in mente tutto quello che ha passato in questi anni.
Penso a quell’orribile giorno quando era stata sorpresa a rubare in un negozio. Avevano detto che c’era una registrazione delle videocamere di sorveglianza dove la si vedeva infilare una confezione di tutine da neonato nella borsa, ma lei non ricordava di averlo fatto. Ci avevo messo un sacco a convincere il tipo della sicurezza a lasciarla andare, facendogli capire in che condizioni era.
Penso di nuovo a Matthew, rendendomi conto soltanto ora di quanto era importante per Sally.
Come ha osato comportarsi così?
Non ci sono posteggi liberi vicino all’ufficio di Matthew e così devo camminare per cinque minuti sotto la pioggia prima di suonare il citofono.
«Matthew, sono Beth. Ho bisogno di parlarti».
«Oh, scusami, adesso non posso. Sto per incontrare un cliente…».
«È importante, Matthew». Respiro a fondo. «Fammi entrare. Non ti tratterrò a lungo».
La ripidità delle scale mi sorprende di nuovo. È incredibile quante cose sono successe dall’ultima volta che sono venuta qui. Oggi non sono nervosa, soltanto furiosa.
Il suo sguardo quando mi fa entrare in ufficio è quello di un bambino sorpreso a fare qualcosa che non va e che teme uno scapaccione. Si sposta dietro la scrivania, che è stranamente inclinata, e io provo l’irrefrenabile tentazione di allungargliene uno.
«Ho appena parlato con Sally. A che gioco stai giocando?».
Matthew abbassa gli occhi sul pavimento e poi mi fissa di nuovo stringendo le labbra e strizzando gli occhi.
«Con tutto il rispetto, penso sia una cosa privata tra me e Sally…».
«Se è così che la pensi, ricorda che sono stata io a ingaggiarti e a presentarti Sally. Non puoi trattarla così, giocare con i suoi sentimenti pensando di cavartela con uno stupido messaggio».
Matthew si gratta il collo, poi si porta una mano alla fronte e fissa di nuovo il pavimento. «È stato molto scorretto da parte mia, lo ammetto. Mi sono comportato da codardo. E tu e lei avete ragione a essere arrabbiate, ma dovete credermi, stavo solo cercando di fare la cosa migliore, di essere…». Fa una pausa come se cercasse la parola adatta. «…giusto».
«Giusto?».
Matthew fa un sospiro e chiude gli occhi. Quando li riapre, è quasi agitato quanto me. Cammina su e giù per la stanza e alla fine si siede alla scrivania reggendosi la fronte con il palmo della mano.
«Mi dispiace ma adesso devi andare, Beth».
«Io non vado da nessuna parte».
Ci fissiamo in silenzio per trenta secondi. Un minuto.
«Davvero, Beth, devi uscire».
«Scordatelo. Non finché non mi avrai detto a che diavolo di gioco stai giocando». Mi siedo e poso la borsa sulla sedia accanto per fargli capire che non ho fretta e sono pronta ad aspettare.
«D’accordo, d’accordo. Allora, la prima volta che siamo usciti insieme Sally mi ha detto di avere chiuso con il matrimonio e i sogni della famiglia felice. Che le piaceva vivere alla giornata, senza legami né impegni». Mentre parla, Matthew distoglie lo sguardo. «E poi siamo andati a trovare sua madre. All’inizio non voleva che andassi con lei, ma si era slogata la caviglia e non poteva guidare. Così ci sono andato e ho parlato con sua madre che mi ha detto la verità».
«Quale verità?»
«Sul suo primo matrimonio con quel cialtrone. E su come ha sempre voluto diventare madre e lo vuole ancora…».
«E così hai tagliato la corda perché tu non vuoi figli. Non pensi che dovresti parlarle? Come fanno le persone adulte».
«Non posso parlarle di questo. Mi dispiace, ma non è una cosa che ti riguardi». Si morde il labbro e si alza. «Non è come pensi, Beth. Davvero. Adesso devi proprio andare».
«Vuoi forse dire che ho capito male? Non sei un bambino che ha paura di impegnarsi e non vuole cedere il proprio primato a un bebè? Preferisci la vita da single ai doveri della famiglia? Sto colpendo nel segno?»
«No», sussurra lui.
«Cosa, allora?».
Lui mi fissa negli occhi e respira a fondo. «Non sono affari tuoi, Beth».
«E invece sì. Hai ferito la mia amica e l’hai fatto diventare un affare anche mio».
C’è una lunga pausa e mi chiedo se non sia il caso di andarmene. Matthew non sembra disposto a dirmi altro e non voglio nemmeno chiedergli consiglio sulla telefonata di Ned. E poi all’improvviso apre l’ultimo cassetto della scrivania, fruga tra i fogli e tira fuori un vecchio giornale. Lo fissa aggrottando la fronte, come se non riuscisse a prendere una decisione, e poi me lo passa.
«Ecco».
È un giornale locale della Cornovaglia. Sulla prima pagina c’è una fotografia di Matthew con l’uniforme della polizia e accanto quella di un bambino sorridente.
Non riesco a credere ai miei occhi. La faccia del bambino è identica a quella di Sam. Gli stessi colori. Le stesse lentiggini.
«Quel ragazzino assomiglia al mio Sam», dico con voce tremante mentre sento la paura crescere dentro di me.
«Sì, è quello che mi ha sconcertato quando ci siamo incontrati. Il primo giorno mi hai mostrato le fotografie dei tuoi figli. Stessi colori. Stessi occhi».
Leggo l’articolo in prima pagina e la paura continua a crescere.
«Oh, mio Dio, Matthew…», esclamo mettendo una mano sulla bocca.
A pagina tre c’è un’altra fotografia del ragazzo con la madre, entrambi sorridenti.
Finisco l’articolo, rileggo i particolari più tremendi, e poi chiudo gli occhi per riordinare i pensieri, con le lacrime che mi rigano le guance.
«Non ne sapevo nulla». Non riesco a capacitarmi del mio errore.
«Grazie al cielo non ne hanno parlato in televisione ma soltanto sulla stampa locale».
«È per questo che hai lasciato la polizia?»
«Sì».
Guardo il suo braccio. La cicatrice che spunta dalla camicia sul dorso della mano. Sally mi aveva raccontato che era stato un incidente mentre lavorava con suo padre. Una bugia. Rileggo il paragrafo dell’articolo che parla dell’inchiesta. Oddio. È così che se l’era procurata.
«Mi dispiace tanto, Matthew». Continuo a leggere l’articolo, soffermandomi sugli orribili dettagli. «Ma le autorità… Tutti hanno visto che non era colpa tua. L’inchiesta… L’indagine ha concluso che sei stato molto coraggioso, che hai rischiato la vita. Devi dirlo a Sally. Ti capirà. Ti starà vicino e ti aiuterà…».
«Aveva dodici anni, Beth».
Mi sfugge un ansito, un soffio d’aria per impedirmi di piangere. Vedermi in lacrime non aiuterà Matthew. Mi sento in colpa per averlo giudicato male.
«La madre mi ha maledetto».
«Doveva essere…». Faccio una pausa e guardo fuori dalla finestra, cercando le parole giuste. «…folle di dolore».
«Ha detto che sperava che non sarei più riuscito a dormire». La voce di Matthew è piatta. China le spalle e piega la testa, come se quel ricordo fosse per lui un peso intollerabile. Mi sento in colpa per avergli fatto subire tutto questo. So perfettamente quello che prova…
«E ha detto anche…», aggiunge fissandomi negli occhi, «che se mai avrò un figlio, spera che morirà, così saprò come ci si sente».