Capitolo 35
Beth – Adesso
Ora so perché la privazione del sonno è una forma perfetta di tortura.
Adam esce dalla sala operatoria dopo tre ore e mezza ed è ancora sotto anestesia. Dicono che l’operazione è andata bene, ma non è fuori pericolo e lo trasferiscono in terapia intensiva. A quanto pare lo tengono sotto sedativi per facilitare il riassorbimento dell’ematoma cerebrale. Mi rifiuto di allontanarmi da lui e dormo qualche minuto qui e là su una sedia accanto al suo letto, aspettando che ritorni cosciente.
Sally mi porta delle cose da casa e resta seduta con me tutto il secondo giorno. La sera ci arriva una notizia terribile. La donna rimasta ferita mentre cercava di aiutare Adam è morta. Il suo cuore era debole e non ha retto lo shock.
Non riesco ad accettarlo. Una parte di me inorridisce… e l’altra? Mi vergogno a dire che provo un profondo sollievo: se uno dei due doveva morire, almeno non è stato Adam. Sono forse un mostro a pensarlo? Non oso immaginare quale sarebbe la risposta di Adam.
La morte della donna ha dato un impulso alle indagini della polizia, che non parla più di incidente ma di omicidio colposo e sta cercando nuovi testimoni.
Nel frattempo hanno ridotto i sedativi somministrati a Adam, e quando finalmente riesce a parlare, la polizia vuole interrogarlo per sapere cosa ricorda. Il problema è che lui è ancora stordito e confuso e non riesce a ricordare granché. Li prego di non dirgli della morte della donna.
«Non ancora… per favore».
Alle undici di sera le infermiere mi dicono che le sue condizioni sono molto migliorate e mi consigliano di tornare a casa a farmi una doccia e a riposare così anche Adam potrà dormire.
Ma io non voglio andare. Sono terrorizzata che possa succedere qualcosa mentre non ci sono, anche se tutti hanno cercato di rassicurarmi. Le telefonate di mia madre mi hanno fatto capire che i ragazzi hanno bisogno di me, e così, a malincuore, lascio che Sally mi accompagni a casa in taxi. Lei non può guidare per via della caviglia. Una distorsione, mi sembra che abbia detto.
A casa trovo i ragazzi terrorizzati nonostante le rassicurazioni della nonna e mi rendo conto che sarei dovuta tornare prima. Gli ho raccontato che c’è stato un incidente e che il papà guarirà presto, ma hanno visto il telegiornale e sono molto confusi. «Perché quel motociclista non si è fermato, mamma?».
La polizia mi ha fatto sapere che non hanno trovato altri testimoni. A quell’ora la strada era quasi deserta, la maggior parte della gente era al lavoro o aspettava i figli davanti alle scuole vicine. E quel che è peggio, non ci sono riprese di videocamere di sorveglianza. La più vicina era guasta. Ma sono sicuri che presto troveranno un indizio, come per esempio i danni riportati dalla moto.
Cerco di dormire ma non ci riesco. E quando per qualche minuto sprofondo nel sonno, vengo assalita da incubi orrendi. Le immagini che mi hanno sempre ossessionata si fondono insieme. Tre candele in una chiesa. Le conchiglie sullo scaffale. Adam sulle strisce pedonali. Carol seduta al mio posto al suo capezzale…
Alle due di mattina il povero piccolo Sam appare alla porta per confessarmi un incidente. Ha bagnato il letto, una cosa che non fa da quando era piccolo. Gli dico di non preoccuparsi, di cambiarsi il pigiama e infilarsi nel mio letto mentre metto le sue lenzuola in lavatrice così nessuno se ne accorgerà. «Non voglio che nessuno lo sappia, mamma!», dice alludendo a Sally, che dorme sul divano in soggiorno.
Gli liscio i capelli e gli dico che papà tornerà presto a casa, e quando si riaddormenta, scendo a fare un tè. Qualche minuto dopo Sally entra in cucina.
«Come stai, Beth?»
«Malissimo. Non riesco a dormire. Continuo a pensare a quella povera donna e non vedo l’ora di tornare in ospedale».
«Penso che ai ragazzi abbia fatto bene vederti, anche se solo per un po’».
«Sì, sì, hai ragione». Non aggiungo che mi sento spaccata in due, vorrei essere con i ragazzi ma anche con Adam.
Preparo un tè per tutt’e due e mi siedo accanto a lei sul divano. Con il caminetto spento fa freddo e così lei prende il piumone e ce lo avvolge attorno alle spalle.
«Ho preso una decisione che troverai difficile da accettare, Sally», dico evitando di guardarla. È quello a cui sto pensando da quando sono seduta vicino a Adam in ospedale. «Quando lo dimetteranno e starà abbastanza bene, gli racconterò tutto».
«Oh, Beth…».
«No, per favore, non cercare di dissuadermi». Prendo la sua mano sotto il piumone e la stringo forte.
«Ma tutti questi anni, Beth. La promessa… Tutti questi anni».
«Fare quella promessa è stato un errore, Sally. L’ho capito soltanto ora, ma penso di averlo sempre saputo. E adesso… Cristo! Potrei avere perso Adam, e potrebbe persino essere colpa mia. Potrei avere qualcosa a che fare con tutto questo. Mi dispiace, Sally. So che tu pensi che non sia collegato, ma non ti sto chiedendo il permesso. Ho preso la mia decisione. Questa è la mia famiglia ed è mio dovere dirglielo. Quando tornerà a casa e starà meglio, glielo dirò. Tutto…».