Capitolo 48
Beth – Adesso
Il taxi è in ritardo. L’avevamo prenotato alle undici e mezza, ma arriva a mezzanotte.
«Ti senti meglio adesso, Beth?», mi chiede suor Maurice passandomi un biglietto con l’indirizzo dell’ordine in Belgio.
«Molto meglio, sorella. È stata una giornata difficile, con Melody e tutto il resto. Ci terremo in contatto. Ci faccia sapere cosa ne pensa del video». Le do un bacio sulla guancia, imbarazzata dal brusco commiato. Non mi piace quando gli altri mi vedono piangere.
Dal sedile posteriore del taxi la guardo salutarci mentre l’autista si avvia lungo il vialetto del convitto con la ghiaia che scricchiola sotto gli pneumatici.
“È l’ultima volta che vedremo questo posto?”, mi chiedo, domandandomi se Sally e io dovremmo comunque informare la polizia o se il vaso di Pandora resterà chiuso per sempre.
Il motore del taxi sbuffa e singhiozza lungo le strade buie e quando arriviamo all’albergo, Sally si è addormentata e devo svegliarla scuotendola dolcemente mentre pago l’autista. Sul cruscotto c’è un magnete con la fotografia di due bambini, una ragazzina con i capelli rossi e le lentiggini e un ragazzino senza i denti davanti. Sorridono al padre mentre lui azzera il tassametro prima della prossima corsa, e li immagino sotto le coperte e che si alzano in silenzio la mattina per permettere al padre di riposare prima del turno di notte. Gli do una mancia ridicola e faccio segno a Sally di spicciarsi.
Quando rientriamo in albergo, alla reception c’è un’altra ragazza, che appena ci vede sbadiglia e nasconde frettolosamente sotto il banco un libro con la copertina rosa. Le luci del bar sono soffuse, c’è soltanto una coppia di uomini d’affari con le cravatte allentate che cullano nelle mani due bicchieri di brandy in fondo al locale. Uno dei due si è tolto le scarpe per allungare i piedi su uno sgabello e massaggiarsi le dita. Ha un calzino bucato.
Mi dirigo verso il banco per controllare se c’è un messaggio di Ed, il cameraman, che ha lasciato il convento prima di noi insieme a Matthew per consegnare alla polizia le riprese del motociclista. Ed mi aveva promesso di tenermi al corrente sui suoi spostamenti e di farmi sapere come recuperare una seconda copia delle riprese. Domani mattina deve alzarsi presto perché è impegnato in studio.
La ragazza al banco reprime un altro sbadiglio. «Un messaggio per la stanza 202? Aspetti un attimo… sì. Ce n’è uno dal suo cameraman. E poi l’ha cercata anche un’altra persona. È ancora lì che la sta aspettando», dice indicando i divani blu accanto al bar. Immagino si tratti di Matthew. Lancio un’occhiata a Sally, che ha lo sguardo annebbiato dalla stanchezza. È stato gentile da parte di Matthew aspettarci per assicurarsi che Sal stia bene. Mi preparo a salutarla frettolosamente e a lasciarli soli.
Sally, esausta, posa a terra la borsa e mi segue mentre mi dirigo verso i divani.
All’improvviso mi blocco. No. Non è Matthew…
Sta dormendo sul divano più vicino, quello di spalle al banco della reception. Nonostante il viso sia nascosto dai capelli, non ci sono dubbi sulla sua identità. Accanto a lei, in una culla di tessuto scozzese, c’è il bambino più bello che abbia mai visto. Le braccia di Carol cingono la piccola culla.
Per un istante Sal e io non ci muoviamo. Un’altra sorpresa. Poi ci scambiamo un’occhiata e allungo una mano per toccare la spalla di Carol, ma all’ultimo momento mi fermo. Lei e il bambino hanno un’aria così felice. Sento un rumore alle nostre spalle, mi volto e vedo l’uomo d’affari senza scarpe togliere i piedi dallo sgabello mentre il barman comincia ad abbassare la grata del banco. Il rumore la sveglia e Carol fa una smorfia prima di aprire gli occhi.
Poi è un puro delirio. Parliamo l’una sopra l’altra e Carol ci fa segno con la mano di abbassare la voce per non svegliare il piccolo. Le dico che non ho mai visto un bambino così perfetto. «Ha una testa che sembra scolpita, e così tanti capelli, Carol. Perché diavolo non ce l’hai detto…».
Lei ci spiega sussurrando che, dopo una lunga serie di delusioni, all’improvviso l’adozione è stata accettata, ed era talmente terrorizzata che andasse di nuovo tutto a monte, che non l’aveva detto a nessuno, nemmeno a sua madre. Non riesce ancora a crederci e non se la sentiva di tornare alla scuola, ridestando il senso di colpa e l’incubo del passato, ma, per ovvie ragioni, voleva che noi fossimo le prime a saperlo.
«Avevamo ormai rinunciato a ogni speranza. Ned aveva persino contattato gli orfanotrofi in Cina – ci sono così tanti bambini che hanno bisogno di una casa –, ma anche là sta diventando sempre più complicato. E poi, inaspettatamente…». Lancia un’occhiata amorevole al bambino addormentato. «…Thomas». Il nome di suo padre. «Doveva essere assegnato a un’altra famiglia, ma poi d’improvviso la coppia si è separata. E così hanno chiamato noi. Ogni volta che lo guardo non riesco a crederci».
Guardiamo tutte dentro la piccola culla e neanche io riesco a trovare le parole. Carol racconta che l’idea di viaggiare l’aveva spaventata ma che era andata meglio di quanto pensasse. È esattamente come la ricordo prima di quell’orribile notte, i suoi occhi sono radiosi e il suo viso è illuminato dalla speranza. Una fitta di senso di colpa mi serra lo stomaco. Non avrei mai dovuto menzionare a Sally la telefonata di Matthew sulla motocicletta. Sto cominciando a sospettare che sia stato davvero l’amico di Melody e adesso la polizia controllerà anche l’altra moto. Non capisco ancora il motivo, ma naturalmente non aveva nulla a che fare con la povera Carol. Lei non può fare male a nessuno. È soltanto un’orribile coincidenza…
Il senso di sollievo comincia a subentrare alla sorpresa mentre il barista tossisce, impaziente di chiudere il locale. Carol è riuscita a trovare una stanza nel nostro albergo; ha scoperto dalla madre dove avremmo soggiornato. E così Sally invia un messaggio a Matthew, nella loro stanza, per dirgli che è tornata e che lo raggiungerà tra poco. Ci trasferiamo nella camera di Carol e la informiamo su quello che ci ha detto suor Joanne, dandole del brandy per calmarla quando si mette a tremare.
Per alcuni minuti lei rimane in silenzio, pallida in viso, cullando Thomas e sorseggiando il brandy. Ma nessuna di noi si mette a piangere, è troppo tardi per le lacrime. Le diciamo che il giardino della cappella non sarà interessato ai lavori e che potrà visitarlo quando vorrà, ma non le confessiamo quello che Sally e io pensiamo. Non è il caso di parlarne questa sera.
Invece, prendiamo in braccio a turno il bambino e Sally dice che adesso dobbiamo dimenticare il passato per il bene di Thomas.
Alla fine Sally prende dal minibar una bottiglietta di champagne per brindare all’arrivo di Thomas.
La camera di Carol è un po’ più grande della mia, ma vi regna un ordine immacolato, con la sua piccola valigia sullo scaffale accanto al guardaroba e i vestiti per la mattina – una camicia bianca e un paio di eleganti pantaloni neri – già piegati sulla sedia.
Le dico scherzando che lei e Sal sono sempre state molto più ordinate di me. E poi arriva il cambiamento di cui abbiamo tanto bisogno, come quando a un funerale tutti cominciano a ricordare i momenti felici e la nostalgia scaccia la tristezza. Dopo un po’ ci mettiamo a stuzzicare Sal per le sue unghie perfette e la messa in piega impeccabile, e lei si mette sulla difensiva dicendo che i suoi capelli non sono più quelli di un tempo e che sta invecchiando. E per dimostrarlo si abbassa il pullover sulle spalle e ci mostra le sue «braccia da vecchia».
«Guarda la pelle cadente! È disgustoso».
Per consolarla mi arrotolo i pantaloni e le mostro i capillari rotti. «Scommetto che le tue gambe non sono così».
Sally, stordita dallo champagne e dalla stanchezza, fa scivolare il cardigan dalle spalle di Carol per confrontare le braccia, dicendo che quelle di Carol sono di certo toniche e sode. Rabbrividiamo tutte guardando Carol sussultare e rimettersi il cardigan prima di fissarmi negli occhi. Me, non Sally.
«Sono inciampata come una stupida!».
«Oh, mio Dio, Carol. Poverina. Dev’essere doloroso», dice Sally, preoccupata, avvicinandosi e abbassandole dolcemente il cardigan. Carol, imbarazzata, lo solleva di nuovo. «Dev’essere stata una brutta caduta. Devi stare attenta, Carol. Pensa se avevi in braccio il bambino. Ci vuole un po’ d’arnica. È la cosa migliore in questi casi. Penso di averne un po’ nella borsa nella mia stanza. Vuoi che vada a prenderla?»
«No, non preoccuparti».
«Ci metto un attimo».
«Davvero, non è niente di grave».
Sally va in bagno mentre Carol continua a fissarmi senza dire niente. Forse si è resa conto che lo capirò da sola. E così è. L’ho visto abbastanza spesso a L’incontro delle menti, e all’improvviso ricordo la ferita che mi aveva detto di essersi procurata sciando. Una pista nera, mi aveva raccontato. E io penso: no. Soltanto la parola no. E continuo a ripetermela nella mente.
Mentre poso i tre bicchieri sul tappeto sento il rumore dell’acqua che scorre in bagno. All’improvviso il bambino si stiracchia e Carol si sente sollevata per la distrazione. Si precipita a cullarlo e accende il bollitore per scaldare un biberon che prende da una borsa di tessuto scozzese identico a quello della culla.
Il bambino piange e lei infila delicatamente il mignolo nella sua bocca, tranquillizzandolo per un po’ mentre io l’aiuto a scaldare il biberon e Sally è ancora in bagno.
«Me l’ha insegnato una vicina in Francia quando facevo la baby-sitter ai suoi due figli. Ha funzionato anche durante il viaggio. Succhiando il dito si addormenta subito».
«Da quanto ti picchia?». Scuoto il biberon perché si riscaldi prima. «Fin dall’inizio?».
Carol evita il mio sguardo e continua a lisciare i capelli del bambino, e io sto per esplodere. Non può aspettarsi davvero che glielo lascino tenere. Non ora di certo. Mi sorprende che sia riuscita a nasconderlo all’ufficio delle adozioni. Sono sicura che alla fine lo scopriranno.
«Pensavo che il bambino avrebbe cambiato le cose». Sta parlando sottovoce, come se non volesse che Sally la sentisse, lisciando ancora i capelli del bambino, che ora succhia più forte.
Il biberon adesso è abbastanza caldo e glielo passo mentre Sally esce dal bagno e rimane in piedi sulla porta, guardando alternativamente Carol e me, come uno spettatore a una partita di tennis.
Mentre Carol comincia a dare da mangiare a Thomas, ripenso a tutti i viaggi e gli alberghi di lusso che le avevamo tanto invidiato e ora vedo tutto sotto una luce diversa. Sento le liti dietro le porte chiuse. Immagino i viaggi al pronto soccorso di ospedali stranieri. I regali, le scuse e tutto che ricomincia da capo. E penso alla mia festa di compleanno… La mia stupida festa di compleanno.
Carol mi guarda ma continua a non dire nulla.
«Ti ha picchiata dopo la mia festa dei trent’anni? Quando te ne sei andata subito dicendo che avevi mal di testa».
Lei non risponde, l’unico rumore è quello del bambino che succhia felice. Ned ha mentito astutamente quando ci ha detto che è lui quello che vuole che Carol resti in contatto con sua madre e con noi. Non è così. Lui non vuole che lei ci frequenti, né allora né adesso. Forse temeva che avremmo messo fine alle sue violenze, come avremmo dovuto fare. È questo il motivo per cui quella sera sono arrivati tardi. E dell’espressione di Carol davanti al ristorante. Non era per la festa, ma perché aveva appena finito di litigare con Ned per convincerlo a venire. Per me… E tutte le menzogne di Ned quando aveva finto di volere che lei restasse di più. Era una farsa. Una messinscena.
Sospiro pensando a come l’avevo giudicata male, mentre in realtà era stata coraggiosa. Aveva affrontato Ned sapendo che ne avrebbe pagato le conseguenze. E l’aveva fatto per me.
«Per favore, qualcuno può dirmi cosa sta succedendo?», chiede Sally stringendo gli occhi. Nonostante la stanchezza e lo champagne, ha colto la tensione nell’aria. Poi si china a raddrizzare un bicchiere che si è rovesciato versando le ultime gocce sul tappeto.
«I lividi, Sally. Non è stato un incidente, ma Ned».
«Ned?». Sally guarda Carol, dapprima confusa e poi spaventata. Il sollievo che abbiamo provato è all’improvviso svanito.
Quando alla fine Carol ritrova la voce e ci racconta tutto, continuando a nutrire il bambino, la realtà dei fatti è ancora più spaventosa di quanto temevo. «Lui mi ama davvero, Beth», protesta. «Ma a volte è una testa dura». Dice che lei lo fa arrabbiare così tanto. Che in verità, è colpa di entrambi… e dopo lui se ne pente sempre. L’infertilità e le frustrazioni subite per l’adozione hanno peggiorato ulteriormente le cose. Non è stato facile vivere accanto a Carol e ai suoi problemi alimentari. «Ci sono stati anche dei mesi tranquilli, ma…».
Sally e io non riusciamo a credere a quello che stiamo sentendo.
«Ma perché non l’hai lasciato, Carol? Non puoi stare con un uomo che ti maltratta. Soprattutto non adesso, con un bambino», dice Sal fissandola con aria incredula.
La voce di Carol è ancora tremante. «Lo so. Lo so. Una volta ci ho provato, ma poi lui ha comprato la casa per la mamma. È così generoso, ma spesso è imprevedibile. Prima dice che vuole che veda la mia famiglia e le mie amiche, e poi all’improvviso va su tutte le furie, come se fosse chiaro che non diceva sul serio».
«Ma questa è manipolazione, Carol. Il suo comportamento non è normale. Devi lasciarlo», dico.
«Non posso, lui mi troverà ovunque vado. Potrebbe mettere in pericolo anche la mamma, è per questo che le sto lontana. E lo so che posso sembrarvi folle, ma io lo amo. E lui mi ama. E pensavo che adesso che abbiamo finalmente un bambino sarebbe stato tutto diverso…».
Guardiamo il bambino che succhia il biberon già mezzo vuoto, con lo sguardo estasiato.
«Non puoi stare con lui, Carol. E se picchierà anche il bambino?».
C’è una pausa, come se stesse riflettendo, e poi Carol scoppia in lacrime. «Dovete aiutarmi», dice. «Vi prego. Se me lo portassero via, morirei».
Ho un piede informicolato ma non oso muovermi mentre Carol mi conferma pacatamente quello che ho sempre temuto: non può avere figli per colpa di un’infezione. Qualcosa che ha a che fare con quel parto ai tempi della scuola.
Poi incomincia a blaterare confusamente su una donna a Parigi, una medium, che le aveva predetto una svolta. Una nuova vita. Ci racconta che sta studiando i tarocchi per leggere il suo futuro. Gli tolgo dalle braccia Thomas per fargli fare il ruttino e calmarlo mentre lei dice che se noi l’aiutassimo a scovare un posto dove Ned non potrà trovare né lei né il bambino, potrebbe anche lasciarlo.
Ci spiega che lui è di nuovo a Lione per affari. Resterà assente per almeno quarantotto ore e pensa che lei sia ancora in Francia.
«Aiutatemi a nascondermi».
«Abbiamo quarantotto ore».
«Vi prego…».
È una follia. Non c’è verso di farla ragionare. E così alla fine convinco Sally a rientrare nella sua stanza mentre resto a fare compagnia a Carol, cercando di escogitare un piano.
L’aiuto a cambiare il pannolino a Thomas e poi, dopo l’ultimo pasto, a infilarlo nella sua piccola culla.
Poi preparo due tazze di tè e ci sediamo l’una di fronte all’altra.
«Vuoi che te ne parli, Beth?», mi chiede piegando la testa di lato.
«Del tuo rapporto con Ned, vuoi dire?»
«No, non di quello». Distoglie lo sguardo e poi mi fissa di nuovo. I suoi occhi luccicano e provo un’orribile sensazione che non riesco a spiegare.
«Che intendi, Carol? Parlarmi di cosa?»
«Ho sempre pensato che tu non volessi saperlo. È per questo che sono rimasta lontana».
Sorseggio il tè, che è troppo caldo, e la paura mi assale. Mi dico che dovrei andarmene. Ma mi sento anche in obbligo di rimanere. Non so cosa fare. Aggrotto la fronte e faccio oscillare la testa.
Lei mi fissa per quella che mi pare un’eternità e poi batte le palpebre. «Dovresti andare a dormire, Beth», dice, distogliendo finalmente lo sguardo.
«No, Carol. Non puoi lasciare le cose in sospeso. Cosa pensi che io non voglia sapere?»
«Il padre di mio figlio, Beth». Una lacrima si stacca dal suo occhio sinistro. La guardo scendere lungo la guancia, ma lei non dà segno di accorgersene o di volerla asciugare. Immagino che stia scorrendo lungo la mia guancia e vorrei tamponarla.
Ma Carol non si muove e la lacrima le cola sulla camicia. «Non era un ragazzo incontrato durante le vacanze».
Trattengo il respiro e mi mordo il labbro.
Un’altra lacrima le spunta all’angolo dell’occhio destro. «È successo a casa tua, Beth. Il giorno che tu e Sally siete andate alla fattoria con tua madre. Quando avevo il raffreddore. Ricordi? Quando siamo venute a stare da te e io avevo il raffreddore».
Mi sembra di essere risucchiata indietro nel tempo. Sì, lo ricordo. Io, la mamma e Sally eravamo andate allo spaccio della fattoria per comprare la zucca per la minestra, mentre Carol era rimasta a casa.
“Ma cosa diavolo sta dicendo?”, mi chiedo accigliandomi.
E poi non riesco a trattenermi e, con la mano informicolata, guardo la sua faccia voltarsi di scatto a sinistra dopo che le ho allungato una schiaffo sulla guancia…