Capitolo 11

Beth – Adesso

Passa una settimana e sono ancora indietro con il lavoro. Crudelia continua a tempestarmi di telefonate, ma poi all’improvviso mi chiama Matthew Hill, che ha notizie sulla madre di Carol.

«Sta scherzando? Pensa di averla già trovata?»

«Sì. Bingo!».

«Come ha detto?», chiedo scostando la sedia dalla scrivania.

«Bingo, letteralmente! Aveva ragione. La madre di Carol se n’è andata da Brighton qualche anno fa senza lasciare un indirizzo. E come la figlia, anche lei non è presente su nessun social media, il che di questi tempi è piuttosto insolito. Ma sono andato a Brighton e ho seguito la pista del bingo. L’ho cercata in due sale, e nella seconda ho avuto fortuna. Sembra che ci vada a giocare ogni mercoledì sera, regolarmente, e ha detto a tutti che non gioca online. La ragazza al banco ricorda che le aveva chiesto l’indirizzo della sala bingo della compagnia a Medford».

«Quindi è là che è andata?»

«Be’, non lo so per certo. Il suo nome non appare nelle liste elettorali e negli elenchi telefonici del Kent. Volevo prima sentire lei per chiederle se vuole che proceda su questa strada. Sono sicuro che il prossimo mercoledì tornerà a giocare a bingo. Se non è il tipo che gioca online, vale la pena provarci. Abitudini come queste sono difficili da estirpare. Ho chiamato la sala di Medford per chiedere informazioni, ma al telefono non possono dirmi niente. Sono convinto che la troverò. Vuole che vada nel Kent? E ha il suo cognome da nubile? È probabile che adesso usi quello».

Lo sento sorseggiare un drink mentre mi appoggio allo schienale della poltrona. Nel Kent!

«No, mi dispiace. Non ho idea di quale fosse il suo cognome prima di sposarsi. Ma ora sono impegnata, la richiamerò più tardi».

Telefono subito a Sally, che all’inizio cerca di distrarmi con il nuovo muro di pietra (per tenere lontane le pecore), che a quanto pare è stato costruito sul lato sbagliato dei giardini. Il cemento non è ancora asciutto e lei lo sta demolendo, pietra dopo pietra, perché il costruttore non le risponde al telefono e gli operai sono scomparsi.

Sento il tonfo di una pietra che cade prima che Sally continui. «Oh, no, Beth. Io non vado nel Kent. Nemmeno per idea. È troppo vicino al Sussex e non potrei affrontare la vista della nostra vecchia scuola ridotta…».

«Per favore, Sally. Non andiamo alla scuola. Non questa volta. Te lo prometto. Soltanto nel Kent. Una notte e basta. Ti prego».

«Ma non stiamo pagando quel Matthew proprio per questo? Perché mai dobbiamo andarci anche noi? Potrebbe essere una falsa pista».

«Lui sembra molto ottimista e io non riesco più ad aspettare. Ti prego, Sally. Lo so che può sembrarti un po’ strano che ci andiamo anche noi. Ma questa lunga attesa mi sta logorando i nervi. Se l’investigatore la troverà, potremo parlarle subito».

«E lui crede davvero che Deborah sia là?»

«Sembra molto probabile».

Un lungo sospiro seguito dal tonfo di un’altra pietra. «Va bene, ma soltanto una notte. Richiamami questa sera e ci mettiamo d’accordo. Nel frattempo… hai voglia di darmi una mano con questo muro?»

«Mi dispiace ma non posso».

Richiamo Matthew, che è disorientato. «Vuole venire con me? Perché?». Una pausa. «No, no, no. Non è così che sono abituato a lavorare. Potrebbe perdere inutilmente il suo tempo e io dovrò fatturarle comunque la trasferta».

Mento dicendogli che voglio approfittarne per andare a trovare un’amica che vive da quelle parti. Gli assicuro che non interferirò con il suo lavoro, ma che se troverà davvero la madre di Carol, vorremmo parlarle immediatamente. Prendere due piccioni con una fava vale la scommessa. Matthew non è entusiasta dell’idea e mi sconsiglia di accompagnarlo. Affrontiamo una lunga discussione, ma io non mollo. Alla fine si arrende, aspettandosi che viaggeremo in treno, ma io invece gli propongo di andare tutti con la mia macchina per risparmiare. Poi prenoto le camere tramite la catena di alberghi che usiamo per gli ospiti invitati a L’incontro delle menti e lo rassicuro che gli pagheremo la trasferta e tutte le spese.

I giorni seguenti ripesco tutte le scatole di vecchie fotografie che non ho mai avuto tempo di mettere negli album. Matthew vuole un’immagine migliore della madre di Carol per mostrarla allo staff e ai clienti della sala bingo. La maggior parte delle foto è stata scattata durante le visite dei genitori alla scuola – concerti e così via – ma ce ne sono anche alcune delle vacanze, quando le famiglie invitavano qualche compagna di classe. Ricordo che all’inizio ai nostri genitori l’idea non era piaciuta – «Non trascorrete già abbastanza tempo insieme?» – ma poi si erano rassegnati. E io ero fiera dell’accoglienza che i miei riservavano alle compagne; la mamma preparava torte e deliziosi panini, mentre il papà organizzava escursioni caricandoci tutte sulla sua station wagon. Mio fratello Michael, invece, teneva il broncio perché si sentiva circondato da tutte quelle femmine e voleva sempre ritornare in anticipo al suo collegio.

Ci sono anche un paio di foto scattate a casa di Sally, dove l’atmosfera era dettata da suo padre, che poteva essere di volta in volta affascinante o terrificante. Sally stava sempre sulla difensiva, era abituata ai suoi sbalzi di umore. Una volta mi spiegò che il padre era uno stacanovista, sempre sotto pressione, ma con lui Carol e io eravamo imbarazzate e a disagio, e quando la sera lo vedevamo versarsi grandi bicchieri di whiskey, trasalivamo sapendo che più tardi, in camera, avrebbe alzato la voce con la moglie. A essere sincera, stavamo meglio quando lui non c’era, l’atmosfera era più rilassata e Carol e io potevamo goderci la compagnia dei due fratelli maggiori di Sal, che fingevamo di detestare ma che in realtà amavamo in segreto.

La casa di Carol era invece il paradiso delle ragazze. Suo padre era morto in un incidente stradale quando lei era molto giovane ed era rimasta figlia unica. A Deborah mancava molto la figlia quando era al convitto e durante le vacanze ci viziava in ogni modo. Aveva le mani perfettamente curate e ogni volta che ci invitava comprava smalti per unghie di tutti i colori e ci faceva maschere per il viso con bianco d’uovo e miele.

Nella scatola trovo anche alcune fotografie di noi con le facce impiastricciate di bianco e due fette di cetriolo sugli occhi.

Prendo le tre foto migliori di Deborah, che assomiglia incredibilmente alla figlia, nonostante abbia i capelli scuri, gli zigomi alti, grandi occhi azzurri e le sopracciglia sempre inarcate in un’espressione interrogativa, come se aspettasse la risposta a una domanda.

Adam mi scruta, sconcertato e irritato. Non gli ho detto che abbiamo ingaggiato Matthew e ho solo menzionato di sfuggita il fatto che stiamo cercando di rintracciare Carol. Ho eluso tutte le sue domande, e quando la sera mi guarda mentre seguo le notizie con questo nuovo dolore allo stomaco, non posso fare a meno di sentirmi in colpa. Ho paura di quello che Adam penserà di me quando scoprirà la verità sul mio conto.

«Ti senti bene, Beth? Hai l’aria stanca. Non sembri nemmeno tu». Mi posa davanti una tazza di caffè mentre finisco di riempire la mia piccola borsa. Gli ho mentito. Gli ho detto che vado a fare compere con Sally in un grande discount del Kent.

La notte scorsa Adam mi ha chiesto della festa al convento e io ho dovuto distogliere lo sguardo con un senso di oppressione al petto. Continuo a pensare a quanto eravamo vicini un tempo, quando gli dicevo tutto. Tutto tranne il mio grande segreto, quel buco nero nel mio passato che ingenuamente ho creduto non avrebbe interferito nel nostro rapporto.

«Perché non fai un salto alla scuola dopo lo shopping?»

«Come hai detto?»

«È soltanto a un’ora di macchina da Rye».

«No, rischierei di rovinare tutto. Non voglio andarci prima di avere trovato Carol».

«Non capisco perché vuoi andare a quella festa. In tutti questi anni non hai mai manifestato il minimo interesse per le riunioni delle ex allieve, e adesso invece… Guardati!». Mi segue in corridoio con la tazza di caffè in mano e io accelero per non farmi raggiungere.

«Quella festa non è una riunione di ex allieve. Stanno per demolire la scuola e costruire appartamenti per studenti. E comunque, questo è soltanto un viaggio di shopping. Non andremo alla scuola».

Alla fine Adam si rassegna e ci salutiamo con un freddo bacio sulla guancia. Uno di quegli orribili baci in cui gli sguardi non si incrociano.

E poi arriva una complicazione inattesa: quando li carico in macchina, Sal e Matthew si fissano un po’ più a lungo del dovuto, scatenando la mia irritazione.

Matthew ha soltanto uno zainetto nero che infila nel bagagliaio prima di salire in macchina. All’inizio si siede dietro a Sally, per poi spostarsi dietro di me per vedere meglio lei.

Cerco di mantenere la calma e di essere piacevole, deviando la conversazione sul lavoro che lo aspetta.

«Non essere ridicola», mi dice Sally sulla difensiva quando in albergo disfiamo le valigie. Matthew ha una stanza singola al piano sotto il nostro. Sally e io condividiamo una doppia.

«Non eri la terza incomoda. L’ho appena conosciuto. Cristo, Beth. Non dimenticare che è stata una tua idea. Io non volevo venire».

E alla fine arriva lo shock della sala bingo, uno squallido locale con una nuvola cancerogena che si sprigiona dalle doppie porte dell’adiacente “spazio fumatori”. È la “Elvis night”, e sul palco c’è un uomo in un luccicante completo bianco che si domanda se siamo lonesome tonight prima che una ragazza con una giacca d’argento legga i numeri vincenti. I giocatori attorno a noi sembrano prendere la cosa terribilmente sul serio, e così, mentre Matthew parla con alcuni membri dello staff, Sal e io facciamo finta di giocare guardandoci furtivamente attorno alla ricerca di Deborah.

Matthew ritorna dopo essersi intrattenuto a lungo con la ragazza al bancone.

«Buone notizie», sussurra, sorridendo a Sally. «La ragazza all’ingresso ha riconosciuto subito la foto e confermato che Deborah viene qui tutti i mercoledì».

«E allora perché oggi non c’è?»

«È ancora presto. Volete che l’aspetti con voi o che mostri la foto a qualcun altro? Forse qualcuno sa dove abita». Matthew è di buon umore. Si sta visibilmente divertendo. Con i nostri soldi, penso cinicamente, punendolo perché gli piace Sally.

Resisto per altri dieci minuti, sopportando il falso Elvis e i timidi sorrisi che Sally e Matthew si stanno scambiando. Cosa mi ha preso? Sono una donna felicemente sposata. E fortunata. Certo, Matthew è un uomo attraente, con due occhi magnetici e una bella voce, ma non avrei mai immaginato che lui e Sally si sarebbero comportati come due adolescenti.

Mi fa sentire sconsolatamente sola e vorrei telefonare a Adam e chiedergli scusa per quell’orribile bacio. Non mi piace che il nostro rapporto sia diventato così teso. Ma ho paura che stia guardando una partita di calcio con i ragazzi e mi risponda con il tono che usa quando ha fretta di chiudere una conversazione, irritandomi ancora di più. Ce l’ho con me stessa. Mi sento stupida, come una teenager gelosa delle attenzioni suscitate dalla sua migliore amica. Mi chiudo nella toilette, fingendo di dare una sistemata al trucco. C’è un via vai continuo di donne che proseguono le loro conversazioni a voce alta da un gabinetto all’altro senza nemmeno notare la mia presenza.

Quello che mi sorprende di più è che si stanno davvero divertendo con quel falso Elvis, le salsicce e patatine straunte e le sigarette fumate in modo compulsivo nel nebuloso spazio riservato. In fondo, non sono gelosa soltanto di Sally e Matthew, ma anche di tutte quelle facce sorridenti. Mi fanno sentire disperatamente triste. Continuo a pensare a come eravamo Carol, Sally e io, a cosa saremmo potute diventare insieme. Se…

Chiudo gli occhi e rivedo quella stanza. La fila di conchiglie sullo scaffale blu. Il sangue e la paura…

E poi, mentre esco dalla toilette, confusa e accaldata, all’improvviso la vedo dall’altra parte della sala. Resto di sasso. Per un istante mi ero dimenticata il motivo per cui siamo qui.

Sembra che sia appena arrivata, tiene ancora sul braccio il cappotto beige bordato di seta color cioccolato. È in coda per un drink e di tanto in tanto si volta verso il palco. Non c’è dubbio. È proprio lei. Ha tinto i capelli di un marrone più caldo che fa risaltare il suo incarnato scuro. È invecchiata bene, con le stesse sopracciglia inarcate che sembrano chiedermi cosa diavolo voglio prima ancora di avermi vista. Le unghie scarlatte – che stringono il portafoglio per pagare il drink – sono ancora perfettamente curate come un tempo.

La guardo sistemarsi il cappotto sul braccio e mi rendo conto che non so proprio come avvicinarla. Cosa dirle. Come spiegarle perché, dopo tutti questi anni, Sally e io siamo qui insieme a un investigatore privato. Guardo Sally e Matthew, che continuano a fissarsi negli occhi. Cerco di mettere a fuoco la sala, come un ubriaco che riacquista lentamente lucidità, e mi dirigo verso il loro tavolo.

«È qui», sussurro, facendo un cenno con il capo nella sua direzione. «Deborah… Di fronte a voi, al bar».

Si girano tutti e due.

«Sei sicura che è lei?»

«No, non guardatela così. Sono sicura, ma dobbiamo decidere cosa dirle. Cosa penserà vedendoci con Matthew?». Non la prenderà di certo bene quando saprà che abbiamo pagato qualcuno per rintracciarla.

«Mi terrò in disparte e guarderò come reagisce. Se va tutto bene, mandatemi un messaggio e tornerò in albergo», suggerisce Matthew, masticando un cubetto di ghiaccio della sua Coca. «Ci vediamo dopo. Buona fortuna», dice alzandosi e facendo un sorriso a Sally.

Lei arrossisce e prende un dépliant turistico fingendo di leggerlo. Aspettiamo un po’ e poi ci dirigiamo verso il bar per sorprendere Deborah alle spalle. È Sally a parlare per prima. «Salve! Sei Deborah, vero?».

Lei si volta di centottanta gradi, all’inizio sorpresa e poi allarmata.

«Siamo Sal e Beth, le vecchie compagne di scuola di Carol. Ti ricordi di noi?», le chiedo.

Deborah barcolla e il portafoglio le cade di mano. Ci chiniamo tutte e tre a raccogliere le monete sparse sulla moquette.

«Mi dispiace averti spaventata. Ecco, penso che siano quasi tutte», dico passandole una manciata di monete e prendendola sottobraccio per guidarla lontano dal rumore della coda al bar.

«Mio Dio! Ma cosa diavolo ci fate qui voi due?», chiede ansimando mentre avanza verso una sedia libera. Il senso di colpa misto a paura nei suoi occhi mi suggerisce che c’è qualcosa che non va.

Che non va per nulla.