Capitolo 37
Beth – Adesso
Davanti alla finestra della cucina c’è la pianta preferita dalle coccinelle. Vorrei sapere che pianta è e continuo a ripropormi di scoprirlo. Quando Adam torna finalmente a casa dall’ospedale, trascorro un sacco di tempo guardando le coccinelle. Osservare i loro piccoli corpi luminosi, così belli e così indaffarati, mentre aspettano quel magico momento in cui gli spunteranno le ali di fata, ha su di me un effetto calmante.
«Quante oggi, Beth?»
«Sei».
«Su un’unica pianta?»
«Sì, Adam».
La gamba gli fa ancora molto male e deve usare le stampelle, ma i medici hanno detto che l’ematoma cerebrale si è completamente riassorbito e che non ci sarà nessun danno a lungo termine. Ma ci vorranno comunque settimane, forse persino mesi, prima che riacquisti completamente le forze.
In termini pratici, è come se la sua mente fosse sempre stanca. Annebbiata. Dice una cosa e poi si dimentica di averla detta, ma più tardi si accorge di essersi confuso e ci resta male.
«Sto impazzendo, Beth».
«No, Adam. Hai solo bisogno di riposare. Andrà tutto bene, ma ci vuole un po’ di tempo. Dobbiamo aspettare».
Come temevo, quando ha saputo della morte della donna che aveva cercato di salvarlo, Adam è rimasto sconvolto. Non ricorda ancora i particolari. Non ricorda nemmeno perché stava guardando il telefono mentre attraversava la strada.
Le indagini della polizia continuano, ma finora non ci sono stati progressi.
Viste le sue condizioni, non ho ancora raccontato a Adam quello che era successo a scuola con Carol e Sally. Devo aspettare finché non sarà più in forze, più sé stesso. E poi un giorno lo guarderò negli occhi domandandomi cosa penserà di me quando saprà chi sono realmente. Quello che abbiamo fatto. Quello che ho fatto.
Per il momento lo tengo sotto osservazione. E aspetto. Contando le coccinelle e ringraziando la mia buona stella perché Adam è ancora qui con me. Sano e salvo.
Questo è un buon posto per la sua convalescenza. Dal giardino c’è una splendida vista e il terreno sul retro si affaccia sul bosco. E la casa di tre piani in mattoni rossi è molto confortevole. Non abbiamo mai avuto i soldi per ristrutturarla come si deve, ma a me piace così com’è, un po’ malandata e con quell’aria vissuta.
Abbiamo instaurato subito una facile routine, ben collaudata dalle lunghe estati del mio matrimonio con un insegnante. La corsa a scuola, il caffè e i giornali in veranda, una pausa da sola quando devo correggere il curriculum per rispondere a una nuova offerta di lavoro o fare commissioni per la famiglia. Il pranzo. Poi un momento di relax quando lui mi guarda stirare o curare il giardino mentre legge un libro o sonnecchia sulla poltrona.
I soldi per il momento non sono un problema. Adam è in malattia retribuita e io ho avuto la liquidazione.
Una mattina lo sorprendo a guardarmi mentre penso a Carol. Al passato. Alla motocicletta…
«Sei preoccupata per i soldi, Beth?»
«No, per niente. Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Tu hai solo bisogno di riposo. Concentrati sullo stare meglio».
Per incoraggiarlo a rimanere fermo, mi siedo un po’ accanto a lui, sorridendogli. Poi mi volto verso la finestra e guardo il bucato danzare al vento. Una camicia di Adam batte le maniche come se seguisse un ritmo immaginario. Penso alla polizia e a quanto sono scioccata dal fatto che non ci siano progressi nelle indagini sull’investitore. La notizia è stata data dalla televisione, dalla radio locale e dai giornali. Com’è possibile che non ci sia nessun testimone e nessuna ripresa delle videocamere di sorveglianza? Sembra abbiano appena trovato un’inquadratura di una motocicletta ripresa da una videocamera a circa un chilometro dal luogo dell’incidente, ma non sono sicuri che sia la stessa. È coperta di fango e in sella c’è un uomo con il casco integrale e una tuta di pelle. Potrebbe essere chiunque.
Pensavo che a questo punto l’avrebbero già identificato, scoprendo magari che era un adolescente, scappato perché in preda al panico. È quello che voglio che sia. Un incidente… orribile, certo, ma niente più di un incidente.
Voglio liberarmi della paura che mi assale la notte e mi chiedo se dovrei menzionare alla polizia quegli stupidi messaggi. Dargli il nome di Carol? A volte penso che sia la cosa giusta da fare, ma immagino i poliziotti che si presentano a casa sua in Francia. Naturalmente Carol non ha nulla a che fare con tutto ciò, e penso a quanto possa sentirsi sconvolta e tradita quando le diranno che sono stata io a mandarli. A puntare il dito contro di lei…
«Sei sicura che non volevi dire niente, Beth?», mi chiede Adam. «Hai l’espressione di quando ti tieni dentro qualcosa».
Il bucato si ferma per un secondo, come se ci stesse ascoltando, e poi ricomincia a danzare al vento.
«No, va tutto bene. Voglio soltanto che tu la smetta di parlare e pensare e riposi un po’».
E poi – una decina di giorni dopo che è stato dimesso dall’ospedale – mentre sto potando le piante in giardino, Adam mi urla dalla veranda che c’è qualcuno al telefono per me.
«Digli che lo richiamerò», rispondo. Sono a metà lavoro, alle prese con un ramo che le cesoie non riescono a tagliare, e non voglio interrompermi.
«No, Beth. È Ned. Chiama dalla Francia… Ned, il compagno di Carol».
Perdo la concentrazione, lascio andare il ramo e le cesoie si stringono attorno al mio dito. È un taglio netto, fino alla carne viva, ma non sento niente, nemmeno quando succhio il sangue precipitandomi in cucina.
«Resta in linea. Sta arrivando», dice Adam dandomi le spalle. «Oh, eccola qui. Te la passo».
«Ned?», rispondo ansimando.
«Beth, mi dispiace chiamarti così all’improvviso…».
«È per Carol? Sta bene? Le è successo qualcosa?»
«Vuoi dire che non è con te?»
«Mio Dio, no!». Sto ancora succhiandomi il dito, nella speranza di fermare l’emorragia, e sono sconvolta. Non riesco a ricordare quando è stata l’ultima volta che ho parlato con Ned. Sono passati molti anni… «Perché diavolo dovrebbe essere qui?».
C’è una lunga pausa.
«Mi dispiace, non avrei dovuto chiamarti così. Ho appena telefonato a sua madre, Deborah, e mi ha dato questo numero. Carol le aveva detto che vi siete sentite per un evento della scuola e io ho pensato che le avrebbe fatto bene rivedervi, ma lei non voleva venire».
«Sì. Giusto. E allora dov’è… Carol? Non capisco». Mi chiedo perché mi abbia chiamato. Come può pensare che sia venuta qui se gli ha detto che non voleva andare nemmeno alla festa della scuola?
«Non voglio allarmarti, e nemmeno interferire nella privacy di Carol. Lei non vuole che parli di queste cose».
«Quali cose?». Prendo un fazzolettino dalla tasca e lo avvolgo attorno al dito ferito.
C’è una pausa ancora più lunga, come se lui stesse riflettendo su cosa dire. «Se viene a sapere che ti ho telefonato, andrà su tutte le furie, Beth».
«Per favore, Ned, sai che voglio aiutarti. Cos’è successo?»
«Abbiamo passato anni difficili, Beth. Il tentativo di adottare un bambino ci ha procurato un sacco di delusioni».
«Oh, mi dispiace». Non gli dico che Deborah ce l’ha già raccontato. Sento il cuore che mi batte sempre più forte.
«Come ti ho detto, a Carol non piace parlarne. Nemmeno con sua madre. Lo trova molto doloroso… angosciante».
«È orribile!». Chiudo gli occhi e mi chiedo di nuovo se questo è il risultato di quello che abbiamo fatto. Se la colpa è nostra.
«A volte, quando è giù di morale, ha bisogno di starsene un po’ per conto suo. Ormai mi sono abituato. Cerco di rimanere calmo e concederle il suo spazio. Resta sempre in contatto, ma io mi preoccupo per lei, Beth. Mi preoccupo davvero. Ultimamente è così fragile e non mangia abbastanza. Il fatto è che se n’è andata di nuovo, e questa volta non so dove sia. Non me l’ha detto. Soltanto un messaggio per dirmi di non stare in pensiero».
«Quando è successo? Da quanti giorni se n’è andata?»
«Un paio di settimane fa è scomparsa per due notti. Ci siamo tenuti in contatto ed è tornata. E adesso è scomparsa di nuovo, ma non ha preso il cellulare. Tornerà presto».
«Sì, lo credo anch’io». Non so cosa dire, cosa consigliargli.
«Sono contento che tu l’abbia sentita. Ho cercato di incoraggiare Carol ad andare a trovare più spesso sua madre, ad andare più spesso in Inghilterra. Ma ogni volta che affronto l’argomento lei si irrita e si barrica dietro un muro di silenzio. Non mi ha mai detto perché».
Una leggera nausea mi sale alla gola. Penso a Carol che desidera un figlio e poi a lei in quel bagno, con quella minuscola creatura blu, fredda, immobile… e devo mettermi a sedere. «Hai denunciato la sua scomparsa, Ned?»
«No… Voglio dire, tecnicamente non è ancora scomparsa. Siamo rimasti in contatto e ha detto che tornerà presto. Siamo i primi nella lista di una nuova agenzia di adozioni e l’attesa le sta facendo perdere la testa. Ha paura che sia un’altra delusione e così, come al solito, quando la tensione è troppa, fa lo zaino, monta in sella alla motocicletta e si dirige verso la costa…».
«Motocicletta?»
«Sì. È un’altra delle cose che non mi piacciono. La sua passione per la motocicletta. Dice che le sgombra la testa. La fa sentire viva e in contatto con la natura. È da dieci anni ormai che va in moto. Non è una moto di grossa cilindrata e lei è molto prudente, ma sono gli altri a preoccuparmi».
Il sangue mi pulsa nelle orecchie mentre immagino il rombo della motocicletta che ha travolto Adam. Una coincidenza, naturalmente. Non può esserci un collegamento. Non è possibile…
«Non avrei comunque dovuto telefonarti, se scopre che ti ho raccontato queste cose non me lo perdonerà mai. Ma quando Deborah mi ha detto che vi eravate sentite, ho sperato che fosse venuta da te».
«No, mi dispiace. Restiamo in contatto, Ned. Tienimi informata».
«Sì, certo. Quando tornerà a casa te lo farò sapere. Ma mi raccomando, non dirle che ci siamo sentiti. Si arrabbierebbe a morte».
«D’accordo». Srotolo lentamente il fazzoletto e scopro che il dito ha smesso di sanguinare. «Posso chiederti una cosa, Ned?»
«Certo».
«Quanto devo preoccuparmi per Carol? Pensi sia capace di farsi del male o… voglio dire… non pensi che sarebbe il caso di avvertire la polizia?»
«No, no. Non penso che si farebbe del male. Né a sé stessa né a qualcun altro. Non è pericolosa, lo sai bene. Non volevo dire che…». Respira a fondo. «Non avrei dovuto telefonarti. Mi dispiace».
«No, hai fatto bene a chiamarmi. Lei ci sta ancora molto a cuore, Ned. Aspetto una tua telefonata quando ritornerà».
«Certo. E tu mi farai sapere se la senti prima di me».
«Naturalmente».
Appena poso il telefono Adam mi fissa aggrottando la fronte.
«Cosa diavolo sta succedendo, Beth?»
«Nulla di cui tu debba preoccuparti. Te lo dirò presto, Adam. Lo prometto. Ma adesso devo chiamare Sally». Non aggiungo quello che sto davvero pensando, e cioè che prima di dire tutto a Adam devo parlarne non solo con Sally, ma anche con Matthew. Urgentemente.