Capitolo 18

Beth – Adesso

La seconda minaccia arriva la settimana seguente, dopo che siamo rientrate dal Kent.

Tutti i mercoledì, dopo la scuola, i miei due ragazzi giocano a pallone e vado a prenderli alla fermata dell’autobus vicino al campo di calcio. È il punto di ritrovo dei genitori, e c’è sempre un membro dello staff che li accompagna.

Sono a casa e sto per andarli a prendere, quando ricevo una chiamata dalla segreteria della scuola.

«Volevamo soltanto controllare se è stata lei a telefonare lasciando un messaggio».

«No, non sono stata io. Perché?»

«Quindi verrà a prendere i suoi figli come al solito?»

«Certo. Perché?».

C’è una lunga pausa e sento il suo disagio. Le chiedo di nuovo una spiegazione e lei dice che deve esserci stato un equivoco perché la sua collega ha ricevuto una telefonata in cui una donna diceva che oggi non sarei potuta venire a prendere i miei figli e avrei mandato un’amica al posto mio.

«Un’amica? Quale amica?». Penso a Sally, ma lei non avrebbe mai chiamato la scuola. Perché avrebbe dovuto farlo? Non ha mai fatto una cosa simile.

«Carol. La persona che ha lasciato il messaggio ha detto che sarebbe passata Carol a prenderli. Non è così?»

«No, assolutamente…». Il sangue mi pulsa nelle orecchie, mi gira la testa e devo mettermi a sedere.

«E dove sono adesso i miei figli? Non avrete mica lasciato che qualcun altro li prendesse?». Mi sento invadere dalla paura.

«No, certo che no. È proprio per questo che l’abbiamo chiamata. Si calmi, per favore, signora Carter. Controlliamo sempre queste cose».

«La persona che ha chiamato ha detto di chiamarsi Carol?». Cerco di placare la mia ansia, ma sono terrorizzata dall’idea che i miei figli siano saliti sulla macchina di uno sconosciuto.

Sento delle voci soffocate, come se la segretaria avesse messo la mano sopra il ricevitore e stesse consultando una collega.

«Mi dispiace, ma non sappiamo chi ha chiamato. Era una donna e non ci ha detto come si chiamava. Ha lasciato solo un messaggio dicendo che Carol avrebbe preso i ragazzi al posto suo. Ma non si preoccupi, in questi casi controlliamo sempre. Abbiamo pensato che fosse un po’ strano ed è per questo che l’abbiamo chiamata. Abbiamo bisogno del permesso ufficiale dei genitori, non consegneremmo mai i vostri figli a un estraneo».

«Va bene. Ma adesso sono un po’ preoccupata. Può controllare ancora con la sua collega?».

C’è una pausa e sento dei sussurri.

«Penso che ci sia stata semplicemente una confusione sui nomi. Come le ho detto prima, i protocolli della scuola su questo punto sono molto rigidi e lei non ha nulla da temere. Segnaleremo comunque questo episodio e se ci saranno ulteriori sviluppi glielo faremo sapere».

«Ulteriori sviluppi? Vuol dire che lo segnalerete alla polizia?»

«La polizia? Non mi sembra il caso, a meno che lei non abbia qualche ragione specifica per chiederci di farlo. Vuole che lo facciamo?». Il suo tono è completamente cambiato.

«No, no, no. Molto probabilmente c’è stata qualche confusione sui nomi, come ha suggerito lei prima. Se invece è stato qualcuno che conosco, cercherò di scoprire chi è». Mi rendo conto di non volere che coinvolgano la polizia. O che mi facciano troppe domande…

Mi assicuro che non lascerebbero mai salire i miei figli su una macchina che non sia la mia o quella di mio marito, e quando la segretaria me lo conferma, chiudo la comunicazione, prendo le chiavi dell’auto e mi dirigo verso la scuola.

Lungo il tragitto continuo a tormentarmi con le possibili spiegazioni. Sta cominciando a piovere e il vento spazza le cime degli alberi.

Penso a Deborah. Penso al suo scatto d’ira quando voleva che uscissimo dalla sua casa. Mi dispiace averla sconvolta, ma non riesco a immaginarla fare qualcosa di così malvagio. Negli anni della scuola, quando andavo a casa di Carol, Deborah era sempre molto gentile. No. No. Non farebbe di certo una cosa così orribile.

E Carol?

Stringo involontariamente le mani sul volante e la ricordo al telefono a casa di sua madre. Bugie. Scuse. Freddezza…

Ricordo la sua doppia personalità a Parigi.

Il messaggio del profilo con l’immagine della campanula.

Dovrei raccontare a Sally di questa strana chiamata alla segreteria della scuola, ma ho paura della sua reazione. Penso a com’era intrattabile durante il viaggio di ritorno dal Kent.

“E adesso?”, mi chiedo, pensando all’unica cosa che abbiamo cercato di dimenticare in tutte le nostre vite da adulte. Quella terribile stanza di tanti anni fa. Il sangue. Le lacrime. L’incredulità. Guido più veloce che posso e quando svolto verso i campi sportivi mi accorgo di avere le guance rigate di lacrime.

Le asciugo con la manica del pullover, e quando, alla fermata del bus, scorgo Sam e Harry insieme a una mezza dozzina di altri ragazzi, sono ridicolmente felice. Harry sta stuzzicando il fratello colpendolo al ginocchio con la sua sacca sportiva. La terza volta lo fa così forte che l’insegnante deve intervenire. Dovrei essere arrabbiata con lui, ma quando lo vedo sano e salvo provo solo un grande senso di sollievo.

Saluto l’insegnante, che mi riconosce, cancella i nomi dei miei figli dalla lista e me li consegna.

«Cosa c’è da mangiare stasera?», mi chiede subito Sam.

«Avete vinto?», domando io.

«Era solo un allenamento, non una partita. Non ci sarà mica lo stufato? L’abbiamo già mangiato a pranzo».

Mi giro a guardarli. Vedo le loro facce accaldate e le tute sporche di terra e trattengo le lacrime, pregando di non avere fatto qualcosa che possa mettere in pericolo i miei due tesori.

«Quindi c’è lo stufato?». Sam lo pronuncia come se fosse un insulto, e per un istante sono risucchiata nella normalità dei piccoli litigi quotidiani.

Dopo il mio recente acquisto di una pentola a cottura lenta il cibo è sempre oggetto di conflitto. Io, invece, la trovo assolutamente meravigliosa, la risposta ai miei problemi di madre che lavora.

«Prendiamo fish and chips lungo la strada?», propongo per tenerli calmi.

Funziona.

Si lanciano in un acceso dibattito sul fatto se sia meglio il pesce o le salsicce. Avvio il motore e partiamo. Con il cuore che mi batte all’impazzata, decido di rinviare le raccomandazioni sul non accettare passaggi da estranei. Mai, mai, mai. Glielo dirò prima di andare a letto, glielo ficcherò di nuovo in testa.

Un’ora più tardi, dopo che hanno divorato le salsicce e le patatine, li mando di sopra a fare i compiti e vado in veranda per chiamare Sally.

«Pensi davvero che Carol abbia chiamato la scuola? Che sia un altro modo per minacciarci?», ansima lei.

«Non lo so, Sally. Onestamente, non so più cosa pensare».

«Ma è spaventoso! Un’autentica minaccia…».

«Lo so, lo so». Sono felice che l’abbia detto. La mia reazione non è stata esagerata. Chi potrebbe fare una cosa così crudele? «No, no, no… Carol non farebbe una cosa simile, ne sono sicura. Pensi che dovremmo chiamare la polizia, Sally? Ho detto alla scuola di non farlo, ma adesso me ne sono pentita. È qualcuno che ha scoperto dove vanno a scuola i miei figli. Dovrei dirlo almeno a Adam. Non credi?».

Una lunga pausa.

«Se lo dirai a Adam, dovrai raccontargli tutto. Per favore, non farlo. Non dopo tutti questi anni. Ti prego, Beth».

«Ma cos’altro possiamo fare? Sono i miei figli, Sally!».

«Hai raccomandato alla scuola che stiano attenti?»

«Certo».

«Bene. Ne parlerò con Matthew per sapere cosa ne pensa. Lui saprà come agire».

«Quindi lo vedi. Andrai al suo appuntamento?»

«Non è un appuntamento. Te l’ho già detto. Non è niente. Lui è un ex poliziotto e saprà cosa fare».