Il tradizionalista
Alla stazione di Silver, vide la luce del
treno della sera che arrivava.
Da lontano aveva un che
di magico, una torcia che si muoveva al rallentatore.
All’interno, però, era
il paradiso.
L’aria era fresca, il
sedile caldo.
Il suo cuore era una
parte del corpo che si era staccata dal resto.
I polmoni di
cera.
Si lasciò cadere su un
sedile, si appoggiò allo schienale e si addormentò.
Il treno entrò in città
poco dopo le cinque di domenica mattina, e un uomo lo scrollò per
svegliarlo.
«Ehi, ragazzo… ragazzo,
siamo arrivati.»
Clay sussultò e a fatica
riuscì ad alzarsi, e malgrado tutto – il mal di testa lancinante,
il dolore lacerante che avvertì quando sollevò il borsone –, la
forza di attrazione era inconfondibile.
Avvertì il bagliore di
casa.
Mentalmente era già là,
stava guardando il mondo di Archer Street; era sul tetto, e vedeva
l’abitazione di Carey. O dietro, il Surrounds. Sentiva persino il
film nel nostro salotto. Però no. Dovette ricordare a se stesso che
non poteva andare là, soprattutto non conciato così.
Archer Street avrebbe
dovuto aspettare.
Invece,
camminò.
Scoprì che muovendosi il
dolore diminuiva, e così passò al setaccio la città, andò in
Hickson Road, giù sotto il ponte; si intenerì, vedendo il muro
inclinato. I treni sferragliavano sopra la sua testa. Il porto era
talmente blu che faceva fatica a guardarlo. Le file di rivetti alle
sue spalle. Il grande arco grigio.
È una lei, pensò. Certo
che lo è.
Si appoggiò al muro, e
dovette fare uno sforzo per andare via.
*
Nel pomeriggio finalmente ci riuscì e percorse
a piedi le curve del Circular Quay; i clown, il chitarrista. Chi
suonava il didgeridoo, lo strumento sacro degli aborigeni
australiani.
Il traghetto per Manly
Beach lo chiamava con un cenno.
Il profumo di patatine
fritte quasi lo uccise.
Raggiunse la stazione,
cambiò a Town Hall, poi contò le fermate e proseguì a piedi.
Avrebbe strisciato fino alla zona delle corse, se avesse dovuto.
Almeno, c’era un posto in cui poteva andare.
Quando arrivò quasi in
cima alla collina, per la prima volta dopo tanto tempo, guardò la
lapide con attenzione.
PENELOPE DUNBAR
UNA DONNA DAI TANTI NOMI:
LA SBAGLIATRICE, LA RAGAZZA DEL
COMPLEANNO,
LA SPOSA CON IL NASO ROTTO, E PENNY
*****
MOLTO AMATA DA TUTTI
MA SOPRATTUTTO
DAI RAGAZZI DUNBAR
Lesse, e si
accovacciò.
Quando arrivò all’ultima
parte, il suo sorriso si allargò; nostro fratello si sdraiò,
appoggiando la guancia sul terreno, e rimase così a lungo. Pianse
in silenzio, per quasi un’ora…
Ultimamente ci penso
spesso, vorrei tanto essere stato lì. Dato che ero quello che
presto l’avrebbe picchiato, e trascinato a terra, e che l’avrebbe
punito duramente per i suoi peccati, vorrei essere stato al
corrente di tutto, in qualche modo.
Lo avrei abbracciato, e
gli avrei parlato a bassa voce.
Gli avrei detto quattro
parole, che mi ero tenuto dentro e finalmente avrei pronunciato in
un sussurro.
Gli avrei detto: «Clay,
torna a casa».