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L’isola

 

 

 

 

 

 

 

 

Thomas comprò qualcosa da mangiare e chiese come raggiungere il sentiero che portava alla baia dove erano ormeggiate le navi dei Welser. Quella notte dormì nel magazzino di Lázaro e partì di buon’ora, diretto a ovest. Voleva approfittare dell’occasione per addentrarsi nell’isola ed esplorare da solo il Nuovo Mondo. Avanzando, riconobbe gli alberi e le piante che aveva già visto nel giardino di Fernando Colombo e che erano stati disegnati tanto sapientemente da Jaime Moncín, ma scoprì anche una gran varietà di uccelli multicolore e, anche se non riusciva a vederli, percepiva la presenza di altri animali nascosti in mezzo alla vegetazione, che era sicuro di non aver mai incontrato in vita sua.

L’isola, attraversata da varie cordigliere, era sorprendentemente montagnosa. Ne era passato di tempo dall’ultima volta che aveva percorso un terreno così accidentato. Si era abituato alle strade di Siviglia, ma aveva anche percorso le vie di Milano, del Regno di Savoia e del Lussemburgo, e aveva attraversato la Spagna da nord a sud, seguendo persino alcune rotte alpine, perciò sapeva adattarsi alle traversie della montagna, anche se un principio di dolore alle gambe gli ricordò che non sarebbe stata una passeggiata.

Trovandosi circondato dalla natura, senza traccia di presenza umana se non per il sentiero che stava seguendo, capì di aver preso la decisione giusta e che, se Sofía lo aveva tradito, era perché prima o poi l’avrebbe fatto comunque, come gli era già capitato con Edith. Meglio adesso che più avanti, quindi. Inoltre, grazie a quei tradimenti, ora si trovava nel Nuovo Mondo.

Scese in uno stretto crepaccio, formato da pietre affilate come punte di lance. Dopo averlo superato, non senza una certa difficoltà, arrivò in una radura circondata da una moltitudine di laghetti di un azzurro intenso. Era piena di piante che ne tappezzavano tutto il terreno e si arrampicavano sui tronchi degli alberi ad alto fusto. Questi le garantivano lunghe ore di ombra, quindi la zona era umida e fresca.

Proseguì fino a una sconfinata pianura, una prateria dalla quale si scorgeva un alto picco montuoso a nord e il celeste chiaro del mare a sud. In acqua c’era una mezza dozzina di barche e a riva si intravedeva un accampamento protetto da una palizzata e da una torretta di tronchi.

Era da tanto che non parlava nella sua madrelingua e mai avrebbe immaginato di usarla di nuovo nel Nuovo Mondo, tantomeno con degli inviati dei Welser, se non addirittura con alcuni membri della famiglia tedesca.

Raggiunse l’entrata della fortificazione e, dall’alto della torretta, gli intimarono di fermarsi in lingua castigliana. Lui, tuttavia, rispose in tedesco, sconcertando le sentinelle. Poi le porte si aprirono e uscirono due uomini. Quando gli si avvicinarono e riuscì a distinguerli meglio, vide che in effetti sembravano originari della sua terra natia.

«Chi siete?», domandò l’uomo in testa alla fila, che gli ricordò un macellaio di Augusta.

«Mi chiamo Thomas. Sono arrivato la settimana scorsa e mi è stato detto che sull’Hispaniola c’era una spedizione dei Welser».

«Chi ve l’ha detto?»

«L’ho sentito dire in una taverna». Sperò che fosse una risposta sufficiente.

«E che cosa volete?»

«Solo sapere se c’è qualche membro della famiglia Welser a capo della spedizione».

«Dovrete spiegarci per quale motivo desiderate saperlo», disse l’altra sentinella.

«Ho conosciuto i Welser quando ero bambino, quindi potete immaginare quanto mi abbia sorpreso sentire che potevano essere su quest’isola. Sono passati molti anni, ma sarebbe un enorme piacere rivederli».

«Conoscete personalmente i Welser?»

«Sì, sono nato ad Augusta».

«Mi dispiace, ma non c’è nessuno della famiglia. È Ambrosio Ehinger a dirigere la spedizione».

«Allora mi piacerebbe parlare con lui».

«Questo non è possibile. È sulla nave ammiraglia», dichiarò la sentinella, «ma la sua sposa sta riposando a terra. Possiamo domandare a lei. Se è disposta a ricevervi, vi faremo entrare».

«Ve ne sarei immensamente grato».

«Aspettate qua fuori».

Thomas osservò l’armamentario del forte, paragonandolo alle sofisticate difese di Anversa e alla vecchia muraglia di Siviglia. Su quell’isola non doveva essere facile procurarsi della pietra, mentre il legname, con alberi di ogni tipo e dimensione, abbondava.

«Voi di Augusta! Entrate, la signora vi riceverà».

Le alte porte di legno si aprirono e Thomas entrò in un ampio spiazzo aperto, circondato da diverse costruzioni, con vari recinti per gli animali. C’erano anche dei magazzini di legname e di minerali, una ferriera e numerosi edifici per la lavorazione di altre materie prime locali.

«Seguitemi». La sentinella di prima lo intercettò e lo guidò.

«Un impressionante dispiegamento di materiali. Vedo che i Welser non hanno perso tempo».

«Le Indie sono una corsa, tocca arrivare per primi».

«Arrivare per primi a cosa?».

Il suo accompagnatore non rispose.

Entrarono in una casa dal tetto spiovente, con un portico che garantiva un minimo di ombra. All’interno, le grandi finestre erano state lasciate aperte per far circolare un po’ di aria e mantenere freschi gli ambienti. Sull’isola c’era un tale tasso di umidità che si faceva fatica a respirare.

«Accomodatevi», e gli indicò un piccolo studio.

La sentinella si voltò e lo lasciò da solo.

Thomas fece qualche passo avanti e, entrando nella stanza, vide un tavolo, oltre il quale c’era una donna seduta di spalle. Stava osservando il mare. Aveva lunghi capelli dorati e setosi.

«Chiudete la porta, per favore».

«Vi ringrazio per avermi ricevuto». Thomas fece come gli era stato detto. «Non mi aspettavo di trovare altri tedeschi nel Nuovo Mondo».

«Anche per me la vostra è una visita inaspettata, ve l’assicuro», disse lei, senza voltarsi.

«Volevo soltanto presentarmi. Presto partirò per la Nuova Spagna, ma ero curioso di venirvi a conoscere».

«Siete nato ad Augusta e avete detto di conoscere la famiglia Welser, è corretto?»

«Sì, da bambino giocavo e studiavo nella casa di un’altra importante famiglia di Augusta, quella dei Fugger. Nutrivo la speranza di trovare qui uno dei fratelli Welser, ma ora mi rendo conto che non aveva molto senso. Mi hanno già detto che hanno inviato un governatore al posto loro, com’è logico che sia».

«Come mai frequentavate la casa dei Fugger?». La donna continuava a restare rivolta verso il fitto della selva, intenta a osservare le altissime cime degli alberi.

«Mio padre era il loro cuoco».

«Non sarà stato l’uomo che provò ad avvelenare uno dei Welser durante un banchetto?», domandò la sposa del governatore.

Thomas deglutì, si irrigidì e si accorse di aver commesso un terribile errore. Aveva parlato troppo.

Che cosa poteva fare adesso?

Scappare non era possibile. Era all’interno del forte dei Welser.

Mentire? Si era tradito da solo e ciò che aveva detto era più che sufficiente perché lo identificassero.

«Fu una trappola, mio padre era innocente. Per questo sono venuto qui, per poterne parlare faccia a faccia con uno dei Welser».

«Siete molto audace». La donna continuava a dargli le spalle. Le tremava la voce, però, e Thomas immaginò che fosse per l’indignazione…

«Era un brav’uomo e non meritava di fare quella fine. Volevo soltanto chiarire con i Welser. Non mi interessano le conseguenze».

«Lo so, Thomas. Lo so», e la voce della donna si riempì di emozione. «Tuo padre era innocente. E anche tu».

A quel punto la donna si alzò e si voltò a guardarlo, incorniciata dalla finestra.

«Úrsula!».