17
Gorka
Un libro è come uno specchio. Se a guardarsi è uno stupido, non puoi sperare che rifletta un genio.
J.K. Rowling
Maggio 1521
Thomas aveva sempre sognato di navigare, immaginava un mare calmo e cristallino e una nave che solcava lentamente le onde. Durante quel suo primo viaggio, però, dovette ricredersi e fece molta fatica ad adattarsi al forte moto ondoso.
Trascorse i primi due giorni sottocoperta, non la smetteva di vomitare e fu costretto a bere solo acqua, perché qualsiasi altra cosa la rimetteva all’istante. Gorka temeva che a forza di digiunare avrebbe finito per ammalarsi, e persino qualche marinaio suggerì che sarebbe stato più logico metterlo su una barca per farlo arrivare a terra. L’Inghilterra non era lontana, e se avesse avuto la corrente a favore l’avrebbe potuta raggiungere facilmente. Ma il capitano rifiutò categoricamente; non si sarebbe macchiato la coscienza abbandonando il giovane al proprio destino.
Thomas non stava male solo per il viaggio travagliato, ma anche per le profonde ferite che aveva nell’anima. Era stato un ingenuo a pensare che Edith sarebbe fuggita con lui senza che il padre se ne accorgesse e intervenisse per impedirlo. Carlos lo aveva tradito, mentre Edith… non sapeva più cosa pensare di lei.
Avrebbe dovuto affrontare suo padre e ribellarsi. Forse non sarebbe servito a nulla, ma avrebbe dovuto reagire, lottare come una leonessa, gridare e puntare i piedi, se davvero lo amava. Che fine aveva fatto la sua voglia di viaggiare, di lasciare Anversa? E la sua ambizione di diventare una scrittrice? E l’amore che aveva detto di provare per lui?
Thomas sentiva che la sua vita non aveva alcun senso. Guardò il mare, e più di una volta fu tentato di buttarsi per mettere fine alla disperazione che provava.
«Va meglio, ragazzo?», gli chiese Gorka.
«Veramente no, ma il mare mosso è il male minore», rispose Thomas. «Parlatemi in castigliano, Gorka, per favore, così imparo qualche parola».
«D’accordo, ragazzo, buona idea, in Spagna ne avrai bisogno. E non mi riferivo al tuo mal di mare», bisbigliò il marinaio. «Si vede lontano un miglio che il tuo è più un problema di cuore che di stomaco, e io li conosco bene entrambi».
«Avete moglie?»
«Ce l’avevo, e anche due figlie bellissime», rispose Gorka con tono addolorato, «ma sono morte».
«Mi dispiace».
«È stato tanto tempo fa».
«Per questo vi siete rifugiato in mare?»
«No, sono sempre stato un marinaio», rispose il Gigante con la sua particolare voce rauca. «Mi trovavo nel Mare del Nord quando è successo. Secondo quanto mi è stato raccontato, in casa scoppiò un incendio che si propagò così velocemente da non dare loro il tempo di scappare. Era notte e stavano dormendo».
«È terribile».
«Sì, è vero», confermò.
«E dove trovate la forza per andare avanti?»
«Dal loro ricordo», sussurrò. «Ricordarle le manterrà in vita, quindi voglio vivere molti anni ancora, capisci? Ci penso continuamente, ho paura di dimenticare ogni loro piccolo particolare».
«Come?»
«Io non voglio dimenticare i loro volti», sospirò Gorka, «mentre tu dovresti dimenticare il motivo delle tue pene».
«Facile a dirsi, avevo dato tutto me stesso a quella donna, il mio futuro, il mio cuore. Era disposta a fuggire con me, ma è andato tutto a monte».
«Era di buona famiglia, era ricca?»
«Sì, era l’unica figlia di uno dei migliori tipografi di Anversa».
«E pensavi che sarebbe scappata con te, rinunciando a tutto?», chiese Gorka.
«Lei diceva sempre di voler viaggiare, di voler lasciare Anversa, di non voler essere come sua madre; parlava di amore, di libertà, di scegliere l’uomo col quale sposarsi». Thomas stava dicendo tutto quello che gli veniva in mente.
«Ancora peggio. Una cosa sono le paure, i sogni e i timori, e un’altra la realtà. Mi dispiace, ma esiste la possibilità che non abbia mai avuto intenzione di scappare con te. Forse il suo era solo un desiderio, ha proiettato su di te i suoi sogni e non la realtà. Sono due cose ben diverse», sentenziò con fermezza. «Guarda davanti a te, cosa vedi?»
«Niente, il mare».
«Esatto. Anversa è ormai lontana, assieme a tutto quello che ne fa parte. È come il passato, non lo puoi cambiare, quindi è meglio guardare avanti».
«Facile a dirsi».
«Sei giovane e capirai che nella vita si impara di più ricevendo uno schiaffo che una pacca sulla spalla».
«E perché?»
«Perché quelle si dimenticano facilmente, mentre un bello schiaffo è difficile da dimenticare. Inoltre, vorrai evitare di prenderne altri».
Gorka si voltò e si diresse verso l’albero maestro dell’imbarcazione.
Quella notte Thomas riuscì a dormire meglio, cullato dalle onde del mare e con l’animo risollevato dai consigli di Gorka. Dopo il quarto giorno di viaggio, cominciò a mangiare e a muoversi in coperta senza dover sporgere la testa fuori bordo ogni quattro passi per vomitare. Fece amicizia con gli altri marinai, tutti baschi, che trasportavano la lana di Castiglia fino ai porti delle Fiandre, con cui venivano confezionati tessuti costosi e pregiati. Non era un viaggio semplice; i francesi e gli inglesi erano sempre in agguato e non si sapeva come avrebbero potuto reagire.
Gorka, il Gigante, era uno dei marinai più rispettati, con la sua grossa corporatura e il sorriso perenne. Era sempre tranquillo, come se la sua enorme mole lo aiutasse a restare calmo davanti a qualsiasi situazione. Caricava i barili di acqua, alzava le vele, tirava le corde, non pronunciava mai una parola negativa o un rimprovero. Non era molto loquace, ma quando parlava diceva solo cose sensate.
Il capitano della San Juan si chiamava Martín de Urtubia, un marinaio esperto che doveva avere almeno cinquant’anni. Neppure lui parlava molto, non ne aveva bisogno; i suoi sottoposti obbedivano ai suoi concisi ordini senza replicare. A volte gli bastava solo uno sguardo o un’espressione particolare per farsi capire, ed era come se non volesse sprecare il tempo a parlare.
L’uomo zoppicava vistosamente. Gorka aveva raccontato a Thomas che era stato colpito dallo sparo di un archibugio durante una battaglia contro i turchi nel Mediterraneo, vicino a Malta. Un altro marinaio, invece, gli aveva detto che era stato attaccato dai francesi in quelle stesse acque. Ma le versioni non finivano lì, perché ci fu un terzo marinaio, il quale gli raccontò che il capitano era stato nelle Indie, partecipando a uno dei viaggi di Cristoforo Colombo, ma che per qualche strano motivo non amava parlarne. Doveva essergli accaduto qualcosa di terribile in quelle terre lontane e la sua andatura zoppicante glielo ricordava ogni giorno.
Thomas fu affascinato dalla possibilità che il capitano potesse aver viaggiato fino al Nuovo Mondo. Cominciò a ripensare alle storie di Massimiliano, al tabacco e al vecchio lama. Immaginò cosa sarebbe potuto accadere se la nave sulla quale stava viaggiando non si fosse fermata in Spagna, ma avesse proseguito verso ponente fino a raggiungere le Indie.
«Gorka, credete davvero che il capitano abbia navigato insieme a Colombo?», chiese Thomas, mentre il basco sollevava un barile d’acqua.
«Sì, penso di sì».
«Non vi ha mai detto nulla al riguardo?»
«No. So che vari baschi parteciparono al suo primo viaggio e che a capo di una delle navi c’erano proprio dei corregionali». Fece una pausa per riprendere fiato. «La maggior parte dei componenti dell’equipaggio che partecipò al primo viaggio di Colombo era gente del sud della Spagna, ma noi del nord siamo più inclini all’avventura e marinai migliori, per questo c’erano anche dei baschi. Adesso tutte le imbarcazioni partono da Siviglia».
«Questa nave potrebbe viaggiare fino al Nuovo Mondo?»
«Certamente! Non vedi che è una meraviglia?», rispose Gorka, orgoglioso, alzando la voce. «Sebbene la “Casa de Contratación” si trovi a Siviglia, per i viaggi verso le Indie preferiscono usare le navi dei cantieri cantabrici, per la loro solidità e il buon rendimento in mare».
«Ma io avevo capito che Siviglia è l’unico porto dal quale possono partire alla volta delle Indie».
«Hai ragione, devono salpare tutte dal Guadalquivir».
«Secondo voi potrei chiedere al capitano se ha davvero navigato con Colombo?»
«Thomas, te lo sconsiglio». Era la prima volta che notava un’espressione contrariata sul volto di Gorka. «Non tutto quello che si dice sul Nuovo Mondo è positivo».
«A cosa vi riferite?»
«Io non conosco tutta la storia». Lasciò stare i barili e si assicurò che nessuno stesse ascoltando. «Quando Colombo arrivò nel Nuovo Mondo, la Santa Maria si arenò. Sebbene le convenzioni che aveva stipulato con i re per intraprendere quel viaggio non prevedessero la creazione di una colonia, l’ammiraglio cercò un luogo adatto per creare un insediamento e scelse l’isola Hispaniola, la più grande che trovò».
«La prima città del Nuovo Mondo», intervenne Thomas.
«Sì. Colombo inviò alcuni dei suoi uomini a parlare con il capo dell’isola e questi tornarono pieni di regali, tra cui anche l’oro, e inoltre gli dissero che avevano sentito parlare di una certa Cibao, che loro scambiarono per Cipango».
«Per questo Colombo pensava di essere arrivato in Asia!».
«Zitto!», gli disse Gorka.
«Scusate».
«Cibao, in realtà, era una regione dell’isola, controllata da un capo indigeno, e le due tribù erano nemiche. Colombo vide nella guida un valido alleato per sostenere il progetto della sua futura colonia in quella regione e gli disse che sarebbe tornato lì l’anno successivo, mentre nel frattempo i Re Cattolici avrebbero catturato e annientato i suoi nemici. Con i resti della nave decise di costruire un forte, che chiamò “La Navidad” proprio perché fu fondato il giorno di Natale del 1492. Colombo lasciò lì un gruppo di uomini, incaricandoli di occuparsene, e tornò in Spagna», disse Gorka, prima di sollevare un barile d’acqua.
«E poi, cosa accadde?»
«Non dovrei raccontarti tutte queste cose».
«Gorka, per favore», insistette Thomas.
«Giurami che non ne farai parola con nessuno», e il giovane si affrettò ad annuire. «Colombo tornò a novembre dell’anno successivo con più di mille e cinquecento uomini, ma non poteva immaginare quello che avrebbe trovato una volta giunto al forte».
«Erano tutti morti?», esclamò Thomas.
«Peggio ancora, trovarono cadaveri crocifissi, completamente irriconoscibili. Erano morti tutti. I nemici del capo indigeno erano cannibali…».
«Dio Santo!». Thomas si fece il segno della croce.
«Pensa che quello fu il primo Natale di alcuni cristiani nel Nuovo Mondo».
«E questo cosa ha a che vedere con il capitano?», chiese Thomas, a bassa voce.
«Qualche anno fa avevamo a bordo un vecchio marinaio, ora morto. Prima di morire, mi disse che un suo conoscente aveva riconosciuto il capitano e gli confessò che era uno degli uomini che Colombo lasciò al forte».
«Ma se avete appena detto che morirono tutti», lo interruppe.
«Certe storie non raccontano mai tutta la verità, ma non posso dire altro».
Quando gli si avvicinarono alcuni marinai, Gorka tacque, fece spallucce e tornò a sollevare uno dei barili per portarlo nella dispensa, mentre Thomas rimase a pensare. La storia del forte lo aveva impressionato, ma almeno si era abituato ai movimenti della nave e al fatto che il mare cambiava di continuo.
Tutta la vita a bordo avveniva in coperta, perché i marinai dovevano sempre essere pronti a issare o ammainare le vele in base al vento. Di giorno c’era un gran viavai di persone, mentre di notte si riunivano a gruppi davanti al calore di un fuoco e a una bottiglia di vino. Si raccontavano vecchie leggende di mare, bevevano e ridevano fino a addormentarsi.
Thomas beveva poco. Se ne abusava, veniva sopraffatto dalla malinconia e il ricordo di Edith riaffiorava in tutta la sua crudeltà. Aveva abbandonato la sua astinenza per godere delle avventure che gli venivano raccontate dai suoi compagni di viaggio e che erano in grado di risollevargli l’umore. Una sera, uno dei marinai più anziani raccontò una storia sul Nuovo Mondo, della volta in cui Colombo era rimasto con pochi uomini, la maggior parte dei quali malati, sull’isola Hispaniola. Vista la situazione precaria e temendo un attacco da parte degli indios, pensò di anticiparli. Colombo aveva conoscenza delle stelle e aveva letto in un libro che il 29 febbraio di quell’anno ci sarebbe stata un’eclissi di luna.
«Come può un libro sapere che ci sarà un’eclissi?», chiese in malo modo uno dei più giovani.
«Lo sapeva e basta».
«Non ci credo», insistette il ragazzo.
«Thomas», disse Gorka, strappandolo al suo anonimato, «tu che te ne intendi di libri, è vero quello che è stato detto?»
«Be’», e si ritrovò addosso gli sguardi ansiosi di quei rudi marinai, mezzi ubriachi. «Sì, è possibile. I cosmologi possono prevedere le eclissi, lo facevano già anticamente».
«Ecco! Se è scritto in un libro, un motivo ci sarà!», esclamò il marinaio che stava raccontando la storia. «Grazie a quell’informazione, Colombo ideò un piano. Quello stesso giorno invitò i capi indigeni a un banchetto e, durante la cena, predisse l’eclissi. Neppure gli uomini dell’ammiraglio erano a conoscenza del suo piano e si stupirono della sua affermazione, talmente audace da sembrare improbabile».
«E che cosa accadde?». Thomas era molto interessato.
«Ovviamente gli indios non gli credettero, ma non appena il sole cominciò a oscurarsi, immaginate cosa arrivarono a pensare! Colombo aveva detto che il sole, sì, proprio il sole, sarebbe diventato nero, e così fu. Pensarono che l’uomo fosse una divinità, un essere superiore del quale già parlavano i loro antenati e che sarebbe dovuto apparire sopra un imponente animale a quattro zampe e con una corazza di ferro. Vi ricordo che nelle Indie non sapevano fondere il ferro e non c’erano cavalli».
«Colombo era un genio», osservò un altro marinaio.
«E un pericolo!». Apparve il capitano de Urtubia, con la sua immancabile andatura zoppicante. «Non aveva la minima idea di dove si stesse dirigendo, morì credendo di essere in Asia, quando invece non è ancora stata scoperta una via per raggiungerla passando per occidente. Provò ad appropriarsi di terre e onori che appartenevano solo ai re spagnoli, quindi basta parlare di quel bastardo».
Nessuno osò contraddirlo.
«E smettetela di bere, che domani sarà una dura giornata e non voglio una banda di ubriaconi a issare le vele».
Spensero il fuoco e andarono a dormire. Anche Thomas, oramai certo che il capitano avesse viaggiato con Colombo.
La giornata cominciò presto, perché un forte temporale allarmò l’equipaggio. Thomas si rifugiò nella dispensa, mentre i marinai pensarono a manovrare la nave per tenerla il più lontano possibile dalle avversità del tempo. Non ci riuscirono e il temporale sorprese l’imbarcazione all’ingresso del golfo di Biscaglia, spingendola verso le coste dell’Aquitania. Thomas non immaginava che il mare potesse avere una simile furia: le onde sembravano montagne che si formavano davanti ai suoi occhi per poi ricadere in mare, lente e devastanti. Il mare in tempesta trasformò quella nave nel posto meno sicuro al mondo. Thomas pregò, certo che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di vita. Il temporale imperversò per diverse ore, poi cessò all’improvviso, per lo stupore di tutti. Thomas salì in coperta, dove i marinai erano esausti, ma il sole brillava e il mare era una tavola.
Quel giorno Thomas apprese che non vi era nulla di più mutevole del mare e ammirò ancora di più quegli uomini che si imbarcarono verso ponente alla scoperta delle Indie.
Gorka lo informò che la mattina seguente avrebbero raggiunto il porto di Bilbao, toccando finalmente terra. Forse fu per quello che il capitano volle incontrare Thomas nella sua cabina. L’uomo lo ricevette seduto, con la gamba malandata appoggiata su una sedia. Sembrava stanco.
Thomas si guardò intorno, la stanza non aveva nulla di particolare. Da un lato c’era un letto, i cui montanti erano inchiodati alle assi del pavimento, dall’altro un catino e un asciugamano. Ciò che più risaltava era un piccolo tavolo con delle mappe e un diario di bordo.
«Prendete posto». Gli indicò lo sgabello sotto il tavolino. «Spero che il temporale non vi abbia spaventato».
«Un po’ sì. La verità è che non ci sono abituato».
«Posso immaginare», rispose il capitano, pensando alle parole successive. «Gorka mi ha raccontato cosa è accaduto al porto. Mi dispiace che quella donna vi abbia tradito, ma è una cosa che non mi dovrebbe interessare, né tantomeno ai miei uomini».
«Non capisco, capitano».
«Quando ho accettato di prendervi a bordo, pensavo che non mi avreste dato problemi», mormorò.
«E così è stato, ho cercato di non infastidirvi mai, mio capitano».
«Siete andato in giro a chiedere ai miei uomini informazioni sulle Indie, sulla Spagna, su tutto».
«Semplice curiosità», cercò di difendersi Thomas, preoccupato per le accuse. «Le giornate a bordo sono lunghe ed è normale fare un po’ di conversazione».
«Dove siete diretto? La Spagna è grande e complessa, non so se lo sapete».
«La mia intenzione è quella di guadagnarmi da vivere nel miglior modo possibile».
«Quindi non avete la minima idea di cosa andrete a fare», insinuò il capitano, guardandolo fisso negli occhi.
«Sono un grande lavoratore e imparo in fretta».
«A cosa vi dedicavate prima di imbarcarvi? Avete pagato una bella somma, dove avete preso tutto quel denaro?»
«Lavoravo in una rinomata tipografia di Anversa e avevo del denaro da parte. I libri si vendono sempre di più e la Spagna è il centro del mondo, di certo ci saranno tipografie che potranno avvalersi della mia esperienza».
«È evidente che non conoscete la Spagna. Vedete», e mise a terra la gamba malata, «io sono marinaio e appassionato del mare, così come delle coste, dei fiumi e delle montagne. La geografia incide molto sugli abitanti di un territorio».
«In che modo?»
«Credo che la geografia sia in grado di influenzare molto la nostra anima. Siamo figli del paesaggio in cui nasciamo».
«A cosa vi riferite, esattamente?»
«Immaginate l’oceano Atlantico, il Mediterraneo e i Pirenei. Sono i confini della Spagna a conferirle un carattere eccentrico e relativamente isolato rispetto al resto dei regni cristiani. Pensate anche che per secoli abbiamo subìto l’invasione musulmana».
«Questo è vero».
«Da una parte gode di un’ampia costa marittima, esposta alle influenze esterne, ma una volta che la si è superata ci si parano di fronte soltanto ostacoli: enormi montagne, grandi altipiani e un clima rigido», disse il capitano. «L’entroterra è quasi del tutto privo di fiumi navigabili, a differenza di altri regni, come la Francia».
«State cercando di dirmi che in Spagna le comunicazioni tra le varie zone sono complicate? E la Corte dove risiede?»
«È itinerante, si sposta di città in città», rispose. «Il cuore della Spagna è la Castiglia, un’immensa fortezza naturale, elevata, circondata da montagne e facile da difendere. Mentre le zone marittime, soprattutto gli sbocchi sui fiumi Ebro e Guadalquivir, sono più esposte».
«Dove si trova Siviglia, la città più ricca del mondo».
«Vedo che questo lo sapete». Sorrise. «Il centro ha bisogno delle coste per non restare completamente isolato, mentre la parte costiera non è attratta dalle zone interne. E il futuro è il mare, il commercio, le Indie, le Fiandre, il Mediterraneo. La capitale di un regno che basa il proprio potere sul mare non può essere una città senza porto».
«E quale dovrebbe essere, secondo voi, la capitale della Spagna?». Thomas cercò di portare avanti la conversazione, interessato a saperne di più sulla sua destinazione.
«Non lo so, ma guardate al Portogallo o all’Inghilterra. Le loro capitali sorgono alla foce dei loro fiumi più importanti».
«Sì, ma cosa mi dite di Parigi?». La domanda sorprese molto il capitano, tanto che Thomas pensò di aver detto qualcosa di sbagliato.
«La Francia non ha puntato sul mare. Se tutto il commercio con le Indie è centralizzato nel porto di Siviglia, un motivo ci sarà».
«Volete dire che Siviglia dovrebbe essere la futura capitale della Spagna?»
«È la città più ricca e popolata. Come ho già detto, un motivo ci sarà», rispose. «Se volete costruirvi un futuro, vi suggerisco di stabilirvi a Siviglia. Volevo solo essere certo che sapeste dove andare. Siete una brava persona e mi dispiace per quello che vi è accaduto, ma non continuate a fare domande su fatti che non vi competono. Arriveremo presto a Bilbao. Preparatevi e buona fortuna, ne avrete bisogno».
Thomas abbandonò la cabina del capitano con un senso d’inquietudine. Non capiva il senso di quella conversazione, ma aveva apprezzato i consigli dell’uomo. E poi non ebbe molto tempo per continuare a rifletterci, perché qualcuno gridò: «Terra in vista!».