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Badajoz

 

 

 

 

 

 

 

 

Badajoz, a soli quattro giorni di viaggio, non era lontana, e le condizioni delle strade erano buone. Si fermarono a pernottare in due locande lungo il percorso e non incrociarono alcun malintenzionato, né delinquenti veri e propri, e quando alla fine arrivarono a Badajoz trovarono una città dinamica, appollaiata sulla sponda meridionale del fiume Guadiana, con due alti colli che le facevano la guardia, il San Cristóbal e l’Orinaza.

Un’enclave tra due regni, in tempo di pace era stata frequentemente scelta come scenario per matrimoni, trattati e incontri più o meno amichevoli. Quando suonavano le trombe di guerra, invece, si trasformava in una delle principali piazze strategiche.

Nell’aprile del 1524, varcarono una delle porte della cinta muraria, che lasciavano intravedere il suo passato medievale, e alloggiarono nel palazzo di una delle principali famiglie di Badajoz.

Era stata convocata una riunione con tutti gli esperti della Corona spagnola al fine di tracciare una strategia comune di fronte ai rappresentanti portoghesi. Tra loro c’era anche il navigatore che era riuscito a fare il giro del mondo e a tornare dalle isole delle Spezie, il basco Juan Sebastián Elcano.

«Che avventura, fare il giro del mondo. Non ti pare?», mormorò Thomas.

«A me pare un miracolo che sia tornato vivo». Santiago spazzò via le briciole che gli erano cadute sulla pancia mentre faceva uno spuntino.

«Essere il primo che riesce a fare una cosa del genere dev’essere una soddisfazione immensa, sia per lui che per i posteri della sua casata».

«Speriamo sia servito a qualcosa», commentò Santiago, più scettico.

«Arrivare alle isole delle Spezie e tornare è già molto», sottolineò Thomas.

«Passando da territori portoghesi, però, e questo non rientrava nei piani».

«Forse non è possibile tornare indietro dalle isole delle Spezie e proseguire sempre verso ponente». Thomas si strinse nelle spalle.

«L’importante è capire se sia servito a qualcosa per il nostro re, e questo a dire il vero non mi è ancora molto chiaro», puntualizzò Santiago. «Comunque, credi che ci daranno qualcos’altro da mangiare prima della cena?».

Thomas, che al vecchio soldato non l’aveva ancora confessato, era ansioso di conoscere il navigatore basco che aveva fatto il giro del mondo, e ritrovandoselo finalmente davanti rimase senza parole. Elcano era un uomo molto magro, di alta statura, e vestiva con eleganza. Aveva una folta barba nera e sotto il cappello si intravedevano dei capelli ricci e scuri. Tra Colombo ed Elcano, il mercante di libri sentiva di essere entrato a far parte della storia.

«Adesso ci siamo tutti», disse uno dei rappresentanti della Corona.

Si chiamava Sebastiano Caboto, e don Fernando gli aveva parlato di lui durante il viaggio. Veneziano barbuto, era capitano generale della Casa de Contratación di Siviglia e aveva servito il re d’Inghilterra, Enrico viii.

Rivestire il ruolo di capitano generale non era da tutti, visto che veniva nominato direttamente dalla Corona e doveva essere un navigatore esperto, ma soprattutto un cartografo capace di tracciare rotte e disegnare mappe nautiche. Il primo capitano generale era stato Amerigo Vespucci, e Thomas ricordava che il Nuovo Mondo, nella cristianità, veniva anche chiamato America in suo onore.

Un altro dei rappresentanti della Corona lì presenti, Diego Ribero, uno dei più rinomati cartografi del loro tempo, era paradossalmente di origini portoghesi, ma aveva ottenuto un posto alla Casa de Contratación ed era diventato cittadino spagnolo. Don Fernando aveva il sospetto che le mappe per il viaggio di Magellano ed Elcano fossero state preparate proprio da lui. Principalmente, però, era diventato famoso come inventore, perché aveva ideato degli astrolabi e altri strumenti di navigazione.

Don Fernando non si fidava di lui, ma a dire il vero non si fidava di nessuno.

Di Caboto era diffidente perché sospettava che ambisse più alla fama e alla ricchezza che al bene della Corona, e inoltre era veneziano e aveva lavorato per gli inglesi. Di Ribera non si fidava perché era portoghese di nascita, e di Elcano perché era sopravvissuto al suo capitano durante il celebre viaggio attorno al mondo.

«Il compito che ci aspetta non è affatto semplice», esordì Caboto. «Il Portogallo vanta eccellenti cartografi. Conoscono meglio di chiunque altro le acque della Cina e delle isole delle Spezie».

«Ma non quelle delle Indie», lo interruppe Elcano.

«Certo, ma quelle non le conosciamo nemmeno noi nel dettaglio».

«Come osate? Io ho attraversato due oceani, sono arrivato alle isole e sono tornato in Spagna».

«Sì, ma moribondo, senza il vostro capitano, con una nave e una trentina di poveri disgraziati», replicò Caboto.

«Sono andato e tornato dalle isole delle Spezie, ho fatto il giro del mondo. Ho dimostrato che è rotondo!», esclamò Elcano.

«Calmatevi», e Caboto gli fece un cenno con la mano. «Tutti sappiamo del vostro viaggio. Dovevate raggiungere le isole delle Spezie e tornare indietro seguendo la stessa rotta, mentre avete navigato sempre verso ponente. Questo non ci basterà, in futuro. Dobbiamo poter andare e tornare dalla stessa strada».

«Questo non è possibile, non ci sono correnti», intervenne Elcano.

«Non ci sono o non siete riuscito a trovarle?», suggerì Caboto.

«Ma sentite questo!». Il navigatore basco strinse le mani a pugno e dovette trattenersi per evitare di saltargli addosso.

«Signori, per favore», intervenne don Fernando, armato di pazienza. «Siamo venuti qui per discutere una questione fondamentale per il futuro della Corona, non per lanciarci in battibecchi di carattere personale».

«E voi cosa ci fate qui?», domandò Caboto con aria sdegnata. «Non siete vostro padre».

«Ho viaggiato con l’ammiraglio e conosco le coste delle Indie».

«Permettetemi di dubitarne. Eravate solo un bambino quando salpaste».

«Conosco tutte le mappe e i libri sulla cartografia».

«Basta!», dovette mediare Diego Ribero. «Io sono portoghese, eppure sono qua con voi. Lasciamo da parte i vecchi rancori. Tra poche ore dovremo fronteggiare avversari molto più agguerriti. Quali sono le nostre argomentazioni?»

«Il meridiano parla chiaro», rispose Caboto. «Le isole delle Spezie si trovano più a ovest, quindi appartengono all’imperatore».

«Dimenticate che i portoghesi fanno avanti e indietro da quelle isole da decenni e che per raggiungerle costeggiano l’Africa e passano dal mare dell’India, cioè andando sempre verso est. Il meridiano non li tange minimamente», puntualizzò Diego Ribero.

«Come no? Si trovano più a ponente, ripeto», insistette Caboto.

«Questo lo abbiamo già acclarato, come sappiamo benissimo che il Portogallo naviga sempre verso est, non serve ripeterlo», sottolineò Elcano. «Inoltre, loro possono tornare indietro sulla stessa rotta, mentre noi dobbiamo passare per i loro territori…».

«Questo è vero», riprese la parola Elcano, «ed è anche la chiave di tutto. Noi arriviamo da ovest e non riusciamo a tornare a Siviglia impostando una rotta a ritroso, mentre loro navigano verso est e riescono a tornare indietro sulla stessa rotta. C’è poco da discutere».

«Non riesco a credere alle parole che sto sentendo!», tuonò energicamente Caboto.

Thomas si concentrò su di lui. Il veneziano era corpulento, con una barba bianca talmente lunga da arrivargli alla pancia. Aveva una testa piccola e rotonda, e gli occhi sembravano sparire in mezzo a tanta peluria. Gesticolava in modo eccessivo, cercando di enfatizzare i suoi ragionamenti.

«Signori, soltanto adesso siamo consapevoli delle reali dimensioni del nostro mondo». Tra tutti i presenti, don Fernando Colombo era quello che parlava con maggiore pacatezza. «Il trattato di Tordesillas è stato firmato trent’anni fa, quando non immaginavano neanche di poter scoprire le Indie, quando non avevamo ancora fatto il giro del mondo. I re di Spagna e Portogallo si sono divisi i territori alla cieca».

«E voi cosa suggerite di fare, Fernando? Cosa direbbe vostro padre?», domandò il portoghese.

«Non so che cosa direbbe l’ammiraglio in questo momento, ma so cosa proverebbe a cercare».

«Ossia? Vi ricordo che cercavamo tutti la stessa cosa, una strada per le isole delle Spezie, e vostro padre si imbatté in un enorme pezzo di terra, talmente immensa che non sappiamo ancora dove finisca, e lui non fu neanche in grado di comprendere il valore della sua scoperta».

«Chiudete quella bocca, Caboto». Raramente Fernando Colombo era apparso tanto minaccioso.

«Altrimenti?», e il veneziano appoggiò le mani sui fianchi, affinché vedesse quanto era imponente.

«Non sono io il nemico», si difese don Fernando.

«Ma se non sapete neanche cosa siete venuto a fare».

«Il meridiano», dichiarò il figlio di Colombo, «va da nord a sud, ed è indicato da una linea retta con una longitudine di centottanta gradi».

«Questo lo sappiamo benissimo, e allora?», borbottò Caboto.

«Mi fa piacere, perché non è vero».

«Che assurdità andate dicendo? Avete perso la testa?»

«Non è mai stata tanto al suo posto, invece. Thomas!», e richiamò l’attenzione del suo aiutante. «Portamele».

A quel punto Thomas lo raggiunse con una cartelletta, l’aprì sul tavolo e tirò fuori due mappe identiche, le più attuali tra quelle ridisegnate da don Fernando.

«Sono uguali», disse il veneziano. «Non capisco».

Don Fernando le allineò, ma non mettendole una accanto all’altra, perché la seconda era leggermente disallineata. Poi Thomas gli porse un righello di legno.

«Questo è il meridiano indicato dal trattato di Tordesillas», e sulla prima mappa tracciò una linea retta in corrispondenza con l’esatta latitudine.

«Molto bene, e c’è qualcosa che già non sappiamo?», indagò Caboto, agitando entrambe le mani.

«Dopo il giro del mondo compiuto da Elcano, non c’è più dubbio sul fatto che sia rotondo, pertanto il meridiano non ha una longitudine di centottanta gradi, ma del doppio. Oppure, in altre parole, a ciascun meridiano corrisponde un antimeridiano che misura altri centottanta gradi».

E tutti, sorpresi, videro Fernando Colombo appoggiare il righello sopra la seconda mappa e tracciare un prolungamento della prima linea, che, se prima passava per l’oceano Atlantico, ora proseguiva nel mare del Sud.

«Signori, le isole delle Spezie si trovano di nuovo nella metà di pertinenza spagnola», concluse dinanzi allo sbigottimento di tutti i presenti.

«Dio santissimo!». Elcano era rimasto a bocca aperta. «Avete ragione. Questa è un’argomentazione inconfutabile».

«Mi fa piacere che la pensiate così», e don Fernando guardò Thomas con la coda dell’occhio.

«Un momento». Il veneziano spostò le mappe, le osservò e le rimise come le aveva trovate.

«Ebbene, Caboto?», indagò Elcano.

«Lasciateci da soli», ordinò agli assistenti, inclusi Thomas e Santiago.

Tutti ubbidirono e si ritirarono nella sala accanto.

«Voglio tutti i dettagli», disse Caboto, fissando Fernando Colombo.

Da solo di fronte ai rappresentanti dell’imperatore, don Fernando espose la sua teoria dell’antimeridiano e la argomentò con mappe, latitudini e documenti. La riunione durò più di due ore, e non fu nemmeno l’ultima. A più di due mesi di distanza, continuarono a discuterne e a presentare nuove allegazioni in merito.

Ma adesso la Spagna disponeva di un’argomentazione di un certo peso con la quale poteva spaventare la delegazione portoghese. Alla fine le isole delle Spezie sarebbero state degli spagnoli.