10

Erasmo

 

 

 

 

Il libro che non sopporta due letture non ne merita alcuna.

 

José Luis Martín Descalzo

 

 

 

 

Giugno 1520

 

Nel laboratorio di Jan Thys abbondavano calamai, scrivanie, risme di carta filigranata, mazzi di piume di medio spessore, piume azzurre, canne sottili, anfore e barattoli pieni di inchiostro, mortai di pietra, gomma arabica e noci di galla per preparare gli inchiostri. Vi lavoravano una decina di uomini che Thys dirigeva con fermezza. Dal modo in cui veniva trattato, si capiva che tutti lo rispettavano.

Poteva contare su due assistenti di fiducia, uomini di una certa età e dall’aspetto molto simile: brizzolati, magri e con gli occhiali. Silenziosi e disciplinati. Sembravano conoscere a memoria il loro lavoro e rispondevano in modo automatico e senza replicare alle poche indicazioni che ricevevano da parte di Thys. C’era poi un apprendista più giovane, Carlos. Forte, con i capelli biondi e una folta barba, aveva più l’aspetto di un fabbro o di un marinaio che di un tipografo.

Carlos era il più loquace del gruppo, si muoveva con sicurezza, sembrava ambizioso e sicuro di sé.

Infine c’erano altri due aiutanti, quelli con i quali Thomas condivideva il pagliaio. Erano più grandi di lui e completamente diversi, uno alto e l’altro di bassa statura, uno moro e l’altro biondo. Tre ragazzi più giovani di Thomas si occupavano invece della ripartizione dei materiali. Erano molto vivaci, e andavano e venivano in base alle necessità del laboratorio.

La prima cosa che gli chiese il signor Thys fu di tagliarsi i capelli, perché non avrebbe mai permesso che uno dei suoi impiegati avesse l’aspetto di un delinquente. Thomas non poté rifiutare, ma non importava, in fondo era come dare un taglio alla sua vecchia vita. Il barbiere, invece, maledisse la sua folta capigliatura.

La tipografia occupava uno spazio diviso in due ambienti. Il primo dava sulla strada, a mo’ di negozio, ed era dotato di una vetrina nella quale venivano esposti i lavori migliori. Si trattava di libri perfetti, con lussuose rilegature e tipi di scrittura differenti. La qualità del lavoro era a dir poco perfetta, così come quella della scrittura. All’altro lato del laboratorio si arrivava attraverso una piccola porta ad angolo che dava su un’enorme officina dotata di grossi tavoli, sui quali venivano preparate le varie tipologie di carta. I veri gioielli della tipografia erano due enormi macchine da stampa. L’odore dell’inchiostro era molto forte e il ritmo del lavoro incessante.

Al secondo piano dell’edificio viveva la signora Thys, assieme alla figlia e a due domestiche. Le due donne si facevano vedere poco nel laboratorio ma, dato che abitavano al piano di sopra, le si vedeva spesso entrare e uscire di casa. La signora Thys era piuttosto corpulenta, aveva i capelli ricci, era sempre vestita di nero e sembrava una donna di carattere. Al contrario, la figlia appariva più timida, eclissata dalla mole e dal carattere autoritario della madre. Le domestiche erano due giovani che camminavano di corsa e sempre a testa bassa, come se volessero evitare a tutti i costi di essere fermate da qualcuno.

Era la prima volta che Thomas aveva a che fare con un ambiente di lavoro così complesso e ben organizzato. La cucina sempre ordinata del suo defunto padre e l’ordine rigoroso col quale organizzava i banchetti non erano minimamente paragonabili alla massima precisione che caratterizzava la tipografia.

Fortunatamente, non faceva molta fatica a comunicare con la gente del posto. Grazie al francese che gli era stato insegnato da sua madre e a quello che aveva appreso della lingua locale, Thomas riusciva a capire tutto quello che il suo datore di lavoro e gli altri dipendenti gli dicevano.

«Non ce la facciamo, è una follia», si lamentò Thys un giorno, parlando con un cliente, «riceviamo ordini da tutte le parti. Devo comprare un altro edificio per aprire una seconda tipografia».

«Questa è una buona notizia», gli disse l’uomo.

«Non crediate, le macchine per stampare sono costosissime e non me ne posso permettere neppure una in più».

«Vi lamentate troppo, Thys. Magari avessi io un negozio come questo. I libri vanno di moda. Questa trovata della stampa ha rivoluzionato tutto e vi ricoprirà d’oro, amico».

«Magari, io qui ho solo spese…».

«E chi non ne ha? Per questo lavoriamo, per pagare le spese, ma si dice che nella terra scoperta dagli spagnoli non ci sia bisogno di lavorare».

«E voi ci credete?»

«Alla mia età non credo più a niente, però…».

«Noi non conosceremo mai quella terra, quindi non ci resta altro da fare che lavorare», sentenziò Thys. «Il vostro ordine è pronto, ma è stato stampato senza specificare il nome del laboratorio, non voglio correre rischi», spiegò, in tono serio. «Lo sapete, la censura del vescovato è molto potente».

«Quanta ipocrisia… e cos’altro succederà?»

«Non lo so, signore. Dicono che la guerra tra Francia e Spagna potrebbe scoppiare da un momento all’altro».

«Sapete che novità. Siamo sempre sul punto di entrare in guerra».

«Anche questo è vero».

«Noi siamo commercianti, non ci interessano i fatti dei reali», mormorò il cliente.

«Ma comportano parecchie conseguenze», ribatté Thys, sollevando l’indice. Entrambi annuirono.

«Certo, a patto che riusciamo a adattarci, si può sempre trarre qualche beneficio dai cambiamenti, basta solo trovare il modo».

«Io preferisco rimanere come sto», sussurrò Thys.

«Proprio quello che vi dicevo, vi lamentate troppo. Alla prossima», e il cliente lasciò il negozio.

Thys rimase a guardarlo mentre usciva.

«Una terra dove non c’è bisogno di lavorare», disse tra sé e sé, grattandosi il capo. «Cosa mi tocca sentire…».

Durante i suoi primi giorni nella tipografia, Thomas fece molta fatica a capire il funzionamento dei macchinari di stampa. I due assistenti a malapena conversavano con il resto dei lavoratori; pensavano solo a impartire gli ordini, che dovevano essere eseguiti alla lettera e in modo immediato. I colleghi di Thomas e gli altri aiutanti erano talmente indaffarati che risultava impossibile parlare con loro. L’unica persona che scambiava qualche parola con gli uni o con gli altri era Carlos, l’apprendista, e discuteva di argomenti che non avevano nulla a che vedere con il lavoro. Era un ragazzo socievole e sempre di buon umore, molto concentrato sul lavoro ma in grado, al contempo, di commentare le ultime notizie che circolavano per Anversa. Fu l’unico a mostrare un po’ di interesse nei confronti di Thomas.

«Di dove sei, precisamente?», chiese l’estroverso apprendista.

«Sassonia», mentì lui.

«Non ho mai conosciuto nessuno di quelle parti, di quale città?», insistette con un sorriso.

«Una cittadina molto piccola, non credo tu l’abbia mai sentita nominare», si lasciò sfuggire.

«E come sei finito ad Anversa?».

A Thomas tornò in mente la frase di Conrad il Rosso.

«Per qualche strano segno del destino, suppongo», disse, sorridendo.

«Qui si lavora sodo…». Carlos scosse la testa.

«Ho affrontato cose peggiori».

«Tu impara e impegnati, che questa tipografia lavora molto, hai sentito Thys. Lui si lamenta sempre, ma il lavoro non diminuisce mai, quell’uomo si sta ricoprendo d’oro!».

«Tu credi?»

«Sì, ma non è abbastanza ambizioso. Solo quelli che hanno il coraggio di andare lontano arrivano a scoprire fin dove possono arrivare», sentenziò Carlos. «Un giorno avrò una mia tipografia e sarà la migliore delle Fiandre».

«E come pensi di riuscirci? Queste macchine costano una fortuna».

«Ho un piano, ma non posso svelartelo». Sorrise.

«Io non aspiro a tanto».

«Peccato», disse Carlos, guardando i due assistenti con la coda dell’occhio, «quegli uomini lavorano qui da una vita, io invece all’età loro sarò già il capo di me stesso, puoi starne certo. Altrimenti sarebbe meglio la morte».

Jan Thys aveva ereditato la tipografia dal padre, il quale l’aveva a sua volta ereditata dal proprio. Le conoscenze sull’arte della stampa si potevano apprendere, come accadeva per le altre attività, o grazie alla tradizione di famiglia o attraverso la firma di un contratto con un maestro tipografo, che si impegnava a garantire al proprio apprendista l’insegnamento dell’arte della stampa, della manutenzione dei macchinari, dandogli anche un alloggio e qualche soldo. Ma una cosa erano le conoscenze e un’altra la proprietà, quindi per Carlos non sarebbe stato affatto facile diventare il proprietario di una tipografia come quella.

«Thys ha avuto la tipografia in eredità da suo padre, ma insieme gli ha lasciato anche tutti i debiti».

«E lui è riuscito a pagarli?»

«Sì, ma è stato costretto ad apportare dei cambiamenti per renderla redditizia», spiegò, indicandogli il locale. «Dovette cominciare revisionando opere che, bene o male, sarebbero facilmente andate sul mercato, cercando di evitare le edizioni non originali e facendo anche attenzione a rispettare i termini di pubblicazione».

«Sembra un uomo serio e professionale».

«Lo è, ed è molto rispettato all’interno della sua corporazione ma, come ti ho già detto, non è ambizioso. Se questo posto fosse mio, sai quanti soldi gli avrei già fatto fruttare».

Buona parte del rispetto del quale Thys godeva era dovuto al fatto che era molto attento alla qualità della stampa e voleva che l’edizione stampata fosse uguale all’originale e priva di eventuali errori.

Inoltre, lui si occupava solamente di libri. Gli altri librai di Anversa si dedicavano anche al noleggio di bestie da soma e al commercio di spade, daghe, guarnizioni e cinture di cuoio.

Thomas era solito confrontare tutte quelle meravigliose pubblicazioni con il suo unico libro, al quale si dedicava ogni notte. Non gli interessava che fosse modesto e un po’ danneggiato, ciò che contava non erano la copertina o la rilegatura, ma le storie, e quella di Abelardo ed Eloisa era davvero tragica. Andando avanti con la storia, i due ragazzi vengono trovati dagli scagnozzi dello zio della giovane. L’uomo si vendica di Abelardo facendolo castrare da uno dei suoi tirapiedi. Pensando a una simile brutalità, Thomas non chiuse occhio tutta la notte.

Riprese la lettura solo il giorno seguente. Dopo quell’episodio terribile, i due amanti si separano. Eloisa si ritira in un convento del quale diventa badessa, mentre Abelardo si dedica all’insegnamento. La coppia, però, inizia una comunicazione epistolare, le lettere che danno il titolo al libro. Grazie a esse, i due amanti riaccendono la fiamma di una passione che non si è mai spenta, una passione ormai alimentata dalle parole scritte piuttosto che dagli incontri carnali.

Thomas pensò a Úrsula. E se le avesse scritto una lettera? Non aveva mai pensato a quella possibilità ma, se Abelardo ed Eloisa si erano potuti amare attraverso le parole, perché non potevano farlo anche loro due?

Scartò l’idea. Se le avesse inviato una lettera, pur senza dirle dove si trovava, l’avrebbe comunque messa in una situazione rischiosa.

Dopo i primi giorni, Thomas cominciò pian piano a adattarsi alla sua nuova vita. Ma gli mancavano i frenetici viaggi con Massimiliano sul carro tirato da Lancero, la compagnia dell’anziana Luna, l’addormentarsi sempre in una città differente e, anche se gli costava ammetterlo, sentiva persino la mancanza delle storie del napoletano sul Nuovo Mondo, gli mancava sentirlo fischiettare e addirittura il profumo del tabacco! Chi lo avrebbe mai detto?

Massimiliano l’aveva tradito, ma la colpa era stata di Clementine. Il loro rapporto era cambiato da quando era arrivata lei, anche se, a pensarci bene, da amico avrebbe dovuto difendere il loro rapporto dalle pressioni della donna. Dunque, la responsabilità ultima era di Massimiliano. La donna si era comportata solo da arrivista, come tutti, del resto.

Dopo la seconda settimana, il ragazzo cominciò a sentirsi più a proprio agio, e il lavoro era duro ma confortante. Apprendeva velocemente e lavorava con meticolosità. Thomas era affascinato da quei macchinari che stampavano libri. I vari caratteri utilizzati erano incisi su un blocco di metallo, venivano posizionati su una piastra di rame e poi colpiti. Sull’incisione metallica veniva versato del piombo fuso che, una volta raffreddato, prendeva la forma delle lettere, e quella era la parte più costosa dell’intero procedimento.

Una volta che avevano a disposizione tutte le lettere, passavano alla creazione delle pagine. Quello era compito del compositore, ma se ne occupava uno degli assistenti. Le linee e le colonne che avrebbero formato il testo del libro venivano collocate su particolari supporti, ma l’intero procedimento veniva effettuato al contrario, tramite l’ausilio di uno specchio, in modo tale che sul foglio la scrittura apparisse nel verso giusto.

Una volta che la piastra era pronta, veniva provata e si usava una pressa a vite, simile a quella utilizzata per fare il vino, per trasferire l’inchiostro sulla carta. La pressa funzionava grazie a una vite che doveva essere girata con forza mediante una leva, facendo pressione sulla carta.

Ogni due o tre giorni ricevevano l’incarico per un nuovo libro, così, quando gli capitava di averne uno tra le mani, ne approfittava per leggerne qualche pagina senza che nessuno se ne accorgesse.

Non poteva farci niente, era più forte di lui.

Thomas desiderava poter leggere per intero tutti i libri che stampavano e non solo alcune pagine.

Si interessava anche ad altri generi, pubblicazioni più semplici di carattere religioso o di attualità.

In lui cominciò a crescere un forte interesse per la lettura e la conoscenza, c’era così tanta scelta in quella tipografia! Non immaginava neanche lontanamente che si potessero pubblicare tutti quei libri né che la gente li comprasse per rifornire le proprie biblioteche. Tra i loro clienti non c’erano solo nobili; al laboratorio di Jan Thys giungeva gente di ogni tipo, artigiani, commercianti, ufficiali giudiziari e… donne, tante donne, alle quali Thys dava consigli, mostrava le novità, conosceva i loro gusti e suggeriva quali libri acquistare.

Ma ciò che cambiò davvero la concezione che il giovane apprendista aveva dei libri fu la richiesta di stampare dei testi classici greci.

Fu allora che arrivò a chiedere al suo datore il permesso di poterli leggere; l’uomo, che in principio si mostrò reticente, finì per accettare a una sola condizione: prima avrebbe dovuto finire il lavoro, e poteva leggere solo all’interno della tipografia, dalla quale non poteva uscire nessun libro, cosa che limitava di molto il tempo disponibile per la lettura.

La gioia di Thomas fu comunque indescrivibile, tanto che quella sera fece fatica a prendere sonno, pensando a tutto quello che avrebbe avuto modo di leggere.

Quelle storie di miti e leggende lo avevano entusiasmato fin da subito. Le sue preferite diventarono le storie di divinità, ciclopi ed eroi. Scoprì un favoloso mondo di leggende e apprese di filosofi e saggi che avevano trattato temi che la sua mente non aveva mai neppure lontanamente immaginato. Thomas ne rimase impressionato, in particolare dalla lettura dell’Eneide di Virgilio.

Quel tipo di letture ebbe su di lui un curioso effetto secondario: cominciò a sognare ciò che leggeva. I suoi sogni si popolarono di creature mitologiche, e addirittura sognava di conversare con Euclide e Aristotele. Erano sogni complessi che, soprattutto alcune notti, lo destabilizzavano, perché ciò che sognava gli sembrava così reale e complicato da non riuscire a capire come idee e immagini simili potessero essergli entrate in testa.

Quando aveva un po’ di tempo libero, per non restare sempre all’interno del laboratorio, Thomas era solito scendere giù al porto, meno rumoroso delle trafficate strade del mercato. Nei pressi della via dei baschi, si fermava a osservare il viavai delle mercanzie. Anche se durante l’inverno giungevano meno navi mercantili, Thomas sperava sempre di vedere con i propri occhi quei fantastici prodotti provenienti dal Nuovo Mondo, gli stessi che aveva visto tante volte grazie alle immagini che Massimiliano gli aveva mostrato e di cui l’uomo aveva sempre parlato.

A volte gli capitava di vederlo, in lontananza, ma aveva paura di avvicinarsi e soprattutto che Clementine potesse scoprirlo. Non poteva fare a meno di immaginarsi ad ascoltare di nuovo le sue storie su viaggi, isole remote e creature incredibili. Il lavoro in tipografia non aveva nulla a che vedere con i viaggi che aveva fatto assieme a Massimiliano, spostandosi di città in città.

Si chiedeva come gli andassero gli affari col tabacco, e faticava a immaginarlo a lungo fermo nella stessa città, e poi gli mancava giocare con Luna e strigliare Lancero.

Si sentiva solo e, irrimediabilmente, questo gli faceva sentire ancora di più la mancanza di Úrsula. I testi greci e latini che venivano stampati nella tipografia di Thys lo aiutavano a mitigare quel senso di solitudine. Nell’Eneide di Virgilio lesse della guerra scoppiata in una città chiamata Troia, dalla quale Enea era fuggito giungendo a Cartagine, dove regnava una donna di nome Didone. Thomas si identificò in Enea, che era dovuto scappare in una terra straniera, ma a differenza sua il protagonista aveva trovato una regina, forte e potente, della quale si era innamorato.

Per lui, invece, esisteva una sola regina, Úrsula. Abbandonata, a tratti dimenticata, ma pur sempre la sua regina, la sua amata.

Non aveva modo di sapere cosa ne fosse stato di lei e temeva che le fosse accaduta qualche disgrazia. E al tempo stesso si sentiva in colpa, perché non faceva nulla per avere sue notizie, o perché stava perdendo tempo in quella città piuttosto che andare a cercarla e portarla via con sé. Ma sapeva che non poteva tornare ad Augusta e quel dilemma gli dilaniava il cuore.

Prima di rientrare al lavoro, era solito fare un giro lungo il fiume, che gli ricordava la sua città natale.

Un giorno si fermò a guardare due falegnami che cambiavano le tavole a una barca. Gli risultava difficile immaginare che quelle stesse imbarcazioni potessero raggiungere il Nuovo Mondo o le sue amate isole delle Spezie. Immaginava come sarebbe stato raggiungere posti tanto lontani e poter raccontare storie simili a quelle di Massimiliano. Avvertiva un vuoto allo stomaco ogni volta che sognava di navigare, lui che non era mai salito su una barca, a eccezione di quella con cui era fuggito dal lago di Como, una barchetta insignificante se paragonata ai galeoni e alle navi che solcavano mari e oceani, raggiungendo le ricche terre delle Indie.

Pensò che leggere e navigare fossero due cose abbastanza simili.

Ritornò dalla sua passeggiata prima del solito e raggiunse la casa di Thys. Proprio in quel momento la moglie del tipografo stava uscendo, accompagnata dalla figlia e dalle inservienti che portavano due pesanti borse.

«Che ci fai qui, ragazzo? Perché non stai lavorando?». La signora era sempre molto diretta.

«La tipografia è chiusa, siamo in pausa, riprenderemo a lavorare tra un’ora».

«Che banda di fannulloni, non so come faccia con voi mio marito. Se il capo fossi io…», minacciò, «allora sì che sapreste cosa significa sgobbare ogni giorno… Il mio sposo è talmente buono con voi che lo faranno santo».

Thomas sapeva che la signora era distaccata e severa, perché aveva sentito parecchi commenti a riguardo in tipografia e aveva avuto modo di osservarla, ma non l’aveva mai sperimentato sulla sua pelle. La cosa peggiore era che quelle parole suonavano quasi come una minaccia, che un giorno non troppo lontano si sarebbe anche potuta avverare.

«Non è questione di lavorare molto, ma di farlo bene».

La replica di Thomas lasciò di sasso le due inservienti, mentre la figlia di Thys scoppiò a ridere, non riuscendo a trattenersi. Il volto della signora Thys cominciò a gonfiarsi e ad assumere un colorito rossastro. Thomas non sapeva perché avesse pronunciato quelle parole, gli erano uscite dalla bocca in modo istintivo.

«Che hai detto? Come ti permetti?»

«È la verità, signora, con tutto rispetto». Thomas provò un senso di sollievo, come se si fosse tolto di dosso un peso. «Di certo sarete d’accordo con me sul fatto che sia una perdita di tempo cercare di aggiustare una cosa che è stata fatta male, e questo è quello che voglio evitare».

«Tieni a freno quella lingua, giovanotto», lo ammonì lei, puntandogli un dito contro. «Non appena mi accorgerò che stai commettendo qualche errore sul lavoro, sarò io stessa a cacciarti a calci».

«Non dovete preoccuparvi, non succederà».

«Santo cielo, che insolente! Andiamo o faremo tardi».

La signora Thys gli voltò le spalle, adirata, mentre le inservienti la seguirono a testa bassa. Sua figlia, invece, restò a guardare Thomas per qualche istante.

«Nessuno la contraddice mai», sussurrò la giovane. «Fa’ attenzione».

Thomas rimase sorpreso che la ragazza gli avesse parlato in modo tanto diretto e informale.

«Mi spiace, non volevo far innervosire tua madre».

«Che peccato».

«Peccato?». Thomas non capì quella risposta.

«Sì, ho sempre desiderato che qualcuno le rispondesse a tono», e se ne andò prima che sua madre potesse accorgersi della sua assenza.

Thomas era confuso, era la prima volta che la sentiva parlare in quel modo e non ne capiva il motivo.

Ma era chiaro che l’insolenza nei confronti della padrona di casa avrebbe avuto delle conseguenze. Ricevette una bella strigliata da parte del signor Thys anche se, per qualche strana ragione, intuì che quei rimproveri non erano del tutto sinceri. E compatì quell’uomo, perché essere sposato con quella donna non doveva essere affatto semplice.

L’episodio con la signora Thys fu presto dimenticato. Thomas si scoprì un eccellente tipografo, rapido e soprattutto preciso, dote molto apprezzata nel campo. Impratichendosi, cominciò a esser visto di buon occhio dal signor Thys, il quale sapeva riconoscere un lavoro ben fatto.

«Impari in fretta», gli disse una sera, mentre il ragazzo stava ordinando con cura le pagine di un libro. «Prima che venisse inventata la stampa, i libri erano pochi, delicati e molto costosi. Ogni esemplare era copiato a mano lettera per lettera, te lo immagini?»

«Servivano settimane per copiare un intero libro».

«Mesi. I libri sono sempre stati delle creature deboli e indifese», mormorò il signor Thys. «Ho visto che leggi praticamente tutto quello che pubblichiamo».

«Sì, signore».

«Bravo, e sai perché alla gente piace tanto leggere? Perché pagano tanti soldi per i nostri libri?»

«Perché permettono di sognare e viaggiare senza doversi muovere da casa, immagino».

«Ti sbagli, Thomas. Lo fanno perché i libri sono l’unica arma che abbiamo contro l’oblio, e c’è forse qualcosa che noi uomini temiamo di più?»

«Non ci avevo mai pensato».

«Ci avrei scommesso». Il signor Thys gli diede una pacca sulla spalla. «Continua a lavorare così».

Alla fine dell’anno ricevettero molto lavoro, perché un ricco commerciante della città li pagò per la stampa di un libro di Erasmo da Rotterdam, dal titolo Elogio della follia. Thomas fu sorpreso dal fatto che venissero richieste tante copie di un libro dal titolo così particolare e, inoltre, il signor Thys gliene proibì la lettura; se l’avesse sorpreso a farlo, lo avrebbe punito senza alcuna pietà.

Nel frattempo, Thomas e Carlos erano diventati buoni amici, e questo gli rese più sopportabili i lunghi turni di lavoro per soddisfare l’enorme domanda.

«Le cose stanno cambiando, Thomas», gli disse, mentre preparavano i vari caratteri per la stampa di una storiografia.

«Non vedo come, Carlos».

«Hai letto il testo che stiamo stampando? Il nostro signore, il nuovo imperatore Carlo v, ha sottoscritto con Francesco i di Francia un trattato di pace, e soprattutto, ha ricordato agli Stati Generali, riuniti a Gante, che a partire dall’anno scorso, in sua assenza, il governo è a carico di un Consiglio Privato presieduto da sua zia, l’arciduchessa Margherita d’Austria».

«Ed è una cosa positiva?»

«Ovviamente no, la gente detesta quella donna… Pensavamo che col nuovo re di Spagna le cose sarebbero cambiate in meglio, invece siamo già a metà dell’anno 1520 e non è cambiato niente», mormorava Carlos, come se temesse che qualcuno lo potesse sentire.

«Io pensavo che andasse tutto bene, continuano ad arrivare navi piene di lana dalla Castiglia».

«Sì, ma alla gente questo non basta e non ama essere usata come moneta di scambio. Il popolo si sta svegliando».

«Davvero?». Thomas non se ne intendeva di politica, ma gli piaceva esserne messo al corrente da Carlos.

«Le idee di Erasmo da Rotterdam cominciano a diffondersi sempre di più, perché credi che abbiamo stampato tante copie del suo libro?»

«Volevo chiedertelo, Carlos».

«Non dire stupidaggini, leggilo!».

«Ma ci è stato proibito!», disse Thomas, scandalizzato.

«Prendine una copia di nascosto e poi riportala, come faccio io. Svegliati, ragazzo», lo ammonì l’apprendista. «Vedo che non hai ancora capito come funzionano le cose. Qui stampiamo libri di ogni genere, ma alcuni sono molto speciali. Per questo lavoriamo tanto e il signor Thys accetta lavori che altri tipografi non osano accettare, libri rischiosi, di autori stranieri, capisci cosa intendo…».

«Per questo non vengono esposti».

«Esatto, Thomas! Quei libri che possono crearci, diciamo, dei problemi, vengono stampati ma senza specificare il nome della tipografia, ed è così che il nostro capo si tutela», gli spiegò a voce bassa. «Prenditene una copia stasera e domani la riporti, nessuno se ne accorgerà».

«Non voglio avere problemi».

«E lo dici dopo aver contraddetto la signora Thys?». Gli diede una pacca affettuosa sulla spalla. «Poche storie, ragazzo, e leggi il libro di Erasmo».