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La corporazione
Sebas arrivò all’ora indicata. La riunione si teneva nel principale bordello di Siviglia, la Bussola. La casa di tolleranza, che sorgeva accanto al porto, era il luogo più frequentato dai marinai e dagli emigrati. Era stata proprio la sua posizione centrale a spingere il Consiglio dei ventiquattro a prendere la decisione di isolare quanto più possibile la Bussola, ordinando di recintarne il perimetro e di eliminare tutte le porticine che davano accesso alle vie secondarie.
Non era facile isolare i bordelli: sia chi ci lavorava dentro che chi andava a comprare i servizi offerti non amava trovarsi confinato all’interno di una cinta muraria. Perciò tutti cercavano di eludere la sorveglianza. La strada principale, inoltre, era angusta e tortuosa, tanto che le ruote dei carri danneggiavano sempre le facciate degli edifici.
L’Indio lo aspettava dentro, insieme a tre dei suoi uomini. Aveva ordinato a Sebas di raggiungerlo da solo per parlare di un affare imminente.
«Sempre puntuale», disse non appena lo vide.
«Sì, ma… è il posto migliore per parlare?»
«Prendi un bicchiere di vino. Rilassati e rifatti gli occhi», rispose l’Indio.
Sebas iniziò a farsi sospettoso. L’Indio non era mai così gentile, né con lui né con nessun altro. Conosceva bene i tre uomini che lo accompagnavano; non erano sivigliani, non si facevano scrupoli e lavoravano per l’Indio ogni volta che aveva bisogno di loro.
«Ora ti dirò perché siamo venuti qui», esordì l’Indio. «Conosci la laguna tra il fiume e le mura?»
«Sì, la laguna della Pajería».
«È un affluente ormai asciutto del fiume, che si riempie solo quando piove. Con le piene, le acque del fiume entrano a Siviglia dalla Pajería, perché ci sono parecchie falle nella cinta muraria. Questi pertugi sono diventati degli accessi ai bordelli come questo».
«Se dovessimo fuggire da questo posto, sapremmo da dove scappare».
«Li conosco meglio di chiunque altro», replicò l’Indio.
«Anch’io potrei raccontarti una storia sulla Pajería». Sebas non si lasciava mai intimidire.
«Avanti, sorprendimi».
«Secoli fa, proprio nella laguna della Pajería, fu allevato il coccodrillo che il sultano d’Egitto regalò alla donna che voleva sposare, la figlia del re Alfonso x di Castiglia. Quando il coccodrillo morì, fu imbalsamato e offerto alla Vergine come ex voto».
«Ma poi, dato che il cadavere si decompose, costruirono un coccodrillo di legno che adesso si trova nella cattedrale, attaccato al soffitto della galleria del Cortile degli Aranci». L’Indio fece indugiare lo sguardo su Sebas. «Dovresti dirmi qualcosa che non so».
Accanto a loro, alcuni marinai cominciarono ad alzare la voce e a prendersi a spintoni.
«Si vede che ci sono delle barche al porto. La maggior parte di esse salperanno presto per le Indie. Questa gente sta sperperando quel poco che le è rimasto. A che cosa serve risparmiare qualche moneta? Probabilmente non torneranno».
«Potrebbero darle alle loro mogli. Gran parte di loro lascerà qua dei figli», mormorò Sebas.
«Non mi hai ascoltato? Questi non si lasciano alle spalle soltanto la Spagna. Molti si imbarcano proprio per dimenticarsi della loro vita e delle loro famiglie».
«Be’, nessuno attraverserà l’oceano per reclamare il loro ritorno…».
«A me non interessa affatto. Non ho messo gli occhi su di loro, ma su quelli che finanziano le flotte e commerciano con l’argento», puntualizzò l’Indio. «Oggi c’è così tanta gente perché i bordelli di Siviglia chiudono nei giorni consacrati alla Vergine, e domani è uno di quelli».
«Lo so, e so anche che nessuna donna che si chiami María può esercitare la professione in queste case di tolleranza».
«Questo è vero», e l’Indio sorrise. «Come è vero che adesso le madri hanno preso a chiamare María tutte le loro figlie: María Asunción, María Isabel…».
«Ma fatta la legge, trovato l’inganno. Le donne che vogliono vendere il loro corpo optano per cambiare nome. Qua non troverai nessuna María».
«Hai sempre una risposta per tutto, vero, Sebas? Ancora mi ricordo la prima volta che ti ho visto, eri appena arrivato a Siviglia. E adesso guardati, la conosci a memoria…».
«Sì, me la ricordo anch’io». Sebas fece mente locale. «Non conoscevo la città, ma tu mi dicesti che non mi dovevo preoccupare, che Siviglia era come un convento di clausura».
«Questo non me lo ricordavo».
«Mi consigliasti di guardarla bene, di osservare le mura che la circondavano, le donne coperte di veli come da usanza araba. Mi dicesti che era una città labirintica, perché le sue strade formavano un reticolato confuso, con isolati dalla forma strana, e che le facciate degli edifici non rispettavano uno schema preciso».
«È vero, e tu sostenevi il contrario», mormorò l’Indio. «Mi dicesti che mi sbagliavo, che Siviglia era il futuro».
«La mescolanza è il futuro. A Siviglia c’è tutto e il contrario di tutto. Ricchi e poveri convivono a poca distanza. Ci sono bianchi, neri, mulatti. Ci sono preti e prostitute. C’è il vecchio mondo, ma anche il nuovo».
«Non sapevo da dove venissi, ma si capiva che avevi del potenziale. Eri appena arrivato e già stavi derubando le domestiche andate a fare la spesa al mercato del Malbaratillo. Si vedeva lontano un miglio che eri ancora un principiante, ma la faccia tosta non ti mancava di certo».
«Non mi hanno mai preso. Ero rapido», gli rammentò Sebas.
«Non ne dubito, ma se ti ho offerto un lavoro non è stato perché eri rapido, quanto per il modo in cui guardavi i commercianti, e le donne dei ricchi e i loro figli».
«Come li guardavo?»
«Con ambizione, naturalmente. Sebastián, tu sprizzi ambizione da ogni poro, non puoi nasconderlo. Per questo ho capito fin dal primo giorno che l’avresti fatto. Fintantoché mi tornavi utile, però, non mi importava».
«Che avrei fatto cosa?»
«Tradirmi. Cos’altro, sennò?». Due uomini dell’Indio, uno per ciascun lato, lo circondarono e lo afferrarono per le braccia.
«Che cosa stai dicendo?!».
«Guarda che ti avevo avvertito. Ho sempre trovato strano che ti interessasse tanto aiutare quello straniero. Ma poi ho scoperto la verità. Sei furbo, è questo il problema. Sei troppo furbo».
«Che cosa stai dicendo? Lavoro bene, porto a termine tutti i compiti che mi affidi».
«Lo so, e ciononostante hai tempo per badare anche ai tuoi affari. Ho sentito cosa si dice in giro, che c’è un tizio che vuole riunire tutti i ladri, le spie e gli assassini della città sotto un’unica egida affinché non si uccidano tra di loro». L’Indio si passò entrambe le mani sopra la testa. «A chi poteva mai essere venuta in mente una simile idiozia, mi sono chiesto? Una corporazione di delinquenti. Te lo immagini?».
Sebas non gli rispose.
«Certo che sì, perché è un’idea uscita da questa bella testolina qua. Lo sapevo che prima o poi mi avresti tradito. La nostra vita è così, non si può essere né troppo sciocchi né troppo furbi».
«Aspetta un momento! Se mi vuoi uccidere, prima dimmi una cosa. Hai fatto fuori quel mercante di libri nella locanda. Chi ti ha pagato per farlo?»
«Ma tu senti con cosa se ne esce adesso! Che te ne importa? Saperlo non ti servirà a niente».
«Concedimi questo ultimo desiderio», insistette Sebas.
«Non so come si chiamasse. Era una donna, una donna dell’alta società, tutta vestita elegante. E al tuo amico non ho torto neppure un capello perché sapevo che mi sarebbe potuto tornare utile in un secondo momento. Lei mi aveva pagato per uccidere il capo, dell’apprendista non aveva fatto parola. Così, quando poi mi ha incaricato di occuparmi del tedesco, sono tornato a cercarlo».
«Ma Thomas Babel è ancora vivo».
«Per poco. Qualcuno lo sta proteggendo, ma non fallirò di nuovo».
«Quindi non conosci il nome della donna che ti ha assoldato?»
«Ti ho già detto di no, e adesso basta. Portatelo fuori e facciamo alla svelta, che oggi c’è una nuova moretta che non mi dispiace affatto». Sorrise.
Lo spinsero in un cortile dietro il bordello e lo lasciarono in un angolo, davanti al muro che delimitava il perimetro della casa di tolleranza.
«Non mi puoi uccidere così, so molte cose».
«Certo, per questo morirai», rispose l’Indio.
«Potrei condividerle con te».
«Non funziona così. Non puoi comprarmi. Se ti lasciassi in vita, cosa penserebbero i miei nemici? E, ancora peggio, cosa penserebbero gli uomini al mio servizio? Questa è la fine, quindi di’ pure addio a tutto ciò che hai di più caro».
«Su una cosa hai ragione, Indio. Questa è la fine, ma chi morirà sarai tu».
Un’ombra emerse dalle tenebre del cortile e diede una coltellata al costato al primo dei tirapiedi dell’Indio. Il secondo reagì, estrasse una daga e parò la stoccata dello Schiaccianoci.
L’altro uomo rimasto corse ad aiutarlo, e Sebas si scagliò contro di lui, facendolo cadere a terra e rotolandosi con lui sul selciato. A quel punto, però, lo Schiaccianoci aveva già preso il sopravvento sul suo avversario, al quale diede due pugni prima di squarciargli l’addome. Tornò a occuparsi del primo scagnozzo dell’Indio, che stava barcollando a causa della ferita. Gli prese la testa con entrambe le mani e gli spezzò il collo, con uno schiocco da far gelare il sangue nelle vene.
L’Indio si lanciò alla carica contro lo Schiaccianoci e gli assestò due pugni alla mandibola, facendolo indietreggiare. E non era finita lì, perché lo colpì ancora, con forza, rompendogli il naso in un’esplosione di fiotti di sangue.
Sebas si rotolò con il suo rivale e riuscì a mettersi a cavalcioni sopra di lui. Poi cominciò a prenderlo a pugni in faccia, senza sosta, finché non gli mancò il fiato ed ebbe le nocche doloranti e insanguinate. L’altro respirava ancora, però, quindi si alzò e gli diede un calcio tremendo, fracassandogli la testa e lasciandolo a terra moribondo.
Quando Sebas si voltò, vide che l’Indio stava facendo scivolare la mano verso la cintura per prendere una grossa lama. Lo Schiaccianoci era intontito e gridava dal dolore a causa del naso rotto.
Si mise a correre e saltò addosso all’Indio, disarmandolo un attimo prima che riuscisse a sferrare una coltellata. Andarono a sbattere contro il muro e, nell’impatto, Sebas ebbe la peggio. Quasi non riusciva ad alzarsi, mentre l’Indio si riprese subito, senza un graffio e sicuro di sé. Recuperò il coltello da terra e stavolta sì che sferrò un colpo, disegnando un arco con il braccio. Proprio quando la lama stava per abbattersi su Sebas, lo Schiaccianoci riuscì a immobilizzargli la mano.
«Lasciami!».
Il gigante non batté ciglio e cominciò a torcergli il braccio.
«Che cosa stai facendo? Tu non sai chi sono io!», gridò l’Indio, mentre l’altro lo obbligava a rivolgere il pugno e di conseguenza l’arma verso se stesso.
L’Indio provò a opporsi con tutte le sue forze, ma la potenza di quell’uomo era fuori dal comune.
La punta del coltello gli penetrò le carni e, pochi istanti dopo, gli trapassò il petto fino a uscirgli dalla schiena.
«Poveraccio. Davvero credeva che mi sarei lasciato mettere in trappola così?». Sebas osservò il volto insanguinato dell’Indio. «Dovevo scoprire chi aveva ucciso quel mercante di libri e perché. Ora dispongo di qualche informazione in più».
Lo Schiaccianoci fece un verso simile a un grugnito, mettendo di nuovo Sebas in allerta.
«Andiamo, ne arriveranno altri». Gli fece un cenno con la testa. «So come uscire da qui».
E si lasciarono alle spalle una pozza di sangue e quattro corpi inermi.