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Libri squinternati
Le campane delle chiese e dei conventi di Siviglia suonavano per annunciare lo scoccare delle ore e le preghiere, mentre i carri scricchiolavano percorrendo le strade affollate e le voci dei venditori nei mercati della città sormontavano quelle della plebe.
Una splendida carrozza varcò il portone principale del palazzo degli Enériz e due servi scesero dai loro posti a cassetta per aprire lo sportello della vettura, da cui scese una donna dai capelli neri e lisci, pettinati e raccolti all’indietro, con un diadema d’argento a mettere in risalto l’acconciatura. Il collo bianco della gorgiera, con un orlo di pizzo inamidato, le sfiorava le orecchie. Non portava orecchini, ma all’altezza del seno scintillava una collana di pietre preziose. L’ampia gonna era rossa e il corpetto era chiuso da lacci bianchi che si intrecciavano al centro, sul davanti.
Doña Brigida Maldonado attraversò il cortile centrale, dove Miguel Enériz la aspettava sfregandosi le mani, visibilmente agitato.
«Brigida», la salutò, prendendola per mano e omaggiandola con un leggero inchino. «Quanto tempo…».
«Non conoscevo la tua nuova residenza. È veramente meravigliosa».
«Lieto che tu ne sia entusiasta».
«Hai sempre avuto buon gusto, nonché una passione per tutto ciò che è antico», osservò Brigida mentre ammirava alcuni busti in stile neoclassico.
«Ricordi bene».
«Sì, io ricordo sempre tutto», replicò lei con tono perentorio. «Queste vengono da Italica, la Siviglia romana. Ho sentito dire che c’è chi si guadagna da vivere scavandovi in cerca di statue e mosaici».
«Non si direbbe che hanno mille anni, vero?». Miguel Enériz non riusciva a smettere di guardarla.
«Rivangare il passato è pericoloso, Miguel. Non si sa mai cosa si può trovare…».
«Accompagnami in biblioteca. Lì staremo più tranquilli». Il padrone di casa lanciò un’occhiata alla balconata superiore che affacciava sul cortile e scorse la figura di sua sorella, Julia, che li stava osservando. Julia e Brigida si scambiarono un semplice saluto, un cenno di mutuo riconoscimento.
Salirono la scalinata abbellita da maioliche e coronata da una tettoia mudéjar e proseguirono fino alla biblioteca.
«Come sta Juan?», domandò Miguel Enériz.
«È indaffarato. Gli affari con le Indie gli portano via sempre più tempo».
«E la tipografia?»
«Per fortuna mio suocero ha stretto ottimi rapporti con la Chiesa», rispose Brigida Maldonado, «con l’ordine francescano e con il circolo di umanisti legati al capitolo della Chiesa di Siviglia».
«Molto scaltro. Pubblica per la Chiesa e diffonde le nuove idee che stanno arrivando in Europa».
«Mio suocero conosce il settore, e gli piace». Brigida sollevò l’orlo dell’ampia gonna per non inciampare sui gradini. «Mentre Juan ha in testa il Nuovo Mondo, come tutta Siviglia…».
«Tuo suocero lavora come editore e libraio, ma ha anche acquistato case, botteghe e terreni coltivabili sia a Siviglia che nei dintorni, e ha persino comprato e venduto schiavi».
«Mio suocero e mio marito li usano come manodopera nella tipografia, ma io su questo non sono d’accordo. Un buon cristiano non dovrebbe schiavizzare nessuno».
«Hai ragione, Brigida». Miguel Enériz sorrise. «E ho anche sentito dire che alcune delle idee migliori per la tipografia sono venute a te. Che sei stata tu a insistere per assumervi il rischio di pubblicare titoli nuovi, che a priori nessuno conosceva, e che poi si sono rivelati essere i più venduti di Siviglia».
«Da quando credi alle voci che girano per la città?», domandò Brigida, inarcando un sopracciglio.
«Questo è vero, ma ricordo perfettamente la prima volta che mi parlasti dei libri squinternati. Sembrava una follia, ma adesso ne stampano a migliaia. Libri che si vendono a capitoli. Questa idea poteva venire soltanto a te, Brigida».
«Sì, i primi fascicoli vengono lanciati a un prezzo imbattibile, così intanto accalappiamo i lettori, mentre per le uscite successive aumentiamo il prezzo, tanto abbiamo già una clientela fissa, quindi la vendita è comunque assicurata».
«Dicono anche che manipoliate gli scrittori», continuò Miguel Enériz. «All’improvviso pubblicate un autore che non conosce nessuno e lo portate alla fama, e quando ne avete tratto profitto lo abbandonate a se stesso».
«Non sono venuta qui per parlare di libri e pubblicazioni, Miguel. Né di affari».
«Già, lo immagino», confermò lui. «Sei venuta per Jaime».
«Quindi sai già tutto…».
«Un mercante di libri mi ha chiesto di lui. Lavora per don Fernando Colombo e stanno cercando il suo libro. Che cos’è successo, Brigida? Perché adesso se ne sono usciti con tutte queste domande su Jaime?»
«Perché don Fernando aveva una copia di quel libro».
«Non è possibile. Tutti gli esemplari presenti nella tipografia Cromberger sono stati distrutti. Se n’è occupato personalmente tuo marito».
«A quanto pare, però, uno non è stato eliminato. Ci è sfuggito ed è finito nella biblioteca del figlio di Colombo. È anche stata sfortuna», si lamentò Brigida.
«Sfortuna? Io non credo nella sfortuna, ma nelle capacità di ciascuno di noi. O nelle incapacità, in questo caso. Che un esemplare del libro di Jaime sia finito nella biblioteca di una personalità di spicco come quella di Fernando Colombo è dovuto soltanto all’imprudenza, non alla sfortuna».
«Questo adesso non ha più alcuna importanza. Ho bisogno del tuo aiuto», disse Brigida, guardandolo negli occhi.
«Dopo tanto tempo, vieni a chiedermi aiuto? Davvero?»
«Anche tu eri amico di Jaime», gli ricordò Brigida.
«Sì, è vero, e forse avrei potuto aiutarlo di più. Quel poveretto… naufragò insieme a quella barca».
«Be’, io non ne sono così convinta».
«Che cosa stai dicendo?». Miguel Enériz le rivolse uno sguardo stupito.
«Senti, Miguel, non ne sono sicura al cento per cento, ma qualche anno fa…».
«Qualche anno fa? Cos’è successo, Brigida?». Le si avvicinò e la prese per i polsi. «Dimmi».
«Credo di averlo visto».
«Jaime? È impossibile…», e la strinse più forte. «La flotta fece naufragio, me l’ha confermato tuo marito in persona».
«Pensi che non lo sappia? Però…». Brigida si liberò dalle mani che la imprigionavano. «Ero in Plaza de San Francisco e fu questione di un momento. Io stavo andando verso calle de los Genoveses e incrociai un uomo».
«Lo vedesti in faccia? Era Jaime?»
«Era un uomo molto robusto, con la pelle scura e capelli meno folti, ma gli occhi… Miguel, io credo che fossero i suoi occhi».
«Ti guardò?»
«Sì, eccome», sussurrò, come se si stesse confessando davanti a un sacerdote. «I nostri sguardi si incrociarono per un solo istante, un battito di ciglia, ma… era lui, era Jaime Moncín».
«E non gli dicesti niente?»
«Corse via e sparì in mezzo alla folla», rispose Brigida, emozionata.
«Non notasti niente di particolare? Com’era vestito? Da dove veniva?»
«Solo una cartelletta. Aveva con sé una grossa cartelletta da disegno, nient’altro».
«Brigida, magari era solamente un uomo che gli assomigliava».
«Sì, per questo me ne sono dimenticata, o almeno così credevo finché non è arrivato questo mercante di libri a domandarmi del libro di Jaime».
«Secondo me è impossibile che sia ancora vivo». Miguel Enériz cominciò a passeggiare avanti e indietro, nervoso. «È sicuramente annegato. Dicono che non ci furono superstiti, e anche se fosse sopravvissuto qualcuno, come fa a essere a Siviglia? Ce ne saremmo accorti».
«Sono passati vent’anni, nessuno si ricorderà di lui».
«Ma se è davvero qui, come si guadagna da vivere? Dove abita? Non può nascondersi da noi, non qua a Siviglia».
«Miguel, non dimenticare di chi stiamo parlando». Stavolta fu Brigida ad afferrare Miguel per un braccio. «Se Jaime è ancora vivo, è pericoloso. Non sappiamo di cosa può essere capace».
«E Juan… cosa sa in merito?»
«Su Jaime? No, non mi fido di mio marito. Non voglio chiedergli niente, ho paura».
«E allora perché sei venuta? Che cosa vuoi da me?».