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Gaztelugatxe

 

 

 

 

 

 

 

 

La costa era selvaggia, ed era evidente che il mare aveva lavorato instancabilmente, erodendo la roccia e modellandola a proprio capriccio. Più si avvicinavano alla terraferma, più il moto ondoso si faceva intenso. Davanti agli occhi di Thomas apparve un paesaggio quasi surreale. Un lungo ponte univa un isolotto alla terraferma, sulla cui sommità sorgeva un eremo.

«Siete nella mia terra, quella che vedete è Gaztelugatxe», indicò Gorka.

«Come avete detto che si chiama?»

«Gaztelugatxe. In basco gaztelu significa “castello”, e gatxe vuol dire “difficile”. Quindi nella nostra lingua significa “castello pericoloso”».

«Che strano posto, sembra uscito da un libro».

E Thomas diceva sul serio: sembrava davvero un posto uscito dall’Iliade di Omero e si aspettava di vedere da un momento all’altro delle creature fantastiche emergere dal mare o dei draghi sorvolare l’eremo, trasformato in un’inquietante fortezza.

«L’accesso è spettacolare. Consiste in un percorso molto stretto, che parte dalla terraferma e attraversa le rocce tramite un ponte di pietra e permette di raggiungere la parte alta dell’isolotto dopo aver salito esattamente duecento e quarantuno scalini, non uno in più, non uno in meno».

«È difficile credere che possa esistere un luogo come questo».

«I miei antenati raccontano che san Giovanni Battista giunse a Bermeo e si stabilì nell’eremo in men che non si dica. All’epoca era una fortezza eretta a difesa della Signoria di Biscaglia. Dicono che si oppose per più di un mese contro l’esercito del monarca castigliano, che umiliato e sconfitto fu costretto a ritirarsi».

«Erasmo ha ragione, noi uomini siamo capaci di fare cose incredibili».

«Le barche dei pescatori fanno vari giri a babordo e tribordo passando da qui, sperando che il santo porti loro fortuna», continuò a raccontare Gorka. «Le donne credono che il santo le aiuterà a restare incinta e si pensa che i buchi degli scalini che portano nella parte alta dell’isola siano le impronte del santo e che abbiano poteri curativi».

Sbarcarono a Bilbao nel mese di giugno, e Thomas si separò da Gorka con un certo dispiacere. L’uomo l’aveva aiutato molto, ma lui doveva proseguire il suo cammino. Prima di lasciarsi, il basco gli diede un paio di monete.

«Così potrai permetterti un buon pasto caldo, conservale».

«Non posso accettarle, avete fatto già abbastanza per me».

«Ssst», e gli chiuse la mano con forza. «Buona fortuna, ragazzo, ovunque tu vada».

Mentre lasciava il porto, incrociò una mezza dozzina di uomini armati. Al comando c’era un uomo di bassa statura, calvo e con la testa rotonda.

«Tu, forestiero, chi sei e dove vai?», chiese, sprezzante.

«Mi chiamo Thomas».

«Il tuo accento… di dove sei, francese?»

«No! Tedesco di Francoforte», e pensò che la città non avesse importanza. Quell’uomo non era mai stato in Germania.

«È molto lontano, che cosa ci sei venuto a fare qui?»

«Sono un mercante». Thomas si difese con il castigliano che aveva imparato a bordo.

«Di cosa? Mica di libri, vero?». Alla guardia non sembrò fare buona impressione. «Non ne porterai qualcuno dalle Fiandre, spero».

«Commercio spezie dal Nuovo Mondo e temo di non aver portato altro che il bagaglio che i lor signori vedono», disse, sollevando le braccia.

«Ci è stato detto che qualcuno sta cercando di introdurre in Spagna i libri degli eretici attraverso questo porto».

«Io non ho libri, tantomeno quelli degli eretici», ribatté Thomas.

«E non hai sentito niente al riguardo?»

«No, mi dispiace». Non aveva abbastanza dimestichezza con la lingua per potersi esprimere meglio di così.

«Dovresti sapere che Carlo i, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, e il nunzio papale hanno appena promulgato un editto con il quale si proibisce la lettura e il possesso degli scritti di un certo Lutero. I nemici dell’imperatore stanno cercando di introdurre in Spagna le eretiche idee luterane, per questo chiediamo ai forestieri dei libri che hanno con sé. Non vogliamo che la Spagna venga contaminata».

Thomas capì che l’assemblea di Worms non era finita nel modo migliore.

«Come vi ho detto, non ne so nulla».

«Il regno più potente cova in seno i maggiori nemici. Altri oppositori si vogliono sollevare contro il re per indebolirne il potere».

«Preghiamo affinché non accada mai».

«Sì, preghiamo». La guardia più bassa tornò a squadrarlo dalla testa ai piedi. «Va bene, puoi andare».

Thomas capì che doveva fare molta attenzione Essendo uno straniero, non ispirava alcuna fiducia.

La domanda era dove andare, ma dato che non aveva preferenze, imboccò la prima strada che trovò.

Ben presto il verde paesaggio nordico lasciò spazio a una pianura aspra, fatta di interminabili distese di ulivi e mandorli sotto un sole cocente.

Trascorreva le notti dove trovava riparo e mangiava tutto quello che riusciva a recuperare, che non era mai molto. Nelle vicinanze di una collina ebbe la fortuna di trovare una stalla e un vigneto pieno di uva matura. Si svegliò sentendo alcuni latrati e, aprendo gli occhi, si ritrovò circondato da pecore.

«Alle pecore non piace che gli venga rubato il letto», disse una voce.

«Mi spiace». Si alzò subito, ma non aveva capito tutta la frase.

«Tranquillo, spesso anch’io ho dormito dove capitava». A parlare era un pastore alto e secco come un palo. «Stai andando a sud?»

«Andavo, ma ora non lo so più».

«Fa’ attenzione, un uomo senza meta è pericoloso. Per gli altri, ma soprattutto per se stesso. Bisogna sempre sapere dove si sta andando, e ci sarà tempo per perdersi lungo il cammino».

Il cane ai suoi piedi continuava ad abbaiare, come se lo considerasse una minaccia, mentre il pastore, appoggiato al suo bastone, sembrava fidarsi di lui. Thomas guardò il gregge che sembrava numeroso. In lontananza c’erano un paio di altri cani e un asino peloso.

«Quante pecore avete?», chiese, aiutandosi a gesti.

«Quasi duecento», gli rispose l’uomo, che stava masticando qualcosa.

«Non sono molte per una sola persona?», disse, parlando per metà in francese.

«Ho loro quattro», rispose, riferendosi ai cani, «e Perezoso, il miglior asino del mondo. Vedo che sei forestiero, parli poco e male».

Thomas annuì.

«Qui i tempi sono duri. La corona dell’imperatore ci è costata cara», disse, accigliandosi. «Hanno messo un’imposta sulla lana che ci sta facendo tribolare. Prima avevo un aiutante, ma adesso non posso più permettermelo. Capisci quello che dico?»

«Credo di sì, e io potrei aiutarvi. Mi prendereste come aiutante?»

«Ma se ti ho appena detto che non posso permettermi di pagare nessuno».

«Mi accontento che mi diate da mangiare e mi insegniate a parlare e capire meglio il castigliano», insistette Thomas.

«In effetti mi servirebbe un aiuto per l’estate», disse lui, grattandosi la testa. «E va bene, ti darò da mangiare e converseremo».

«Perfetto».

«Non avevo mai visto nessuno così contento di fare il pastore. Non sai cosa ti aspetta, ragazzo».

Il pastore si chiamava Lorenzo, lo stesso nome del santo patrono della città di Huesca, diacono di Roma, che fu bruciato vivo. Lorenzo risultò essere molto loquace, tanto che Thomas faceva fatica a stargli dietro, ma allo stesso tempo gli era utile per migliorare nella comprensione della lingua. Lavorava da mattina a sera con le pecore e, dato che le ore di sole in estate erano così lunghe, le giornate sembravano non finire mai.

Dormivano nella stalla, nei pressi di un fiume. Si alzavano all’alba per portare il gregge a pascolare su un monte vicino. All’ora di pranzo, percorrevano un bel tratto per raggiungere un rifugio e lì passavano il pomeriggio a chiacchierare.

«Sapevi che prima i libri erano scritti su fogli di pergamena fatti con pelle di vitello?», gli chiese Thomas un giorno.

«Sì, l’ho sentito dire da mio nonno».

«Sembra da primitivi e da selvaggi, vero?»

«Non so, se pagano bene, il pastore sarebbe contento. Io ho sentito che c’è chi scrive sulla propria pelle».

«Davvero?», chiese Thomas, interessato.

«Non ricordo dove l’ho sentito, ma è così».

Thomas lasciò volare l’immaginazione, non aveva mai pensato di scrivere qualcosa sulla propria pelle. Gli parve strano e affascinante al contempo, tanto che continuò a pensarci anche mentre faceva pascolare le pecore.

In quel modo passarono l’intera estate e parte dell’autunno. Quelle pecore gli ricordavano un po’ Luna. Provò a raccontare a Lorenzo del lama americano, ma il pastore non gli credette e finirono per discutere. Lorenzo non era d’accordo con il commercio della lana, perché la inviavano alle Fiandre per farla lavorare dagli olandesi, che producevano tessuti carissimi poi riacquistati da nobili e borghesi spagnoli.

«Ma non sarebbe meglio fare tutto qui?»

«Forse qui non avete artigiani in grado di lavorare altrettanto bene quei tessuti», osservò Thomas.

«Sciocchezze, è solo una questione politica. Evidentemente all’imperatore o a chi comanda conviene che sia così per i loro affari nelle Fiandre, mentre noi, qui, a testa bassa a sgobbare. Per quanto possiamo lavorare, noi poveri resteremo sempre tali».

«Dicono che il mondo stia cambiando, Lorenzo».

«Chi lo dice?»

«La gente, i libri».

«No, non ci credo». Il pastore era piuttosto acido e testardo. «Thomas, non prendertela a male, ma vali poco come pastore».

«Perché dici così? Ho fatto qualcosa di male?»

«No, al contrario, hai buone intenzioni e sei un gran lavoratore, onesto e pieno di iniziativa, ma… siamo seri. Tu hai altre cose per la testa, vero?»

«Ho cercato di fare del mio meglio».

«Non ne dubito, ma te ne dovresti andare, cercare il tuo destino da un’altra parte», disse, indicando davanti a sé col bastone. «Ascolta, seguendo il fiume arriverai in una città molto popolosa. Lì, un giovane forte come te troverà di certo il modo per guadagnarsi da vivere, un mestiere che sia più adatto alle tue capacità».

«Perdonami se insisto, ma preferirei restare qui».

«Fare il pastore è difficile, non è da tutti», e sputò. «Si vede che tu appartieni alla città, a una grande città. Non servi alla campagna».

«Come fai a saperlo?»

«Come so quale pecora è malata». Fece una pausa. «Gli anni, sono loro a insegnarci tutto, e se uno non impara è solo perché non vuole, chiaro e semplice. Mi sei stato utile in questo periodo ma è meglio finirla qui. Inoltre, parli già molto meglio rispetto a quando sei arrivato. Eri un disastro!».

«Ma sta per arrivare l’inverno, fammi restare con te almeno fino alla fine della stagione fredda».

«Non lo so», e si fermò un attimo a riflettere. «D’accordo, ma te ne andrai con l’arrivo della Settimana Santa».

«Ti ringrazio, Lorenzo, per questo e per tutto quello che hai fatto per me».

Il pastore gli diede qualcosa da bere insieme un pezzo di pane e formaggio, cosa che Thomas apprezzò molto.

L’inverno fu davvero duro, tanto che alcuni giorni Thomas arrivò a rimpiangere di essere rimasto. Lorenzo aveva ragione, lui non era fatto per la dura vita da pastore. Gli piacevano le pecore e i cani, ma non andava d’accordo con l’asino. Più di una volta l’animale aveva cercato di rubargli il cibo e in un’occasione era arrivato a mordergli un braccio per una mela.

Thomas sentiva la mancanza di Anversa, del porto, della tipografia e soprattutto dei libri. Era talmente tanto tempo che non ne teneva uno tra le mani che cominciava a disperare. Durante la notte, cercava di ricordare frasi e storie tratte dai libri che aveva letto, così riusciva ad allontanare il ricordo di Edith. Gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, all’epoca in cui i libri non esistevano.

E alla fine arrivò la primavera. Una mattina, pastore e aiutante si salutarono con una stretta di mano. Thomas guardò il gregge per l’ultima volta e capì che, in fondo in fondo, anche lui ne aveva fatto parte, era stato una pecora in più di cui Lorenzo si era preso cura.

Con una certa tristezza, riprese il suo viaggio. Costeggiò il fiume e trovò delle rovine che sembravano appartenere a un eremo. Decise di passarvi la notte e fu proprio tra quelle rovine che gli tornò in mente Úrsula.

Dopo tanto tempo, si chiese cosa ne fosse stato di lei, se vivesse ancora ad Augusta.

Di certo aveva avuto dei figli.

E, immaginandola, la ricordò più bella che mai, con i suoi capelli rossi come il sole all’alba e gli occhi azzurri come il cielo più terso. L’amore di Úrsula per lui, quello sì che era stato autentico, si era sacrificata per salvargli la vita. Pensò di scriverle una lettera, proprio come Abelardo a Eloisa, ma era passato troppo tempo, doveva essersi dimenticata di lui.

Prese la medaglietta di sua madre, l’unico ricordo della sua famiglia, un autentico tesoro, tutto ciò che aveva.

Un’aria frizzante e una fitta nebbia segnarono l’inizio di un nuovo giorno. Mentre camminava, Thomas ascoltava il rumore dell’acqua che saltellava sulle pietre, i richiami degli uccelli e i versi di animali lungo la riva del fiume.

Non incontrò nessuno, la nebbia cominciò ad alzarsi e il cielo azzurro ad apparire. Seguì il sentiero parallelo al fiume. Percorse un buon tratto fino a fermarsi nelle vicinanze di un querceto, dove scorse una locanda.

Era affamato, lo stomaco gli brontolava. Aveva solo le monete che gli erano state date da Gorka tempo addietro. Sperò che fosse uno di quei posti dove nessuno faceva domande e tutti passavano inosservati. Dentro era più grande di quanto sembrasse da fuori, c’era parecchia gente e, cosa strana, molto silenzio. Forse perché erano tutti impegnati a mangiare.

Gli servirono una zuppa con della carne rancida e un vino annacquato in grado solo di scaldare lo stomaco. Non aveva alcuna intenzione di parlare con qualcuno o richiamarne l’attenzione, ma…

«Siete un commerciante?», gli chiese un uomo con i capelli scuri e grosse orecchie a sventola che si fermò all’altezza del suo tavolo.

«No, solo un viandante».

«Io sono un mercante di stoffe, vi dispiace se mi siedo accanto a voi? È noioso cavalcare da solo tutto il giorno e qui parlano poco. Almeno con voi potrò scambiare due parole».

«Anch’io parlo poco, sono molto stanco».

«Ditemi, dove siete diretto?», insistette l’altro.

«A sud».

«Il sud è molto grande».

«E voi fate troppe domande», lo ammonì Thomas.

In quel momento si aprì la porta ed entrò un gruppo di uomini armati. Ordinarono del vino e presero posto a un paio di tavoli, che vennero subito liberati da chi li occupava.

L’atmosfera si fece tesa. I nuovi clienti afferravano ingordi i boccali di vino e parlavano a voce alta, mentre il resto dei presenti sussurrava, evitando di guardarli.

«È bene non richiamare la loro attenzione», sussurrò il mercante di stoffe, «non si sa mai da dove possano sbucare».

«Chi sono?», chiese Thomas a bassa voce.

«Sembrano un gruppo armato dell’Inquisizione, vanno a caccia di eretici. Che dire, se Dio è ovunque, lo saranno anche i loro nemici, non credete?»

«Forse avete ragione. La follia è all’origine delle imprese degli dèi», affermò Thomas, senza pensare a quello che stava dicendo.

«Come avete detto?», e il mercante lo guardò, sorpreso.

«Niente», rispose, rendendosi conto dello sbaglio. «È una cosa che ho letto».

«Avete letto? Dunque, voi sapete leggere?»

«Sì, perché?». Thomas non sapeva se avesse fatto bene a dirglielo.

«Sapete chi è l’autore della frase che avete appena pronunciato?»

«Non me lo ricordo», mentì.

«Dovete stare più attento e imparare a mentire meglio, ragazzo. Ditemi di chi è la frase e non dirò niente alle guardie».

«Dire cosa?»

«Forza, chi è l’autore della frase? Non vi darò un’altra opportunità e quei soldati non aspettano altro che acciuffare uno straniero, che all’apparenza sembra un eretico, e sfogarsi su di lui».

«È di Erasmo, Erasmo da Rotterdam», rispose Thomas, timoroso.

L’uomo assunse un’espressione sconvolta, guardò gli uomini armati in fondo alla taverna e afferrò il braccio del ragazzo.

«Chi sei e da dove vieni?», gli si rivolse con tono e forma differenti. «Non mi inganni, non è da tutti leggere Erasmo».

Il cuore di Thomas cominciò a battere forte.

«Vengo dalle Fiandre, ma non capisco perché tanta agitazione per una frase».

«Sembra che tu non sappia che le idee di Erasmo non sono benvolute in Spagna. L’Inquisizione non le vede di buon occhio, e se lo dico alle guardie, ti porteranno subito di fronte al tribunale del Sant’Uffizio e ti tortureranno fino a farti dire ciò che vogliono. Ti assicuro che proverai talmente tanto dolore da arrivare a confessare qualsiasi peccato, per terribile che sia, pur di farli smettere».

«Che cosa volete da me? Io non ho fatto niente».

«Ho bisogno di aiuto», rispose il commerciante.

«Aiutarvi a fare cosa?»

«Una cosa molto semplice. Fuori ci sono due uomini con un grosso cane bianco», sussurrò. «Devi avvicinarti a loro e dargli questo, lo stanno aspettando».

Thomas vide che l’uomo gli stava porgendo un pacchetto sotto il tavolo, allungò la mano e lo prese.

«Cos’è? Sembra un libro?»

«Sì, infatti, se ti interessa tanto saperlo. È un libro sulla negromanzia, sulle arti pagane, e se non lo consegni dirò che è tuo, visto che è già nelle tue mani. Forza, esci e dallo a quei due. Io non posso farlo perché mi conoscono, ho bisogno di un forestiero», continuò. «O preferisci che parli con le guardie?»

«D’accordo, ma non lo farò a titolo gratuito, dovrete pagarmi».

«Vedo che sei un tipo sveglio, prendi», e gli passò una moneta da sotto il tavolo.

«Non basta, ne voglio un’altra».

«Mi costi caro…», borbottò, ma gliene diede una seconda.

Soddisfatto, Thomas si alzò senza dire una parola e si incamminò verso la porta. Doveva passare accanto alle guardie, che ridevano a crepapelle e si riempivano lo stomaco di vino annacquato. Non gli tremavano le gambe, uscì fuori con disinvoltura e senza richiamare l’attenzione, localizzò la coppia di uomini con il cane, si assicurò che fossero da soli e andò verso di loro.

I due notarono la sua presenza e lo guardarono con diffidenza. Persino il cane lo stava osservando, pronto ad abbaiare in qualsiasi momento.

Arrivò davanti a loro, allungò la mano e consegnò il pacchetto.

«Posso andare?», chiese.

«Certo che sì. Forza, allontanati!», disse il più giovane dei due.

Thomas si allontanò con cautela, sperava che nessuno lo avesse visto partecipare a quello scambio clandestino. Sapeva che la negromanzia era malvista dalla Chiesa, secondo la quale fomentava le superstizioni pagane, ma la sua inquietudine ebbe breve vita. Con quello che aveva guadagnato avrebbe potuto dormire al caldo e mangiare un piatto di carne nella prossima locanda che avrebbe incontrato sul suo cammino. Forse la fortuna stava cominciando a sorridergli.

A metà maggio dell’anno 1522, Thomas raggiunse una città fortificata dall’aria molto imponente. Si chiamava Vitoria e, visti i baluardi, pareva essere una città ben difesa. Una volta entrato, Thomas chiese informazioni sulle tipografie locali, ma gli venne detto che non ce n’erano, così si fermò per la notte e ripartì subito, diretto verso sud. Incrociò un gruppo di uomini armati, un vero e proprio esercito, cosa che lo portò a essere ancora più prudente. Cercò un tetto sotto il quale poter dormire e si fermò per un paio di settimane in un paesino, dove diede una mano a un bracciante del posto in cambio di cibo. Riprese il viaggio facendo attenzione a non incrociare altri soldati.

La città successiva fu Pamplona, anch’essa fortificata e più grande rispetto alle precedenti. Gli ricordava le città che aveva visitato durante il viaggio con Massimiliano da Milano alle Fiandre, attraverso una zona militarizzata e ben fortificata.

A Pamplona ebbe più fortuna, perché gli dissero che lì c’era una tipografia. Si trovava nel quartiere alto, e faticò a localizzarla in quanto non occupava i primi piani di un edificio, ma era all’interno di un cortile recintato annesso a una chiesa.

Vi si accedeva attraverso una doppia porta piuttosto malandata, così come l’interno della stamperia, ma l’inconfondibile odore d’inchiostro e carta gli strappò subito un sorriso.

«Tu che vuoi?», gli chiese un uomo di bassa statura e i capelli ricci, che si stava pulendo le mani sporche d’inchiostro con uno straccio.

«Salve, buonasera. Mi chiamo Thomas e cerco lavoro. Sono un tipografo con molta esperienza, ho lavorato quasi due anni in una tipografia».

«Per me potrebbero essere anche quindici. Non vedi com’è ridotto questo posto?»

«Be’», e osservò le pile di libri sul pavimento, le casse ammuffite e l’attrezzatura sparsa a terra, «per l’appunto, avete bisogno d’aiuto».

«E anche di un miracolo. Sentiamo, dove hai lavorato?»

«All’estero, come vi ho già detto».

«Ho capito che non sei di qui, ma non mi basta. Come faccio a sapere che non mi stai mentendo?», recriminò il tipografo navarro.

«Sono stato apprendista nella tipografia Thys», finì per confessare.

«E dove si trova? Non la conosco».

«È la più importante di Anversa».

«Come? Nelle Fiandre! Tu sei matto, e pretendi che io ti dia lavoro? Sarebbe la mia rovina. La Santa Inquisizione verrebbe di corsa a controllare i miei libri e a interrogarmi. Vattene subito via da qui!».

«Ma io non sono un eretico».

«Silenzio, ci mancherebbe altro. Non ripetere più quella parola, neanche nei tuoi sogni più profondi. Nessuno ti darà lavoro con i tuoi precedenti. Il Sant’Uffizio diffida di tutti i libri provenienti dall’altro lato dei Pirenei, così come degli scrittori, dei tipografi e delle corporazioni, ancor più se provengono dalle Fiandre».

«Non ci posso credere, dunque non avete mai letto i testi di Erasmo!».

«Tu mi vuoi rovinare… certo che sì, imbecille! Incauto!». L’uomo sbuffò. «Ti aiuto solo perché mi fai pena. Scordati di lavorare come tipografo, ma ci sono delle persone che si occupano di contrabbandare libri venuti dall’estero».

«Vi ascolto», e Thomas gli prestò attenzione.

«Questo consiglio non è gratis. Mi puoi pagare?»

«Ho questa», e tirò fuori una delle monete che gli restavano.

«Meglio che niente. Ti dirò solo quello che so. Superano i Pirenei attraverso il cammino di Santiago e sono costretti a passare per Logroño. Io, fossi in te, andrei lì e mi proporrei a loro».

«E poi?»

«Magari avranno un lavoro per te, non posso dirti altro. Anzi, cerca di non dire a nessuno che vieni dalle Fiandre e che sei un tipografo».

«Lo terrò a mente, grazie».

Lasciò la tipografia e Pamplona, diretto verso la sua nuova meta, mentre l’uomo lo guardava, sospirando insofferente.

Viaggiando da solo, aveva molto tempo per pensare e la cosa non gli faceva bene. Se non fosse stato per Edith, avrebbe avuto una tranquilla vita ad Anversa, il lavoro in tipografia gli avrebbe garantito un ottimo futuro e avrebbe appreso cose nuove durante le riunioni al molo. Si sarebbe potuto incontrare con Massimiliano all’insaputa di Clementine o magari, con il tempo, sarebbe riuscito ad andare d’accordo con lei, in nome dell’amicizia che li legava. Avrebbe conosciuto un’altra donna, si sarebbe sposato e avrebbe avuto dei figli. Perché, invece, si era innamorato di Edith?

Logroño non era distante, e dopo varie tappe la raggiunse in una mattina di settembre. La città era presieduta da una grande chiesa ancora in costruzione, lì domandò dove si vendevano i libri e lo indirizzarono da un libraio che aveva il suo negozio vicino al fiume Ebro. L’uomo era zoppo e aveva i capelli neri, ma una barba bianca come la neve.

«Signore, sapete se da queste parti passano dei mercanti di libri stranieri?»

«Qui passa molta gente, siamo sul cammino di Santiago», rispose il libraio.

«Questo lo so, ma voi avete una libreria e qualche pellegrino vi avrà sicuramente mostrato un libro che voleva vendere, non è così?»

«È possibile, ma io non compro alcun libro peccaminoso o immorale».

«Certamente! Ma, ditemi, sapete di qualche mercante che usa il cammino di Santiago per portarli fin qui?»

«Mi state facendo domande pericolose. Se vi sentisse la Santa Inquisizione…».

«Non cerco quei libri, ma solo le persone che li portano qui dall’estero».

«Ascoltate, io so solo che vengono venduti fuori città, nei pressi del fiume, dove a volte si fermano i viaggiatori. Non posso dirvi altro».

«Mi siete stato di grande aiuto, molte grazie», e se ne andò.

Seguendo le istruzioni del libraio, riuscì a trovare il posto. Era un ampio spazio e l’edificio sembrava di recente costruzione, con locali enormi e una zona alberata all’ingresso.

Decise di essere cauto e andò a mangiare qualcosa nella locanda. Entrando, attirò vari sguardi, ordinò un brasato e si accomodò a un tavolo in un angolo, da dove godeva di un’ampia visuale della stanza.

Assieme a Massimiliano aveva spesso frequentato locande grandi e popolari come quella, dove si sarebbero potute incontrare persone di ogni genere, nel bene e nel male. I commercianti facevano lunghi viaggi per trasportare le loro merci e avevano bisogno di posti dove poter riposare prima di continuare a fare affari.

Thomas cominciò a pensare a suo padre; lui sì che se ne intendeva di commercio e commercianti… Gli aveva detto che le isole delle Spezie si trovavano in capo al mondo e che lì era possibile trovare prodotti esotici che i commercianti portavano in nave fino in Cina, che era un regno immenso, con la muraglia più lunga del mondo a circondare l’intero territorio. Poi dovevano seguire una strada in mezzo a montagne talmente alte che dalle loro cime si poteva toccare il cielo con un dito, ma nessuno era mai riuscito a raggiungerle, perché a quell’altezza era impossibile respirare. Attraversare deserti talmente aridi da far impazzire qualsiasi uomo, rovine di imperi antichi che si erano persi nella nebbia dei tempi, custodite da trappole mortali e altri mille pericoli.

Nessuno dei presenti pareva avere libri con sé, perciò se ne andò deluso e cercò riparo in una radura nel bosco, vicino alla locanda.

Si addormentò pensando a Edith.

Tornò il giorno dopo, il successivo e per altri ventuno giorni. L’autunno portò con sé un clima più rigido del previsto e, con l’arrivo del freddo, sentì la mancanza di quel vecchio e corto cappotto che gli aveva dato Massimiliano e che lo aveva protetto fino a quando non aveva deciso di regalarlo ai figli di Clara, a Namur.

Di notte la solitudine andava a fargli visita e Thomas ricordava le storie greche, come quella di Penelope, che per vent’anni attese che il suo sposo, Ulisse, tornasse dalla guerra di Troia. Durante il viaggio di ritorno, Ulisse fu tentato dalla dea Calipso, più bella di Penelope, oltre che immortale. Ulisse cedette alla divinità seduttrice, ma decise che era meglio morire in mare cercando di tornare dalla sua Penelope che restare ancora più a lungo lontano dall’amata.

Thomas notò che i viaggiatori non si trattenevano mai più di una notte nella locanda alle porte di Logroño; molti si fermavano solo per riempire lo stomaco e per far riposare i cavalli per qualche ora prima di rimettersi in viaggio. Osservando quel viavai di uomini e mercanzie, Thomas si rese conto di quanto fosse importante il commercio per le città e i regni, di quante ricchezze e opportunità offrisse. Ma la chiave del successo non stava tanto nel possedere ricchezze, miniere o buoni raccolti, quanto nel saper fare affari con essi.

Era già novembre quando, una mattina, dopo che Thomas si era seduto a mangiare una zuppa con dei crostini di pane, nella locanda entrarono due guardie armate, che iniziarono a osservare con attenzione tutti i presenti. Pur non avendo nulla da nascondere, Thomas si innervosì; temeva che lo prendessero di mira solo perché era uno straniero.

I soldati chiesero informazioni a ogni commerciante sulla loro attività. Uno di loro commerciava vino di quelle zone; un altro, un uomo di mezz’età, lana di Burgos. La loro attenzione venne poi richiamata da una coppia. I due uomini erano molto alti e avevano le teste grandi e dalla forma squadrata. Parlavano poco il castigliano e faticarono a comunicare con le guardie, che terminarono il loro interrogatorio con un commerciante di calzature, il quale offrì loro della mercanzia a prezzo scontato.

Quando finalmente li lasciarono in pace, i soldati ordinarono cibo e vino in abbondanza, con modi poco eleganti e parlando sempre a voce alta. Thomas pensò che fosse meglio andarsene prima di rischiare di trovarsi invischiato in qualche spiacevole situazione.

Tornò a dormire nel suo nascondiglio, come faceva ogni giorno. All’alba ne approfittava per dare uno sguardo ai carri dei mercanti che lavoravano di notte, sperando che ce ne fosse qualcuno in grado di attirare la sua attenzione, magari perché trasportava libri, manoscritti o pubblicazioni di qualsiasi genere.

Quella mattina si diresse verso il fienile e, per sua sorpresa, vide un uomo armeggiare accanto a un carro nei pressi dell’abbeveratoio. Ne fu incuriosito e si avvicinò con cautela. Non c’era ancora abbastanza luce, ma riuscì a riconoscerlo. Era il tizio che aveva detto di commerciare lana di Burgos, ma nel carro trasportava dei barili, e la cosa non aveva molto senso.

Decise di avvicinarsi di più. Il mercante stava riordinando il contenuto dei barili, estraendo e rimettendo dentro degli oggetti che sembravano essere dei… libri!

Thomas si avvicinò il più possibile per essere certo di aver visto bene. Effettivamente, quei barili contenevano proprio dei libri.

Non voleva essere scoperto, così rimase immobile. Rimase a guardare fino a quando l’uomo tornò a nascondere il carico sotto una coperta e lo legò ben stretto con diverse corde. Dopodiché, montò sul carro e partì, lasciando la locanda nel cuore della notte.