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Le piogge

 

 

 

 

 

 

 

 

Usciti dal palazzo di Colombo, il cielo di Siviglia era stranamente nero e cominciò a piovere.

«Come ti è sembrata, Thomas, la biblioteca del Nuovo Mondo?»

«Davvero impressionante. È stato fantastico rivedere delle pubblicazioni in ottimo stato di conservazione, così ben tenute, e inoltre molte sono state stampate con la carta bianca delle Fiandre, la più moderna che c’è. Sembra che don Fernando esiga la qualità migliore per le sue edizioni».

«Un momento, che cosa vuoi dire?»

«Qui a Siviglia viene usato un tipo di carta quasi marrone; l’ho vista nelle tipografie a cui abbiamo fatto visita. Non è carta della migliore qualità, mentre nelle Fiandre ne viene usato un tipo davvero eccellente, completamente bianco», spiegò Thomas.

«Ma dai».

«La pasta usata per produrre la carta è ciò che costa di più nella fabbricazione di un libro. In Spagna devono avere dei problemi con la fornitura, per questo usano una pasta color ocra».

«Ottima osservazione». Alonso sospirò. «Temo che don Fernando sia un uomo complesso. Essere il figlio dello scopritore delle Indie presuppone una grande responsabilità e credo sia per questo che ha costruito quella biblioteca».

«Affinché il padre potesse essere orgoglioso di lui».

«Più che altro per uguagliarlo. Don Fernando non può scoprire un nuovo mondo, ma lo può possedere. La sua idea di creare una biblioteca universale, in fondo, è solo un altro modo di conquistare il mondo, non credi?»

«Questo è un punto di vista che non avevo mai preso in considerazione», rispose Thomas.

La pioggia non accennava a smettere e Alonso insistette ugualmente per raggiungere la cattedrale. Thomas si ritrovò, finalmente, di fronte alla Giralda, che da vicino appariva ancora più colossale e affascinante. Si chiese quanto fosse alta e, soprattutto, come fossero riusciti a costruire una tale meraviglia.

Immaginò le gru, le impalcature e l’altezza che avevano dovuto raggiungere; quegli operai dovevano essere stati di un’abilità e di un coraggio inauditi. La Giralda era lì, davanti ai suoi occhi, e avrebbe pagato qualsiasi cifra per raggiungere la parte più alta di quella torre e contemplare da lassù lo splendore di Siviglia.

Alonso, al contrario, non sembrava impressionato da tutta quella magnificenza ed era completamente concentrato sull’incarico affidatogli da Colombo. Passò accanto ai piedi della torre senza neppure alzare lo sguardo e si diresse verso i gradini della cattedrale. Fece domande alle poche persone presenti fino a imbattersi in un giovane dal naso enorme che gli diede le giuste indicazioni.

Raggiunsero la parte del fiume che costeggiava il muro fortificato prima del porto, dove c’erano i magazzini del pesce fresco e l’aria era praticamente irrespirabile. La pioggia cominciava a infangare tutto, e raggiunsero a fatica un edificio allungato, con il tetto spiovente, dove furono ricevuti da un uomo dai capelli ricci e la testa squadrata.

«Non è la giornata ideale per andarsene in giro», disse, vedendoli arrivare completamente bagnati.

«Credete che spioverà presto?»

«Non saprei cosa dirvi. Poco fa un tizio mi ha detto che il Consiglio ha chiuso le porte della città, per sicurezza».

«Dunque, la cosa è seria».

«Con la pioggia, ogni precauzione non è mai abbastanza. Ho visto con i miei occhi il fiume entrare nella cattedrale».

«Vergine santissima, chissà come pioveva!», esclamò Alonso. «Mi hanno detto che qui rifornite di carta le tipografie di Siviglia, è vero?»

«Ora la carta viene inviata al convento di San Francesco, al monastero di San Geronimo di Buenavista e al Collegio della vicina Osuna».

«E hanno tutti una loro tipografia?»

«No, si tratta del trasferimento per un tempo limitato di alcune tipografie e dei loro macchinari, ma sono proprietà di un maestro tipografo con il quale hanno firmato un accordo».

«E le tipografie come quella dei Cromberger?»

«Quelle vengono rifornite da altri», rispose l’uomo, gesticolando. «Dicono da Játiva».

«Vedo che c’è molta divisione all’interno della corporazione».

«Semplicemente non c’è una corporazione di artigiani del libro».

«Mi sembra strano», insistette Alonso.

«Ma è così. I Cromberger hanno molto potere. Sono come dei reali nel loro campo, e tutti gli altri tipografi sono praticamente dei sudditi», disse l’altro, stringendosi nelle spalle. «L’unica cosa sulla quale sono d’accordo con tutti gli altri è il fatto di spostare le tipografie in calle de los Genoveses nella zona di Santa María, chiamata così in onore dei genovesi che contribuirono alla conquista di Siviglia».

«Dove si trova? Ancora non conosciamo bene la città».

«Parte da un arco del convento di San Francesco fino a calle de los Alemanes. Corre parallela alla facciata del Patio de los Naranjos e fiancheggia la Puerta del Perdón».

«Diteci, qual è il tipo di lettura più diffuso a Siviglia?»

«Io mi occupo solo della carta…».

«Andiamo, sono certo che ne sappiate molto di più», disse Alonso, mettendogli in mano un paio di monete.

«I tempi cambiano e i lettori con loro, ma credo che al momento la cosa che si vende di più siano le pubblicazioni locali. È un modo per guadagnare senza dipendere da un incarico in particolare, e sono opere di piccola entità che parlano di fatti legati alla città, feste, ricevimenti e battaglie… Insomma, le cose che interessano alla gente».

«Quindi gli opuscoli d’informazione interessano più dei libri veri e propri?», chiese Alonso.

«Senza dubbio».

Lasciarono la zona della muraglia e corsero a ripararsi dalla pioggia e da un’eventuale inondazione all’interno della locanda. Si trovava in calle de las Harinas, una via che fortunatamente aveva una posizione abbastanza elevata.

Il Ronzino stava inchiodando delle assi di legno alle finestre del piano terra. Andarono a dormire col rumore incessante delle gocce di pioggia che cadevano sul tetto. Quando si svegliarono, la mattina dopo, l’acqua aveva raggiunto le porte di Triana e l’Arenal. Sebbene fossero state già chiuse, il presidente del consiglio comunale decise di inviare falegnami e operai specializzati a ogni porta e ingresso, procurando loro stoppe, legno e accette affinché non mancasse nulla, e furono inviati anche dei messi comunali per prestare aiuto e fornire tutto ciò di cui c’era necessità.

Da un altro cliente della locanda appresero che, in previsione delle carestie minacciate dal maltempo, era stato disposto che il grano del granaio comunale fosse tenuto a disposizione per i più poveri nello sventurato caso in cui ce ne fosse stato bisogno. Inoltre, era stato ordinato di mettere i materassi fuori dalle case, perché avrebbero aiutato a contenere l’acqua.

Alonso lamentava il fatto di non poter uscire dalla locanda, ma le strade si erano trasformate in veri e propri fiumiciattoli e le porte delle case e degli edifici erano state protette con le assi di legno.

Per quanto la situazione sembrasse sotto controllo, alle dieci di sera l’acqua superò le assi di legno poste a protezione della Puerta Nueva e le campane della Giralda, la torre della cattedrale, cominciarono a suonare.

«Forza, Thomas, rimbocchiamoci le maniche, che qua le cose si mettono male!».

Non furono i soli a uscire per cercare di dare una mano, ma Alonso capì subito che la situazione era davvero grave. Cercò il deputato responsabile di quella porta della città e gli consigliò di chiedere aiuto, perché la porta avrebbe ceduto da un momento all’altro. Senza pensarci troppo, Alonso si gettò in acqua e, non senza difficoltà, raggiunse il punto da cui l’acqua entrava con forza. Thomas riuscì ad allungargli un’altra asse di legno, che il mercante di libri posizionò su quella già esistente, ma non c’erano canali di scolo dai quale far defluire l’acqua, così richiamò l’attenzione di una ventina di uomini presenti. Questi presero la porta più grande che riuscirono a trovare e la spinsero con forza contro quella precedentemente posta a difesa e da dove entrava la piena dell’acqua, riuscendo a contenere gran parte del danno.

La notte fu molto lunga e cominciò a piovere con più intensità. Alonso temeva che la Puerta Nuova cedesse e il fiume inondasse le strade e le case di quel quartiere. Chiese a Thomas di stare a guardia, in quanto non si fidava dei membri del consiglio comunale.

Siviglia era assediata dall’acqua. Se quel diluvio non fosse cessato, la città sarebbe stata sommersa dal fiume. Thomas era abituato ai canali di Anversa, ma quel fiume era più difficile da domare e capì che le piene mettevano in serio pericolo la città, che non era preparata per un’emergenza simile. La sua unica difesa era la cinta muraria, che la proteggeva non solo dagli attacchi armati, ma anche dagli assalti del Guadalquivir.

Prima dell’alba, i sostegni cominciarono a cedere e Thomas uscì di corsa, gridando e avvisando tutti del pericolo imminente. La gente si svegliò impaurita e confusa, con l’acqua che entrava nelle case. I letti galleggiavano per le strade; chi sapeva nuotare faceva affidamento sulle proprie braccia, e chi no sull’aiuto di chi era in grado di tenersi a galla.

L’acqua saliva velocemente e con essa aumentavano le lacrime delle donne, dei bambini e degli anziani, le cui voci riuscivano a impietosire anche i cuori più duri.

All’improvviso, un giovane fu trascinato via dalla corrente, proprio di fronte a Thomas e Alonso.

«Aiutatemi, aiuto!», gridò.

Thomas reagì all’istante e cercò qualcosa da lanciargli a cui potesse aggrapparsi, ma trovò solo una panca. Pesava troppo e non riusciva a sollevarla, perciò Alonso gli diede una mano. Riuscirono ad avvicinarla al ragazzo, che la afferrò, mettendosi in salvo.

«Grazie», disse mentre tossiva, tirando fuori l’acqua che aveva ingoiato.

«Stai bene?». Alonso gli sollevò il mento per farlo respirare meglio.

«Sì, mi ha preso alla sprovvista».

«Tranquillo, è finita».

«No, la Puerta Nueva è vicina a quella della Macarena, e se da lì si traccia una linea fino alla Puerta del Arenal, praticamente si taglia la città in due».

«E quindi?»

«E quindi chi fugge dall’acqua entrata dall’Arenal si ritroverà di fronte a quella penetrata dalla Puerta Nueva e dai canali di scolo di Santa Lucía», spiegò il giovane, che stava ritrovando la calma.

«Quindi la situazione è più grave del previsto».

«Io devo andare. Grazie ancora, non dimenticherò mai che mi avete salvato la vita», e se ne andò.

Il vento continuò a soffiare e la pioggia non cessò di cadere. L’alba di quella domenica consegnò una Siviglia inondata per tre quarti, inclusa Plaza de San Francisco, una quindicina di parrocchie, una ventina di conventi di frati e undici di suore. Siviglia sembrava Venezia. Mancavano solo le barche con cui circolare per le strade inondate. Dalla Puerta de Jerez entrarono due imbarcazioni e una barca più piccola passò per la Puerta Real, mentre i buoi trainarono altri trenta natanti che poi si divisero tra le varie strade inondate.

Le autorità obbligarono tutti i panettieri, gli agricoltori e i mezzadri a riunirsi ogni giorno nelle piazze della città per vendere i loro prodotti a prezzo calmierato, affinché non scarseggiassero né pane né carne né altri alimenti. Il Consiglio supremo della Santa Chiesa andò per le strade, prestando soccorso a molte persone ed evitando loro di abbandonare le proprie case, perché non potevano nemmeno uscire a comprare il necessario per sopravvivere. Organizzarono anche degli incontri di preghiera, accompagnati dal suono delle campane, per pregare Dio affinché placasse la sua ira; e di sera andavano in processione. Si pregavano le sante Giusta e Rufina, che circa vent’anni prima avevano compiuto il miracolo, salvando la Giralda durante un terremoto.

Non ci fu uomo tanto dedito ai suoi vizi da non rendersi conto delle proprie debolezze, né peccatore tanto impenitente da smettere di dolersi per le sue colpe. Coloro che non erano soliti prendere parte alla messa andarono di corsa a confessarsi, furono celebrate funzioni in ogni chiesa e si predicavano penitenza e pentimento di fronte a un Dio offeso.

Le religiose di santa Clara furono trasferite al convento di Santa Inés, mentre quelle appartenenti all’Ordine del Carmen furono trasferite nel convento dei frati dello stesso ordine, dove rimasero in clausura nel coro alto, con modestia e decoro, o almeno così si diceva.

I vicini abitanti del quartiere di Triana, accerchiati dall’acqua del Guadalquivir così come da quella che scendeva dalla costa di Castelleja e dai ruscelli che si gettavano nel fiume, si rifugiarono nella chiesa di Sant’Anna per evitare di annegare. Il livello dell’acqua era talmente alto che la paura della morte fornì a tutti le ali per scappare senza incorrere in penosi inconvenienti. Alcuni salirono sulla torre del campanile, altri sopra i tetti, altri ancora si calarono dalle finestre fin dentro le barche, mentre le donne continuavano a gettarsi sulle imbarcazioni con molta meno decenza di quanto sarebbe stato opportuno.

Le ore si fecero eterne, fino a quando, il lunedì, portarono in processione la santa reliquia del Lignum Crucis, e finalmente il vento furioso cessò e il cielo si rasserenò.

Alonso ebbe da ridire sul fatto che, dopo tutto quello che era accaduto, il popolo avrebbe anche dovuto ringraziare il Signore per aver messo fine a quel diluvio. In fondo, se ne era stato Lui l’artefice, era ovvio che fosse Lui anche a mettervi fine.