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Lo schiaccianoci

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo settimane passate a esplorare Siviglia, Thomas era giunto alla conclusione che la città era quasi rotonda. Le viuzze erano strette e coperte da tendoni per evitare che il sole arrostisse i suoi abitanti, soprattutto in quelle giornate d’estate in cui il caldo era davvero asfissiante. Le piazze erano i luoghi di ritrovo frequentati da tutti i cittadini di Siviglia e dove si vendeva qualsiasi mercanzia.

Ciò che più piaceva a Thomas, persino d’inverno, erano i colori. Augusta la ricordava soprattutto nelle tonalità del verde, con tanta vegetazione, mentre Anversa era grigia, per la pioggia, e azzurra, per i canali e il porto. Siviglia invece era fatta di rossi, gialli, arancioni e ocra, forse per il sole o per il colore dorato della Giralda. Aveva un cuore che palpitava, e il suo battito si udiva ovunque.

Si diresse verso la piazza più importante, che era quella de San Francisco, piena di porticati, con una fontana all’estremità e circondata da edifici storici: il municipio, il convento di San Francesco e il Carcere reale, di cui serbava un infausto ricordo.

Aveva paura a passare per Triana, perché sapeva di essere una facile preda e che avrebbero potuto derubarlo di nuovo. Ciononostante, non poteva attendere oltre, perciò comprò una piccola daga nei pressi della piazza, per difendersi in caso di necessità, e partì alla volta del malfamato quartiere.

Attraversò il ponte fatto di imbarcazioni e trovò Triana in pieno fermento, come di consueto. Il rumore degli artigiani, soprattutto produttori di maioliche, si mescolava con il trambusto dei pescatori, dando vita a un ambiente pittoresco. Solo il profilo scuro del castello dell’Inquisizione gettava nella penombra il quartiere sivigliano.

Si incamminò verso la taverna, dove trovò la Santa di buonumore.

«E io che pensavo che sarebbe stata una giornata tranquilla», disse non appena lo vide arrivare.

«Che bella che sei oggi. Questo sole ti fa bene».

«Starei ancora meglio se quei due farabutti che se ne sono andati stanotte mi avessero pagato quello che mi dovevano».

«Il problema è che sei troppo buona. Un giorno o l’altro ti dedicheranno una cappella nella chiesa di Sant’Anna». Thomas era molto più a suo agio rispetto alla prima volta che era andato a trovarla.

Era cambiato molto da quando era arrivato a Siviglia. Era giunto in città sovrastato dall’ombra dell’esperienza e dell’ingegno di Alonso, e dopo il suo omicidio aveva cominciato a sciogliersi.

«Sì, per sotterrarmici», mormorò. «Che cosa ci fai da queste parti?»

«Vorrei farmi un goccetto».

«Ma se non bevi».

«Per te farei qualunque cosa», disse lui, cercando di fare il simpatico, perché sapeva che era il modo migliore per ingraziarsela.

«Vedi che se ti prendo in parola, poi ti metto in difficoltà. Spara, che non ho tempo da perdere», disse la Santa. «Che siete tutti in cerca di qualcosa».

«Sebas, sai dove si trova?»

«Eccone un altro, bel mascalzone che hai nominato…». Prese alcuni bicchieri e li sistemò in una credenza. «Fuori da qualche parte, vicino al porto dei muli. Lo troverai in compagnia di un tizio alto e allampanato, con una testa tutta schiacciata».

«E chi sarebbe costui?»

«Lo chiamano lo Schiaccianoci», rispose la Santa, sollevando il mento. «Io non aggiungo altro. Il resto te lo dirà il tuo amico».

«D’accordo, bellezza. Grazie!».

«Svergognato. Siete tutti degli svergognati, una manica di adulatori», borbottò lei con tono scontroso, anche se poi non poté evitare di arrossire un po’.

Thomas tornò al fiume e scese fino al molo, dove vide l’individuo alto e con la testa deforme che gli aveva descritto la Santa. Accanto a lui, Sebas sembrava un bamboccio. Vedendolo arrivare, il gigante si allarmò e strinse le mani a pugno, ma per fortuna Sebas lo riconobbe solo un attimo dopo.

«Tranquillo, è un mio amico», e gli fece cenno di calmarsi. «Thomas, che cosa ci fai a Triana?»

«Ti stavo cercando». Si strinsero la mano. «Devo chiederti una cosa».

«Ci mancherebbe. Aspettami qua, Schiaccianoci», disse al suo compagno prima di allontanarsi con Thomas. «Innanzitutto, mi dispiace, ma devo dirti che non ho scoperto niente su quel libro, se sei venuto per questo».

«No, non si tratta del libro». Thomas sospirò. «Ricordi quando hanno ucciso Alonso Rodríguez, l’uomo con cui sono venuto a Siviglia, giusto?»

«Sì, certo, è il motivo per cui ti hanno incarcerato».

«Potresti cercare di scoprire chi è stato? Dopo ti dovrei un favore».

«Già me ne devi parecchi, e oltretutto la storia del tuo amico non mi piace per nulla. Non mi voglio immischiare in certe cose».

«Sebas, se puoi aiutarmi, anche solo in piccola parte, te ne sarei infinitamente grato».

«L’unica cosa che posso fare è raccontarti quel poco che so, anche se già ti anticipo che non me ne andrò in giro a fare domande».

«D’accordo, Sebas», concesse Thomas.

«Il tuo amico Alonso è stato ucciso su commissione. Questo tipo di omicidio costa parecchio e potrebbe essere stato commesso da uno dei sicari dell’Arenal. Sono rapidi e non lasciano tracce. Se vuoi trovare l’assassino, le cose potrebbero complicarsi e finire male».

«E cosa mi consigli di fare?»

«L’assassino ha fatto solo il suo lavoro. Il sicario che gli ha tagliato la gola non è il vero colpevole. L’uomo che devi cercare è quello che l’ha pagato per farlo».

«Non saprei…».

«Perché non ti dimentichi di questa storia? Lascia perdere, amico mio».

«Quando ero piccolo, mio padre faceva il cuoco per una ricca famiglia di banchieri, i Fugger. Durante un banchetto, qualcuno avvelenò la carne. Accusarono mio padre e lo impiccarono».

«Si è mai scoperto chi fu il vero colpevole?»

«No, io dovetti fuggire. Ero solo un bambino. Allora non ebbi la possibilità di fare niente, per questo adesso vorrei che la morte di Alonso non restasse impunita».

«Posso capirti e mi dispiace per tuo padre. Come ti ho detto, però, cercare l’assassino può essere molto pericoloso… mentre scoprire chi ha ordinato l’omicidio è tutto un altro paio di maniche. Fammici pensare e ti farò sapere. Dammi un po’ di tempo, Tomasito», gli propose Sebas. «Ora ho altre gatte da pelare per le mani».

«Grazie tante, Sebas». Thomas si voltò a guardare lo Schiaccianoci. «Il tuo amico… non passa certo inosservato».

«È quello che voglio, che fuggano solo a vederlo. Lo Schiaccianoci, lo chiamano così da quando era bambino, perché a quattro anni riusciva già ad aprire le noci con le mani», e Sebas sorrise.

«Non sembra un tipo molto loquace…».

«Ciascuno deve sfruttare il dono che il Signore gli ha dato. Lui non è bravo con le parole, ma ha altre capacità».

«Posso immaginare. Non vorrei mai imbattermici in uno dei vicoli di Triana…», mormorò Thomas.

«Be’», e Sebas gli tese una mano, «ti cercherò non appena avrò scoperto qualcosa, Tomasito. Fidati di me».

Thomas attraversò di nuovo il ponte e tornò all’interno delle mura della città. La giornata stava finendo e ancora ne aveva di strada da fare prima di raggiungere il palazzo di Colombo. Quando arrivò a destinazione, era già calata la sera, ma in giardino c’era ancora del movimento. Víctor stava potando e sfrondando gli alberi e le altre piante.

«È un po’ tardi per mettersi a fare questo lavoro».

«Quest’albero è malato. Dobbiamo sbrigarci o lo perderemo».

«Dio non voglia».

«Questa è una specie rara», mormorò Víctor. «Dubito che sopravvivrà qua a Siviglia. Non ama né il sole né il caldo…».

«Ma ormai è arrivato l’inverno. Ora la temperatura è più mite».

«Certo, ma ormai il danno è già stato fatto. Non credo che si riprenderà».

«Ho una curiosità. Credi che alcune di queste nuove specie siano commestibili?»

«A me pare che questo frutto rosso e rotondo che chiamano pomodoro non abbia solamente una funzione ornamentale».

«L’hai assaggiato?»

«Ssst», e Víctor gli ordinò di tacere. «Per chi mi hai preso? Certo che sì». Sorrise. «Bisogna provare tutto nella vita».

«Ebbene?», domandò Thomas, curioso.

«Dovrai affondarci i denti tu stesso, perché non ho intenzione di dirtelo».

«Guarda che non ho mica paura. Io trovo che quest’orto sia incredibile».

«È vero, e pensare che siamo sopra un letamaio. Il signore ha eretto questa casa nel quartiere degli affumicatoi. Ci avevano accumulato talmente tanta spazzatura che la casa è stata costruita sopra quella catasta di sporcizia».

«Perché scelse proprio questo posto?»

«Non lo so di preciso, ma cosa vedi laggiù?»

«Il monastero della Cartuja».

«Esatto». Víctor si tolse il cappello a tesa corta e si grattò la nuca. «È dove sono sepolti suo padre e suo fratello».

«Pensi che sia per questo?»

«Io non penso niente, dico tanto per dire», puntualizzò il giardiniere, rimettendosi il cappello. «O magari voleva godere della vista sul Betis. È un bel fiume, ampio e navigabile, e con l’alta marea si creano tre o quattro anse che, viste da quest’altezza, sono davvero spettacolari».

«Ero già a Siviglia quando ci furono quelle inondazioni. Fu terribile…».

«Sì, a volte capita e il fiume straripa. Con la marea però è diverso, dicono che sia di buon auspicio».

«Davvero?»

«Non capita tutti i giorni che il mare venga a trovarti, no? Con l’alta marea l’acqua diventa leggermente salata, mentre quando si abbassa torna a essere dolcissima».

«All’inizio non capivo perché avessero scelto proprio Siviglia come porto di partenza per il Nuovo Mondo, ma adesso sto cominciando a farmi un’idea», mormorò Thomas.

«Guarda, là ho una rarità che hanno portato da uno degli ultimi viaggi. La pianterò domani».

Víctor si avvicinò a una cassa. Sembrava piena di pezzi di pane secco. Thomas li aveva già visti e non avevano catturato la sua attenzione. Tornò a osservarli, ma non era così convinto che da essi potesse germinare qualcosa di buono. Tuttavia, Víctor gli spiegò che dovevano sotterrarli in una piccola fossa e annaffiarli poco o niente. A Thomas sembrava abbastanza improbabile che quegli enormi semi potessero dare qualche frutto, ma obbedì comunque. Forse erano le patate di cui gli aveva parlato Massimiliano, tuberi in grado di mettere la parola fine alla fame dei poveri. Scavare il terreno era il compito più faticoso quando si lavorava negli orti, soprattutto con quel sole che picchiava sopra la testa. Il clima di Siviglia era la cosa a cui stava facendo più fatica ad abituarsi. Dopo le piogge e il freddo di Augusta e di Anversa, era finito in una città dove non faceva mai freddo, pioveva poco e in estate il gran caldo impediva addirittura di uscire per strada.