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Il molo
I primi di giugno del 1520, la lana smise di giungere al porto di Anversa. Si sparse subito la voce che nella Castiglia c’era stata una rivolta popolare contro l’imperatore Carlo v. Città come Toledo, Salamanca o Valladolid non accettavano più che i loro redditi venissero investiti oltre le frontiere del Regno di Castiglia. La ripercussione sul commercio della lana fu drammatica, e questo destò non poche preoccupazioni ad Anversa.
Thomas ignorava i problemi della lontana Castiglia, ma lo sorprendeva che ci fossero state delle rivolte contro l’imperatore all’interno dei suoi stessi domini. A ogni modo, lui era preso da tutt’altro. Quella stessa sera, una volta terminato il proprio lavoro, avvolse in un panno una copia del libro di Erasmo, prese due candele che Thys teneva in un armadio e portò tutto nel pagliaio. La coppia di aiutanti con cui dormiva non sarebbe stata un problema. Uno di loro se ne approfittava ogni notte per uscire di nascosto e andare a giocare in una taverna, mentre l’altro passava metà della nottata con una delle inservienti di Thys. La ragazza appariva taciturna e riservata davanti ai suoi padroni, ma di notte era tutt’altro, e a farne le spese era Thomas, che non riusciva mai a prendere sonno. Dunque, i due ragazzi avevano motivi più validi di lui per tacere.
Passò tutta la notte sveglio, preso da una lettura che per lui rappresentava una vera novità, in tutti i sensi. All’inizio rimase scandalizzato da quello che leggeva. Gli era stato insegnato che Dio era il centro e la ragione di ogni cosa, mentre nel testo di Erasmo, nonostante la figura di Dio non avesse perso il proprio ruolo dominante, era posta su un piano diverso e non appariva più come la risposta a ogni problema.
L’uomo era responsabile del proprio destino e la sua intelligenza era considerata un valore aggiunto. Quelle pagine ponevano l’accento sulla fama, intesa come una virtù, sullo sforzo, sul superamento e sulla conoscenza. Quel testo confidava totalmente nell’importanza della ragione e nella capacità dell’uomo di ottenere, attraverso il culto delle lettere classiche, la saggezza necessaria per la comprensione del mondo.
Davvero l’uomo era così importante? Era in grado di ottenere tanto grazie all’intelligenza? Questa e altre domande gli frullarono in testa per tutta la notte.
Dunque, la Bibbia non era l’unico libro con tutte le risposte, non tutto poteva essere spiegato attraverso la fede. Vi erano testi scritti dall’uomo che insegnavano ogni tipo di materia e Thomas voleva leggerli tutti.
Le letture sui miti greci che tanto amava avevano lasciato il posto a questioni legate alla fede, alla ragione e alle capacità dell’uomo.
Il giorno successivo gli parve interminabile, la carenza di sonno gli rese difficile lavorare, commise vari errori e fu ripreso dai due assistenti. Thomas era convinto che fossero fratelli; si muovevano e parlavano allo stesso modo, e andavano addirittura in bagno nello stesso momento. Carlos era quello che più li prendeva in giro e insisteva nel dire che uno era il doppione dell’altro.
A fine giornata, Thomas non vedeva l’ora di recuperare il sonno perduto. Aspettò che non ci fosse più nessuno nella tipografia per poter rimettere a posto il libro di Erasmo ma, proprio in quel momento, udì dei passi. A quell’ora non si sarebbe dovuto trattenere lì dentro, quindi si spaventò e pregò che si trattasse di Carlos, ma non fu così.
«Che ci fai qui? La giornata di lavoro è finita». Era la figlia di Thys.
«Stavo controllando alcune cose».
«Tu solo? Quali cose?», insistette.
«Io…». Thomas si innervosì; se l’avessero scoperto, l’avrebbero cacciato via.
«So che mio padre non lascia entrare nessuno quando il laboratorio è chiuso, né tantomeno te, che sei nuovo, quindi sarà meglio che tu mi dica la verità, e poi deciderò io se avvisare o meno i miei genitori».
«Non è come credi…».
«Dimmelo tu, com’è», affermò la ragazza.
«Ieri ho preso un libro, l’ho letto e ora lo stavo rimettendo a posto».
«Perché non lo hai chiesto a mio padre?»
«Non gli piace che i libri vengano usati, dice che il cliente lo nota», rispose Thomas con voce spaventata.
Se la figlia dei Thys era severa almeno la metà della madre, era spacciato.
«Capisco, quindi hai rovinato la merce».
«No! Sono stato molto attento, giuro», disse, quasi pregandola.
La ragazza scoppiò a ridere, una risata identica a quella che le era sfuggita quando Thomas aveva contraddetto sua madre.
«Non sarà mica che hai preso il libro che ti aveva proibito di leggere?»
«Non so di cosa parli».
«Sicuro? Mio padre dice che sei tedesco e che qui ti ha portato un napoletano, uno che si guadagnava da vivere abbindolando le persone con i suoi racconti sul Nuovo Mondo e ora vende fumo alla gente. Dice che ti ha lasciato qui perché voleva liberarsi di te».
«Può essere che abbia ragione», confermò Thomas.
«Dice anche che sei molto bravo nel tuo lavoro, che leggi tutti i libri che pubblichiamo», confessò la giovane, «e che potresti avere un ottimo futuro qui in tipografia».
«Non sapevo che pensasse questo di me. Il signor Thys è un grande uomo».
«Mio padre sa solo lavorare. Non è mai uscito da Anversa, non è mai stato neppure a Bruxelles o a Lovanio», sentenziò la ragazza con un certo disprezzo. «Io voglio viaggiare, non voglio restare qui, come lui».
«Viaggiare dove?»
«Non ha importanza».
«Io vorrei raggiungere le isole delle Spezie».
«Le isole delle Spezie? E dove sono?». Thomas aveva catturato la sua attenzione.
«È il luogo più lontano che esista, l’unico in cui crescono spezie come la noce moscata e il chiodo di garofano».
Mentre parlava, Thomas notò che alla giovane brillavano gli occhi, occhi verdi dalle lunghe ciglia. Erano grandi e di un verde intenso, simile a quello dei folti boschi delle Alpi che aveva visto viaggiando con Massimiliano. Fino a quel momento non si era mai soffermato a guardarla, e poi la madre la teneva sempre sotto controllo. La signora Thys era come un grosso muro di cinta a protezione della figlia.
Ora che aveva modo di osservarla meglio, vide che era più giovane di lui, con il viso rotondo, e gli piaceva la forma discreta del suo naso, che pareva abilmente scolpito. Aveva la pelle bianca e liscia e lo sguardo sereno. Era magra, al contrario della madre, con seni appena visibili e fianchi ben delineati. I suoi occhi erano due fari verdi come il mare, in grado di ipnotizzare nel bel mezzo della notte, proprio come le sirene delle quali aveva tanto letto nei libri di leggende greche.
«Edith!», gridarono dalla scala.
«È mia madre, corri, non farti vedere».
«Dove?»
«Passa per il laboratorio, sbrigati!».
«Grazie, Edith». Thomas restò a guardarla, era la prima volta che pronunciava il suo nome.
«Corri, Thomas!», lo esortò, guardandolo. I due si scambiarono un sorriso. «Se ti scopre, te ne pentirai. Il tuo affronto se lo è già legato al dito».
Quella notte Thomas si addormentò pensando alla figlia dei Thys. Sembrava completamente diversa dai suoi genitori, un padre noioso e prevedibile e una madre severa e antipatica…
E tornò a pensare a Enea, che era giunto a Cartagine dopo la guerra di Troia, e a come aveva conosciuto la regina Didone. Si addormentò subito anche a causa del sonno arretrato, e ci riuscì nonostante i gemiti dell’inserviente e del suo compagno, a pochi metri da lui.
Sognò la regina Didone, che aveva gli occhi color smeraldo di Edith e i capelli rossi di Úrsula.
Il giorno seguente non commise alcun errore e lavorò più di tutti, superando addirittura Carlos, abituato a primeggiare sempre.
«Attento, apprendista», gli disse Carlos alla fine della giornata.
«Ho solo svolto il mio lavoro», gli rispose Thomas, senza lasciarsi intimidire.
«Tranquillo», sorrise il giovane, «era ora che arrivasse qualcuno con una certa competenza. Non c’è niente di più noioso che vedere lavorare i nostri lenti colleghi».
«Carlos, volevo parlare con te del libro di Erasmo».
«Silenzio», e gli tappò la bocca. «Non conviene parlarne con tanta leggerezza. Girano delle voci».
«Di che tipo?», chiese Thomas con una certa sorpresa.
«Devi sempre considerare che non tutti accettano i cambiamenti. Lo capisci, vero?»
«Certo».
«Seguimi», e lo condusse alla porta da cui si accedeva alla parte posteriore del laboratorio.
Lì gli spiegò che c’erano gruppi di persone che si riunivano per parlare di quello e altri libri particolari, e gli chiese se voleva andarci con lui. Thomas accettò senza esitare.
Quella stessa sera andarono fino al molo, imboccarono un viottolo buio affollato di taverne, dove si sentiva un forte odore di pesce provenire da un magazzino.
«Sicuro che sia una buona idea?»
«Thomas, non stiamo mica uccidendo nessuno». Carlos avanzò fino a fermarsi di fronte al portone di una casa a tre piani e bussò due volte.
Non tardarono ad aprire, e dall’altro lato della porta apparve una donna. Entrambi si guardarono sconcertati.
«Che cosa volete voi due?», chiese la donna con voce rauca.
«Noi…». Carlos si mostrò per la prima volta esitante. «È qui che ci si riunisce per parlare di… ecco… delle nuove idee?»
«Imbecille! Ti sembro una che si confonde con quel tipo di gentaglia?»
«No, no», Carlos ritrattò immediatamente, «ci saremo sbagliati».
«Perché state cercando quegli eretici?»
«No, niente…», e non seppe come andare avanti.
«Mi state mentendo. Avviserò le autorità, di certo vorranno parlare con voi».
«Scusateci, signora, noi lavoriamo in una tipografia e volevamo constatare se durante queste riunioni usassero i libri da noi stampati», intervenne Thomas, davanti a uno stupito Carlos.
«Lavorate in un laboratorio di stampa, davvero?»
«Sì, è così», rispose intimorito Thomas.
«Non fate caso a lui, non sa cosa dice». Carlos lo fulminò con lo sguardo.
«Allora è vero, come siete messi male. E in quale?», chiese con tono minaccioso.
«Nessuno, il mio amico parla tanto per parlare».
«Ditemi il nome della tipografia o vi denuncio», lo disse in tono talmente minaccioso che tremarono le gambe a entrambi.
«La tipografia Thys», confessò Thomas.
Carlos gli pestò un piede con una forza tale da farlo quasi gridare per il dolore.
«Che hai fatto?», gli sussurrò. «Sei impazzito?»
«Interessante», la donna guardò Carlos, «e tu faresti meglio a smetterla di mentire. Venite alla riunione, potete entrare, sta per cominciare».
Thomas, che non ci capiva più nulla, guardò Carlos, il quale fece spallucce ed entrò per primo. Percorsero un lungo corridoio fino a una grossa porta, e l’anziana donna prese una chiave e la aprì. L’ambiente dall’altro lato era completamente diverso, c’erano soffitti policromati, pavimenti nuovi e nature morte appese alle pareti. Giunsero in un ampio salone nel quale una ventina di uomini vestiti di nero dialogavano in piccoli gruppi. La donna richiuse la porta alle spalle dei due ragazzi. Nessuno li guardò e nessuno dei due osò dire nulla. Raggiunsero un angolo della stanza cercando di passare inosservati, mentre pensavano a cosa avrebbero fatto.
«Signori», disse ad alta voce uno dei presenti, interrompendo tutte le altre conversazioni, «è giunto il momento. Sono terminati i tempi bui, quelli dei barbari. La luce è tornata a illuminare la cristianità che ha iniziato a brancolare nel buio dopo la caduta di Roma. Ma questa luce non deve accecarci, dobbiamo continuare a tenere le finestre aperte affinché essa possa raggiungere ogni angolo della nostra vita».
«Erasmo lo spiega chiaramente, dobbiamo avere fede nell’uomo. Dobbiamo lottare e sforzarci, combattere per raggiungere la fama e la gloria in questo mondo», intervenne un altro dei presenti. «Dobbiamo incitare tutti a realizzare grandi imprese e a emulare gli antenati greci e romani».
I presenti annuivano e commentavano a voce bassa, mentre Carlos e Thomas si guardavano dubbiosi.
«Avete ragione, l’uomo è importante, la sua intelligenza è un valore superiore ed è al servizio della fede che lo unisce al Creatore», aggiunse un altro.
«Dio non risolverà tutti i nostri problemi, non possiamo pregarlo ogni volta che ne abbiamo bisogno», disse un uomo con convinzione, applaudito dagli altri, «siamo noi, col nostro lavoro e le nostre capacità, che dobbiamo portare avanti le nostre vite».
Thomas stava assistendo a quello scambio di opinioni con gli occhi ben aperti. Non si era mai trovato in una situazione simile. Si ragionava e parlava di idee che altri non condividevano, senza un’autorità suprema che stabilisse cosa era giusto e cosa no. In quella stanza aleggiavano gli ideali della libertà, del potere supremo della ragione, della convinzione che l’uomo era capace di cose straordinarie e che doveva cercare sempre di metterle in pratica.
Quello fu il concetto dal quale fu più rapito, la capacità dell’uomo di compiere prodezze, di ottenere la fama, il successo. Non era stato educato con questi valori che portavano al superamento dei limiti e alla ricerca della grandezza. Al contrario, gli avevano insegnato che Dio premiava l’umiltà, la sottomissione, la rassegnazione e l’accettazione del posto assegnato a ciascuno alla nascita.
In quella stanza, invece, si asseriva l’esatto contrario: l’uomo doveva aspirare a ottenere grandi risultati, che sarebbero stati ben visti dal Creatore.
Dopo quel dibattito, i dialoghi cominciarono a cambiare e a porre l’accento sulla necessità di leggere direttamente le Sacre Scritture, cosa impensabile prima di allora.
«Questo non piacerà alla Chiesa», bisbigliò Carlos, «stanno parlando di tradurre la Bibbia nella lingua del popolo».
«E perché no? Se è la parola di Cristo, perché non possiamo leggerla nella lingua che parliamo?», ribatté Thomas.
«Perché possono leggerla solo i curati, è sempre stato così».
«Ma tu stesso hai detto che le cose stanno cambiando», replicò Thomas. «Cosa c’è di male nel leggere la Parola del Signore?»
«Non tutti sono in grado di leggere certe cose, può essere pericoloso».
«Ascoltate bene, signori, questo è ciò che ho appreso da Erasmo», li interruppe uno dei presenti.
A Thomas quella voce risultò molto familiare.
«Nessuno deve considerarsi inferiore per il fatto di essere nato umile. Sono i nostri meriti e l’uso che facciamo della ragione a definirci. L’unico obbligo di un uomo è quello di cercare di realizzare i propri sogni», continuò.
Tutta la sala scoppiò in un applauso e la persona che aveva pronunciato quelle parole fece un passo avanti. Thomas quasi non credeva ai propri occhi. L’uomo che tutti stavano ammirando era Massimiliano.
Il ragazzo decise di non dire nulla, per ora. Lui e Carlos se ne andarono in silenzio, ripensando a tutti quei concetti nuovi ed emozionanti.