55
Il mare del Sud
Parecchi anni prima, nel settembre del 1513, Vasco Núñez de Balboa e quasi duecento uomini erano partiti alla volta di una regione caraibica il cui cacicco era un alleato degli spagnoli. Da lì, dove a loro si unirono più di mille nativi, si addentrarono in una selva inaccessibile in cerca di un mare di cui avevano sentito parlare dagli indigeni e che, stando alle loro istruzioni, li avrebbe portati a terre piene di oro e ricchezze, ancora più a sud.
Thomas continuò a leggere. Gli uomini della spedizione di Núñez de Balboa incrociarono diverse tribù, che in alcuni casi li ricevettero in modo positivo, accogliendoli, dando loro da mangiare e offrendo a tutti un riparo nelle loro case, in altri con lance e frecce avvelenate. In quegli ultimi casi, se gli spagnoli avevano la meglio, in genere obbligavano il cacicco a convertirsi al cristianesimo e, in tal modo, a diventare loro alleato, ma se perdevano dovevano scappare il più in fretta possibile.
Riuscirono a raggiungere una cordigliera e gli indicarono che, una volta saliti, avrebbero visto il mare del Sud. Núñez de Balboa scalò la montagna per verificarlo di persona e gli si presentò alla vista una sconfinata distesa d’acqua azzurra, che non poteva essere altro che il mare che portava alle isole delle Spezie.
Ma in realtà non erano ancora vicini alla costa. L’avevano intravista solo da lontano. Dovevano ridiscendere la montagna e attraversare una gola profondissima. Núñez de Balboa inviò il suo capitano alla ricerca di un sentiero percorribile da seguire per uscire da quelle terre inospitali, e questi tornò due giorni dopo, a missione compiuta. Un gruppo di prescelti, capeggiato dall’esploratore spagnolo, arrivò allora sulla costa e prese possesso del nuovo mare in nome dei re di Castiglia. Sebbene vi si potesse accedere solo via terra e non via mare, come aveva pensato l’ammiraglio, Núñez de Balboa aveva realizzato il sogno di Cristoforo Colombo e aveva trovato un passaggio per l’Asia.
«Hai qualche novità?». Don Fernando apparve alle sue spalle.
«Temo di no. Mi sorprende che de Balboa sia stato il primo a scoprire il mare del Sud».
«A volte occorre prendere strade diverse, perché non si sa mai quale condurrà a un porto sicuro. L’alternativa proposta da Núñez de Balboa non era così insensata. Chissà, magari da qualche parte c’è un fiume navigabile che collega i due oceani… ma non è ancora stato trovato. Si erano incaponiti con l’idea di trovare un passaggio via mare e alla fine Magellano ci è riuscito, ma potrebbero essercene altri».
«Quindi hanno fatto svariati tentativi per trovarlo».
«Proprio come noi oggi stiamo penando tanto per trovare valide argomentazioni per risolvere il conflitto legato alle isole delle Spezie».
«Un momento, quindi non siamo gli unici che si stanno preparando in vista dell’incontro con il Portogallo?»
«Anche qua a Siviglia, alla Casa de Contratación, ci sono persone che stanno preparando questo incontro», rispose don Fernando. «Mai giocarsi una carta sola. E ci stanno lavorando anche in altre città dell’impero».
«E secondo voi è giusto?»
«Certo, io farei la stessa cosa. E non è finita qui». Fernando Colombo abbassò la voce. «Vieni».
Fece cenno anche a Santiago di seguirlo e uscirono insieme dalla biblioteca per raggiungere il suo studio. Quel posto lo metteva sempre in soggezione; l’arredamento e i dettagli incutevano un profondo rispetto. Sapeva che lì c’erano oggetti appartenuti all’ammiraglio e alcuni dei suoi preziosi libri. Quello che lo colpiva di più, però, era il globo terracqueo. Quel mappamondo era bellissimo. Si fermò davanti a un quadro che raffigurava la città di Siviglia, appeso sopra una mensola con una cesta piena di arance.
«Accomodatevi», indicò a entrambi don Fernando. «Come vi stavo dicendo, si stanno disputando varie partite allo stesso tempo e ci sono carte di tutti i tipi».
«E noi abbiamo la carta vincente», dichiarò Santiago mentre prendeva posto a sedere.
«Speriamo, ma dobbiamo ancora trovarla. L’importante è che vinca la Corona. L’imperatore è ansioso di acquisire le isole delle Spezie prima del Portogallo, tanto che…».
«Tanto che?». Santiago si sporse sopra la scrivania.
«A un anno dalla partenza della spedizione di Magellano ed Elcano, ne inviò un’altra con la stessa missione all’insaputa del Portogallo».
«Senza avere notizie della sorte della spedizione di Magellano». L’ex soldato sorrise. «È così che deve agire un buon comandante, facendosi sempre trovare un passo avanti».
«Era una spedizione formata da tre galeoni e un brigantino. Partì da Siviglia con l’istruzione di arrivare a Panama, proseguire per mille leghe verso ovest e poi scendere verso sud di altre duecento leghe per raggiungere le isole delle Spezie».
«Immagino che non ci sia riuscita».
«La spedizione arrivò all’isola Hispaniola, proseguì verso Darién e da lì le navi furono trasportate via terra fino al mare del Sud».
«Proprio come indicato da Núñez de Balboa», confermò Thomas.
«Sì, e la flotta fu completata con altre quattro navi costruite in loco. Salparono alla volta delle isole delle Spezie all’inizio del 1521. Nessuno sa cosa ne sia stato di quella spedizione».
«Morirono tutti?». Santiago fece una smorfia.
«C’è da sospettarlo, sì».
«Santo cielo!», e si fece il segno della croce.
«Due mesi dopo il ritorno di Elcano, la Corona firmò un accordo con gli armatori, affinché costruissero una nuova flotta in grado di partire per le isole delle Spezie l’anno successivo. In cambio, i reali si impegnarono a fondare una Casa de Contratación a La Coruña per il commercio con le isole».
«A La Coruña e non a Siviglia!».
«Quella flotta è pronta, Thomas», confermò Fernando Colombo.
«Allora perché tanto interesse per questo incontro con il Portogallo?»
«L’imperatore sta giocando con le carte truccate. In un modo o nell’altro, quelle isole saranno della Spagna. Abbiamo l’asso vincente in mano, e adesso dobbiamo partire per Badajoz. Avete qualche argomentazione da portare all’attenzione dell’imperatore?».
Thomas fece un respiro profondo. «Sì».
«Ne sei sicuro? Bene, sentiamo».
«Il trattato di Tordesillas ha stabilito una linea di confine, dividendo il mondo in due zone, divise tra l’impero spagnolo e quello portoghese».
«Sì, è così», confermò don Fernando. «A trecentosettanta leghe dalle isole di Capo Verde, dal lato ovest. Fino a lì il mondo appartiene alla Spagna, mentre il resto a partire da quella linea è del Portogallo».
«È proprio di questo che vorrei parlarvi. Quando si spartirono il mondo con il trattato di Tordesillas, il Portogallo e la Castiglia non disegnarono una linea di confine seguendo il corso di un fiume o una catena montuosa, ma proposero di affidarsi a una linea immaginaria tracciata nell’ignoto, senza sapere se avrebbe attraversato mare o terra».
«Esatto. Ricorda che, dopo il primo viaggio di mio padre, neanche si sospettava dell’esistenza di un nuovo continente».
«Sì, ma questa linea poteva tranquillamente attraversare delle isole, dividere a metà interi territori… Inoltre, il Portogallo e il regno di Castiglia si sono spartiti tutto il mondo, ma il resto dei regni cristiani? Nessuno ha avuto niente da ridire?»
«Chi? L’Inghilterra era alle prese con la guerra civile e le risorse da investire nelle spedizioni marittime erano molto limitate. La Francia era appena uscita da un conflitto e non sarebbe mai riuscita a salpare verso ponente».
«E Venezia?», chiese Thomas con enfasi. «All’epoca era un potenza marittima di grande rilievo».
«Sì, ma era ed è ancora già abbastanza impegnata a bloccare l’avanzata turca».
«Quindi solo il Portogallo e la Castiglia hanno le mani libere per conquistare il mondo».
«E non solo». Don Fernando alzò una mano. «Il Portogallo ha un indiscutibile vantaggio. Non si limita a costruire imbarcazioni, rapide, maneggevoli e leggere, ma vanta anche i cartografi più prestigiosi, oltre a cosmografi, astrologi e matematici di tutto rispetto. Mio padre propose prima al loro re l’impresa delle Indie e andò a parlare con la regina di Castiglia solo quando venne respinto».
«È difficile credere a tale rifiuto… Comunque sia, e il papa? Lui non aveva voce in capitolo?»
«Naturalmente», e don Fernando alzò la voce, «sempre che si trattasse di terre di pagani, idolatri e infedeli da concedere in sovranità assoluta a un principe cristiano, a patto che evangelizzasse tutti gli abitanti del posto».
«Ma ho letto Tommaso d’Aquino, il quale non accettava quella pretesa pontificia. Secondo lui, il papa aveva solamente una sovranità spirituale sui pagani e non poteva disporre dei loro territori».
«Ci fu chi si mostrò reticente all’idea, ma la verità è che il papa poteva fare da arbitro e, di fatto, durante il secolo scorso i portoghesi chiesero alla Santa Sede il riconoscimento dei loro privilegi in Africa e ottennero numerose bolle papali».
«È per questo che Isabella di Castiglia e Fernando di Aragona si rivolsero a papa Alessandro vi per la spartizione del mondo…», aggiunse Thomas.
«Grazie a una di quelle bolle, tutte le isole già note o che potevano essere scoperte nel mare che va dalle isole Canarie alla costa della Guinea appartenevano al re del Portogallo, con la unica eccezione delle Canarie, che appartengono al regno di Castiglia».
«E stando a quello che ho letto, i Re Cattolici ordinarono a Cristoforo Colombo di proseguire verso ovest dalle isole Canarie, senza mai tornare indietro».
«Il diario di bordo del primo viaggio conferma questo orientamento verso ovest e tutti i marinai che presero parte all’impresa sapevano che la rotta per la Guinea era proibita».
«So che le condizioni incontrate in mare, al ritorno, obbligarono Cristoforo Colombo e Vicente Yáñez Pinzón a fare scalo a Lisbona», continuò Thomas, «al quale fece seguito un colloquio del tutto imprevisto con il re, Juan ii, che rivendicò le isole appena scoperte».
«Ma mio padre si rifiutò. Ciononostante, Juan ii non si rassegnò a tale abbandono e organizzò in segreto una spedizione parallela, con la quale scoprirono le terre chiamate Brasile».
«Per questo era fondamentale per i castigliani, che non avevano infranto né le condizioni né lo spirito dei trattati», partecipò anche Santiago, «ottenere quanto prima una bolla che confermasse la loro sovranità sulle isole appena scoperte».
«Il Santo Padre ci venne incontro», intervenne di nuovo don Fernando, «visto che si trattava del papa della casata Borgia, Alessandro vi».
«Io l’ho conosciuto di persona. Un uomo straordinario, un grande pontefice. La Spagna era sicuramente avvantaggiata», sentenziò il vecchio soldato.
«A questo mondo tutti provano ad accaparrarsi un vantaggio, ma poi non è sempre detto che ci riescano».
«Ho letto che la linea di demarcazione tra i domini portoghesi e spagnoli corre in parallelo alla linea del meridiano che si trova a cento leghe dalle Azzorre e a ovest dalle isole di Capo Verde». Thomas dimostrò di essersi documentato. «L’emisfero est è andato ai portoghesi, quello ovest agli spagnoli».
«Sì, ma questa bolla presenta enormi inesattezze geografiche», e don Fernando Colombo scosse la testa, contrariato.
«Perché dite così?»
«È semplice, Thomas. Come si fa a stabilire una distanza a ovest della linea di un meridiano che passa a cento leghe dalle Azzorre e dalle isole di Capo Verde se l’arcipelago delle Azzorre si trova più a ovest rispetto alle isole di Capo Verde?»
«Capisco, ma a parte questa difficoltà, c’è qualcos’altro che non quadra. All’epoca il Portogallo si stava concentrando sull’Africa. Di fatto, ho avuto modo di vedere che ha stabilito il suo dominio nel sud-ovest del continente africano, che gli garantisce ingenti quantità di oro. Inoltre, adesso i portoghesi girano attorno all’Africa per arrivare in India».
«Sì, quella per l’India è una rotta chiave per loro».
«Questo comporta la circumnavigazione dell’Africa e la necessità di risalire il mare che la costeggia dall’altro lato. Per raggiungere tale obiettivo, il Portogallo non poteva accettare le bolle alessandrine».
«Corretto, da lì la negoziazione con i re di Spagna».
«Sì», e Thomas ritrovò le energie di qualche istante prima, «ma nel frattempo vostro padre stava già affrontando il suo secondo viaggio».
«Ti ho già spiegato che tutti giocano sporco e cercano di prendere tempo mentre tramano alle spalle del rivale. La conquista delle Indie è soltanto questo, la conquista di una nuova rotta».
«È veramente complicato…». Thomas sospirò.
«Dovete cercare di visualizzare nella vostra testa una mappa del mondo per capirlo». A quel punto Fernando Colombo si alzò, raggiunse la sua libreria e prese un volume. «Questo esemplare è stato stampato qui a Siviglia dai Cromberger. È il miglior studio geografico del mondo attualmente esistente», disse con un certo sarcasmo.
Don Fernando aprì il libro e ne spiegò le pagine per mostrare a entrambi una grande mappa.
«Guardate, così capirete per quale motivo i portoghesi insistettero tanto per ottenere un importante spostamento della linea di demarcazione verso ovest. Alla fine la stabilirono a trecentosettanta leghe a ovest dell’arcipelago di Capo Verde».
«Quello fu un errore della Spagna», sottolineò Thomas.
«Forse sì, ma all’epoca del trattato di Tordesillas si ignoravano sia l’esistenza delle Indie che quella dell’oceano Pacifico, così come le reali dimensioni del pianeta, perciò era impossibile prevedere le conseguenze della decisione adottata. Tuttavia, i negoziatori sapevano che, per rendere possibile una coesistenza tra portoghesi e spagnoli, era necessario tracciare quanto prima una linea di demarcazione, anche se in modo approssimativo».
Thomas cercò di assimilare ogni informazione. Un conto era leggerle sui libri, un altro discuterne con don Fernando, l’uomo che forse meglio di chiunque altro conosceva i retroscena della scoperta, e soprattutto dell’aggiudicazione e della spartizione del Nuovo Mondo.
«Abbiamo bisogno di una mappa che sia quanto più attendibile possibile», osservò Thomas.
«Sto lavorando a una mappa che potrebbe servire al nostro scopo. A oggi è la più dettagliata che esista», dichiarò don Fernando, «ma è incompleta e riporta informazioni confidenziali».
«Portatecela».
Fernando Colombo andò a uno dei suoi armadietti, tirò fuori una chiave e ne aprì le ante. Dal ripiano superiore prese un rotolo di pergamena. Tornò alla scrivania e lo srotolò.
In effetti era una mappa del mondo, con l’Asia, l’Africa, il Nuovo Mondo, le Indie occidentali e le isole delle Spezie.
«Prima che vostro padre arrivasse nel Nuovo Mondo, le mappe di Tolomeo e di Marino di Tiro erano le migliori che avessimo». Thomas continuava a dare sfoggio delle nozioni apprese durante le sue ricerche in biblioteca. «Fin dall’antichità, il grande oceano veniva chiamato “il Mare Oceano Tenebroso”, nel quale si trovavano alcune isole sconosciute, dal carattere mitologico e allettante, che venivano rappresentate in modo vago sulle mappe».
«Certo, e già alla fine del secolo scorso, con l’impiego della bussola e dell’astrolabio, si ottennero cartografie molto precise dell’Africa».
«Sì, ho visto le mappe a cui vi riferite», confermò Thomas. «Ma erano di interesse esclusivamente marittimo, perché si limitavano a segnalare le coste, mentre dell’entroterra riportavano solo pochi dettagli. Qualche fiume e rilievo montuoso, ma poco altro. E i nomi dei luoghi si scrivevano in perpendicolare rispetto alla linea costiera, così, girando la mappa, si potevano leggere con facilità. Ma ci sono anche queste linee qua», e indicò quelle presenti sulla mappa che stavano osservando.
«Sono linee di rotta, prolungamenti degli angoli della rosa dei venti centrale che si incrociano con altre linee dei venti, formando una griglia fittissima».
«E si pensava che la terra fosse piatta, circondata da un mare immenso, oltre il quale le navi sarebbero precipitate nel nulla».
«Quelle erano credenze del popolo», disse don Fernando con tono perentorio. «Gli eruditi e i cartografi sapevano perfettamente e fin dai tempi più antichi che la terra era sferica».
«Questo è vero», aggiunse Thomas. «Nei libri antichi già se ne parlava. Ora siamo in una nuova epoca, quella della ragione, ma molto di ciò che stiamo discutendo adesso già si conosceva. Il problema è che poi è stato dimenticato oppure occultato. Tolomeo visse duemila anni fa e disponeva quasi delle nostre stesse conoscenze».
Thomas tacque e si fermò a riflettere. Osservò ancora una volta le mappe, i libri che lo circondavano. Poi spostò l’attenzione sul globo terracqueo, a suo avviso l’oggetto più interessante nello studio di Colombo.
«E tu, sei arrivato a qualche conclusione?», gli domandò don Fernando.
«Osservate questa mappa», e indicò quella che occupava gran parte della scrivania. «Dove è la linea di confine del trattato di Tordesillas?»
«Qui», disse il figlio di Colombo. «Lungo questo meridiano. A sinistra c’è l’Africa, per il Portogallo, e a destra ci sono le Indie, per la Spagna».
«Bene, e abbiamo detto che è un meridiano, una linea retta che va da nord a sud, ma se il mondo è rotondo…». Thomas piegò la mappa a metà. «Questa linea non ha una longitudine di centottanta gradi, ma di trecentosessanta, perché si prolunga sull’altro piano».
«Sì, si potrebbe intendere anche così».
A quel punto Thomas si alzò e si avvicinò al globo terracqueo.
«So che questa mappa presenta alcune inesattezze, ma andrà bene per quello che voglio mostrarvi. Qui dovrebbe esserci il meridiano che segna il confine del trattato di Tordesillas. Se tracciamo una linea da polo a polo, avremo il meridiano che delinea il confine dei possedimenti spagnoli».
«Questo lo sappiamo già, Thomas».
«Ora venite e mettetevi dietro al globo. Guardate cosa succede se prolungo questa linea, superando il polo nord e continuando dall’altra parte, verso il polo sud, fino a completare il giro di trecentosessanta gradi. Perché la terra non è piatta, ma rotonda».
«Santo cielo!». Fernando Colombo si fece il segno della croce.
«Se abbiamo un parallelo, allora abbiamo anche un…».
«Antiparallelo!», esclamò don Fernando. «Vergine santissima! È vero».
«Pertanto, se lo prolunghiamo, questo antiparallelo che scende dal nord dovrà proseguire fino alla fine del mare del Sud e…».
«Le isole delle Spezie appartengono al re di Spagna!», esclamò don Fernando. «Questo cambia tutto… Ce l’avevo davanti agli occhi e non me ne ero mai accorto».
«Voi stesso avete detto che dovrebbe esserci un globo terracqueo in ogni casa».
«Non ti sfugge niente, Thomas», e il figlio di Colombo sorrise. «Ottima osservazione!».
«Ma i portoghesi non lo accetteranno tanto facilmente», mormorò Thomas, contrariato.
«Ed è proprio per questo che parteciperemo a quell’incontro». Fernando Colombo diede le spalle al globo terracqueo e si avvicinò alla finestra, dalla quale si vedeva splendere il sole, ancora alto nel cielo. «È ora. Andiamo».
Né Thomas né Santiago ebbero modo di aggiungere altro. I preparativi erano terminati e caricarono su una carrozza due bauli pieni di mappe, libri di cosmografia, geografia e matematica. Altri due bauli furono riempiti di vestiti, e dovettero cercare degli abiti adatti per Thomas e Santiago, che non avevano niente di adeguato per un incontro di tale importanza. Reperire l’abbigliamento per Santiago fu particolarmente difficile, tanto che doña Manuela dovette sbrigarsi a rammendare un vestito che era stato allargato a dismisura.
Arrivarono un’altra carrozza trainata da quattro cavalli e due uomini di scorta. Accanto al cocchiere viaggiava un uomo armato, mentre a bordo sarebbero saliti solo don Fernando Colombo, Santiago e Thomas, così avrebbero avuto modo di affinare gli ultimi dettagli della loro argomentazione.
Lasciarono Siviglia dalla Puerta de Goles, in mezzo al trambusto provocato dall’assunzione del personale per la nuova flotta che sarebbe salpata per le Indie da lì a due settimane. Thomas ammirò quelle navi e la gente che si stava imbarcando e, malgrado stesse prendendo parte a un’importante missione, provò un briciolo di invidia per loro.