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La città delle dame

 

 

 

 

 

 

 

 

Le settimane successive trascorsero in maniera piuttosto ordinaria, e presto sarebbe arrivato il primo incarico per la stampa delle traduzioni dei classici. Il signor Thys cominciò ad apprezzare Thomas ogni giorno di più, gli assegnò nuovi incarichi, sempre più importanti, e lo stesso accadde con Carlos che, da valido apprendista qual era, si trasformò nel braccio destro del tipografo, suscitando l’invidia dei due anziani assistenti. Thomas continuò a leggere tutti i libri che stampavano, accrescendo così le proprie conoscenze, e sebbene prediligesse sempre i classici greci, cominciò ad aprirsi a tutte le letture.

Sempre più clienti entravano in negozio richiedendo gli scritti di Erasmo da Rotterdam o di altri umanisti del tempo.

Un giorno giunse una pubblicazione sul Nuovo Mondo, stampata a Siviglia, in Spagna. Grazie a quel libro, Thomas scoprì che era stato creato il vescovato di Cuba. Il testo sottolineava che gli spagnoli erano gli unici a poter viaggiare verso le Indie, che erano loro a battezzare quelle terre e che tutto il traffico di merci legato a esse era organizzato e gestito dalla “Casa de Contratación”, che si trovava a Siviglia, proprio come gli aveva detto Massimiliano.

Si parlava inoltre del vertiginoso aumento della popolazione di Siviglia, della sua maestosa cattedrale, la più grande all’interno del regno cristiano, e del ferreo controllo su tutte le merci che entravano e uscivano per il Nuovo Mondo. Thomas provò a immaginare la città, la magnificenza delle sue costruzioni, le ricchezze legate alle attività commerciali, i galeoni che giungevano dalle Indie carichi di persone e animali esotici, di tesori…

Pensò a tutto quello che aveva appreso da Massimiliano e quanto poco gli abitanti di Anversa sapessero del Nuovo Mondo. Non aveva mai sentito la gente del posto parlarne ed erano pochi i clienti che richiedevano libri sull’argomento. Durante i suoi viaggi assieme a Massimiliano, le persone che assistevano ai loro spettacoli restavano stupite dalle storie che l’uomo raccontava, e quasi non sapevano della scoperta di Colombo. Era come se gli spagnoli volessero mantenere il segreto sulle ricchezze e meraviglie di quelle terre, e forse la loro intenzione era proprio quella, altrimenti perché proibire al resto dei cristiani di poterle raggiungere?

Il Nuovo Mondo non veniva menzionato neppure durante le famose riunioni al molo, lì si parlava solo dei nuovi ideali umanisti e di libri, nuovi, vecchi o dimenticati. Ogni tanto qualcuno sottolineava l’importanza di un testo in particolare, spingendo gli altri presenti a leggerlo. Il termine “umanista” fu anche esteso a indicare gli uomini dotati della sete di conoscenza e i fedeli seguaci delle ideologie di Erasmo. Tutti parlavano di cambiare il mondo, di una nuova era di conoscenza, di realizzare grandi imprese.

E perché non sognare di compiere qualcosa di realmente memorabile? Era quello che si chiedeva Thomas mentre leggeva le storie degli eroi dell’antica Grecia. Lui era cresciuto ascoltando le storie delle vite dei Santi, suo padre l’aveva educato all’obbedienza e all’umiltà cristiana, ma ora che aveva letto l’Eneide di Virgilio, perché non rompere quelle catene ed esplorare il mondo come gli uomini che avevano creato regni e imperi in tutto il Mediterraneo? Perché non fare lo stesso nel Nuovo Mondo?

Iniziò l’anno 1521, e Carlos e Thomas continuarono a partecipare con entusiasmo alle riunioni al molo e ai dibattiti sulle dottrine di Erasmo e altri umanisti.

Quel giorno il signor Thys era inquieto, c’erano dei problemi con un lavoro di stampa della corporazione dei pescatori e fu costretto a uscire a metà mattinata, accompagnato da Carlos e da uno dei suoi due assistenti. La giornata si complicò ancora di più a causa della mancata ricezione del rifornimento mensile di carta, pertanto l’altro assistente dovette accompagnare la signora Thys in persona dal fornitore, un commerciante veneziano che era malato. La tipografia aveva estremo bisogno di carta, altrimenti avrebbero dovuto interrompere il processo di stampa.

Così in tipografia rimasero solo Thomas e i due aiutanti che dormivano con lui nel pagliaio. Il giovane fu molto impegnato a ricontrollare tutti i caratteri che avrebbero usato il giorno successivo, appena la carta fosse stata disponibile, per la stampa di due nuovi esemplari.

Poche volte era stato alla guida della tipografia, ma si organizzò e si assicurò di portare a termine il lavoro nel migliore dei modi. Una volta terminati i loro compiti, i due aiutanti andarono via e, dopo averci pensato bene, Thomas approfittò dell’anomala situazione per lasciare il laboratorio e andare a ficcare il naso nel negozio, dove era solito recarsi solo per le pulizie. Era lì che venivano esposti i libri a lavoro terminato, gli esemplari migliori che il signor Thys in persona provvedeva a rilegare. Accarezzò i dorsi in cuoio, fiero di vedere esposto il frutto del loro lavoro.

Rivedendo gli scaffali, trovò qualcosa che lo sorprese e che non aveva mai notato prima. Uno di essi non conteneva libri stampati, ma manoscritti su pergamena. Al tatto era completamente diversa dalla carta, così come l’odore, che gli sembrò molto forte. Erano differenti anche il modo in cui la scrittura era impressa sulla pergamena e il modo in cui l’inchiostro ne impregnava la superficie. Erano sempre dei libri, ma molto diversi rispetto a quelli della sua epoca, e Thomas faticava a immaginare un mondo senza la stampa.

«Vedi qualcosa che ti interessa?», chiese una voce femminile alle sue spalle.

Il giovane si spaventò e per poco il manoscritto non gli cadde dalle mani; dovette stringerlo con forza per poi riporlo sullo scaffale. Alzò lo sguardo, preoccupato, e si trovò di fronte gli occhi verdi di Edith. La ragazza indossava un abito bianco con rivetti dorati e aveva i capelli raccolti in una coda alta.

«Non mi rispondi? Voglio sapere se ti interessano quei manoscritti», continuò lei.

«Sì, anche se sono diversi rispetto ai libri che stampiamo».

«Certo», e cominciò a girargli intorno.

«Sembra impossibile che anticamente i libri fossero dei manoscritti, creati e scritti a mano».

«Era così, e la preparazione della pergamena era un processo molto delicato», disse Edith mentre si avvicinava a Thomas e posava la mano su un manoscritto.

«Non so come facessero…».

«La pelle dell’animale scuoiato veniva subito ripulita dal sangue e dalla sporcizia. Per i libri più importanti si usava quella dei vitelli appena nati e subito staccati dalle loro madri, così la pelle era più morbida».

«Ma è terribile…».

«Per ogni libro veniva sacrificato un intero gregge. Per fortuna oggi usiamo la carta», disse Edith, continuando ad accarezzare la superficie della pergamena. «Poi la pelle veniva messa a bagno in una soluzione particolare per staccare i peli dell’animale. La si teneva a bagno per più di una settimana, poi la si faceva aderire a un pezzo di legno, stirandola bene affinché seccasse».

Thomas ascoltava attentamente le parole della figlia di Thys.

«Infine le si dava un’ultima ripassata con un coltello affilato», proseguì, guardandolo negli occhi. «Una minima disattenzione e si rischiava di tagliare la pergamena e mandare all’aria l’intero lavoro».

«Come sai tutte queste cose?»

«È da quando ero piccola che sento parlare di libri». Edith si allontanò da lui, andando verso un altro scaffale.

«Questo posto è sempre appartenuto alla tua famiglia?»

«Sì, è stato fondato da mio nonno. Mi piacciono questi vecchi libri, sai che quando la pergamena si danneggiava veniva riparata con delle cuciture, a volte con ricami o pezzi di seta colorati? Pensa che belli».

«Non ne avevo la minima idea». Thomas non poté fare a meno di notare che la ragazza stava accarezzando i dorsi di alcuni manoscritti, con delicatezza ma anche con una certa decisione. Immaginò di sentire quelle dita sulla sua pelle, come se stesse accarezzando lui.

«La cosa curiosa è che con quelle decorazioni riuscivano a ottenere un vero effetto artistico. Era come riparare una tazza rotta con della resina dorata, trasformandola in qualcosa di bello».

Thomas sorrise. Edith non era solo bella e affascinante ma anche intelligente. L’immagine di ragazza timida e silenziosa che dava di sé in presenza dei genitori contrastava nettamente con quella di persona piena di acume e sicurezza che mostrava quando era da sola.

«A volte, ciò che è un difetto per alcuni è motivo di grande interesse per altri», affermò Thomas, cercando di impressionarla.

La giovane restò in silenzio e avanzò leggermente, tenendo le mani dietro la schiena.

«A volte, l’unico modo per poter essere notati è apparire diversi».

Rimase di nuovo impressionato dalla sua eloquenza.

«Tu credi che a coloro che si dedicavano alla copia di questi manoscritti importasse qualcosa dei loro buchi, degli strappi o degli altri difetti? Al contrario, li apprezzavano ancora di più, proprio perché tanto delicati… Anzi, spesso vi scrivevano attorno, aggirandoli, e quando capitavano tre buchi di fila, li trasformavano in una faccina sorridente», disse con un sorriso, per poi cambiare argomento all’improvviso. «Che libro hai preso l’altro giorno dal negozio?»

«Un testo di Erasmo da Rotterdam», Thomas preferì dire la verità.

«Si parla molto delle sue idee. Mio padre dice che stanno cambiando il mondo e persino la Chiesa romana non ha potuto ignorarle. Mia madre, invece, non la pensa allo stesso modo».

«Erasmo è una figura affascinante, un uomo dalla mente brillante».

«Mio padre dice anche che è molto pericoloso», bisbigliò, «che provocherà una rivoluzione e che, quando accadrà, ci sarà sempre qualcuno che ne approfitterà per trarne vantaggio».

«Non credo che Erasmo si lasci usare, è troppo saggio», ribatté Thomas con sicurezza. «Il suo scopo è apportare miglioramenti alla cristianità intera».

«E tu, perché sei qui? Dimmi la verità».

«A volte la verità non basta», rispose lui, parafrasando Massimiliano.

«Hai ragione, a volte non basta», disse Edith, annuendo. «Sei un ragazzo molto interessante, Thomas. Tutto da scoprire».

Quando sentirono un rumore dietro la porta, la giovane sbirciò attraverso la vetrina e assunse un’espressione preoccupata.

«È mia madre! Non le piace che ci sia qualcuno qui dentro se mio padre non è presente», e si diresse a passo veloce verso la porta.

«Neppure tu, Edith?», le chiese Thomas.

«Soprattutto io, andiamo!», esclamò agitata.

La giovane si diresse verso la porta che conduceva alla scala per andare a casa, si fermò prima di salire, si voltò e lo guardò con i suoi occhi verdi e penetranti.

«Ciao, Thomas».

«Aspetta un momento! Perché tua madre non vuole che frequenti la tipografia?»

«Da piccola ci venivo spesso». Edith gli si avvicinò, bisbigliando per non essere sentita. «Mio padre mi insegnava come posizionare i vari caratteri o il funzionamento della macchina da stampa, ma un giorno mia madre si arrabbiò e disse che le donne non erano fatte per stampare libri, né tantomeno scriverli».

«Questo non è vero».

«Thomas, tu conosci una sola donna che sia scrittrice? Ti ho parlato de La città delle dame di Christine de Pizan, una scrittrice veneziana, ricordi? Avevi mai sentito parlare di lei prima di quel libro? E poi, hai mai letto anche solo un libro scritto da una donna?»

«No, nessuno».

«Ci sono donne che hanno scritto libri, ma nessuno li conosce, vengono a malapena stampati. Se venissero stampati, sarebbe tutto diverso, il mondo sarebbe migliore. Magari potessi un giorno scrivere un libro sulla vita delle donne».

Edith, a quel punto, prese le scale verso casa.

Thomas era rimasto impressionato dalla veemenza della giovane. Si fermò accanto alle scale, ascoltando quello che accadeva al piano superiore. Edith era apparsa proprio nel momento in cui erano arrivati sua madre, le due inservienti e uno dei due assistenti.

«Dai che facciamo giorno, ma in fondo non tutti i mali vengono per nuocere», furono le parole che Thomas sentì pronunciare dalla signora Thys non appena la donna vide sua figlia. «Che ti succede? Sei pallida, e che ci fai lì impalata sulla scala?»

«Niente, ero scesa a vedere se mio padre era giù in tipografia».

«Sai che non mi piace che vai lì», ringhiò la donna. «Ah, devi sapere la bella notizia!».

«Avete preso le risme di carta?»

«Come? Ah sì, abbiamo preso la carta, ma questa è la cosa meno importante. Quel povero veneziano rifornisce tutte le tipografie di Anversa, quindi non eravamo gli unici senza carta, c’erano anche i tipografi della cattedrale. Li ho conosciuti, gente molto elegante, e sai cosa? Hanno un figlio», disse la signora Thys con tono allegro, mentre si toglieva i guanti.

«Non capisco, madre».

«Hanno un figlio, piccola. Certo che sei stupida… abbiamo parlato ed è già quasi tutto accordato».

«Ma cosa?». Edith notò che le due inservienti non osavano neppure guardarla.

«Il tuo matrimonio! Ti sposerai con il loro figlio e uniremo le due attività. Saremo la tipografia più prestigiosa di tutte le Fiandre. Te lo immagini?»

«Ma, e mio padre è d’accordo?»

«Lui farà quello che dico io. Spetta a me trovare un buon partito per mia figlia, l’ho messa al mondo per questo», sentenziò. «Uno porta delle buone notizie e vengono ricevute in questo modo. Che ingrata che sei, Edith!».

«Madre, ma io non conosco il figlio dei tipografi della cattedrale, non so neppure che aspetto abbia».

«Nemmeno io, ma poco importa», bisbigliò lei, «dammi retta».

«Ma come faccio a sapere se lo amo?»

«Che discorsi mi tocca sentire. Tu pensi che io abbia scelto tuo padre per amore? Lo hai visto? Dai, che ho molto da fare. Due tipografie! Capisci cosa significa?»

«Che abbiamo molte cose in comune…».

«Certo! Potremo trattare coi fornitori e ci troveremo in una posizione di forza, gliela faremo vedere a quel veneziano». Alla signora brillavano gli occhi.

Thomas non riuscì o non volle evitare di ascoltare l’intera conversazione. Quella notte, gli occhi verdi di Edith gli apparvero in sogno.

Il giorno dopo aspettò di vederla rientrare a casa, a mezzogiorno, interruppe per un attimo il suo lavoro, prese un oggetto che aveva preparato e nascosto dentro un pezzo di stoffa e le andò rapidamente incontro sulle scale che portavano al piano superiore.

«Prendi». Le porse l’oggetto con fare noncurante.

«Che cos’è?»

«Vedrai, ora torno al lavoro», si scusò. «Conservalo bene».

Edith andò velocemente nella sua stanza, si assicurò che la madre non fosse nelle vicinanze e vide che celato nella stoffa c’era un libro. Erano le Lettere di Abelardo ed Eloisa.