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Julia

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando Marcos si offrì di accompagnare la giovane fanciulla in biblioteca, Thomas ne approfittò per andare a cercare riparo sotto un albero frondoso del giardino, dove si fermò a riflettere in silenzio. Anversa gli sembrava già così lontana. Come se appartenesse a un’altra vita, o alla trama di un libro. Ma no, faceva parte del suo passato e lo avrebbe accompagnato fino alla morte.

«Va tutto bene?». Apparve il giardiniere. «Non ci hanno mai presentati. Io mi chiamo Víctor», disse, togliendosi il cappello.

«Buongiorno, Víctor. Sì, scusami se ho invaso il giardino. Io sono Thomas».

«Il mercante di libri». Il giardiniere annuì. «Puoi invadere il giardino quando vuoi. A volte non c’è migliore compagnia di se stessi, e questo posto è il luogo ideale dove fermarsi a riflettere». Scrollò il capo con aria malinconica.

«Tu passi molto tempo da solo?», domandò Thomas.

«Direi di sì», rispose l’altro prima di stringersi nelle spalle. «Amo la compagnia degli alberi, soprattutto di questo. È una sapota, che nella lingua delle Indie significa “che induce il sonno”. Dicono che susciti calma e tranquillità. Hai scelto l’albero perfetto per meditare».

«Accidenti, non avevo mai sentito niente del genere, neanche da Massimiliano».

«Chi è Massimiliano?»

«Un amico». Sospirò. «Un buon amico. Mi ha insegnato tutto quello che so sul Nuovo Mondo e mi ha parlato molto delle sue piante e dei suoi fiori. Mi ha mostrato delle bellissime stampe che raffiguravano alcune delle specie presenti in questo giardino».

«Delle stampe…». Víctor si fece pensieroso. «E com’erano?»

«Descrivevano le piante e gli alberi del Nuovo Mondo».

«E sai mica da quale libro erano tratte?», insistette l’altro.

«A dire il vero, no, ma ti assicuro che sembravano ispirate a questo giardino».

Rimasero per qualche istante in silenzio, assorti nei loro pensieri.

«Dev’essere difficile prendersi cura di tutte queste piante. Non sono del posto, come me. È dura sopportare questo caldo per chi non è nato qua a Siviglia», disse Thomas.

«Queste piante richiedono molte cure, sì, perché vengono dalle Indie. Lì il clima è diverso, hanno più acqua e meno calore, per questo crescono spontaneamente. Qua a Siviglia occorre aiutarle a crescere. La cosa più difficile è calcolare la giusta quantità d’acqua di cui hanno bisogno. Se gliene diamo meno del necessario, si seccano in fretta, ma se al contrario gliene diamo troppa, è ancora peggio. È un vero disastro, perché annegano. Immagino che valga anche per le persone».

Thomas lo squadrò con attenzione da capo a piedi. Il giardiniere era più pulito del consueto e aveva in mano una cartelletta.

«Stai andando in biblioteca?»

«No, a me non è permesso entrare in biblioteca», si lamentò con una punta di tristezza. «Questa l’ha dimenticata un lettore».

«Vuoi che la porti al Custode?»

«Non ti preoccupare, ma grazie. I lettori dimenticano sempre qualcosa in giardino. Hanno la testa piena di parole». Sospirò e abbozzò un sorriso rassegnato.

«Tu sai leggere?»

«Sì, anche se da giovane leggevo di più. Quando si è giovani, si ha più tempo per le cose belle della vita. Man mano che cresciamo, dobbiamo scegliere a quali piaceri dedicarci», disse con serenità. «Qua leggere mi serve a ben poco. Preferisco osservare le piante e gli alberi. Loro non mentono mai. Ora vado dentro. Hai bisogno di qualcosa?»

«No, Víctor, ti ringrazio».

Si capiva che era un uomo tranquillo, in pace con se stesso. Come se in quel giardino avesse trovato il suo posto nel mondo. Thomas invece era l’opposto, era inquieto, aveva dentro un mostro che non la smetteva di crescere. Doveva trovare quel libro e scoprire chi aveva ucciso Alonso, ma la notizia di Anversa lo aveva colpito.

Uscì dal palazzo e chiese informazioni per raggiungere la residenza degli Enériz. Rimuginando sulla chiacchierata con Sofía e sulla conversazione con Víctor, si convinse di aver sentito nominare quella famiglia la prima volta che aveva parlato con Alonso… Quindi gli Enériz rifornivano di piante e fiori del Nuovo Mondo il giardino di Colombo, come gli aveva confermato lo stesso don Fernando.

La residenza di famiglia era una costruzione nuova ed elegante, uno dei palazzi più signorili di Siviglia. Per potersi permettere un palazzo simile, gli Enériz dovevano disporre di ingenti fortune.

Lo fecero attendere in un vestibolo con una fontana che zampillava a un ritmo regolare. L’acqua sgorgava da un cannello inserito nella bocca di un medaglione, la figura neoclassica di un anziano con un groviglio di capelli in testa.

Fu ricevuto da una donna con un lungo abito azzurro e dorato. Portava i capelli raccolti a lasciare scoperto un viso dal carnato pallido.

«Sono Julia Enériz, sorella di Miguel. Mi hanno detto che volevate parlare con lui».

Julia Enériz era di una delicatezza assoluta e faceva venire in mente una tazza di porcellana: preziosa, bella e fragile.

«Sì, signora. Potrei vederlo, per favore?»

«Mi dispiace, ma Miguel non è a Siviglia. È partito per andare a seguire altrove alcuni affari. In questo momento si trova a Cadice».

«Peccato, contavo di potergli fare qualche domanda», si lamentò Thomas.

«Magari potrei aiutarvi io».

«Non saprei». Poi decise di approfittare della sua gentilezza. «Avrei qualche domanda sull’infanzia di vostro fratello».

«Sulla sua infanzia? E per quale motivo?»

«Sono stato al convento di San Paolo e mi hanno confermato che vostro fratello ha studiato lì».

«Sì, anch’io. Ci siamo andati insieme».

«Davvero?», esclamò lui, sorpreso.

«Sì, nostra madre ci ha imposto una rigida educazione. Voleva che anche sua figlia ricevesse una formazione adeguata. Eravamo soltanto noi due fratelli e siamo sempre stati molto uniti».

«Gran donna, vostra madre».

«Be’, aveva anche le sue fissazioni». L’espressione della fanciulla si addolcì. «Come tutti».

«Ci sono molti anni di differenza tra voi e vostro fratello Miguel?»

«No, solo tredici mesi», rispose lei.

«Allora chissà, forse il nome Jaime Moncín potrebbe dirvi qualcosa».

Julia cambiò espressione, come se il suo viso fosse stato rannuvolato da un’ombra. Abbassò lo sguardo a terra per un solo secondo, prima di sbattere le palpebre e sorridere.

«Perché chiedete di Jaime?»

«Quindi lo conoscete?»

«Sì, lo conoscevo. Era un amico intimo di mio fratello», confermò Julia. «Erano praticamente inseparabili».

«Sapete cosa ne è stato di lui?»

«Jaime è partito per il Nuovo Mondo, ormai sono passati parecchi anni, e da allora non abbiamo più avuto sue notizie».

«E, vostra grazia, non è che per caso sapete se ha mai scritto un libro?»

«Un libro…», mormorò lei. «Non che io sappia».

«È strano, perché mi hanno detto che dipingeva, ma nessuno ricorda che abbia scritto un libro. Perché invece ne ha addirittura pubblicato uno».

«Be’, dite così perché non l’avete conosciuto». Julia si illuminò di nuovo. «Jaime era un genio».

«Un genio? In che senso?»

«In tutti i sensi», rispose lei con decisione. «Jaime progettava edifici, costruiva artefatti meccanici, dipingeva ritratti e, soprattutto, leggeva».

«Era un grande lettore?»

«Divorava libri a una velocità incredibile», disse Julia con improvviso trasporto. «Entrava in questa casa e leggeva di tutto, che fossero storie dei santi, trattati di matematica o libri di storia».

«Veniva a leggere qui?»

«Sì. All’inizio accompagnato da Miguel, ma alla fine veniva a qualsiasi ora. Mio padre era felice di averlo per casa, diceva che era un buon esempio per mio fratello».

«E lo era davvero?»

«Certo, Jaime era ossessionato dalla lettura. Ogni volta cercava di leggere più in fretta, e poi lo mettevano alla prova. Mio padre e mio fratello lo incitavano a leggere senza sosta per un paio d’ore e poi gli facevano delle domande sul libro che aveva appena letto».

«Un rituale curioso, e che personaggio interessante».

Thomas si astenne dal dirle che anche lui leggeva con celerità.

«Jaime iniziò a leggere libri sempre più complessi», continuò a spiegare Julia Enériz. «Anzi, mio padre cominciò a comprare libri italiani unicamente per soddisfare la curiosità di Jaime».

«Vostro padre si faceva arrivare dei libri dall’Italia… per Jaime?»

«Li compravano in una tipografia di Siviglia. Ricordo che erano libri antichi e che arrivavano da Firenze. Jaime li leggeva e poi ci raccontava le storie degli eroi greci. Quando Colombo scoprì le Indie, ci parlò delle antiche mappe e degli esploratori del passato che, a suo parere, avevano intrapreso lo stesso viaggio».

«Be’, ma Jaime all’epoca era molto giovane».

«Ve l’ho detto che era un genio. Era molto precoce, sì», ripeté Julia. «Ma nonostante questo, non l’ho mai visto scrivere. E dite che ha pubblicato un libro?»

«Sì, un libro d’amore».

«Sarebbe proprio da Jaime…», e sospirò.

«Perché dite così?»

«Lui era… speciale. Ti conquistava con la parola. Recitava le poesie a memoria, sapeva il perché di tutto e aveva un vero talento per la pittura. Era davvero affascinante».

«Era un donnaiolo?»

«Jaime? Dio mio, no! Jaime amava soprattutto i libri. Era impossibile capire cosa gli passasse per la testa… ma le donne, non credo». Sospirò di nuovo. «Ascoltarlo era un vero piacere. Non ho mai sentito storie paragonabili a quelle che raccontava lui».

«Aveva accesso agli stessi libri che appartenevano a vostro padre».

«Jaime non leggeva soltanto a casa mia, ne sono certa, e aveva una facilità di comprensione e capacità mnemoniche incredibili. Ricordava tutto. Era praticamente in grado di recitare a memoria intere pagine dei libri che leggeva».

«Questo non è possibile», replicò Thomas.

«Vi ho detto che non l’avete mai conosciuto». Parlando di lui, Julia si stava emozionando. «Dava l’impressione di essere sempre intento a rimuginare su una qualche idea e di essere capace di conversare con te mentre stava pensando a tutt’altro».

«Perdonate la mia domanda». Lì per lì Thomas si morse la lingua, ma alla fine gliela pose comunque. «Eravate innamorata di lui?»

«Come osate! Ero solo una bambina! La sorella minore del suo migliore amico!», rispose lei.

«Ma certo, perdonate la mia insolenza», provò a rimediare Thomas.

«Per chi mi avete presa?»

«Vi chiedo scusa, credetemi». Ci fu un attimo di silenzio carico di imbarazzo. «Sapete quando partì per il Nuovo Mondo?», domandò poi per cambiare discorso.

«Da tanto, saranno vent’anni». Lei stessa rimase sorpresa dalle proprie parole. «È già passato così tanto tempo! Me lo ricordo come se fosse ieri, come se fosse qui davanti a me, dove siete voi in questo momento, intento a leggermi ad alta voce la Celestina».

«Gli amori di Calisto e Melibea, che ovviamente finiscono in tragedia».

«Con l’amore è così, si sa…».

«In che senso, signorina Enériz?», domandò Thomas.

«Il vero amore è impossibile».

«Lo diceva anche Platone». E lei si mise a ridere. «Perché ridete?»

«Questa è una risposta da Jaime. Me lo ricordate molto».

Thomas sorrise, intrigato. A dire il vero, anche lui intuiva un certo parallelismo con Moncín. Erano entrambi giovani, amanti dei libri, con inquietudini causate dall’amore…

«Un’ultima domanda, mia signora: i libri che leggeva Jaime, sono ancora qui?»

«Certamente», rispose Julia. «Mio fratello dispone di una biblioteca al piano di sopra».

«E potrei vederla per un istante?»

«Non saprei». La ragazza si stranì. «Perché la vorreste vedere?»

«Sono curioso. Dai libri che legge si può indovinare come ragiona una persona».

«Non so, sono le stanze private di Miguel», ribadì lei, dubbiosa.

«Vi prometto che ci metterò solo un istante», insistette Thomas. «Ve ne sarei estremamente grato».

«D’accordo, seguitemi».

Salirono una scala rivestita da cima a fondo da maioliche e coronata da una preziosa cupola in legno con decorazioni orientali. Dalla galleria al piano di sopra, il cortile era ancora più bello. Entrarono in un grande salone, in fondo al quale c’era una biblioteca che raccoglieva circa duecento volumi.

«Posso, cortesemente?», domandò Thomas con educazione.

«Sì, prego».

Sfiorò con le dita i dorsi dei vari tomi, leggendone i titoli. Era una collezione eclettica, senza un ordine apparente, molto diversa da quella di don Fernando Colombo. C’erano molte traduzioni di opere greche, libri di cavalleria e trattati incentrati su svariati argomenti.

Si fermò davanti a un libro in particolare, lo prese e lo aprì alla prima pagina. Era di Erasmo da Rotterdam, stampato a Siviglia dalla tipografia di Stanislao Polono. Lo rimise al suo posto e, continuando a scorrere i volumi, gli cadde l’occhio su un libro di Petrarca, pubblicato dalla stessa tipografia di Siviglia, e su altre copie che venivano da Firenze, proprio come gli aveva detto Julia, anche se erano state stampate da Polono.

«Jaime li ha letti tutti?»

«Sì, e più di una volta, in alcuni casi. Sembra impossibile che si possano leggere tanti libri».

«Chiaro, e in così giovane età». Thomas provò a immaginare Jaime, vent’anni prima, intento a scegliere che libro leggere in quella stessa biblioteca.

«È una bella collezione. L’acquisì mio padre e adesso è di mio fratello, anche se credo che solo Jaime abbia letto tutti i libri presenti. Era affascinato dai grandi eroi come Giulio Cesare, Alessandro Magno…».

«È per questo che partì per il Nuovo Mondo?»

«Non capisco», disse Julia, seccata.

«Per essere un eroe».

«Jaime poteva essere tante cose, ma un eroe no di certo», concluse bruscamente, con un certo fastidio.

«Perdonatemi se sono stato invadente… ma perché dite che non era un eroe?»

«Ora ho altre faccende che reclamano la mia attenzione, se non vi dispiace…». Gli indicò la porta.

«Certo, non era mia intenzione importunarvi», si scusò lui per l’ennesima volta.

Uscirono dalla biblioteca, scesero e tornarono di nuovo in cortile. Una domestica si avvicinò per accompagnare Thomas all’uscita.

«Ho un ultimo dubbio. Se non ho capito male, Jaime esercitava una forte attrattiva sulle donne».

Prima di rispondere, Julia lanciò un’occhiata alla sua domestica.

«Sì, è vero».

«Quando vi ho domandato se era un donnaiolo, voi avete negato subito. Perché? Non vi risulta che abbia mai avuto una storia con una dama? Se era attraente e geniale come avete detto voi stessa…».

«Jaime era affascinante, ma proveniva da una famiglia di umili origini. Inoltre, viveva più con la testa tra le nuvole, tutto preso dai suoi sogni, che con i piedi in terra», disse Julia con tono dolce e al contempo amareggiato. «Jaime… si sarebbe potuto innamorare solo di una donna uguale a quelle dei suoi libri».

«E questo cosa significa?»

«Lo sapete, uno di quegli amori tragici, impossibili, che finiscono sempre male… Ora devo lasciarvi. Spero di avervi aiutato».