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Sofía

 

 

 

 

 

 

 

 

“Forse la cosa peggiore che può capitare all’amore è che venga proibito”. Ecco a cosa stava pensando Thomas mentre dava dei colpetti al vetro della finestra sul retro della casa dei Cromberger. Tuttavia, sapeva che non era vero, ed era nervoso e al contempo ansioso di rivederla.

«Chi è?», domandò una voce che sembrava venire dall’oltretomba.

«Io… sono venuto a cercare Sofía».

«Perché desiderate vedere la signorina?»

«Mi ha detto che potevo venire qui se volevo parlarle».

«Come vi chiamate?»

«Thomas». Gli sembrava di essere in un confessionale.

«Aspettate lì e non fatevi vedere da nessuno, assolutamente da nessuno!».

«Naturalmente». Si guardò attorno e gli tornò in mente una frase di don Fernando: a Siviglia anche gli alberi avevano occhi.

Poi vide lanciare una scaletta di corda dal muro di cinta della casa dei Cromberger. Il muro era alto più di tre persone e la scaletta non sembrava molto resistente.

«Che cosa aspettate?», lo incitò la voce tenebrosa.

«Arrivo», e quasi non badò neanche a dove metteva il primo piede.

Si aggrappò forte con entrambe le mani e si tirò su senza pensare a cosa stava facendo. Sulle prime due assicelle riuscì a salire senza problemi, ma alla terza già faticò e a quella successiva dovette stringere i denti. Ormai mancava poco, ma rischiò di perdere l’equilibrio e per fortuna riuscì a trovare un appiglio e a raggiungere la sommità del muro. In quel momento ripensò alla Celestina, quando Calisto scalava il muro del giardino dei genitori di Melibea.

Guardò giù e vide due occhi scuri che lo osservavano dal basso. Era una donna bassa e magra, con un’espressione spazientita. Thomas scese con difficoltà e non fece a tempo a rimettere i piedi a terra che la donna recuperò la scaletta.

Dopodiché, lo squadrò da capo a piedi e sul suo viso apparve una smorfia di disapprovazione.

«Salite lassù», e gli indicò un’altra scala, stavolta di legno. «In cima troverete un pagliaio. Aspettate lì e non vi muovete. E non fate rumore, neanche un fiato!».

«D’accordo».

«Parlate a bassa voce», lo rimproverò lei.

«Sì, sì», sussurrò lui.

Thomas si avvicinò a una vecchia scala mangiata dai tarli che non sembrava molto stabile e che, ogni volta che metteva piede su un piolo, scricchiolava come se stesse per rompersi. Salì al secondo piano dell’edificio ed entrò nel sottotetto della casa da una finestrella. Era un ambiente ampio e privo di tramezzature, pieno di vecchi mobili. In fondo c’era un’altra finestra da cui entrava più luce. Quella parte del solaio era pulita e c’erano alcune sedie e uno scrittoio.

«Ora ti intrufoli addirittura nelle case degli altri per spiarmi?». La voce che aveva parlato alle sue spalle apparteneva a Sofía Cromberger.

Thomas si voltò e la trovò stupenda, con i capelli sciolti che le ricadevano davanti al seno come fili d’oro. Indossava un’ampia tunica bianca che le arrivava alle caviglie e portava una croce attorno al collo. Non l’aveva mai vista così: Sofía sembrava quasi un’apparizione celestiale, un angelo, una santa, illuminata controluce dalla finestrella, con i capelli che risplendevano e un’aura dorata attorno alla testa.

«Che cosa ci fai qui, Thomas?»

«Credo che tu lo sappia».

«Devi essere pazzo per entrare di soppiatto in questa casa», lo ammonì lei.

«È possibile, anche se sono qui per te».

«Ho letto che un tempo i cavalieri erranti assaltavano le torri dei castelli per liberare le principesse», disse la fanciulla mentre gli si avvicinava lentamente, «e che queste chiedevano una prova d’amore prima di aprire i loro cuori agli spasimanti».

«Tu leggi troppi romanzi di cavalleria, Sofía».

«È possibile, ma se non l’avessi fatto non mi sarei innamorata di te». Si fermò a un paio di passi da lui e prese a girargli attorno.

«Vuoi una prova d’amore? Se i tuoi genitori dovessero sorprendermi qui, mi uccideranno».

«Questo è indubbio».

«E ti pare poco? Sto mettendo la mia vita nelle tue mani».

«Thomas, sai qual è la cosa che più mi piace di te?», e avanzò di un altro passo verso di lui. «Che sembra che tu faccia le cosa senza pensarci. Ma non è così, è solo un’impressione. In realtà le fai perché ti senti libero di farle. E chi può sentirsi libero in una città come Siviglia, dove tutti ti tengono d’occhio?»

«È l’amore a rendermi libero, tutto qua».

«A volte ti credo capace di qualunque cosa. Pensi di non avere limiti, vero?»

«Sì che ne ho, Sofía».

«No, tu vedi solo problemi, ostacoli, ma nessuno di essi è insormontabile. Non ci sono montagne abbastanza alte né oceani che tu non ti senta in grado di attraversare», disse lei.

«So che tu non ti senti libera, ma con me potresti esserlo, perché è quello che desideri, vero, Sofía? La libertà di essere quello che vuoi, di fare quello che desideri, di amare chi ti ha rubato il cuore, a prescindere da ciò che dicono i tuoi genitori».

«Sì». Fece l’ultimo passo che la separava da lui. «Anche se solo per una sera».

Sofía si mise in punta di piedi e baciò le labbra del mercante di libri, che le cinse i fianchi e la strinse a sé con decisione. Lei lo spinse indietro fino a costringerlo a sedersi su una sedia e si mise a cavalcioni sopra di lui. Si tirò su l’orlo della tunica e prese le mani di Thomas per appoggiarsele sulle cosce.

Poi gli gettò le braccia al collo e gli accarezzò i capelli mentre ricominciava a baciarlo. Thomas affondò le dita nella sua pelle, e Sofía alzò le braccia e sollevò completamente la tunica fino a farsela scivolare via dal corpo, nudo, caldo, morbido, la tentazione fatta carne.

Thomas si slacciò goffamente i pantaloni mentre lei continuava a baciarlo, prima sulle labbra, poi con più delicatezza sul collo, finché alla fine non si rialzò per un solo istante per permettergli di entrare dentro di lei.

Thomas si lasciò sfuggire un gemito. A partire da quel momento diventarono un tutt’uno, un unico corpo che gemeva e sudava all’unisono. Sofía sopra, nell’impeto della passione, finché lui non si alzò, senza staccarsi neanche per un secondo, e la fece sdraiare sul tavolo, afferrandola per i fianchi per possederla con tutte le sue forze, fino a quando non si svuotò completamente dentro di lei.

Si sdraiarono insieme sul pavimento, esausti, lei appoggiata sul petto di lui. Thomas la prese tra le braccia e avvicinò le labbra al suo orecchio.

«Ti amo».

Sofía lo guardò con gli occhi che le brillavano e lo baciò.

«È bello», sussurrò, «sentirsi liberi…».

Poi sentirono dei colpi ritmati provenire dal piano di sotto.

«Te ne devi andare!», esclamò Sofía mentre si rialzava di scatto.

«Di già?»

«È un segnale d’avvertimento. I miei genitori sono già tornati a casa», disse lei, prima di mettersi a cercare la sua tunica.

«Quando ci rivedremo?», domandò Thomas, rivestendosi.

«Presto», e lo baciò di nuovo. «Fai attenzione, se ti vedono siamo perduti».

«Tranquilla, fidati di me».

Thomas scese con estrema cautela dalla scaletta di legno e arrivando al muro di cinta trovò la corda pronta, ma della donna bassa e magra che lo aveva fatto entrare non c’era neanche l’ombra. Si arrampicò come meglio poté. Aveva consumato gran parte delle sue energie nel sottotetto della casa. Rischiò due volte di cadere e, una volta arrivato dall’altro lato, scivolò e cadde a peso morto sul terreno. Si rialzò in fretta e si allontanò zoppicando dalla casa dei Cromberger.

Era talmente eccitato che non gli faceva nemmeno male la testa né avvertiva la fatica dovuta alla fuga precipitosa. Fu solo quando attraversò la Puerta de Jerez e si fermò accanto alla Torre dell’Oro, dove gli imponenti galeoni lo strapparono al suo sogno a occhi aperti, che cominciò a fargli male la gamba e a mancargli il respiro.

Andò a sedersi al porto, davanti a una nave ormeggiata con la bandiera del regno di Castiglia al vento. E a quel punto si immaginò su quella barca, con Sofía al suo fianco, in viaggio verso il Nuovo Mondo, per diventare colui che avrebbe aperto la prima tipografia della Nuova Spagna.

“Perché no?”, si chiese. Se non l’aveva potuto fare con Úrsula, il suo primo amore, né con Edith, la donna che lo aveva fatto diventare un uomo, il suo sogno si sarebbe avverato con Sofía, una fanciulla che aveva la tipografia nel sangue, una donna che si fidava di lui, che lo credeva capace di qualsiasi cosa.

Possedeva le conoscenze necessarie, aveva contatti in loco. Chi meglio di lei poteva aiutarlo con gli affari? Doveva soltanto aggirare la legge che proibiva agli stranieri di viaggiare e procurarsi i macchinari di cui aveva bisogno.

Sofía aveva ragione, niente gli sembrava impossibile.

Proseguì verso l’Arenal, dove si sentivano scricchiolare le assi delle barche e il vociare dei marinai che stavano scaricando le merci dalle stive, tra cui argento e oro. Nell’aria risuonavano musiche di oboi, tamburini e tromboni, e dalle galee arrivava un profumino paradisiaco, di semi e spezie.

Sapeva di dover continuare a passeggiare per schiarirsi le idee, ma non ci riusciva.

Dov’era finito Santiago?

Come faceva a continuare a indagare su Jaime Moncín?

Ripensò a Sofía; le aveva detto che l’amava. E poi ripensò anche a Úrsula, a Edith. Quanto era volubile l’amore. Quanto aveva amato Úrsula, eppure l’aveva quasi dimenticata… E quanto aveva desiderato un futuro con Edith, anche se era svanito tutto in un istante. L’amore non può essere proibito, e non è neanche impossibile come dice Platone. L’amore è incontrollabile, inevitabile, come una tempesta che ci sorprende in mare aperto, e non possiamo mai sapere su quale spiaggia ci sospingerà, o se ci farà annegare prima di arrivare a riva. Thomas doveva lasciarsi trasportare dall’amore. E confidare in esso.