50
Luis Colombo
Thomas tornò nel suo alloggio, si tolse gli stivali e si sdraiò sul suo giaciglio, stremato. La situazione gli stava sfuggendo di mano. Niente era stato facile da quando era arrivato a Siviglia. Inoltre, maggiori erano i dettagli che emergevano sulla personalità e sulla vita di Jaime Moncín, più si identificava con lo scrittore.
Anche lui era dovuto fuggire da Anversa per colpa di una donna. Lui non possedeva doti artistiche, ma amava i libri e aveva inquietudini e ambizioni, proprio come Jaime.
Prese la sua copia dell’Iliade, che ancora non aveva riportato in biblioteca, e rilesse il passaggio in cui Ulisse incontra le sirene.
Bussarono alla porta, ma Thomas era stanco morto e maledisse l’inatteso visitatore. Continuarono a bussare, tanto che arrivò a pensare che fosse successo qualcosa di grave. Quando aprì, Rosalía entrò nella sua stanza prima che potesse impedirglielo.
«E tu che cosa ci fai qui?»
«Potrei chiederti la stessa cosa».
«Cioè?»
«So che nascondi un grande dolore, te lo leggo negli occhi», disse Rosalía, scandendo ogni parola.
«Non so di cosa stai parlando. Vattene, per favore».
«Ah, magari», e il tono della sua voce si addolci. «Magari potessi andare via da Siviglia».
«Scusami, avevo dimenticato che eri una…».
«Schiava? Puoi dirlo. Di fatto, tutti mi chiamano così. Schiava». Rosalía prese a girargli intorno.
«Voglio che tu sappia che io non condivido queste pratiche. Un buon cristiano non dovrebbe ridurre nessun altro uomo in schiavitù», disse Thomas con grande convinzione.
«È un peccato che non tutti la pensino come te», replicò lei, prima di avvicinarsi al giaciglio. Osservò il libro di Thomas e lo raccolse. «Omero».
«Lo hai letto?»
«So leggere, mi ha insegnato don Fernando, ma è da tanto che non lo faccio…».
«E perché?», indagò Thomas.
«A che cosa serve? Leggere non mi renderà libera», disse Rosalía, facendo spallucce.
«Non capisco come mai don Fernando non ti abbia liberata. Un uomo della sua cultura… Stento a credere che abbia una schiava al suo servizio».
«Non sono solo una schiava. Innanzitutto sono una donna, e questo per molti uomini è ancora peggio», dichiarò lei prima di rimettere il libro al suo posto, controvoglia.
«Che cosa vuoi da me?»
«Il tuo aiuto».
«Se posso aiutarti in qualche modo, lo farò volentieri, ma credo che tu abbia sbagliato persona».
«Io credo di no, invece. Sei l’unico che non mi ha guardata con occhi pieni di desiderio». Si avvicinò a lui, e Thomas cominciò ad agitarsi. «Voglio fuggire da qui».
«Dal palazzo?». Fece un passo indietro.
«No, da Siviglia».
«Ma… e io come posso aiutarti?»
«So che vuoi partire per il Nuovo Mondo. Non negarlo, ti ho ascoltato mentre ne parlavi con don Fernando e ho sentito che essendo uno straniero non ti è permesso imbarcarti. In fondo, io e te siamo uguali. Siamo intrappolati a Siviglia, ma desideriamo scappare».
«Ma allora, se lo sai, perché sei venuta da me? Sai che non posso aiutarti, non posso partire per il Nuovo Mondo».
«Perché so che alla fine ce la farai. Troverai un modo, ne sono convinta. L’ho visto nei miei sogni».
Thomas cercava di non guardare i profondi occhi neri di Rosalía, ma erano ipnotici, come se una forza al loro interno lo attirasse verso di lei.
«E se dovessi farcela, vorresti che ti portassi con me?»
«Sì, è ciò che desidero».
«Mi dispiace. Come hai detto tu stessa, non posso partire per il Nuovo Mondo e, anche se ci riuscissi, non ti conosco, non sono tenuto ad aiutarti».
«Posso darti delle informazioni. So molte cose».
«Che genere di cose?». Thomas la osservò con sospetto.
«So cosa succede all’interno di questo palazzo», affermò con sicurezza. «Don Fernando è tutto preso dai suoi libri e crede che il palazzo sia un luogo sicuro. Non si rende conto di qual è la realtà».
«Sai chi ha rubato il libro che stiamo cercando?»
«È possibile».
«Perché non l’hai detto a don Fernando?», le recriminò Thomas, stizzito.
«Perché non mi crederebbe e non otterrei niente in cambio. Sono la sua schiava. Tu, invece, puoi darmi quello che desidero».
«Come faccio a sapere che non mi stai mentendo?». Le si avvicinò e la prese per un braccio.
«Lasciami andare!».
«No, dimmi cosa sai».
A quel punto Thomas sentì una punta fredda e sottile sfiorargli la gola. Si staccò cautamente da Rosalía e alzò le braccia in segno di resa.
«Non permetto a nessuno di toccarmi, chiaro?», disse lei, puntandogli contro un rasoio.
«Sì, calmati. Non avrei dovuto».
«So usare una lama affilata, te l’ho già dimostrato radendoti questo bel faccino. E ora dimmi, mi aiuterai a scappare da Siviglia?»
«Questo no, Rosalía. Non posso».
«Posso convincerti in qualche altro modo». La schiava mise via il rasoio, si avvicinò a Thomas e gli accarezzò il viso tremante con una mano. «So fare delle cose agli uomini, cose che non puoi neanche aver immaginato nei tuoi sogni più sfrenati, cose che vi fanno perdere la testa».
In un istante, a Thomas passarono davanti agli occhi tutti i dubbi e le tentazioni di una vita. Rimase immobile, con il cuore che minacciava di uscirgli dal petto. Gli mancava l’aria e dovette deglutire per non soffocare.
«Mi dispiace, Rosalía, ma non mi posso prendere questo impegno, non posso darti la mia parola. Come faccio a portarti nel Nuovo Mondo se non posso andarci nemmeno io?»
«Allora non ti dirò e non ti farò niente».
«Un momento, chi ha rubato il libro? Dimmi almeno questo», la pregò lui.
La schiava rimase in silenzio, osservandolo, e tardò a rispondere.
«Don Fernando crede che il suo palazzo sia impenetrabile come un castello sul fiume che domina Siviglia e che i suoi libri saranno sempre al sicuro, ma non è così».
«Cosa te lo fa pensare?»
«Quando morirà, che cosa ne sarà dei suoi averi, delle sue fortune, del suo palazzo e dei suoi libri?»
«Non ha figli, questo è certo».
«E non ne avrà neanche un domani, te lo posso assicurare. Confida nel fatto che l’imperatore voglia farsi carico della biblioteca», disse Rosalía. «Gliel’ho sentito ripetere più di una volta. Davanti a una schiava nessuno presta attenzione alle parole che pronuncia. Di giorno siamo invisibili. Ci guardano solo di notte».
«E se l’imperatore non la volesse, chi sarebbe il suo parente più prossimo?»
«Un nipote, Luis Colombo».
«Continuo a non capire cosa c’entri tutta questa storia con il libro che sto cercando». Thomas era veramente confuso.
«Luis Colombo è venuto qui a palazzo in diverse occasioni. L’ho visto entrare in biblioteca».
«È suo nipote, non ci trovo niente di strano», rifletté Thomas, che non riusciva a distogliere lo sguardo dalla bellissima schiava.
«È venuto quando non c’era nessuno».
«Credi che sia stato lui a rubare il libro che sto cercando?»
«Questo non lo so, ma so che non c’è da fidarsi di Luis. Ha un’aria losca. Quel ragazzo non può avere in mente nulla di buono», affermò Rosalía con sincerità.
«Prima mi avevi detto che sapevi chi aveva rubato il libro».
«No, ho detto che potrei saperlo», puntualizzò lei. «Ma te lo dirò solo se mi libererai».
«Rosalía, se vuoi che ti creda, dovrai dimostrarmi che sai cosa succede dentro il palazzo. Dimmi, c’è un’altra cosa che mi interessa».
«Quale?»
«Hai mai sentito parlare di qualche libro proibito? Di libri segreti che don Fernando potrebbe nascondere dentro la biblioteca?»
«Dovrai portarmi con te quando partirai per il Nuovo Mondo. Giuramelo!».
«Ti ho appena detto che nemmeno io ho il permesso di andare e, anche se fosse, quello che mi hai detto finora non è una ragione sufficiente per portarti con me».
«E se Fernando Colombo avesse i libri che hai appena menzionato?»
«Dove sono? Dimmelo!».
«Promettimi che mi porterai via da qui», ribadì lei con aria di sfida.
«Questo non te lo posso promettere», replicò Thomas, a disagio.
«Che tu sia maledetto, allora! Non hai idea di cosa sono capace di fare». Si voltò e, prima di andarsene, gli diede un sonoro ceffone.
Uscì dall’alloggio sbattendo con forza la porta e svanì nella semioscurità della sera. Thomas rimase da solo, dolorante, ma soprattutto confuso e contrariato.
“Cos’è successo?”, si chiedeva mentre si massaggiava la guancia per alleviare il senso di bruciore.
Pensò di seguirla, ma aveva paura di attirare l’attenzione di doña Manuela, e soprattutto di Marcos, o del Custode. Avrebbero approfittato del minimo errore da parte sua per farlo cacciare via. Doveva parlare di nuovo con Rosalía, ma era meglio aspettare che si calmasse.
Pensò a Santiago, chiedendosi come stessero andando le sue ricerche, e tornò a dedicarsi alla lettura dell’Iliade, al canto delle sirene che tentavano i marinai e lo stesso Ulisse.
Chissà se esistevano le sirene nere. Poi si rispose da solo.
Sì, ed erano pericolose.
La mattina seguente, Thomas si presentò di buon’ora a palazzo, e Marcos stava sorvegliando il cancello, come sempre. Evitò a ogni costo di incrociare Rosalía nei giardini. Proseguì tenendo gli occhi ben aperti fino alla scalinata d’ingresso ed entrò all’interno del palazzo. Si fermò davanti a una statua pagana e osservò la tenebrosa maschera che la coronava. Chiunque l’avesse scolpita doveva avere davvero paura di quella divinità.
Salì per raggiungere lo studio privato di don Fernando, bussò alla porta e la voce del figlio di Colombo gli diede il permesso di entrare. Se ne stava chino sulla sua scrivania e stava correggendo dei testi scritti a mano.
«Vi ho interrotto?»
«No, Thomas, ma ho paura che andrà per le lunghe…», e indicò i documenti da cui era circondato. «È la storia di mio padre, della sua scoperta», spiegò don Fernando. «La sto scrivendo personalmente. Non ne posso più di sentire menzogne e calunnie, e temo che non sia ancora finita. Meglio che abbia voce in capitolo e pubblichi la vera storia dell’ammiraglio Cristoforo Colombo».
«È un’idea fantastica».
«Ma ci porterà via moltissimo tempo, credimi», gli assicurò mentre riordinava i fogli.
A Thomas cadde l’occhio su una sfera appoggiata su quattro zampe. Che diavolo era? Se lo chiedeva sempre.
«Vostro fratello Diego ha avuto un figlio, vero?»
«Sì, mio nipote Luis. Sono mesi che non viene a trovarmi», disse don Fernando con una certa tristezza. «Ma continuo ad aiutarlo con le cause di mio fratello. Siamo riusciti a fargli avere numerose proprietà nelle Indie».
«Immagino che anche vostro nipote sia un appassionato di libri, come voi e vostro padre».
«A volte è venuto a vedere la biblioteca… Ho cercato di spiegargli l’importanza del mio progetto, ma a lui sembrano interessare soltanto i libri di maggior valore. Soprattutto il diario di bordo del primo viaggio di mio padre».
«Chissà, magari con il tempo imparerà ad apprezzare la grandezza di ciò che avete creato», commentò Thomas.
«È possibile». Fernando Colombo fece una smorfia. «Perché volevi parlarmi?»
«Ho bisogno di tornare in biblioteca per ricontrollare la sezione in cui avrebbe dovuto essere il libro di Jaime Moncín».
«Ti accompagno. Mi farà bene distrarmi un po’ da questo lavoro».
«Prima vorrei chiedervi una cosa, però. Scusate se ve lo domando, ma… cos’è questa sfera?», e gli indicò l’oggetto in questione.
«È un globo terracqueo. L’ho comprato anni fa da un cosmografo, Martin, un boemo che lavorava per i portoghesi».
«Ma… già indica le terre del Nuovo Mondo. Guardate, c’è persino il passaggio tra i due oceani!».
«Temo di non poterti dare altre spiegazioni, è una questione che riguarda la Corona». Don Fernando gli fece cenno di uscire dal suo studio. «Sei venuto per andare in biblioteca, giusto? Non perdiamo altro tempo».
Uscirono e don Fernando chiuse la porta a chiave. Raggiunsero in silenzio la biblioteca e ispezionarono insieme la sezione in questione. Non c’erano tracce del libro di Moncín, e nella fila e sullo scaffale corrispondente non mancavano altri libri.
Ricontrollarono anche gli scaffali accanto e Fernando Colombo prese il libro degli Epitomi per dare una scorsa ai titoli dei volumi presenti in quella sezione. Thomas non gli staccò mai gli occhi di dosso, interessato a capire come era organizzata la biblioteca. E mostrò interesse per i libri più antichi, tanto che don Fernando lo condusse in fondo ad alcuni corridoi, fino a uno degli angoli più remoti dell’enorme biblioteca. Thomas non ci era mai stato e aspettò che don Fernando tirasse fuori una chiave e aprisse uno degli armadietti. Prese un libro di piccole dimensioni, con la copertina consunta, e lo aprì.
«Questo è un esemplare dell’Ars Moriendi, o l’arte della buona morte. Riunisce una serie di studi che risalgono all’Età Media e descrivono come “morire bene” secondo i precetti cristiani».
«Come morire bene?», lo interruppe Thomas.
«Sì, la morte è il tema più ignoto che esista. Tutti i popoli ne hanno parlato, rispettandola e temendola. Per noi cristiani, quello che ci aspetta dopo questo mondo è chiaro, ma non sappiamo come dobbiamo morire».
«Non sempre possiamo scegliere come morire», sottolineò Thomas con una faccia perplessa.
«Questo è vero, ma a volte è possibile. Nell’Età Media, dopo una serie di pubblicazioni sulla fugacità della vita, su ciò che è terreno, sull’assenza di sentimento religioso negli uomini e sul trattamento più o meno profano della morte, questo diventò un tema di vitale importanza».
«Vi riferite al paganesimo?»
«Non esattamente. Quando la morte si avvicina, gli uomini deboli e senza fede sono capaci di qualunque cosa. Tieni presente che chi non crede in niente corre il rischio di credere in tutto. Anche se io, personalmente, mi sento più vicino al pensiero greco».
«L’obiettivo supremo degli eroi greci era la fama», intervenne Thomas. «Credevano che la morte sarebbe stata dolce solo se le generazioni successive avrebbero ricordato il loro nome».
«Sapevano meglio di qualunque altro popolo che la vita era troppo breve, perciò pensavano di avere poco tempo per compiere gesta eroiche che li rendessero immortali».
«Omero lo dice anche nell’Iliade». Thomas ripensò al passaggio che aveva letto la sera prima: «“Ma non voglio morire senza lotta né senza gloria, bensì facendo qualcosa di grande, che anche i posteri ricorderanno”».
«Esatto, la morte arriva per tutti. Ciò che i Greci temevano davvero era l’anonimato, l’oblio. Per questo cercavano la fama, ma poi arrivò il cristianesimo e diede a tutti un’altra speranza: “Beati i poveri di spirito, perché loro è il Regno dei cieli”. Persino l’individuo più mediocre può accedere al paradiso, quindi che senso ha essere un eroe?»
«Nessuno», rispose Thomas.
«In questo lungo periodo che adesso hanno preso a chiamare Medioevo, la Chiesa si affrettò a pubblicare questo trattato sulla morte», continuò don Fernando, mentre sfogliava le pagine dell’Ars Moriendi davanti allo sguardo attento di Thomas. «Ha un carattere strettamente religioso e morale. Qui si parla dello spirito del moribondo e della sua salvezza».
«È pieno di illustrazioni». Thomas si stava mostrando molto interessato all’opera. «Ci sono più immagini che testo».
«Sì, perché fu realizzato per il clero, ma alla fine diventò un manuale per i parrocchiani», spiegò don Fernando.
«A quanto tempo fa risale? Il tipo di stampa è molto antico».
«A me piace chiamarli incunaboli. Sono libri pubblicati quando la stampa era ancora ai suoi albori. Il nuovo procedimento era appena stato inventato e non c’era ancora niente di definito. C’era un unico stampatore che si occupava di tutto: lavorava alla macchina da stampa, fondeva i caratteri, fabbricava la carta, impaginava, editava i testi e li vendeva…».
«Niente a che vedere con i giorni d’oggi», disse Thomas, ripensando alle sue giornate nella tipografia di Anversa.
«Questi libri, per quanto fossero stampati, cercavano di riprodurre fedelmente i manoscritti. Voglio che tu veda un altro incunabolo. È degno di nota, perché è xilografico, cioè antecedente all’invenzione della stampa a caratteri mobili, ed è l’unico esemplare conosciuto in questa edizione. Fu pubblicato ad Augusta».
«Ad Augusta, avete detto?»
«Sì, Thomas. Ci sei mai stato?»
«No…», mentì lui. «Ma ne ho sentito parlare da mio padre».
«Guarda, è stato pubblicato nel 1470. L’ho comprato a Norimberga, tre anni fa, e qua ho annotato che mi è costato due craiçer, la moneta locale».
«È davvero incredibile che abbiate soltanto libri stampati. E quelli scritti a mano?»
«Non mi fido dei testi copiati a mano. Sappiamo che in quei secoli bui si commettevano gravissimi errori. Per fortuna la luce è tornata a splendere sulla cristianità», spiegò mentre tornava a osservare l’incunabolo. «Ora ti mostrerò un libro davvero speciale». Raggiunsero una vetrina isolata dalle altre e Fernando Colombo aprì la scaffalatura con un’altra chiave che portava sempre con sé. «Che te ne pare?»
«Imago Mundi, di Pierre d’Ailly», lesse Thomas sul frontespizio.
«Questa edizione ha quasi cinquant’anni. L’ho ereditata da mio padre e contiene le annotazioni dell’ammiraglio e di suo fratello, mio zio, Bartolomé de las Casas. Mio padre la consultò per raggiungere le Indie e ai margini, laddove lo ritenne opportuno, corresse alcuni errori cartografici, come le rotte seguite dalle navi romane».
«Perciò… vostro padre raggiunse le Indie con l’aiuto di questo libro».
«E di altri testi», gli fece notare don Fernando. «Mio padre era un lettore instancabile. Leggeva qualunque libro parlasse della possibilità di viaggiare verso Occidente e voleva arrivare alle isole delle Spezie».
«Come avete detto? Le isole delle Spezie?»
«Dove si trova la vera ricchezza. Non nelle Indie, ma in queste isole lontane e piene di fascino».
Thomas non riusciva a credere alle sue orecchie.
«Che ti prende?», domandò don Fernando.
«Quelle isole… mio padre me ne parlava sempre quando ero un bambino, e io fantasticavo sulla possibilità di andarci».
«Non sono una fantasia». Don Fernando si fece serio. «Sono ancora l’obiettivo della Corona. Usciamo dalla biblioteca. Non è il luogo più adatto per parlare di certe cose».