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L’offerta
Nella biblioteca del Nuovo Mondo regnava lo sconcerto più totale e Fernando Colombo ordinò a tutti i suoi lettori di mettersi alla ricerca del libro. Controllarono palmo a palmo tutto lo scaffale del corridoio nel quale avrebbe dovuto trovarsi e interrogarono i lettori che potevano averlo letto. L’intera giornata venne dedicata alla ricerca del testo di Jaime Moncín e nel tardo pomeriggio la conclusione fu unanime: il libro era stato rubato.
Don Fernando volle parlare con Alonso e Thomas nel suo studio, dove c’erano anche Marcos, il guardiano del portone, e l’altro uomo corpulento che l’aveva aiutato nella ricerca del libro e che sembrava essere il responsabile della biblioteca.
La stanza era dominata dal grande ritratto di un cavaliere che assomigliava moltissimo a Fernando Colombo. La luce filtrava da un’ampia finestra e anche lo studio vantava una libreria e un tavolo da studio sul quale erano state sparpagliate mappe, libri e un oggetto singolare, una sfera posta su una sorta di supporto con quattro zampe, all’interno della quale erano disegnate delle mappe.
«Questo non era mai accaduto», esordì il figlio di Colombo, «ed è strano che siate venuti a cercare proprio il libro che mi è stato rubato».
«Che cosa volete insinuare, don Fernando?»
«Attenzione a come vi rivolgete al padrone di casa», disse l’uomo corpulento.
«E chi siete voi per alzare la voce?»
«Mi chiamano il Custode», rispose l’altro con voce tagliente, «e sono il responsabile della biblioteca».
«Dunque è colpa vostra se il libro è andato perduto, no?», replicò Alonso, sfidando quell’uomo, il cui volto non lasciava trasparire alcuna emozione.
Il Custode fece un passo verso il mercante di libri, minaccioso, ma Alonso non si lasciò intimorire e sostenne il suo sguardo.
«Basta! Loro sono appena arrivati, perché avrebbero dovuto avvisarci della scomparsa di quel libro?», disse Colombo.
«E se invece fossero stati proprio loro a sottrarlo e adesso pretendessero di essere pagati per restituircelo?», domandò il Custode.
«Non vi consento tali insinuazioni, siamo uomini d’onore e non abbiamo nulla a che vedere con il furto. Vogliamo ritrovare quel libro tanto quanto vostra grazia, don Fernando».
«Signore, non vi fidate di loro», insistette Marcos.
«Per favore, siamo venuti fino a Siviglia per cercare quel libro, perché avremmo dovuto rubarlo?». Alonso si portò le mani sopra la testa.
«Tu qui sei il responsabile. Non ti sto incolpando del furto, ma la biblioteca è sotto il tuo controllo ed è ovvio che è stato commesso un errore o che c’è stato un disguido».
«Me ne assumo la colpa, don Fernando».
«Affronteremo questo argomento in un secondo momento», lo avvisò il figlio di Colombo, «ma adesso voglio che mi diciate tutto quello che sapete su quel libro».
«Vi abbiamo già detto tutto», rispose Alonso. «Ci è stato richiesto da Luis de Coloma, di Saragozza, ed è per questo che siamo venuti a Siviglia. Nella tipografia Cromberger ci è stato confermato che avevate acquistato un esemplare del libro, forse l’unico rimasto, così siamo venuti qui».
«Perché tanto interesse per quello scrittore?»
«Questo non lo so. Conosciamo solo un nome e un cognome, Jaime Moncín, e il titolo del libro, Amori impossibili. Sappiamo che è stato scritto circa vent’anni fa e che il testo è accompagnato da immagini di grande qualità a tematica amorosa».
«Tematica amorosa?»
«Il nostro benefattore, don Luis de Coloma, colleziona libri rari, già lo sapete. Non mi ha dato altre informazioni, ma pare che quelle stampe siano molto esplicite».
«E non si sa altro del libro, solo questo?»
«Per il momento sì», confermò Alonso.
Colombo si fermò a riflettere. Dopo un lungo istante di silenzio, si rivolse al Custode.
«Perché ho comprato quel libro?»
«Stando ai registri, faceva parte di una collezione acquistata dagli eredi di Héctor Sanmartín», rispose l’uomo.
Thomas si era distratto guardando la strana sfera e, quando alzò lo sguardo, si ritrovò a fissare gli occhi del Custode, un uomo serio, privo di senso dell’umorismo. I suoi movimenti lenti e il modo di fare compassato contrastavano con la sua enorme corporatura.
«Nessuno può immaginare cosa significhi questo per me. È un dolore, ma anche un’umiliazione e causa di una grande incertezza. E se fossero stati rubati anche altri libri?»
«Mio signore», provò a rassicurarlo il Custode, «di certo ci sarà una spiegazione».
«Certo, dev’esserci», disse Colombo, sospirando prima di rivolgersi ad Alonso e Thomas, «e la troveremo. Voi due siete arrivati qui e siete mercanti di libri, quindi immagino che siate i più indicati per portare avanti questa ricerca. Anch’io voglio trovare quel libro».
«Scusatemi», Alonso cercò le parole giuste, «ma noi lavoriamo già per don Luis de Coloma».
«E allora lavorerete anche per me. Quel libro è mio. Trovatelo e ordinerò che ne venga fatta una copia che potrete portare con voi a Saragozza».
«Non so…».
«Vi pagherò cento ducati d’oro», disse l’uomo, alzando la voce.
Thomas notò che la gamba destra di Alonso stava tremando, anche se lui cercava di tenerla ferma con entrambe le mani.
«È una grande somma, ma…».
«Centoventi, non una moneta di più».
«Affare fatto». Alonso strinse i denti per nascondere l’enorme sorriso pronto a fare capolino sul suo volto. «Ma ricordate che dovrete darci anche una copia del libro per il signor de Coloma».
«Vi do la mia parola».
«Accettiamo», e guardò Thomas, nervoso.
Marcos aprì la porta per accompagnarli all’uscita. Strinsero la mano al padrone di casa sotto lo sguardo inespressivo del dipendente e, uscendo dallo studio, tirarono un sospiro di sollievo. L’aria dentro quella stanza era diventata davvero pesante.
Mentre scendevano le scale, incrociarono una donna. Aveva la pelle scura e lucente, profondi occhi neri e i capelli scuri e ricci. Era magra e aveva un collo lungo che la faceva sembrare ancora più alta.
«Rosalía, che cosa ci fai tu qui?», chiese Marcos.
«Sto andando a pulire le stanze dell’ala sud, mio signore».
«Ora è meglio di no, torna dopo».
«Come ordinate», rispose lei con voce dolce, e si voltò lentamente, con un movimento aggraziato che lasciò i tre uomini letteralmente imbambolati.
Thomas e Alonso restarono come ipnotizzati; non riuscivano a staccarle gli occhi di dosso. Nessuno proferì parola e la giovane donna salì le scale, come fluttuando.
Marcos li accompagnò fino alla porta arancione. Non era un uomo molto amichevole e li salutò con una specie di grugnito.
Quando si trovarono a una certa distanza, Alonso si fermò, appoggiò la schiena contro il muro e cominciò a ridere senza riuscire più a fermarsi.
«Ragazzo, questo ci cambierà la vita! Non avrei mai pensato di avere tanta fortuna».
«Ma non abbiamo ancora trovato il libro».
«Sciocchezze, ci pagheranno centoventi ducati».
«Alonso, non sappiamo dov’è», insistette Thomas.
«Penso sia merito tuo. Attiri la fortuna, non c’è altra spiegazione», continuò Alonso, pensando a tutto quel denaro.
«Queste sono solo sciocchezze! E se non lo troviamo? L’unica pista che avevamo portava a quella biblioteca».
«Se il libro è stato rubato», disse il mercante di libri, girando attorno a Thomas, «so dove possiamo andare a cercarlo. L’ultima volta che sono stato a Siviglia, mi è stato detto che tutti gli affari si fanno nello stesso posto, le scalinate della cattedrale. Andiamo!».
Rosalía era rimasta a guardare i due visitatori dalla fessura di una delle porte che dava sulla scalinata. Erano entrambi molto distinti, ma a comandare era l’uomo più anziano, magro e sicuro di sé. L’altro era solo un ragazzo, all’apparenza forte, con i folti capelli neri spettinati e lo sguardo triste.
Rosalía non aveva mai visto un giovane tanto malinconico e ne rimase colpita. Manipolare gli uomini era ciò che le riusciva meglio, ma quella tristezza… non era usuale e per lei rappresentava una nuova sfida.
Sapeva muoversi per il palazzo senza essere vista. Era un edificio labirintico, con poca servitù. Le uniche donne che erano solite aggirarsi per le varie sale erano lei e la cuoca, doña Manuela. Gli altri erano tutti uomini: Víctor, il giardiniere, il Custode, Marcos, e i lettori che andavano ogni giorno a lavorare in biblioteca per riassumere e classificare i libri.
A volte venivano in visita al palazzo anche i ricchi commercianti e le alte cariche della città, ma mai donne, e l’unica eccezione era la figlia dei Cromberger, che avevano indirizzato lì Alonso e Thomas.
Qualche anno prima, Rosalía aveva chiesto a Colombo il permesso di imparare a leggere, e lui non glielo aveva negato, a patto che lo facesse solo all’interno del palazzo e che fosse il Custode a darle lezione. Secondo la cuoca, stava solo perdendo del tempo, perché una schiava non aveva bisogno di saper leggere, ma la giovane non pensava certo di fare la serva per il resto della sua vita.
Non era una stupida, notava gli sguardi dei lettori e dei commercianti che andavano a far visita a don Fernando. Tutti la osservavano da lontano e lei non restava indifferente alla lussuria che traspariva dai loro occhi, ma quei due mercanti di libri erano diversi. Nessuno dei due l’aveva guardata con desiderio e forse era la prima volta che le accadeva. Questo la sconcertava e la intrigava allo stesso tempo. La tristezza di quel ragazzo… la sua bellezza non aveva fatto colpo su di lui, almeno non in quella occasione…
Quando vide che stavano per andare via, attraversò di corsa gli alloggi interni per uscire in giardino attraverso una piccola porta di servizio, e si fermò in un punto preciso per poterli incrociare prima che oltrepassassero il portone.
Si sciolse i capelli e si sbottonò leggermente la camicia, poi sospirò affinché notassero la sua presenza. Quando il giovane la guardò, lei sostenne il suo sguardo.
Restò immobile per un lungo istante, come fanno i pescatori dopo aver gettato l’esca. In quel caso l’esca erano i suoi occhi profondi, perché sapeva che se il giovane fosse caduto nella loro trappola, poi non ne sarebbe più uscito.
I due uomini lasciarono il palazzo. Rosalía si ritirò in cucina e lungo il cammino incrociò Víctor, che aveva le mani sporche di terra umida e si fermò a guardarla. Lei non gli disse nulla e tirò dritta per la sua strada, ripensando al giovane visitatore che aveva ricambiato il suo sguardo.