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Il signore dei furfanti

 

 

 

 

 

 

 

 

A mezzogiorno, Sofía Cromberger passeggiava accanto alla Torre dell’Oro insieme a due delle sue dame di compagnia, scortata da un uomo armato e da un paio di schiavi. Si fermò davanti al banco di un commerciante di stoffe fiamminghe. Era affascinata dai tessuti che arrivavano da Anversa. Non si trattenne ad ammirarle a lungo, perché suo padre le aveva chiesto di assistere a una riunione nei pressi dei palazzi reali. Con un vestito bianco dai ricami dorati e i capelli raccolti con un diadema di perle, quel giorno Sofía era veramente splendida. Era difficile non voltarsi a guardarla; spiccava più della stessa Giralda.

Si fermò davanti a uno dei palazzi più imponenti di Siviglia. Apparteneva a un’antica famiglia castigliana che secoli prima aveva preso parte alla riconquista della città e che da allora aveva assunto ruoli di grande responsabilità nel governo cittadino, specialmente giù al porto. Da quando era stato stabilito che quello di Siviglia fosse l’unico porto dal quale potevano partire le imbarcazioni per il Nuovo Mondo, il suo potere e le sue ricchezze non avevano mai smesso di crescere.

Sofía Cromberger sapeva cosa doveva fare, perciò fece aspettare fuori la sua scorta ed entrò all’interno dell’impressionante edificio con le sue dame di compagnia.

Ciò che non sapeva era che qualcuno la stava osservando.

Tardò a uscire di nuovo per le strade di Siviglia, tanto che Thomas cominciò a preoccuparsi. Tuttavia, chi è paziente viene sempre ricompensato, e alle quattro Sofía riapparve all’esterno insieme alle sue accompagnatrici. Ad aspettarla c’era anche una scorta formata da tre uomini. Thomas doveva agire in fretta se voleva avere successo. Quando la piccola comitiva si rimise in marcia verso la strada delle tipografie, Thomas si era già appostato in un punto prestabilito. Batté le mani e un nugolo di bambini assaltò il gruppo, chiedendo l’elemosina e qualche moneta per mangiare. Erano talmente tanti che gli schiavi si videro subito sopraffatti, e le dame di compagnia non erano certamente in grado di cacciarli via. Così uno di loro riuscì a raggiungere Sofía. Lei si spaventò, temendo che volesse farle del male o rubarle qualche gioiello. Il bambino di appena dieci anni, però, si limitò a prenderla per un polso e le lasciò un pezzo di carta sul palmo della mano.

Sofía Cromberger lo afferrò per un braccio affinché non potesse scappare, ma il bimbo riuscì a fuggire insieme agli altri marmocchi prima che gli schiavi gliele suonassero di santa ragione.

«State bene, doña Sofía?», domandò una delle sue dame.

«Sì», e strinse forte il pugno. «Andiamo, torniamo a casa», ordinò mentre si guardava attorno.

Thomas rimase a osservarla dall’altro lato della strada, finché i loro sguardi non si incrociarono e lei sorrise. Era proprio quello che voleva vedere, perciò si rigirò e scomparve in mezzo alla folla. Tornò al suo alloggio accanto al palazzo di Colombo e ci rimase per tutto il giorno. Uscì poco prima del tramonto, con una meta ben precisa in mente. Si sbrigò a raggiungere la cattedrale, che era gremita. Cercò una delle cappelle più tranquille e ci si rifugiò dentro.

La cappella era presidiata da una pittura a olio che raffigurava le sante Giusta e Rufina, venerate a Siviglia come protettrici della Giralda, giacché evitarono che crollasse durante il terribile terremoto avvenuto vent’anni prima.

Mentre ammirava il dipinto, una figura si sedette al suo fianco, avvolta da un ampio mantello con cappuccio. Poi si inginocchiò per pregare. Thomas avvertì subito un dolce profumo familiare.

«Stamani mi hai spaventata», disse lei.

«Era l’unico modo, visto quanto eri scortata. Come mai?»

«Questioni di famiglia. Mio padre mi aveva chiesto di andare a concludere un affare», spiegò con una certa misteriosità.

«E non puoi darmi ulteriori dettagli, immagino».

«Meglio di no, credimi». Sofía sorrise, e i suoi grandi occhi castani gli sembrarono infiniti. «Ebbene? Cosa c’è di così importante che dovevi dirmi con tanta urgenza?»

«È arrivato il momento».

«Il momento per cosa?»

«Sono stato al porto e ho comprato i passaggi. Per tutti e due».

«Passaggi? Per andare dove?»

«Nel Nuovo Mondo», rispose Thomas, con gli occhi che brillavano d’entusiasmo.

«Di cosa stai parlando?»

«Hai capito bene. È tutto pronto».

«Thomas, non possiamo. Sai benissimo che gli stranieri non possono salpare per le Indie».

«Le cose sono cambiate».

«Perché dici così?». Sofía fece un passo indietro. «Cos’è successo?»

«È ancora un segreto, ma l’imperatore sta per abolire quella legge».

«Come fai a saperlo?»

«Me l’ha detto don Fernando», rispose lui.

«Ma…». A quelle parole, il viso di Sofía si illuminò. «È incredibile. Sai cosa significa?»

«Certo che lo so», e Thomas la baciò.

Quando si staccò dalle sue labbra, Sofía era talmente emozionata che non riusciva a parlare.

«Ascoltami bene. Giovedì, tra quattro settimane esatte, dovremo salpare. Riuscirai ad arrivare al porto all’alba? La nave è la Santa Lucía».

«E l’imperatore? Quando abolirà il divieto?»

«Quel giorno. Quando arriveremo a Sanlúcar, tutti saranno a conoscenza della nuova legge. Non temere, non ci fermerà nessuno».

«Io devo andare». Sofía si stava agitando. «Non possono vederci insieme o rischieremo di mandare tutto a monte».

«Hai ragione». Ma a Thomas costò lasciarle la mano.

Sofía si allontanò in fretta e a Thomas si strinse il cuore, ma quella sarebbe stata l’ultima volta che si separavano. Nel Nuovo Mondo avrebbero iniziato una nuova vita insieme, finalmente liberi.

I giorni seguenti, quasi non mise piede nel palazzo di Colombo. Stava pianificando e organizzando i passi successivi. La mattina del terzo giorno, Thomas attraversò il ponte di barche, diretto a Triana, e cercò la chiesa di Sant’Anna. Dato che attraversare il fiume significava mettere piede in un mondo completamente diverso, là doveva prestare molta attenzione. Dentro le mura di Siviglia si godeva di un certo senso di sicurezza; c’erano i commercianti e gli artigiani con le loro botteghe ammassate le une accanto alle altre, i religiosi abbondavano e le guardie pattugliavano le strade. A Triana, invece, era tutto un altro paio di maniche: là non vigeva alcun ordine, e delle autorità non c’era neppure l’ombra. C’era solo un enorme caos di persone di ogni tipo e ovunque si guardasse si veniva sorpresi da una scena peggiore della precedente. Thomas temeva di essere finito nella tana del lupo; quasi non riusciva a passare per le sue viuzze congestionate, dove a ogni angolo si sentiva urlare e i regolamenti di conti avvenivano alla luce del sole.

Seguendo il fiume, arrivò alla chiesa di Sant’Anna, oltre la quale si intravedeva il profilo del temibile castello di San Giorgio, la sede dell’Inquisizione. Thomas si domandò che cosa ne sarebbe stato di lui se lo avessero sorpreso con i testi luterani di Santiago. Proprio in quel momento, qualcuno lanciò un grido e vide due ragazzini uscire di corsa da un vicolo. Non andarono molto lontano. Due uomini si pararono di fronte a loro, intimando a entrambi l’altolà, e li presero per il collo come se fossero galline. Il primo lo scaraventarono a terra e, tenendolo fermo per un braccio e senza proferire parola, gli tagliarono un dito della mano. Il sangue iniziò a sgorgare a fiotti, come se avessero sgozzato un maiale. Poi strattonarono i ragazzetti, legarono a entrambi le mani dietro la schiena e li portarono via.

«Se lo sono meritato», mormorò una voce alle sue spalle.

A giudicare dal loro atteggiamento autoritario, forse potevano essere delle guardie, ma di certo non avevano mostrato la stessa clemenza delle loro controparti dentro le mura. E poi era strano che non portassero un’uniforme e che fossero così giovani.

«A quale autorità rispondono quelle guardie?», domandò al vecchio che gli aveva rivolto la parola. Vendeva aringhe sopra una cassetta di legno.

«Autorità? Di cosa diavolo stai parlando?»

«Hanno arrestato due ladruncoli».

«Tu non sei di queste parti, vero?», e lo guardò di sbieco. «Non li hanno arrestati. Hanno dato loro una lezione, piuttosto. Quelle che hai scambiato per guardie sono delle canaglie. Fanno parte di una nuova banda che ha preso a reclutare ruffiani di ogni genere».

«Una banda?»

«Be’, loro si fanno chiamare corporazione, neanche fossero carpentieri o macellai come quelli che lavorano dentro le mura», disse l’anziano, facendosi prendere dalla ridarella. «Ma questa è Triana. Forse l’unica corporazione che ha senso di esistere da queste parti è quella dei furfanti».

«Sono delinquenti che difendono il loro territorio, quindi…».

«Come se Triana fosse di loro proprietà. Qua non c’è nessuno che abbia il coraggio di riportare l’ordine. Persino l’Inquisizione se ne guarda bene dall’uscire dal suo castello. Mettono fuori il naso solo per attraversare il fiume ed entrare in città».

«Avrei ancora una domanda».

«Però comprerai qualcosa?»

«Sì, certo». Thomas prese tre aringhe infilzate con uno spiedino e gliele pagò. «Chi è il capo di questa corporazione?»

«Non ne ho idea, ed è meglio non saperlo, né chiederlo in giro».

Thomas prese un secondo spiedino e gli diede un’altra moneta.

«Qualcos’altro potrei sapere…».

Thomas si portò un’aringa alla bocca e allungò un’altra moneta all’anziano.

«Ha la tua età e si chiama Sebastián».

Thomas cominciò a tossire e per poco non si strozzò con il pesce.

«Ehi, che ti prende?». Il venditore si alzò per dargli una pacca sulla schiena.

«Sto bene, non vi preoccupate». Tossì di nuovo. «Siete proprio sicuro che si chiami così? Sebastián, avete detto?»

«Se ne sono sicuro? Ma se da quest’angolo si viene a sapere tutto…».

Thomas era intrigato e si interrogò sulla vera natura di Sebas. Con chi aveva avuto a che fare per tutto quel tempo?

Non era possibile che fosse a capo di una banda di malviventi.

O forse sì.

Ringraziò ancora una volta il vecchio venditore di aringhe e vide un gruppo di uomini armati di picche farsi largo dalla strada di fronte. Erano almeno una ventina e scortavano un piccolo carro, ma a giudicare dai solchi lasciati dalle ruote nel fango e dallo sforzo che stavano facendo i muli, doveva essere molto pesante.

Non era l’unico che osservava con attenzione la scena. Non lontano, scorse il tizio che aveva tagliato il dito a quel ragazzetto. Quando i picchieri sparirono lungo il fiume, l’uomo si rimise in cammino e Thomas decise di seguirlo, tenendosi sempre a debita distanza, finché questi non si infilò in un vicolo angusto e il mercante di libri, temendo di perderlo di vista, allungò il passo. Non vedendogli girare l’angolo, si guardò attorno e pensò di aver notato un movimento in fondo alla strada. Si avvicinò con cautela e trovò una porta chiusa. Sapeva che era rischioso, ma diede due colpi sul legno con il palmo della mano.

I cardini cigolarono e la porta cominciò a socchiudersi. Dietro la fessura apparvero due occhi gialli.

«Che vuoi?», disse una voce spezzata.

«Sono venuto a cercare Sebas».

«Qui non c’è nessuno che si chiami così. Vattene». Fece per richiudere la porta, ma Thomas ci infilò la punta dello stivale per impedirglielo. «Che fai? Cerchi guai?»

«Di’ a Sebastián che Thomas è venuto a parlargli».

A quel punto la porta si spalancò e un paio di mani enormi lo afferrarono per il collo e lo trascinarono dentro, facendolo cadere sul selciato in pietra di un cortile interno, che era fiocamente illuminato. Si rialzò in fretta e cercò una parete contro cui appoggiare la schiena.

«Sebas! Dove sei? Sebas, sono Thomas! Tomasito!».

Non ottenne risposta, ma si vide circondato da quattro uomini, tutti armati di bastoni e coltelli.

«Ti avevo avvertito, non sai in che guaio ti sei cacciato», gli disse il tizio con gli occhi gialli, avvicinandosi ancora di più.

«Ditegli che c’è Thomas. Diteglielo!».

Uno dei quattro malintenzionati sollevò il suo bastone, mentre un altro si mise a pulire la lama di un’arma affilata. Quello con gli occhi gialli intanto se la rideva e il quarto lo fissava senza battere ciglio. Thomas non sapeva proprio come uscire indenne da quella situazione.

«Fermi!», gridarono da una finestra che affacciava sul cortile.

I malviventi rimasero pietrificati, pronti ad attaccare, ma come sospesi nel tempo. Quello con gli occhi gialli si voltò verso la voce.

«Ho detto fermi!». Qualcuno stava scendendo le scale.

Thomas lanciò un sospiro di sollievo.

«Pensavo che non saresti mai arrivato».

«Thomas, sempre pieno di sorprese. Che ci fai qui?»

«È una lunga storia».

«Sono quelle che mi piacciono di più». Sebas sorrise. «Vieni. Portate del vino per il mio amico».

Uno dei quattro scagnozzi di Sebas corse a obbedire agli ordini, mentre gli altri si dispersero: uno andò a sorvegliare la porta, e gli altri due si schierarono accanto al loro capo, uno per lato.

«Sai che non bevo».

«Sì, ma a me piace metterti alla prova». Lo abbracciò forte. «Anche se temo che questa non sia una visita di cortesia, vero, Thomas?»

«Sono venuto a cercarti perché devo trovare l’assassino di Alonso».

«E il libro? L’hai recuperato? Ti si sta accumulando il lavoro, Thomas…».

«La schiava di cui mi hai parlato è scomparsa, ma la troverò».

«Sempre dritto al sodo». Sebas sorrise di nuovo. «È questo che mi piace di te. Quel libro sembra così inafferrabile. È assurdo. Io mi occupo di cose più intangibili, di informazioni, lo sai».

«Di segreti, vorrai dire».

«No, un segreto è una cosa che sanno solo due persone, mentre un’informazione è ciò che queste due persone credono sia un segreto, quando in realtà una terza persona ne è già venuta a conoscenza».

«E secondo te qual è una valida informazione con cui poter negoziare?»

«Dipende, te l’ho già detto: una mappa delle Indie, un nobile che va a letto con una delle sue serve, un’alta carica del clero con una prostituta, quando partirà la flotta la prossima estate…».

«E quando verrà abolita una legge? Una legge importante per il commercio?», si informò Thomas.

«Direi proprio di sì», rispose Sebas con decisione.

«Se ti dirò un segreto, tu lo trasformerai in un’informazione, ma in cambio dovrai darmi il nome dell’assassino di Alonso».

«Mantengo sempre la parola data, soprattutto con te».

«D’accordo». Thomas inspirò a fondo prima di tradire don Fernando. «Aboliranno la legge che proibisce agli stranieri di imbarcarsi per il Nuovo Mondo».

«Ne sei sicuro? Quando?»

«Entrerà in vigore tra un mese, e adesso dimmi tutto quello che sai sull’uomo che ha ucciso Alonso…».

«Il tuo capo stava facendo molte domande, questo te l’avevo già detto, perciò qualcuno ha contattato l’Indio affinché uno dei suoi sicari si sbarazzasse di lui».

«Vuoi dire che è stato lui? Che è stato l’Indio a tagliare la gola ad Alonso?». A Thomas si strinse un nodo in gola.

«Sì, me l’ha detto lui stesso prima di morire».

«L’hai ucciso?»

«Che importanza ha? Era un assassino. Ti sto dicendo che è stato lui a sgozzare il tuo capo e tu vieni a dirmi che ti dispiace che l’abbia ammazzato?»

«Certo che no, ma… perché mi ha lasciato in vita?»

«Io avrei fatto fuori anche te», replicò Sebas. «Ma l’Indio uccideva su commissione. Gli avevano pagato una sola vittima, per questo ti ha risparmiato. Sapeva il fatto suo, quel maledetto. Poi lo hanno ricontattato chiedendogli di uccidere anche te. Tempo fa sei stato seguito da un sicario che per poco non è riuscito nel suo intento, ma sono arrivato prima io…».

«Tu? Grazie! Ma chi l’aveva pagato?»

«Il nome non lo conosco. So solo che è stata una donna, una donna dell’alta società».

«Una donna altolocata che voleva evitare che trovassimo il libro… Credo di sapere chi è, ma non può aver rubato il libro. Come avrebbe fatto? Un momento… Se è stata capace di uccidere per evitare che facessimo altre domande è perché… No, non può essere!».

«A cosa stai pensando, Thomas?»

«Che ce l’ho sempre avuta davanti al naso e non me ne sono mai accorto».

«Chi? Quella donna?», domandò Sebas.

«No, non lei».