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Le maledizioni
Raggiunsero il centro della biblioteca. Thomas osservò le targhe di legno poste sugli scaffali, che riportavano incise delle frasi.
«Cosa sono?», chiese, indicandole.
«Fin dall’antichità, i libri venivano protetti in luoghi speciali per evitare che venissero rubati».
«Nei monasteri, per evitare che venissero trafugati, li incollavano agli scaffali», aggiunse Alonso.
«Oppure si ricorreva a queste maledizioni, scritte qualche secolo fa, con l’intento di scoraggiare gli eventuali ladri di libri», continuò don Fernando.
Thomas lesse qualche frase:
Chiunque rubi questo libro: potrà morire,
arrostire in padella,
contrarrà una malattia letale e la febbre lo attaccherà,
e potrà essere impiccato a testa in giù. Amen.
La sua attenzione fu richiamata da un’altra targa che si trovava più a destra. La scritta era in corsivo e recitava così:
Chi vuole portare via questo libro,
uscirà dalla grazia di Cristo.
Che chi vuole rubare questo volume
venga ucciso come un dannato.
Che a chi vuole provare a rubare questo libro
cavino gli occhi, che gli cavino gli occhi!
«Non temete», gli disse, «qui i libri sono al sicuro. Mi sono assicurato di proteggere la biblioteca affinché nessuno possa rubare nulla. Questo palazzo è una fortezza, il castello dei libri, come mi piace chiamarlo, ma ho preferito tenere quelle frasi d’avvertimento, non si sa mai».
«C’è da dire che per realizzare un’impresa di questo genere è necessario possedere molto denaro». Alonso non la smetteva di pensare. «Molti mezzi e un’enorme rete di contatti in decine di Paesi diversi».
«Questo è certo. Per fortuna mio padre ha intestato a me tutti i beni che aveva in Spagna, mentre mio fratello Diego ha ereditato i titoli e i domini del Nuovo Mondo, cosa che non gli ho mai invidiato», rispose l’uomo, deciso. «Ho partecipato al quarto viaggio di mio padre».
Thomas trasalì. Massimiliano gli aveva raccontato di aver partecipato all’ultimo viaggio di Colombo per il Nuovo Mondo e gli aveva detto che era stato un completo disastro.
“Che coincidenza!”, pensò. Doveva essere un segno di qualche tipo.
Immaginò il napoletano, Cristoforo Colombo e suo figlio viaggiare assieme verso ponente; quanto gli sarebbe piaciuto partecipare a quell’epico viaggio.
«Ho annotato tutto ciò che ho visto, sentito e sofferto», continuò don Fernando. «Quel viaggio mi è bastato. La mia vita sono i libri e ciascuno di essi per me rappresenta un Nuovo Mondo. Non ho bisogno di viaggiare, solo di leggere».
«Non è la stessa cosa, con tutto il rispetto», e Alonso scosse la testa.
«Davvero? Io ho viaggiato più di quanto possiate immaginare, ve lo assicuro, più con l’immaginazione che nella vita reale. Leggere e viaggiare sono attività simili, per questo un libro può essere una magnifica bussola per la ricerca del proprio cammino».
«Voglio dire, io ho letto molto e… sì, mi piace, ma viaggiare…». Alonso si fermò a riflettere. «Viaggiare fino al Nuovo Mondo e leggere libri che ne parlino non può essere la stessa cosa».
«Infatti. A volte la lettura può risultare anche migliore. Ogni grande viaggio comincia con i libri», e Fernando Colombo sfoderò un sorriso. «Avete mai letto i grandi autori greci?»
«Certamente», rispose Alonso, alquanto infastidito dalla domanda. «Non c’è niente che superi Omero. Il grande Alessandro Magno dormiva sempre con una copia dell’Iliade sotto il cuscino, e anche con un pugnale…».
Vista la domanda, e conoscendo la passione di Alonso per i testi greci, Thomas dovette trattenersi prima di scoppiare a ridere.
«Ebbene, se andaste in Grecia, vi ritrovereste circondati dai turchi, e dello splendore della civiltà greca trovereste solo poche rovine e resti».
«Perché sono passati centinaia di anni, ci andremmo nell’epoca sbagliata».
«Esattamente, mentre con i libri potete viaggiare dove e, soprattutto, quando volete», affermò Colombo, allargando le braccia. «E poi, guardatevi intorno, quanti luoghi potreste conoscere qui dentro, in quante città viaggiare e quanti segreti scoprire?».
Thomas scorse i titoli scritti sui dorsi dei libri, parole in lingue che riusciva a comprendere e molte altre che era incapace di decifrare. Pensò a quanto tempo ci sarebbe voluto per leggerli; giorni, settimane, anni!
«Perdonate la mia insistenza, ma…», e Alonso si sollevò in punta di piedi, «e il libro che siamo venuti a cercare?»
«Certo, lo scrittore si chiamava…?»
«Jaime Moncín».
Don Fernando Colombo si diresse verso un libro dalle dimensioni voluminose, poggiato su un leggio di legno dipinto. Cominciò a consultarlo mentre loro continuavano ad ammirare la biblioteca.
«Riesci a immaginare quanto possano valere tutti questi libri?»
«Alonso, concentrati, siamo qui per un libro in particolare», gli ricordò Thomas.
«Lo so», brontolò l’uomo.
«Sì», disse Colombo, tornando dai due, «abbiamo un libro di quell’autore. Nel sommario viene classificato come opera in prosa dalla struttura innovativa, con stampe erotiche e a tema amoroso. Immagini erotiche? Che strano…».
«È quello che cerchiamo», affermò Alonso.
«Ne ho annotato la posizione su questa pagina, accompagnatemi», disse, addentrandosi con estrema facilità in quel labirinto di libri.
Thomas si chiese come riuscisse a orientarsi tra quelle pareti fatte di scaffali. Vide che c’erano dei numeri nella parte superiore di ogni fila e altri nei vari ripiani di ogni scaffale, quelli che Colombo stava controllando. Il libro non era in quella sezione, perciò imboccarono un lungo corridoio, passando tra le scale usate dai lettori per raggiungere i libri posizionati più in alto.
Raggiunsero un angolo meno illuminato e don Fernando cominciò a controllare i dorsi dei libri, toccandoli con l’indice e cercando di orientarsi. Era come se li stesse contando. Poi si fermò, tornò indietro e ripeté l’operazione.
«Non è possibile», disse.
«Che cosa succede?», chiese Alonso, avvicinandosi di più.
«È strano, sembra che… Datemi un secondo», e l’uomo si allontanò per lo stesso corridoio che aveva percorso, lasciandoli da soli.
«Questo non è un buon segno», mormorò Alonso.
L’attesa fu breve. Don Fernando tornò in compagnia di un altro uomo, corpulento e con i capelli corti, gli occhi grandi e le sopracciglia piuttosto folte.
Si fermarono davanti allo stesso scaffale, ricontrollarono la numerazione nella parte superiore e poi ricontarono i dorsi dei libri, esattamente come in precedenza. Si guardarono, stupiti. Don Fernando prese il primo volume di una fila, lo aprì e lo gettò a terra, mentre l’uomo che lo aveva accompagnato fece esattamente lo stesso con un libro posizionato sull’altro lato dello scaffale. Poi passarono al ripiano superiore, ricontrollando l’intera parete.
«Non è possibile!», esclamò Colombo.
«Che succede?». Alonso non riusciva più a trattenere la voglia di fare domande.
«Il libro che state cercando, il Moncín, non c’è».
«Come? Intendete dire che è andato perso?»
«Ma come è possibile!», rispose Colombo. «Il sistema con cui li ordiniamo e li classifichiamo funziona sempre alla perfezione, sempre, eppure il libro non c’è. Non capisco…».
«Dunque c’è un’unica spiegazione», affermò Alonso, dopo aver inspirato a fondo.
«Quale?»
«Don Fernando, temo che il libro sia stato rubato».