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La legge
Al calare della sera, Sebas e lo Schiaccianoci si misero pazientemente in attesa accanto a Plaza de San Francisco. L’oscurità trasformava Siviglia in un labirinto pieno di ombre e pericoli, con strette viuzze che solo i più impavidi avevano il coraggio di percorrere. Quello era l’habitat naturale di Sebas. Non c’era niente di meglio del buio per i suoi scopi. Si aprì una porta e un sottile filo di luce si disegnò sul selciato. Un gruppo formato da sei uomini uscì in strada e la porta si richiuse immediatamente.
Si guardarono attorno e si diressero a passo svelto verso la zona dell’arsenale. Sebas l’aveva previsto. Allungò il passo per intercettarli due strade più avanti e sguainò la daga. Li contò di nuovo. Erano sei, più del previsto. Non c’era tempo per cambiare programma, però; doveva adattarsi alle circostanze.
Il primo del gruppo parve fiutare la sua presenza, perché alzò una mano e gli altri si fermarono e si misero in guardia.
Sebas riusciva a sentire l’odore della loro paura, e questo lo fece sorridere.
La paura forgiava i regni più potenti. La paura era l’arma migliore. Solo la paura trasformava gli uomini in valorosi.
Quando si rimisero in marcia, Sebas e lo Schiaccianoci si lanciarono all’inseguimento, correndo come se avessero il diavolo in persona alle calcagna. Il primo gli sfuggì, ma stava arrivando il secondo, e Sebas gli conficcò la lama tra le costole, sentendo che se ne spezzavano parecchie quando girò l’impugnatura.
«È una trappola!», gridò uno del gruppo.
«Ma è chiaro che è una trappola, idiota», mormorò Sebas tra sé e sé.
Sfilò la daga dal corpo privo di vita del primo uomo e si lanciò all’attacco del successivo, che sfoderò una spada corta. Lo Schiaccianoci gli afferrò la mano da dietro, si voltò e gli diede una brutale testata in faccia. Sebas non esitò neanche un istante: gli piantò la lama tra le costole e aprì uno squarcio da parte a parte, sventrandolo.
Lo Schiaccianoci tagliò la gola a un altro avversario e lanciò il coltello all’uomo che stava cercando di farglisi sotto. Non contento, gli prese il collo con entrambe le mani e glielo spezzò con un unico movimento deciso.
Ne erano rimasti soltanto due ancora in vita.
L’ultimo della fila partì alla carica, brandendo una spada, e riuscirono a schivare il primo affondo solo per un soffio. Il secondo uomo si lanciò contro lo Schiaccianoci con talmente tanta foga che, quando il gigante lo schivò, questi inciampò e cadde a terra. Risollevò la spada con uno scatto fulmineo, tanto che lo Schiaccianoci non riuscì a schivarla, e la lama gli aprì uno squarcio brutale sul collo taurino. Crollò al suolo e dimenò le gambe mentre il sangue, per quanto le sue enormi mani cercassero di tamponare la ferita, gli sgorgava a fiotti dalla gola recisa.
Questo diede tempo a Sebas di svanire nell’oscurità e riapparire alle spalle di uno dei due rivali rimasti, al quale piantò la daga nella schiena. La lama rimase conficcata nelle sue carni, ma la vittima si rigirò, allungando le mani nel tentativo di strangolare il suo aggressore.
Caddero a terra insieme e rotolarono avvinghiati l’uno all’altro. Le dita dell’uomo gli stringevano con forza la gola; Sebas non riusciva né a respirare né a parlare. Cercò disperatamente la sua arma e la sfilò dalla schiena del suo avversario per accoltellarlo una seconda volta, ma questi non allentava la presa, così lo colpì ancora e ancora, infuriato, disperato. Finalmente le mani persero forza, e Sebas lo spinse via da sé, restando sdraiato sul selciato, senza fiato, tossendo, la gola in fiamme. Si rialzò a fatica, ma sapeva che ne mancava uno.
Intontito e scosso dai colpi di tosse, per poco non cadde di nuovo. Si appoggiò con entrambe le mani al muro e si voltò per avere le spalle coperte.
“Dove sei finito?”, pensò.
Lo cercò con lo sguardo. A terra c’erano cinque corpi immobili, più quello dello Schiaccianoci che era ancora agonizzante.
“Ne manca uno”, si ripeté.
Senza riuscire a vederlo, si concentrò sul silenzio e fu un lieve fruscio alla sua sinistra ad allertarlo. Poi fu questione di un unico e brevissimo istante: indietreggiò, schivò il colpo e reagì, prendendogli la testa e sbattendogliela contro il muro.
L’impatto, a cui fece seguito un tremendo calcio in faccia, fu fortissimo, tanto che l’uomo crollò subito a terra, frastornato.
A causa dello slancio, anche Sebas perse l’equilibrio e, cadendo in avanti, andò a sbattere di schiena su uno dei cadaveri. Si arrampicò sul corpo, cercando qualcosa con cui difendersi, e notò il luccichio della lama di una daga. La prese e si voltò di scatto per cercare con gli occhi l’ultimo superstite, che si stava rialzando con una certa difficoltà.
Fece appello alle ultime forze rimaste e si lanciò all’attacco, scaraventandolo a terra e salendogli sopra. Poi gli puntò la lama dell’arma contro la gola.
«Non mi uccidere…».
«Taci!».
«Ti prego, ti darò tutto quello che vuoi», gemette l’altro.
«Troppo tardi, avresti dovuto darmi retta prima. Ho ucciso l’Indio, quindi è giusto che adesso prenda il suo posto».
«Mi dispiace. Ora sarò ai tuoi ordini, lo giuro. Farò tutto quello che vuoi».
«È troppo tardi! Devo ucciderti affinché gli altri sappiano cosa li aspetta se non si uniscono a me».
«Me ne andrò da Siviglia. Sì, partirò subito», piagnucolò come un bambino. «Me ne andrò lontano da qui, non tornerò mai più».
«Non so se sono così misericordioso».
«Ti dirò di quella donna…», riuscì a sentirgli dire tra i singhiozzi.
«Quale donna? La donna che ha fatto assassinare il mercante di libri?»
«Be’, così dicono. Che è stata una dama, l’esponente di una delle famiglie più importanti di Siviglia. Io conosco il nome dell’altra donna, però. La schiava, quella che consegna le stampe che stavi cercando…».
«E tu che cosa ne sai? Dimmelo e ti risparmierò la vita».
«È una schiava nera, si chiama Rosalía. Vive nel palazzo di Colombo».
«Bene. Alzati e vattene».
L’uomo si allontanò in tutta fretta, per quanto gli fosse concesso dalle ferite. Nel frattempo, Sebas si accovacciò accanto allo Schiaccianoci per accompagnarlo nei suoi ultimi istanti di vita. Era stato un amico fedele, il migliore in assoluto. Dopo qualche minuto, pensando alla vita e alla morte, Sebas si rimise in cammino: doveva inviare un messaggio urgente a Thomas, con il nome della schiava che poteva avere la chiave del libro più misterioso del mondo…
Quella mattina Thomas si svegliò ancora insonnolito e il suo primo pensiero andò a Sofía, alla sua immagine in controluce, alla tunica che le scivolava sulla pelle, sulle cosce e sui seni, e ai suoi baci. Sofía… era l’unica cosa a cui riusciva a pensare. Intonò una melodia, proprio come faceva sempre il suo amico Massimiliano. La vita era bella, a volte.
Quando aprì la porta per uscire dal suo alloggio, si ritrovò davanti un ragazzetto, uno di quelli che passavano le loro giornate sui gradini davanti alla cattedrale.
«Signor Tomasito? Siete il signor Tomasito, il tedesco di Triana?»
«Il tedesco di Triana?». Thomas si mise a ridere. «Be’, sì, sono Thomas Babel».
«Questo biglietto è per voi», e il bambino corse via, svanendo in fondo alla strada.
Thomas aprì il biglietto. Come immaginava, era da parte di Sebas, che gli confermava il nome della schiava complice di “J.M.”, una serva che lavorava nel palazzo di Colombo.
Si rimise in cammino con un gran sorriso stampato in faccia. Aveva molte cose da fare. Era appena arrivato davanti alla scalinata esterna del palazzo di Fernando Colombo quando si sentì chiamare per nome. Era doña Manuela, che sembrava afflitta.
«Tu! Vieni qui!», e lo richiamò a sé con un dito. «Dimmi la verità, dov’è Santiago?»
«Non lo so. Anch’io lo cerco da giorni…».
«Dove diavolo si è cacciato quel babbeo? Se n’è andato con un’altra. È così, vero?»
«Doña Manuela, non credo che Santiago possa più permettersi certi strapazzi…».
«Che cosa vorresti dire? Che il mio Santiago non è un bel giovanotto gagliardo?»
«Certo che no… Volevo dire che… sì, eccome!». Si ingarbugliò da solo. «Da quanto ho potuto riscontrare, più di una donna gli ha messo gli occhi addosso…», e si rese conto che la cuoca stava diventando rossa in volto. «Ma lui le ha sempre cacciate via tutte perché pensava solamente a voi», si affrettò a rimediare.
«Ah! Voi uomini avete occhi e mani lunghi per chiunque vi capiti a tiro. A me sono già venute le rughe. Chi vuoi prendere in giro?»
«Doña Manuela, vi giuro su ciò che ho di più caro che Santiago deve essersene andato per una buona ragione».
«Dimmi quale, allora».
«Non lo so ancora, ma sono sicuro che lo troverò, ve l’assicuro», affermò Thomas, intimidito dalla cuoca, alla quale non poteva certo raccontare dei testi luterani nascosti da Santiago.
«Sarà meglio per te», e si voltò per tornare all’interno del palazzo.
Thomas lanciò un sospiro di sollievo. Doveva trovare Rosalía e interrogarla quanto prima, perché se era lei la schiava nera che consegnava le stampe sulle scalinate della cattedrale, forse avrebbe potuto condurlo a Jaime Moncín, anche se non riusciva ancora a comprendere quale fosse la relazione tra lo scrittore e la schiava.
Quando si incamminò verso gli alloggi della servitù, il Custode si presentò alle sue spalle e gli rivolse uno sguardo truce, come un boia in procinto di mozzare la testa al condannato.
«Don Fernando desidera vedervi». Poi, non appena Thomas si diresse verso la biblioteca, lo fermò. «So che abbiamo avuto delle divergenze, ma so anche che avete aiutato la Corona nel conflitto con il Portogallo per le isole delle Spezie e ve ne sono riconoscente».
«Non ce n’è motivo». Thomas provò a celare tutto il suo stupore.
«Sono così duro perché voglio proteggere don Fernando, ma spero che troviate quel libro. È molto importante per lui e per la biblioteca».
«Anche per me, ve l’assicuro».
Poi il Custode si fece da parte. Thomas non se l’era proprio aspettato. Quell’uomo l’aveva trattato con grande indifferenza da quando era arrivato a palazzo e adesso, di punto in bianco, si mostrava gentile nei suoi confronti.
Dava da riflettere.
Don Fernando Colombo, che lo stava aspettando accanto all’entrata della biblioteca, stava sfogliando un volume dalla copertina scura e il formato ridotto.
«Che cosa state leggendo?»
«Un romanzo cavalleresco, l’Amadigi di Gaula. Questi testi prendono molto, ed è il motivo per cui hanno tanto successo, tu non trovi?», rispose senza troppo entusiasmo. «Se tutta Siviglia sapesse leggere, chissà quanti libri si venderebbero. Thomas, devo parlarti di una cosa importante».
«Vi ascolto».
«Devo essere onesto con te…». Lasciò il libro sopra un tavolino e lo guardò con gravità.
«Si tratta di Santiago, vero? Lo hanno trovato a galleggiare nel Guadalquivir?»
«Magari il tuo compagno fosse riapparso. Lo vorrei tanto, credimi, ma si tratta di un altro tema che ci sta molto a cuore. Devo anticiparti che è una questione della massima segretezza». Poche volte Fernando Colombo aveva assunto un’espressione tanto seria. Forse soltanto a Badajoz.
«Che cosa dovete dirmi?». Thomas si preparò al peggio.
Senza una ragione ben precisa, ripensò al suo passato. Alla fuga da Augusta per colpa dei Welser e a quella da Anversa. Gli tornarono in mente persino i testi luterani che si era ritrovato tra le mani, e l’incontro notturno con Sofía.
E se lo avevano scoperto? Si innervosì.
Forse lo avevano visto mentre scavalcava il muro…
«L’imperatore abolirà il divieto che impedisce agli stranieri di salpare verso il Nuovo Mondo. Tra un mese diventerà ufficiale. Ormai la decisione è presa».
Thomas era rimasto di stucco. Gli stava esplodendo il cervello, sovraccarico di possibilità.
«Don Fernando, mi state dicendo che potrò andare nel Nuovo Mondo?»
«Gli stranieri riceveranno il permesso di partire, sì».
«Ma questo cambia tutto… Mi potrò finalmente imbarcare. Il Nuovo Mondo…». Thomas era quasi sul punto di scoppiare in lacrime.
«Ascoltami, mantieni la calma», e don Fernando lo prese per un braccio. «Ancora non si conosce il motivo di questa decisione».
«Il motivo? E cosa importa?»
«No, Thomas, tutte le decisioni dell’imperatore hanno delle motivazioni ed enormi conseguenze. Non le prende alla leggera e senza una valida ragione. Se ha abolito il divieto, deve avere un obiettivo in mente, e mi dispiace dirtelo, ma di certo non l’ha fatto per permetterti di realizzare il tuo sogno e partire».
«Questo lo so bene, ma io posso comunque trarne beneficio, e potete stare sicuro che ne approfitterò, altroché!».
«Sapevo che avresti reagito così… Thomas, ti chiedo soltanto di essere prudente. Le Indie non sono il paradiso, non lo dimenticare. Io ci sono stato e ho giurato che non ci avrei più rimesso piede».
«Lo so, e conosco i pericoli che questa avventura porta con sé».
«Te l’ho comunicato perché ti stimo e perché era la cosa giusta da fare, ma non hai ancora trovato il libro che sei venuto a cercare, il volume che hanno rubato dalla mia biblioteca. Inoltre, Santiago è sparito e abbiamo un contenzioso con il Portogallo per le isole delle Spezie. Se non ricordo male, hanno anche assassinato il tuo capo e non sai ancora chi sia stato», elencò don Fernando. «Thomas, non puoi lasciare Siviglia come se niente fosse».
Ma in quel momento Thomas stava pensando soltanto a una cosa, a una sola persona: Sofía.
«Avete detto che l’abolizione del divieto sarà resa pubblica tra un mese».
«Sì, per questo devi essere prudente. Questa decisione rivoluzionerà i viaggi per le Indie e avrà enormi ripercussioni sul commercio», sottolineò Fernando Colombo, visibilmente preoccupato.
«Farò attenzione, signore», disse Thomas, cercando di essere convincente. «Quindi mi restano quattro settimane per trovare il libro, Santiago e l’assassino di Alonso. Per quanto riguarda le isole delle Spezie, ho fatto tutto il possibile per aiutarvi. Ora che l’imperatore ha sposato una principessa portoghese, quella contesa potrebbe sfociare in una guerra come in un’alleanza».
«E pensi di trovare il libro e l’assassino in così poco tempo?»
«Potete contarci, come non c’è dubbio che mi imbarcherò sul primo galeone in partenza per il Nuovo Mondo. Non appena verrà resa pubblica la nuova legge, ovviamente», sottolineò Thomas. «E poi, penso di aver trovato un collegamento tra questa biblioteca e Jaime Moncín».
«Quale?»
«Rosalía. Posso parlare con lei?», domandò Thomas. «È importante».
«Non capisco perché, ma… certo, sì. La mando subito a chiamare».
Quando il Custode andò a cercare la schiava, però, non la trovò da nessuna parte. Neppure doña Manuela sapeva che fine avesse fatto, e nemmeno Víctor e Marcos.
Rosalía era sparita.