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Nick

Il fumo invade la stanza di una densa foschia, mentre la musica ci riempie le orecchie. È un’esperienza sensoriale assoluta: l’odore dolce del fumo, la morbidezza del letto sotto le nostre gambe, il tepore del suo corpo premuto contro il mio. Persino il giallo dorato del logo dell’università pare risplendere sul davanti del pullover appoggiato sulla sedia ai piedi del letto. Tuttavia, sto cominciando ad astrarmi da tutto ciò. Ho altro per la mente.

Dicono che i giorni dell’università sono i migliori della vita. A me stanno piacendo un bel po’, e io neppure la frequento l’università. Posso comunque godermi le parti migliori. Le bevute, le feste, le ragazze. È uno dei vantaggi di avere amici iscritti all’ateneo locale. Tutto il divertimento, senza nessun dovere. Niente scadenze, niente debiti. Una vita intera passata a studiare. No, proprio non fa per me.

Lei mi appoggia la testa su una spalla, i capelli lunghi mi scivolano giù sul torace. So che prima o poi dovrò dirglielo – ho intenzione di farlo da un bel po’ – ma non è il tipo di ragazza che puoi scaricare senza conseguenze. Non ne sono sicuro, perché non ho mai avuto il coraggio di provarci, ma alcuni dettagli mi spingono a temere che potrebbe non reagire nel migliore dei modi a quello che ho da dirle.

È una persona tranquilla, non penseresti mai che può perdere il controllo e sbraitarti contro, ma si dice sempre che l’acqua cheta rompe i ponti. Non sapevo cosa significasse, finché non ho conosciuto lei. Prima, le persone tranquille erano solo questo: tranquille. Ma con lei ho sempre l’impressione che ci sia qualcos’altro, qualcosa che ribolle sotto la superficie. Non riesco bene a capire di cosa si tratti, ma c’è. So che c’è.

Decido che è giunto il momento di arrivare al dunque. A parte tutto, non è giusto per me e per lei andare avanti come se niente fosse. Devo dirglielo, e devo dirglielo prima che la situazione peggiori per entrambi.

«A cosa pensi?», mi chiede, quasi potesse leggermi nella mente. Sono proprio cose del genere che mi fanno preoccupare. Non riesco a spiegarlo, ma è strano e inquietante al tempo stesso. Come se sapesse già la verità.

«Niente di particolare», rispondo, maledicendomi subito per la mancanza di coraggio. «Cose varie».

«Che tipo di cose?», insiste.

«La vita. In generale». Non so perché non riesco a dire la verità. A un tratto, è come se non sapessi più parlare. È un problema che non ho mai avuto – di solito, ho fin troppo da dire – eppure questa volta a quanto pare mi sto mettendo sulla difensiva.

«Stai pensando a noi?», domanda, accarezzandomi il petto. Per quanto sembri riservata e mite, mi rendo conto che riesce a mostrarsi anche civettuola, quando vuole.

«Già, immagino di sì», rispondo, con una pausa per pensare a cosa aggiungere. «Mi chiedo solo se questa storia può andare avanti».

Sento che si irrigidisce un po’ prima di parlare, ma non alza la testa dalla mia spalla. Se ne sta lì, senza muoversi, quasi stesse cercando di analizzare a fondo la mia frase. Mi accorgo di averla contrariata.

«Cosa intendi?», chiede, con calma ingenuità.

«Be’, voglio dire, tra qualche settimana tu qui avrai finito. Te ne tornerai a casa, probabilmente, o partirai in cerca di nuove avventure, di un lavoro».

Mi parla senza alcuna emozione. «Ma tu vivi qui, Nick. Non andrai da nessuna parte, l’hai detto tu stesso. Tu adori questo posto e non te ne vuoi andare. Io ho intenzione di trovare lavoro qui e di restarci. Potremmo persino lavorare insieme».

Proprio come temevo. «Non saprei. È che mi chiedo se, dopo l’università, sarebbe lo stesso. La vita cambia, quando devi affrontare il mondo reale. Non vorrei rovinare quello che c’è tra di noi. Conosco un sacco di gente che ci è passata».

«Tipo chi?», vuole sapere lei, questa volta in tono di accusa.

«Oh, amici», dico.

Per un minuto o due restiamo in un silenzio assoluto, nessuno dei due apre bocca. Sono quasi sicuro di sapere a cosa sta pensando, riesco a seguire il percorso del suo ragionamento mentre se ne sta qui stesa, il respiro sempre più profondo.

Alla fine, è lei a parlare.

«Non si tratta affatto di questo, vero? Hai conosciuto un’altra». Ci sono dolore e angoscia nella voce. Sapevo che avrei dovuto farle questo discorso tempo fa, prima che si legasse troppo a me. E adesso, per le prossime settimane, dovrò vedermela con una psicopatica che si sente abbandonata.

«Non dire sciocchezze», rispondo, cercando di disinnescare questa bomba.

«No, ho ragione io, vero? Chi è? Davvero, non mi importa». La voce adesso è completamente diversa. Sembra di nuovo calma, quasi sicura di sé.

Ma so per certo che le importa eccome. E proprio non posso dirglielo. Se lo venisse a sapere, sarebbe la fine. «Non ho conosciuto nessuno», rispondo.

«È Tash?».

Mi costringo a ridere e scuoto il capo. «No, Emma. Non è Tash. Te lo giuro».