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Nick
La bottiglia di scotch sembra disperatamente vuota, ma io comincio a sentirmi molto meglio. Riesco a pensare con lucidità per la prima volta da giorni, ed è proprio la bottiglia che devo ringraziare per questo.
Era tanto tempo che non bevevo sul serio. Ho sempre avuto paura, temevo di potermi trasformare nel mostro che sono diventato quella notte con Angela. Ora, però, non mi sento affatto un mostro. Al contrario, ragiono con più razionalità, vedo con maggiore chiarezza. Non sono così stupido da credere che i pensieri di adesso sono gli stessi che farei da sobrio, ma almeno riesco a controllarli. Devo agire. Non posso più starmene qui senza far nulla. Non dopo aver ricevuto quel filmato di Ellie.
Quindi devo prendere una decisione. Ora non si tratta più soltanto di riavere Ellie. Si tratta di salvarle la vita. Il rapitore mi ha già detto che la ucciderà, se non faccio quello che mi chiede, e non posso correre il rischio. Sono ben consapevole che, in queste condizioni, uccidere Tasha significherebbe con ogni probabilità farmi scoprire. Ma non mi importa. Preferirei passare il resto dei miei giorni in carcere sapendo che Ellie è salva piuttosto che avere una vita di libertà al costo che le accada qualcosa. Che razza di libertà sarebbe? In realtà sarebbe la peggiore delle prigioni, una dalla quale non potrei mai evadere.
Ancora una volta, ripasso le idee su come farlo. È necessario un minimo di pianificazione, di strategia, ma devo anche agire in fretta. C’era una chiara malvagità in quella email, e credo davvero che chiunque abbia catturato Ellie ha ogni intenzione di dare seguito alle minacce. Voglio – ho bisogno – che mia figlia sia al sicuro, e ho bisogno che sia al sicuro subito.
Mi alzo per andare al piano di sopra e prendere il portatile, ma poi mi fermo. Devo trovare il sistema migliore. Non mi chiedo neanche più se la polizia sta tenendo sotto controllo il mio computer, che scoprano pure l’argomento delle mie ricerche. Mi importa solo di Ellie. L’unico motivo per cui non salgo in camera da letto è perché so che finirei per farlo lì, su due piedi, e non servirebbe a niente e a nessuno.
Voglio solo trovare una via d’uscita da questa follia. Comincio a pensare che potrei davvero non rivedere più Ellie. In tal caso, non ha senso andare avanti. Se non riesco a fare quello che devo, tanto vale farla finita una volta per tutte. Il risultato finale sarebbe lo stesso, ma assai più rapido e indolore.
Tasha prende il tramadolo per i dolori causati dall’aggressione. Mi chiedo quante compresse dovrei mandar giù per togliermi la vita. O per toglierla a lei. Potrei sbriciolarne una manciata e mettere la polvere in quello che mangia per portare a termine il mio incarico, ma la detective lo scoprirebbe subito. No, non posso. Devo suicidarmi. E, per quanto sembri assurdo, non voglio farlo con gli antidolorifici di Tasha. Non con quelli che assume per colpa mia. No, i sonniferi sono una scelta di gran lunga migliore. Non implicano tutti questi sensi di colpa. E potrebbe sembrare tutto un incidente, giusto? Cerco di valutare quanti ne dovrei ingurgitare per dormire in eterno. Magari posso cercarlo su Google. Forse non è una buona idea; immagino che ci saranno automobili in strada nel giro di qualche secondo, e qualcuno mi porterà via prima ancora che riesca ad aprire la confezione del farmaco.
Sento che sto per crollare, ma devo restare sveglio. Non sto più ragionando con lucidità, ma almeno sto ragionando.
Torno alla casella della posta in arrivo e apro di nuovo l’ultimo messaggio di Jen Hood. Ho capito che se riesco a desensibilizzarmi, allora potrò essere più razionale. Devo superare le reazioni emotive e cominciare ad affrontare la situazione con la mente sgombra. Deglutisco a fatica e apro di nuovo il link del filmato.
La voce di Ellie mi colpisce dritto al cuore, e mi rendo conto che dovrò guardare il video un bel po’ di volte se voglio arrivare anche solo a una parvenza di insensibilità al riguardo. Adesso, però, voci e suoni neanche mi arrivano più, lo sguardo si concentra su un punto a sinistra della spalla di Ellie, qualcosa che penzola da una scatola di cartone. Metto in pausa il filmato.
Non riesco bene a identificare questo oggetto, eppure mi sembra molto familiare. Strizzo gli occhi, il naso a pochi centimetri dallo schermo. E poi capisco.
È un pullover. E l’ho già visto. Tante volte. In realtà, l’ho visto addosso a tante persone. Ma, in questo preciso istante, so esattamente a chi appartiene quello nel filmato.