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Nick

Quando torno a casa, trovo un messaggio di Tasha, che è uscita un paio d’ore fa a fare la spesa. Avverto sempre una fitta, un senso di colpa quando vedo simili segni di normalità. Quando scompare un figlio la tua vita si ferma, eppure ci sono cose che bisogna comunque continuare a fare, come mangiare e dormire. È uno degli aspetti peggiori; sentirsi in colpa per avere delle naturali funzioni fisiologiche. È questo l’effetto che ti fa.

Sono felice che Tasha non sia in casa, perché devo prendere il denaro dalla cassaforte. Farlo in sua presenza sarebbe stato più che difficile. Avverto un’improvvisa ondata di adrenalina quando mi rendo conto di quanto sia tristemente impreparato. Doveva essere un piano strutturato con cura e attenzione, ma adesso mi sembra di correre in giro a duecento all’ora, agendo senza pensare. Questo mi preoccupa.

Sin da quando ho ricevuto la foto di Ellie, ho capito che dovevo fare qualcosa, e in fretta. Lo sapevo anche prima, ma non in maniera così definitiva. Vedere il suo faccino mi ha spezzato il cuore, e in questo momento sono come scisso in due, una parte di me la rivuole a ogni costo, un’altra sa che devo restare calmo e razionale affinché il piano funzioni.

Ma, d’altronde, chi non risica non rosica.

Salgo di corsa le scale ed entro nella stanza da letto, dove apro la cassaforte. Il denaro è ancora lì. Spalanco il guardaroba, prendo la borsa per la palestra e la riempio di banconote. L’impatto è strano: sono senz’altro troppe per entrare in una tasca o una giacca, ma quasi spariscono all’interno della sacca. Per farlo sembrare meno sospetto, prendo un asciugamano e un paio di scarpe sportive dal guardaroba e getto dentro anche quelli.

Mi rendo conto che dovrò usare l’automobile. Ho preferito evitarlo finora – se non per i soliti tragitti – poiché sono convinto che ci abbiano messo un qualche dispositivo per il tracciamento. La parte razionale della mente mi dice che non è possibile, tuttavia. Ci vuole un mandato, per queste cose, e per ottenerlo dovrebbero avere prove sufficienti di un mio coinvolgimento nella scomparsa di Ellie. Inoltre, proprio non c’è modo di arrivare fino ai boschi senza la macchina. Se, nella peggiore delle ipotesi, mi scoprono, dirò che ho deciso di non andare più in palestra e ho preferito una corsa nei boschi, all’aperto.

So che se mi fermo cambierò idea, e so che non posso cambiare idea. Devo attenermi al piano. Devo riavere Ellie.

Torno di sotto ed esco di casa, ed è a questo punto che vedo la McKenna risalire il viale con una busta della spesa in ciascuna mano. Tasha la segue da presso.

«Salve, Nick. Va da qualche parte?», chiede la detective.

«In palestra», rispondo, mostrando la borsa. «Ho bisogno di scaricarmi un po’».

«Deve essere dura starsene seduti ad aspettare le notizie», dice lei. «Senza sapere cos’è successo».

«Già, proprio così. Ci si sente davvero disperati, sa? È frustrante. Per questo», aggiungo, mentre vado verso la macchina, «farò qualche chilometro sul tapis roulant».

«Buon divertimento», mi augura la detective, continuando a fissarmi un po’ più a lungo del dovuto prima di entrare in casa. Tasha si ferma a parlare con me.

«Prima che mi dimentichi, mentre ero via mi ha chiamato Emma. Mi ha chiesto se domani voglio andare a casa sua con Leanne e Cristina. È convinta che uscire un po’ mi farà bene».

«Probabilmente ha ragione. Qui non possiamo fare altro che impazzire nell’attesa. Le distrazioni aiutano», aggiungo, mostrando anche a lei la borsa.

«Lo so. Eppure per certi versi mi sembra sbagliato. Se decido di andarci, l’appuntamento è intorno alle otto di sera, così non torno troppo tardi», risponde Tasha, per poi allungarsi a darmi un bacio mentre mi passa accanto diretta verso casa.

«Si diverta in palestra», mi augura la detective tornata sulla soglia, dopo aver portato le buste in cucina. Metto in moto la macchina e imbocco la strada.

Continuo a controllare lo specchietto retrovisore quando mi dirigo verso il centro della città, prima di svoltare lungo una via secondaria che porta al bosco. Mi accerto che nessuno mi stia seguendo, perché sarebbe abbastanza complesso spiegare cosa ci faccio tra gli alberi con una borsa da palestra.

La zona che ho in mente non è accessibile con l’automobile, così parcheggio in una strada poco distante, accanto ad alcune case, per essere sicuro che la macchina non dia troppo nell’occhio, e mi avvio lungo il sentiero tra i campi che porta al bosco.

Per fortuna, lungo il tragitto non incontro nessuno. Il clima non è ideale per portare fuori il cane o uscire per una gita di famiglia. Arrivato tra gli alberi, resto sul sentiero per qualche metro per poi guardarmi intorno e addentrarmi ancora di più, incespicando mentre mi aggiro tra tronchi e rami fino ad arrivare al fitto del sottobosco.

Una volta convinto di essere solo, sposto con un piede una pila di rametti e foglie secche e lascio cadere la sacca nel terriccio umido per poi ricoprirla. Non so come farò a descrivere la sua ubicazione. Rovisto tra le foglie in cerca di una pietra tagliente. Ne trovo una che somiglia un po’ a una selce, e lascio un segno sull’albero più vicino, una “X”. Ripercorro i miei passi fino al sentiero e disegno una freccia su un altro albero, puntata in direzione della borsa. Una persona di passaggio non dovrebbe notarla, ma è abbastanza facile da individuare per chi dovesse cercarla.

Anche se so di averle nascoste bene, mi sento un po’ a disagio all’idea di lasciare tremila sterline in una sacca nel mezzo di un bosco. Tuttavia, sarei ancora più nervoso se dovessi trovarmi faccia a faccia con l’uomo che ucciderà mia moglie, e inoltre per darglieli direttamente mi dovrei identificare. Posso permettermi di perdere tremila sterline, se questa è l’alternativa.

Ripercorro di nuovo i miei passi attraverso il campo fino all’automobile. So che c’è un telefono a pagamento nel prossimo paese, Medbury, e non troverò nessuna telecamera a circuito chiuso nei paraggi. A essere sincero, mi stupisce già il fatto che lì abbiano l’elettricità. Metto in moto e mi avvio verso il paese.

Quando ci arrivo, decido di lasciare la vettura a circa cento metri dalla cabina. Non so bene perché, ma mi sembra più sicuro. Scendo e raggiungo a piedi il telefono pubblico, cercando di non avere un’aria sospetta mentre mi guardo intorno. Pesco dalla tasca il foglietto dove ho annotato il numero di Geoff per poi sollevare la cornetta e comporlo. Quando il tizio risponde inserisco una moneta da una sterlina nell’apposita fessura.

«Sì?»

«Geoff?», chiedo. Non mi viene in mente altro.

«Sì», mi dice.

«Sono il tizio dei rifiuti da eliminare», gli spiego.

«So chi sei. Uso una scheda diversa ogni volta», ribatte. Questo mi rassicura e allo stesso tempo mi fa sentire sulle spine. Sembra un professionista serio.

«Oh, okay. Ottimo», rispondo. «Se vai nei boschi dalle parti di Huish Farm, poco lontano da Medbury, ci sono dei cartelli che indicano un sentiero pubblico. Seguilo fino oltre i campi. Vedrai un albero alla tua sinistra. Ti farà arrivare al punto esatto». Cerco di restare quanto più possibile sul vago, senza parlare di denaro o cose del genere. La prudenza non è mai troppa.

«Bene. E quanto al lavoro?», mi chiede, un uomo di poco parole.

«Donna, tra i trenta e i quarant’anni. Attraverserà il Jubilee Park in direzione est tra le otto e le otto e un quarto, con un soprabito color panna con il cappuccio contornato di pelliccia». È l’unico modo in cui mi viene in mente di descrivere Tasha. Non so come si vestirà e in nessun modo potrei condizionarla, ma so quale sarà il soprabito: quello che mette sempre.

«Preferenze riguardo al metodo?»

«Qualcosa di rapido, ma deve sembrare un incidente».

«Avrà con sé una borsa? Cellulare? Denaro?», mi chiede il tizio.

«Sì, tutti e tre, direi».

«Bene. Allora sarà una rapina andata a male», decide.

Sembra una cosa stupida da dire a un sicario, ma comincio a parlare senza neanche rendermene conto. «Fai attenzione, però», mi raccomando. «È piuttosto energica. Probabilmente tenterà di difendersi».

«Oh, questo non mi preoccupa», risponde. «Devo sapere altro?»

«Ehm, no», dico. Che altro potrei aggiungere? Non è proprio il tipo di cose che uno fa tutti i giorni.

«Ottimo. Se il denaro è dove hai detto, siamo a posto. In ogni caso, non chiamare più questo numero».

Senza lasciarmi tempo di dire altro, chiude la telefonata. Mi si forma un nodo in gola quando mi rendo conto che ormai non c’è più modo di tornare indietro.