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Nick

Questo divano comincia a sembrarmi più comodo e familiare del letto. Non può che essere un pessimo segno, ma è infinitamente meglio che dormire al piano di sopra, insieme al drago.

Ho disattivato le notifiche delle email sul cellulare. A ogni vibrazione, rischiavo che mi venisse un infarto. Ovviamente, si trattava sempre di spam o della newsletter di una ditta dalla quale ho comprato una penna otto anni fa.

Devo ritrovare una forma di controllo, quindi ora apro i messaggi in arrivo solo manualmente. Osservo la massima cautela, ma ormai sono piuttosto sicuro che la mia casella di posta elettronica non sia sotto controllo. Tra l’altro, credo sarebbe illegale. Non sono così ingenuo da pensare che certe cose non succedano comunque, ma devo pur tracciare una sorta di confine, altrimenti cadrò vittima della paranoia.

Avvio la app per la posta elettronica e trovo cinque nuovi messaggi. L’ultimo controllo risale ad appena due ore prima. Cosa abbastanza buffa, a quanto pare amici e familiari hanno smesso di preoccuparsi per me, e ci sono solo quattro newsletter e un’altra email di Jen Hood.

Cerco di restare calmo e concentrato, e per prima cosa cancello uno a uno i quattro messaggi inutili. Devo tenere la mente sgombra. Poi, con dita tremanti, apro quello di Jen Hood. L’oggetto della email è “Ellie” e il messaggio contiene solo quattro parole “La password è Natasha”, seguite da un link al sito Vimeo.

Lo apro e mi porta dritto a una pagina web. Il testo sullo schermo mi avvisa che il video è protetto da una password e mi chiede di inserirla. È tutto così assurdo, ma a colpirmi è soprattutto l’immagine di una mano protesa col palmo in avanti, quasi fosse un buttafuori troppo solerte davanti a un nightclub. Cerco di restare calmo e digito il nome Natasha nel riquadro per la password.

La pagina successiva si carica quasi in un istante, ma non il video in sé, che pare metterci un’eternità, nascosto dietro un riquadro bianco. Sto per lanciare il telefono fuori dalla finestra, ma poi la schermata cambia e compare anche il filmato. Il riquadro adesso è nero. Premo il tasto “Play” e metto il telefono in orizzontale per la visuale a schermo intero.

Dopo un paio di secondi, il riquadro nero si schiarisce fino a mostrare l’immagine sfocata di quella che potrebbe essere una bambina qualsiasi. È il piagnucolio che riconosco per primo, ed è assurdo, perché non l’avevo mai sentito finora. Di sicuro non è il suo solito modo di fare i capricci, come la mattina in cui ha dimenticato il disegno della signorina Williams. È affranto, disperato, reale.

«Papà, voglio tornare a casa», dice, mentre l’inquadratura diventa più nitida e le lacrime mi fanno bruciare gli occhi. «Ti prego, fai quello che devi per riportarmi a casa». Comincia a piangere. Dicono che l’amore sia solo una reazione chimica che ha luogo nel cervello, eppure io avverto nel petto il dolore per la sua accorata disperazione. E, in un istante, il video è finito.

Sono allo sbando, assolutamente allo sbando. Per certi versi vorrei guardare ancora e ancora il filmato, ma mi rendo conto che non lo reggerei. Chiudo la pagina di Vimeo e ricompare così la casella della posta in arrivo, questa volta con un nuovo messaggio. Sulle prime neanche me ne accorgo – sono davvero a pezzi – ma poi mi rendo conto che è un’altra email di Jen Hood. La apro e leggo il messaggio.

Sono lieta che hai finalmente capito qual è il tuo compito, ma non è abbastanza. La voglio morta, non solo ferita. Dovrai impegnarti di più. Deve morire, o non rivedrai mai più Ellie. Non perdere tempo nel tentativo di trovarci da solo. Posso vedere tutto quello che fai. Un passo falso e non la riavrai mai più con te. Sai cosa fare.

Con mani tremanti chiudo la app e blocco lo schermo del cellulare. Ho bisogno di un altro bicchiere.